Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’avvento del primo Medioevo, pur attraversato dal cambiamento dovuto alla diffusione del cristianesimo, dal punto di vista delle credenze e delle cognizioni mediche pare non essere socialmente percepito. Galeno e Ippocrate restano le figure di riferimento. Tuttavia, l’elemento di rottura è costituito dalla diffusione delle pratiche cristiane, in particolare dell’ascetismo e dell’astensione dal sesso che modificano i comportamenti antropologici ed entrano in contrasto con le teorie tardoantiche. Anche lo statuto della malattia cambia radicalmente: da una condizione contro natura diventa manifestazione della fragilità dovuta al peccato originale.
Come ha detto lo storico Arnaldo Momigliano, un uomo del Medioevo sarebbe stato molto sorpreso di sapere della rottura storica rappresentata dalla caduta dell’impero romano, perché per lui l’impero non era mai finito. Allo stesso modo, le credenze e le cognizioni mediche del primo Medioevo, pur attraversate dal cambiamento dovuto all’avvento della spiritualità cristiana, non si differenziano troppo da quelle tardoantiche.
Figure di riferimento e corpus testuali come quelli di Ippocrate e Galeno non hanno mai perso di importanza, e sono stati letti e utilizzati dagli ultimi intellettuali pagani come dai Padri della Chiesa e dai loro seguaci. La medicina ippocratica trasmessa dall’antichità al Medioevo è incentrata sulla teoria degli umori, fluidi circolanti nell’organismo e dotati di specifici caratteri che li mettono in connessione con gli elementi e le loro proprietà, e dunque con il cosmo: il sangue, aereo; il flegma, umido; la bile gialla, calda; la bile nera, terrestre. La prevalenza dell’uno o dell’altro umore, che corrisponde anche a condizioni specifiche di età o di genere, determina il carattere fisico e morale dell’individuo; lo squilibrio tra gli umori determina l’insorgere di patologie.
A questo impianto fisiologico Galeno, esponente di spicco della medicina di età romana imperiale ma di formazione e di lingua greca, aggiunge entità “invisibili”, gli pneuma o spiriti, responsabili di alcune funzioni – riproduzione, sensibilità, pensiero – che sono imperfettamente spiegate nell’umoralismo precedente. La presenza degli spiriti, assimilabili all’anima, e l’aristotelismo della filosofia e biologia galenica, evidenti nel carattere teleologico, finalistico, del suo sistema, ne rendono particolarmente bene accetta la medicina per le culture successive – cristiana e araba –, fortemente strutturate in senso religioso. Ma la persistenza della cultura antica non è evidente solo sul piano teorico: anche la pratica medica continua per secoli a modellarsi sulla tradizione antica. La riutilizzazione di luoghi e pratiche di cura antichi è estensiva, come dimostrano la continuità nelle consuetudini terapeutiche o il caso dei santuari dedicati alla guarigione, che non mostrano segni di discontinuità o di abbandono nel passaggio dall’antichità al Medioevo: uno dei casi più celebri è quello dell’Isola Tiberina a Roma.
L’avvento del cristianesimo e la sua lenta ma sicura diffusione nel territorio dell’impero, così come il suo “meticciato” con le tradizioni culturali e religiose preesistenti (latina, greca, ebraica, siriaca), hanno però segnato un mutamento importante, che ha ricollocato le acquisizioni della medicina classica nel quadro di un’antropologia e di una spiritualità profondamente diverse da quelle della Grecia di Ippocrate o della Roma di Galeno, dei primi secoli. Alcune dottrine cristiane si dimostrano difficilmente compatibili con le acquisizioni della medicina e della fisiologia antiche. Tra queste, la più critica è stata probabilmente quella della resurrezione dei morti “nella carne”. Difficoltà connesse alla spiegazione del meccanismo della digestione dei cibi (in che forma sarebbero risorti i corpi di coloro che erano divenuti pasto di animali, a loro volta utilizzati come cibo?) sono state proposte, e non sempre risolte, sul piano teorico e dottrinario. Per quanto riguarda la concreta percezione del corpo, delle sue funzioni e del suo valore, il cambiamento più dirompente è stato invece l’affermarsi dell’ascetismo e dell’astinenza sessuale, pratiche che nel mondo classico erano rimaste minoritarie ed “eccentriche”, estranee alla compagine della vita civile. La consolidata fiducia delle élites della tarda antichità nel mantenimento di un regime di vita equilibrato, nel quale l’attività sessuale e la riproduzione erano parte essenziale, si è così scontrata con un’antropologia spiritualista per la quale lo spirito può e deve regolare la carne, controllandone o eliminandone le esigenze.
