SALVADORI PALEOTTI, Gioconda Beatrice (Joyce Lussu)
– Nacque a Firenze l’8 maggio 1912, terzogenita del conte Guglielmo e di Giacinta Galletti de Cadilhac.
Il padre fu un teorico positivista, allievo di Herbert Spencer, di cui tradusse le opere in italiano, la madre fu un’intellettuale che collaborò con vari giornali internazionali. La sua famiglia aveva per parte di madre origini inglesi: la bisnonna, la scrittrice Margaret Collier, si trasferì nella zona vicino Fermo all’inizio dell’Ottocento dopo aver sposato un futuro garibaldino; suo fratello, John Maler Collier, fu un famoso pittore preraffaellita.
Non fece studi regolari, formandosi soprattutto a casa con i genitori. Dalla famiglia apprese una lezione che unì socialismo e aristocrazia in una miscela illuminante: quando il nonno paterno aderì pienamente al fascismo, il padre di Joyce non accettò più gli aiuti familiari e si condannò a un lungo esilio dalle Marche. Riparò con la famiglia a Firenze, dove continuò la sua attività di traduttore e scrisse, assieme alla moglie, alcuni articoli contro il fascismo: per questo motivo nel 1924 subì un’aggressione squadrista in cui venne duramente picchiato: decise perciò di lasciare l’Italia.
Nell’esilio in Svizzera Joyce venne iscritta in una scuola-collegio ispirata dai movimenti nonviolenti come quello di Gandhi, un precocissimo esempio di didattica alternativa degli anni Venti, che ospitò celebrità come Bertrand Russell e Romain Rolland. Studiò poi all’Università di Heidelberg, dove seguì le lezioni del filosofo Karl Jaspers. Di fronte all’ascesa del nazismo, nel 1933, Joyce lasciò la Germania e seguì i corsi di lettere alla Sorbona di Parigi e in seguito quelli di filologia a Lisbona.
Ebbe un esordio poetico giovanile incoraggiato da Benedetto Croce (Liriche, Napoli 1939), che non la distolse dalle lotte politiche, anche se coltivò la passione dei versi tutta la vita, raggiungendo picchi di grande intensità, come la celebre poesia C’è un paio di scarpette rosse (in Inventario delle cose certe, Fermo 1989), dedicata ai bambini morti nei campi di sterminio nazisti, ancora oggi tra le più recitate durante la Giornata della memoria. Da subito scelse un’esistenza lontana dalla cultura accademica e ‘libresca’, che lei considerava morta, opposta alla cultura materiale, quella della vita. La forza della sua scrittura rimane la profondità di uno stile semplice, pur con intarsi che ne dimostrano l’ascendenza nella grande letteratura europea, ma sempre lontana da uno sterile psicologismo di matrice boghese.
Nel 1934 sposò Aldo Belluigi, un ricco marchigiano fascista, con cui andò in Kenya per raggiungere il di lei fratello, con cui avviarono un’impresa agricola, poi fallita. Dopo due anni Joyce e il marito si lasciarono, ma lei non parlò mai di questa parentesi amorosa nelle sue numerose narrazioni biografiche, tutte incentrate sulla costruzione di un ritratto di militante e antifascista d’eccezione. Fino al 1938 viaggiò in diverse zone dell’Africa, dove scoprì la passione per la natura e maturò l’avversione per il colonialismo.
Tornata in Europa si impegnò assieme al fratello nell’organizzazione antifascista Giustizia e Libertà. Bellissima e altera, conosceva bene diverse lingue e nelle missioni finse spesso di essere tedesca. Nel 1939 incontrò Emilio Lussu, di 22 anni più grande, con cui in seguito celebrò un matrimonio privato in casa di fuoriusciti italiani. Con ‘Mister Mill’ – alias Emilio –, eroe della prima guerra mondiale, celebre per la sua fuga da Lipari con Carlo Rosselli, Joyce incontrò l’amore della vita e il compagno di lotte con cui intraprendere rischiose imprese in clandestinità. Si specializzò nel produrre documenti falsi e organizzò la fuga in Svizzera del socialista antifascista Giuseppe Emanuele Modigliani e della moglie, motivo per il quale fu imprigionata per breve tempo.
