salute (saluta; saluto)
È una delle parole chiave del lessico dantesco, con 56 occorrenze complessive, variamente distribuite (Rime 8; Rime dubbie 1; Vita Nuova 17, di cui 5 nella prosa - e 3 nella forma ‛ saluto ' -; Convivio 10, di cui 5 nella prosa; Inferno 1; Purgatorio 3; Paradiso 10. Inoltre si hanno 5 occorrenze nel Fiore e 1 nel Detto).
La scarsa uniformità di questa distribuzione, caratterizzata da un accentrarsi delle attestazioni nella lirica giovanile e nel Paradiso, riflette l'importanza che nell'opera di D. ebbero il tema dell'amore come impulso che produce l'elevazione spirituale del poeta per il tramite della donna-angelo, e quello della progressiva acquisizione della grazia santificante, fino alla visione di Dio.
Questi due motivi, così strettamente connessi con la qualificazione ideale e poetica di Beatrice, trovano nel vocabolo s. il loro cardine espressivo unificante. Lo consentiva la stessa storia della parola, che nella sua forma più latina e nel suo doppio valore di " saluto " e di " salvezza ", presenti anche nel provenzale la salut, durava ancora ai tempi di D. accanto alla forma schiettamente neolatina ‛ il saluto ' (v. oltre), che è un deverbativo da ‛ salutare ' (v.).
S., anche nella variante ‛ saluta ', con il valore di " saluto " è infatti largamente attestato nella lingua del tempo; a voler prescindere dall'ambito dello Stil nuovo, siano sufficienti gli esempi di Lotto di ser Dato (" se saluta li è porta, / soavemente la rende ", in Contini, Poeti I 316) e dell'Intelligenza (CCXCII 9 " e fanno ciò che Madonna comanda, / e rendon dolzi e soavi salute "). Ma fu soprattutto il modello del Guinizzelli a suggerire a D. e, contemporaneamente o dopo di lui, agli stilnovisti, l'attribuzione al vocabolo dell'ambivalenza già ricordata e la tematica poetica che vi si connette: " Passa per via adorna e sì gentile / ch'abassa orgoglio a cui dona salute, / e fa 'l de nostra fé se non la crede ", Io voglio del ver 10. È qui il nocciolo della ‛ loda ' di D., qui l'origine del valore assunto dal vocabolo che, pur continuando a significare " saluto ", contemporaneamente esprime l'idea della profonda impressione benefica esercitata dalla donna-angelo su chi la vede.
Esempi di quest'uso, così semanticamente pregnante, si hanno in Rime L 12 piacciavi di mandar vostra salute; Vn XI 1 quando ella apparia da parte alcuna, per la speranza de la mirabile salute nullo nemico mi rimanea; Rime L 53, Vn XII 6, XIX 10 39. Particolarmente significative sono le occorrenze di Rime LXIX 9 e 13 A chi era degno donava salute / ... quella benigna e piana / ... Credo che de lo ciel fosse soprana, / e venne in terra per nostra salute. Osserva il Contini: " Salute, si dice, rima con se stesso nel v. 13. Ma si tratterà di rima equivoca; e qui salute varrà ‛ saluto ', se addirittura non sarà un plurale di ‛ saluta ' ".
La medesima duplicità di valori s. ha in Pd XXX 53 Sempre l'amor che queta questo cielo / accoglie in sé con sì fatta salute; appena è salito all'Empireo, D. è abbagliato da un improvviso fulgore, e questo " saluto ", gli spiega Beatrice, si addice a quel cielo che è pura luce, ma in quel saluto sta anche " salvezza ", infusione di grazia e di forza.
L'ambivalenza del termine spiega l'incertezza interpretativa a cui ha dato luogo Vn III 10 4 A ciascun alma presa e gentil core / nel cui cospetto ven lo dir presente / ... salute in lor segnor, cioè Amore, che il Casini spiega " mando un saluto nel nome di Amore " e Barbi-Maggini interpretano " auguro di trovare salute, cioè gioia amorosa ".
Nel D. canonico ‛ saluta ' compare con certezza solo due volte: Vn XI 4 appare manifestamente che ne le sue salute abitava la mia beatitudine, dove il vocabolo ha il valore già ampiamente illustrato. Avrà naturalmente l'accezione più immediata e consueta in Rime XLVIII 6 da parte di colui che mi t'ha scritto / ... recoti salute quali eleggi; e così in Fiore CCXVI 1 Molte salute, madonna, v'apporto; XIV 12, CXCIX 3; Detto 405 (sempre che, negli ultimi due casi, si tratti del plurale di ‛ saluta ' e non del singolare di ‛ salute ').