L’ascetismo tende inoltre a ignorare, se non a rovesciare del tutto, uno dei pilastri dell’antropologia antica, quello della radicale differenza tra corpo maschile e corpo femminile. L’eccellenza del maschio, dovuta alla prevalenza di calore e di fuoco, e la subordinazione della femmina, caratterizzata dalla prevalenza di freddo e umido, era radicata nella medicina umorale. La sua trasformazione implica una smentita del modello antico, o almeno una rilettura dei rapporti fra i generi, alla luce della nuova eccellenza acquisita dal modello della Vergine e dall’esempio della Madre del Cristo. L’esempio proposto dal monachesimo maschile orientale, poi stabilizzatosi e diffusosi con l’adozione generalizzata del celibato come contrassegno specifico dello stato ecclesiastico, propone a sua volta un singolare “depotenziamento” del maschio, che, educandosi alla privazione dal cibo e dai contatti sessuali, si priva volontariamente di quelle che per la medicina antica erano le fonti del proprio calore. Peraltro, la morale cristiana “in costruzione” fa largo uso di considerazioni mediche, ad esempio nel raccomandare il matrimonio come “rimedio” per l’ineliminabile desiderio sessuale, o nel controllare e raffinare le pratiche di digiuno e ascesi, o nel definire i confini e i meccanismi di controllo del profetismo.
A un livello socialmente più ampio, è la malattia stessa a cambiare statuto. Per il medico antico si trattava di uno stato contro natura che il medico doveva combattere, insieme al malato, con le armi a propria disposizione.
Nel cristianesimo la malattia, riportata alla fragilità dovuta al peccato originale, diventa piuttosto occasione di prova per il singolo e finisce, in casi estremi, per essere assimilata al martirio. I dibattiti sulla liceità dell’uso dei farmaci, passibili di analogie con oggetti “magici” quali amuleti o talismani, inducono talvolta i cristiani dei primi secoli a rifiutarne o limitarne fortemente l’uso. Non ci sono dati sulla diffusione del cristianesimo presso i medici o i curanti in genere, ma, come è stato detto, questa dovette essere limitata e condizionata dalla loro appartenenza all’élite pagana colta, abituata a guardare con equilibrato scetticismo al proliferare di sette e credenze. È caratteristico da questo punto di vista un passo di Galeno – la cui autenticità peraltro è incerta – dove si parla dei cristiani come di coloro che disprezzano la morte e coltivano l’astinenza sessuale. Anche la diffusa credenza nei miracoli, molti dei quali consistono in guarigioni, porta a un’alterazione del rapporto tradizionale del paziente con il medico e con la cura. Nonostante ci siano evidenze che dimostrano come il ricorso ai professionisti della cura non sia mai venuto meno, la maggiore importanza della salute dell’anima rispetto alla salute del corpo è continuamente ribadita. Ma almeno in area orientale prevale rapidamente, sugli aspetti di rifiuto della cura, un atteggiamento estremamente positivo nei confronti dell’attività pubblica di assistenza e di caritas, che conduce nel corso di alcuni secoli all’assimilazione del medico alla figura del Cristo Sotèr, il Salvatore. Anche in area islamica la convivenza fra sapere medico e una società fortemente orientata in senso religioso non presenta particolari problemi, se non nel caso di gruppi marginali.