Con l’occupazione di Parigi (1940) Joyce ed Emilio passarono i Pirenei a piedi, arrivando a Lisbona per aiutare la fuga di molti antifascisti bloccati nel Mediterraneo. Dopo rocambolesche avventure passarono un periodo a Londra, dove Emilio ebbe contatti con le forze alleate per organizzare la Resistenza italiana. Nel mentre Joyce frequentò una sorta di servizio militare britannico per prepararsi allo sbarco e alla guerriglia in Sardegna. Imparò l’uso delle armi e le tecniche di guerra, evidenziando di nuovo l’eccezionalità della sua condizione di femme forte.
Nel 1943 arrivò nella Roma invasa dai nazisti e, incapace di rimanere inattiva, decise di offrirsi volontaria al Comitato di liberazione nazionale per attraversare il fronte e raggiungere gli americani, al fine di concordare il lancio delle armi ai partigiani: l’impresa le valse la medaglia d’argento, che ritirò nel 1966. Attraversò a piedi l’Appennino durante gli scontri, e miracolosamente giunse fino a Giffoni, dove riuscì nella sua missione: incontrò, dopo sei anni di lontananza, suo fratello Max, all’epoca al servizio dell’esercito britannico, e insieme lanciarono il primo messaggio ai compagni partigiani nell’Italia occupata dai nazisti. Nel 1944 partorì in solitudine il figlio Giovanni – Emilio era ancora impegnato in azioni politiche – in una Roma finalmente liberata. Raccontò la sua esperienza partigiana e di impegno nelle lotte di resistenza in numerosi scritti autobiografici (Fronti e frontiere, Milano-Bergamo 1945; Portrait, cose viste e vissute, Ancona-Bologna 1988; Lotte, ricordi e altro, Roma 1992).
All’indomani della guerra, dopo aver seguito i lavori della Costituente, Emilio fu impegnato in incarichi di governo e Joyce scoprì di esser diventata una figura di sfondo. Era ormai solo ‘la moglie del Ministro’, così decise di soggiornare con il figlio Giovanni nella casa di Emilio in Sardegna, in un piccolo e poverissimo paese.
L’avita casa di Amurgia era immersa in un’isola arcaica, ma ricca di fascino. Qui Joyce si dedicò alla condizione delle donne e, vagando di casa in casa muovendosi a cavallo, organizzò un loro coordinamento, collaborando alla fondazione dell’Unione donne italiane (UDI) sarda e nazionale, da cui però uscì nel 1953. Animò nel 1951 un grande convegno che riunì migliaia di donne accorse da tutti i paesi della Sardegna; infine studiò il tema del sapere femminile e delle antiche sibille in quel territorio matriarcale per eccellenza, terra cui dedicò racconti in svariate raccolte (L’olivastro e l’innesto, Cagliari 1981; Il libro delle streghe, Ancona-Bologna 1990).
Dopo aver militato per qualche tempo nel Partito socialista italiano, nel 1948 fece parte della direzione nazionale, ma preferì continuare le sue lotte fuori dagli apparati, dai gruppi e dai partiti. Ricominciò a viaggiare, divenendo attiva nel movimento pacifista internazionale e in quello contro la guerra fredda.
A Stoccolma conobbe Nazim Hikmet, celebre poeta turco incarcerato dal regime per le sue idee comuniste, che le chiese di tradurre i suoi testi in italiano: fu l’inizio di una grande sintonia poetica e umana (Il turco in Italia: ovvero l’italiana in Turchia, Venezia 1991; Vita del poeta Nazim Hikmet, Ancona 2008).
Pur non conoscendo il turco, Joyce collaborò con Hikmet alla stesura dei testi comunicando in una lingua comune, cosa che fece storcere il naso agli specialisti: espresse tale teoria nel principio che fosse sufficiente che il poeta e il suo traduttore avessero in comune lo stesso posizionamento nei confronti della vita (Tradurre poesia, Milano 1967). In quest’ottica il poeta era considerato il motore della storia, per tale motivo Joyce si avvicinò a quei cantori civili che si battevano per la loro terra, fedele all’idea hikmetiana di una ‘poesia utile’, di una ‘poesia reale’.