In un altro gruppo di esempi indica la " beatitudine ", la gioia purissima e spirituale, ma pur sempre terrena, che la vista di madonna suscita: Vn III 4 la quale io riguardando molto intentivamente, conobbi... la donna de la salute (per la lezione e l'interpretazione, v. Barbi, ad l.); XXVI 10 1 Vede perfettamente onne salute / chi la mia donna tra le donne vede (anticipato al § 9). E così pure in Rime LXXX 26, LXXXIII 71, Rime dubbie XIV 10, Vn XXVII 4 12, Cv II Voi che 'ntendendo 24 (ripreso in XV 4, dove il termine ricorre anche un'altra volta), VII 11, XV 8. Altre volte, personificato, indica la donna stessa: Vn XI 3 quando questa gentilissima salute salutava.., lo mio corpo... si movea come cosa grave inanimata; e così XXXI 10 25, XXXII 6 14.
Un altro gruppo di accezioni si collega al valore di " salvezza ": Cv III XI 16 [Ettore]... era termine in che si posava tutta la speranza de la... salute dei Troiani. In Pd XII 63 si allude alla salvezza spirituale: al sacro fonte s. Domenico e la Fede si dotar di mutua salute, " quia fides fecit Dominicum salvum " liberandolo dal peccato originale, " et ipse fidem salvavit, defendendo eam contra hereticos et confirmando " (Benvenuto).
In senso meno generico, s. di un essere sono tutti gli attributi che permettono di esplicarsi conseguendo la propria perfezione e, in essa, il suo proprio fine. Il vocabolo acquista così il significato di " bene ", " benessere ", " beneficio ", " grazia ": Pg XVII 106 perché mai non può da la salute / amor del suo subietto volger viso, / da l'odio proprio son le cose tute; Pd VIII 102 non pur le nature provedute / sono in la mente ch'è da sé perfetta, / ma esse insieme con la lor salute. E così Cv III Amor che ne la mente 31, IV Le dolci rime 106, ripreso in XIX 8 (e qui ancora un'altra occorrenza).
Con valore causativo, s. è ciò che procura salvezza: il veltro di quell'umile Italia fia salute / per cui mori la vergine Cammilla (If I 106). S. è quindi adoperato anche per indicare la benefica influenza che un cielo esercita su quelli sottostanti (Pd XXVIII 67 e 68) o la potenza del sole (Rime XC 45).
In Fiore XLIV 2 e 3 il sostantivo rima con sé stesso (il Di Benedetto corregge al v. 2 salute in virtute): Socrate... / sì fu fontana piena di salute / della qual derivò ogne salute. Si può forse supporre che il vocabolo ricorra con il valore causativo di " influenza benefica " la prima volta, e con quello di " bene morale " la seconda.
Le accezioni finora illustrate confluiscono in quella di " salvazione spirituale " dell'anima, prevalente nella Commedia. Anche in questo caso, il vocabolo è usato con due sensi diversi. Con valore di astratto, indica la salvezza eterna di D. o, più genericamente, degli uomini: D. tanto giù cadde, che tutti argomenti / a la salute sua eran già corti, / fuor che mostrarli le perdute genti, Pg XXX 137; Bastavasi ne' secoli recenti / con l'innocenza, per aver salute, / solamente la fede d'i parenti (Pd XXXII 77). E così Vn VIII 11 19 (ripreso al § 12), Pg XXX 51, Pd XXXI 80. Ma l'uomo raggiunge il proprio fine e la compiuta beatitudine solo nella piena visione di Dio, che è quindi l'ultima salute (Pd XXII 124, XXXIII 27), suprema salvazione dell'anima e, contemporaneamente, somma e termine di ogni bene. Per questo, dopo essere asceso dal quarto al quinto cielo, per il fatto stesso di essere più vicino a Dio, D. può dire di sé di esser translato / ... in più alta salute (XIV 84), " in più alto grado di beatitudine ".
La forma ‛ saluto ' occorre, con il significato consueto, solo nella prosa della Vita Nuova: XIX 20 lo saluto di questa donna... fue fine de li miei desiderii mentre ch'io lo potei ricevere; XVIII 4, XXVI 1.