Le traduzioni di Hikmet ebbero enorme successo in Italia, dove finalmente Joyce trovò una sua consacrazione che la rese nota anche al grande pubblico (In quest’anno 1941, Milano 1961; La conga con Fidel, Milano 1961; Poesie d’amore, Milano 1963; Paesaggi umani, Milano 1965). Alcuni anni dopo Joyce organizzò la fuga della moglie di Hikmet, confinata in Turchia con il figlio avuto dal poeta.
Joyce iniziò così dal 1958 un percorso contro l’eurocentrismo: portò in Italia le ragioni dei popoli vessati dal colonialismo, traducendo la voce dei poeti rivoluzionari e di quelle minoranze della cui storia orale si stava perdendo traccia (A. Neto, Con occhi asciutti, Milano 1963; Canti esquimesi, Milano 1963; A. O’Neill, Portogallo, mio rimorso, Torino 1966; J. Craveirinha, Cantico a un dio di catrame, Milano 1966 e Voglio essere tamburo, a cura di A. Fresu - J. Lussu, disegni di B. Lopes, Venezia 1991; Ho Chi Minh, Diario dal carcere, Roma 1967; L’idea degli antenati. Poesia del Black Power, Milano 1968; Tre poeti dell’Albania di oggi, Migjeni, Siliqi, Kadare, Milano 1969; La poesia degli albanesi, Torino 1977).
La poesia, dall’apparenza innocua, risultava essere invece l’arma più forte e Joyce la usò anche per azioni politiche: con l’argomento delle traduzioni riuscì ad avere permessi per vedere i carcerati e di alcuni di loro tentò di organizzare evasioni. Marciò insieme ai guerriglieri portando aiuti a molte lotte di liberazione, seguì su strade di fango nel cuore dell’Africa i militanti, tra cui il poeta e futuro presidente dell’Angola Agostinho Neto (Storia dell’Angola, a cura di J. Lussu, Milano 1968). Appoggiò inoltre la causa del popolo curdo e mantenne stretti contatti anche con l’Albania.
A questo filone terzomondista fa da pendant l’interesse per la condizione femminile, secondo un ragionamento di similarità tra l’oppressione dei popoli colonizzati e quello delle donne, però non risparmiò critiche al movimento femminista degli anni Sessanta e Settanta – nonostante alcune consonanze di intenti –, convinta che fosse troppo incentrato sulle questioni private e del corpo, ma poco interessato agli scenari dei conflitti globali.
Ricercò nel cuore delle Marche le origini di una storia di genere arcaica, culla di pacifiche comunità che erano solo alcune delle moltissime che si erano sviluppate nel Mediterraneo e nella zona danubiana (Le comunanze picene. Appunti e immagini tra storia e attualità, Fermo 1989). Individuò poi questa radice femminile anche nella selvaggia Barbagia e in tutte le altre regioni da lei visitate, a cominciare dalla grande madre africana, suo antico amore. Tra le prime studiose italiane a interrogarsi sull’urgenza di una storia delle donne, Joyce individuò nel patriarcato il tratto comune che le aveva relegate all’interno delle mura di casa e fuori dalla struttura del potere (Padre, padrone, padreterno. Breve storia di schiave e matrone, villane e castellane, streghe e mercantesse, proletarie e padrone, Milano 1976). Bisognava basare dunque la ricerca non solo su fonti archivistiche – spesso manipolate e scritte esclusivamente dagli uomini –, ma anche su fonti materiali nonché sul lavoro dell’archeomitologia e del folklore, che raccolgono un tessuto di leggende immaginarie ma basate su eventi reali, poi divenuti simbolici per la comunità.
La prima spinta verso gli studi di genere le venne dalle sue ave moderniste, con lo scavo storico-narrativo del partire da sé attraverso il racconto della sua famiglia multiculturale (Le inglesi in Italia, 1970). Un’attenzione, questa, che configura successive direttrici di lavoro: da un lato, l’idea di riannodare una linea matrilineare con le emancipate ave inglesi e legarla a quella delle streghe e delle madri sibilline marchigiane, sarde e mediterranee (Il libro perogno, Ancona 1982; La Sibilla, Venezia 1987; Streghe a fuoco, Ancona 1992; L’uovo di Sarnano, Fermo 1992); dall’altro, la volontà di riunire la storia di un casato d’eccezione, di cui Joyce sentiva anche l’onere del nome. Successivamente, la sua scelta di portare il cognome del marito derivò da un’adesione alla lotta rurale dei contadini, di cui Emilio Lussu era da sempre stato portavoce.
Gli studi di genealogia familiare rappresentano indubbiamente la premessa agli studi locali e poi a quelli globali; per tale motivo Joyce lavorò alla creazione di una didattica della storia alternativa, non specialistica: mischiando ricordi personali, citazioni colte, raffronti archivistici e interviste agli anziani, modellò la formula di una ‘letteratura storica’ innovativa e antica insieme, che voleva «docere delectando» (Storia del Fermano, I, Roma 1979; II, Padova 1971; III, Fermo 1982).
Seguì inoltre con interesse le battaglie degli studenti del ’68. Nel 1975 la morte dell’amato compagno Emilio segnò una cesura nella sua esistenza, dopo trent’anni di vita in comune. Joyce scelse di lasciare Roma e di tornare nella casa dei suoi avi, nel paesino di San Tommaso nelle Marche. Non fu un ritiro a vita ‘privata’ ma l’inizio di una nuova fase; infatti cominciò subito un lavoro di scavo sul territorio, partecipando e coordinando gruppi di studi di storia locale, interessandosi alle questioni agrarie e alle leggende popolari, soprattutto collaborando con le scuole e le insegnanti. La casa, vicina ai sacri monti Sibillini, divenne un punto d’incontro per persone che venivano da ogni dove per parlare con lei e intrecciare innesti di lavoro e di conoscenza.
Qui Joyce aveva l’idea di creare una ‘casa della pace’ e vi ospitò anche molti giovani, che venivano a chiedere consigli e incoraggiamenti. Dotata di un carattere forte e fiero, era spesso benevola, ma altre volte stroncava senza mezzi termini chi chiedeva pareri letterari, poiché era fedele all’idea di una ‘letteratura utile’, scevra da sterili esercitazioni di bello stile. Strinse amicizia con editori del luogo, aiutandoli a costruire imprese etiche, concedendo loro di rieditare molte sue opere, tagliando, accorciando e riproponendo i suoi scritti anche mescolati, sempre con l’idea di non ‘museificare’ ma di far circolare il suo pensiero. Anche in vecchiaia non perse la sua grande grinta e si scagliò ancora contro il verticismo dello Stato e delle istituzioni, partecipando fino alla fine della sua vita a convegni, incontri e manifestazioni.
Scivolando verso la cecità, morì a Roma il 4 novembre 1998.
Saggista, storica, studiosa di genere, narratrice, poetessa, traduttrice, partigiana, rivoluzionaria, ecologista, attivista politica e tanto altro: in anticipo sui tempi, il pensiero poliedrico di Joyce è per molti versi estremamente attuale. Il suo interesse per la medicina naturale; per l’ecologia e la difesa dell’acqua (L’acqua del 2000, Milano 1977); per l’abolizione delle frontiere e degli armamenti (L’uomo che voleva nascere donna. Diario femminista a proposito della guerra, Milano 1978); per una cultura laica (Un’eretica del nostro tempo. Interventi di Joyce Lussu ai Meeting anticlericali di Fano (1991-1995), a cura di L. Balsamini, Camerano 2012); per la riscoperta di una centralità del sapere femminile; sulla scomparsa della cultura orale; sulla perdita della memoria e la riscrittura di essa da parte dei potenti; per la poesia e la cultura di altri popoli in lotta; per l’abolizione delle frontiere: tutti questi temi appaiono oggi di una tragica preveggenza.
Nonostante gli studi accademici abbiano dimenticato la sua figura irriducibile nei canoni, dopo la morte un rinnovato interesse, anche da parte di giovani studiose, ha riportato l’attenzione su un’intellettuale fondamentale per il Novecento. Convegni, tesi di laurea e ripubblicazioni delle sue opere fuori catalogo sono in corso; alla sua vita sono stati dedicati alcuni spettacoli teatrali e documentari e a ciò si aggiunge l’intitolazione di alcuni centri studi, premi, musei, strade e biblioteche.
Opere. Oltre a quelle citate, Una donna che ha passato le linee, in Il secondo Risorgimento d’Italia, s.l. 1955; Donne come te: inchieste di Luciano Della Mea, a cura di J. Lussu, Milano-Roma 1957; Che cos’è un marito visto dalla donna, Milano 1978; La laicità delle donne della Resistenza, in L. Franceschi et al., L’altra metà della Resistenza, Milano 1978, pp. 108-117; Introduzione, in M. Collier, La nostra casa sull’Adriatico: diario di una scrittrice inglese in Italia, 1873-1885, Ancona 1981, pp. 17-24; Storie, Ancona-Bologna 1982; Sherlock Holmes, anarchici e siluri, Ancona 1982; G. Salvadori, Lettere fermane, a cura di J. Lussu, Ancona 1989; J. Lussu - G. Mangani - P. Giovannini, L’idea delle Marche. Come nasce il carattere di una regione nella società dell’Italia moderna, Ancona 1989; Understatement, Venezia 1989; J. Lussu - E. Lussu, Alba rossa (comprende Fronti e frontiere e Cos’è un marito di J. Lussu; Diplomazia clandestina di E. Lussu), Ancona 1991; Itria e le lontre, Fermo 1993; Lo smerillone, Fermo 1993; Sguardi sul domani, a cura di M.T. Sega, Fermo 1996; J. Lussu - L. Trapè, Sulla civetteria, Roma 1998; Opere scelte, Ancona 2008.
Fonti e Bibl.: S. Ballestra, J. L. una vita contro: diciannove conversazioni incise su nastro, Milano 1996; Ricordando J. L. Foto di Emanuela Sforza, Ancona 1999; La vita è infinita. Ricordo a più voci di J. L., a cura di A. Livi, Fermo 2000; Quaderni del Circolo Rosselli, 2002, n. 78, monografico: J. L. Il più rigoroso amore, a cura di F. Consigli; M. Russo, Agostinho Neto e J. L.: questioni di lingua e traduzione, in Rivista di studi portoghesi e brasiliani, V (2003), pp. 57-67; J. L. Una donna nella storia, a cura di M. L. Plaisant, Cagliari 2003; G. D’Angelo, Cantastorie della rivoluzione. Nazim Hikmet, J. L., Velso Mucci, Chieti 2008; A. Donno - C. Gerardi, J. L. L’utopia ragionevole e costruttiva, Tuglie 2008; A. Langiu - G. Traini, J. L. Biografia e bibliografie ragionate, in Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche, 2008, n. 90; Architetture interiori. Immagini domestiche nella letteratura femminile del Novecento italiano (Sibilla Aleramo, Natalia Ginzburg, Dolores Prato, J. L.), a cura di C. Cretella - S. Lorenzetti, Firenze 2008; Capelli al vento. Omaggio a J. L., voce recitante di R. Martellini, musica originale A. Mei, contiene cd audio e 12 cartoncini con testi di J. Lussu, s.l. 2008; J. L. Sibilla del Novecento, a cura di V. Ravagli, Sasso Marconi 2008; F. Trenti, Il Novecento di Joyce Salvadori Lussu. Vita e opera di una donna antifascista, Sasso Marconi 2009; C. Giacobbe, Joyce Salvadori Lussu, in Percorsi di genere femminile, a cura di M.P. Ercolini, Roma 2013, pp. 46-48; L’alba di Joyce, a cura di A. Rojch, Nuoro 2013; Mariangela Maccioni, Marianna Bussolai, Elisa Nivola, J. L., Cagliari 2014; S. Lorenzetti, L’icona della strega nella narrativa di J. L., in Locas. Escritoras y personajes femeninos cuestionando las normas, a cura di M. Martín Clavijo - M. González de Sande - D. Cerrato - E.M. Moreno Lago, Sevilla 2015, pp. 966-974; A. Luzi, J. L. e la Prima guerra mondiale. Per una rilettura del romanzo Sherlock Holmes. Anarchici e siluri, in Marca/Marche: rivista di storia regionale, 2015, n. 5, pp. 167-174; Joyce. Vita di Joyce Salvadori Lussu, spettacolo teatrale di e con R. Dassu, regia A. Lay, Italia 2015; La mia casa e i miei coinquilini. Il lungo viaggio di J. L., documentario, regia di M. Piccinini, Italia 2016.