CANNELLA, Salvatore
Nato a Palermo intorno alla metà del XVIII secolo, fu indirizzato agli studi e al sacerdozio: ricevette gli ordini sacri prima del 1784 giacché il Villabianca lo ricorda con la qualifica di sacerdote nell'attribuirgli la paternità dell'anonima relazione di un esperimento di aerostatica effettuato a Palermo il 14 marzo 1784 (Ragguaglio dei palloni aerostatici lavorati con felice successo da D. Ercole Michele Branciforti e Pignatelli principe di Pietraperzia, Palermo 1784; una copia dell'opuscolo fu inserita da F. M. Emanuele e Gaetani marchese di Villabianca nel proprio Diario palermitano, pubblicato poi da G. Di Marzo, Diari della città di Palermo, XIX, Palermo 1886, pp. 213-233).
Assiduo frequentatore dei circoli letterari palermitani, ebbe modo di accostarsi agli ambienti dell'aristocrazia e di accattivarsene la simpatia schierandosi coi difensori dei privilegi della nobiltà feudale contro i tentativi riformistici del governo borbonico. Ad una Memoria sulle strade pubbliche della Sicilia, stampata a Napoli nel 1784 dal messinese Carmelo Guerra che additava nel sistema feudale il maggiore ostacolo allo sviluppo del commercio siciliano, il C. oppose il proprio Saggio critico sopra una memoria sulle strade pubbliche della Sicilia (Palermo, Biblioteca comunale, Qq H 120, n. 12; pubblicato da V. Titone in Economia e politica nella Sicilia del Sette e Ottocento, Palermo 1947, pp. 172-192), recitato in un circolo letterario palermitano che il marchese di Carcaci ospitava nella propria casa.
Da alcuni accenni in difesa delle giurisdizioni feudali in esso contenuti, sembra potersi evincere che il Saggio del C. fu scritto fra il 1784 e il 1786, anni in cui il viceré D. Caracciolo iniziò e condusse a termine la loro abolizione, mentre negli ambienti politici palermitani fervevano le discussioni al riguardo; e certo esso si inserisce perfettamente nel tentativo, effettuato in quegli anni dall'aristocrazia siciliana, di concretare una piattaforma più aggiornata di lotta contro il riformismo, illustrando la propria funzione sociale ed economica davanti alle critiche delle correnti riformatrici. Nello scritto del C., infatti, la difesa dei privilegi baronali non viene fondata sulle particolari ragioni giuridiche locali care alla tradizionale pubblicistica siciliana, ma su più generali e certo più moderne considerazioni politiche: sulle teorie di Bacone e di Montesquieu, secondo le quali l'aristocrazia è necessaria come corpo intermedio fra i sudditi e il principe, palladio di libertà nei confronti dell'assolutismo monarchico e nel contempo difesa dell'ordine contro i sommovimenti delle classi popolari.
Le simpatie degli ambienti aristocratici siciliani, che il C. era riuscito ad accattivarsi facendosi difensore delle tesi baronali, si palesarono soprattutto nel corso delle vicende seguite alla pubblicazione di un suo discorso contro il celibato ecclesiastico, che lo pose in tenace contrasto con l'arcivescovo di Palermo costringendolo alla fuga dalla Sicilia. Sulla base di una erronea indicazione fornita da A. Narbone (in Bibliografia sicola sistematica, III, Palermo 1854 p. 314), è stata generalmente attribuita al C. la paternità dell'opera Della necessità ed utilità del matrimonio degli ecclesiastici, pubblicata anonima senza indicazione del luogo di stampa nel 1770 e messa all'Indice nel 1771, che è solo una traduzione mutila, stampata probabilmente in Toscana, del libro intitolato Avantages du mariage et combien il est nécessaire et salutaire aux prêtres et aux évêques de ce temps-ci d'épouser une fille chrétienne, pubblicato anonimo (Bruxelles 1760), ma concordemente attribuito alla penna del canonico Desforges (cfr. F. A. Zaccaria, Storia polemica del celibato sacro, Roma 1774, pp. XXVIII-XXXII; [G. Melzi], Dizionario di opere anonime e pseudonime, II, Milano 1852, p. 225). Appartiene invece al C. un breve discorso sul celibato ecclesiastico diffuso a Palermo manoscritto e anonimo nel 1787: pur essendo stato subito condannato dall'autorità ecclesiastica locale - che tuttavia non fu in grado in un primo momento di infliggere sanzione alcuna al C., il quale negò la paternità dell'opera - il breve scritto, tradotto in francese da un sieur de Saint-Lambert e posto sotto la protezione del siciliano marchese della Cerda da una lettera dedicatoria del traduttore, fu nondimeno dato alle stampe non più anonimo nel 1789 (Discours prononcé par Monsieur l'Abbé C. à l'Academie de Palerme sur les maux que le célibat cause à la société et aux sciences, Paris s.d.).
Alieno da ogni considerazione di carattere teologico e giuridico, il Discours appare essenzialmente fondato su una visione naturalistica di stampo illuministico, sul richiamo ai diritti della natura umana, pur ponendosi ancora nel solco della tradizione giurisdizionalistica con l'invito ad abrogare la legge ecclesiastica del celibato rivolto al sovrano; pertanto, malgrado il diverso avviso di qualche studioso (G. Cigno, Giovanni Andrea Serrao e il giansenismo nell'Italia meridionale, Palermo 1938, pp. 332 s.), nessun influsso giansenistico sembra potersi cogliere in pagine così lontane dalla spiritualità rigoristica propria agli scrittori giansenisti.La pubblicazione dell'opuscolo fu seguita da una nuova condanna dell'arcivescovo di Palermo, mons. Francesco Sanseverino, che emanò all'uopo una circolare a stampa; il C., costretto ad allontanarsi da Palermo e recatosi frattanto a Napoli, nella primavera del 1790 passò a Roma, donde la notte del 3 maggio, riuscendo con l'aiuto di due nobili siciliani in compagnia dei quali viaggiava, Giuseppe Santo Stefano marchese della Cerda e Luigi Ventimiglia marchese di Geraci, a sottrarsi all'arresto ordinato dalla Curia romana, fuggì a Venezia; tuttavia anche Venezia - dove il suo scritto fu sequestrato dagli inquisitori di Stato su richiesta della nunziatura apostolica - si rivelò presto un soggiorno poco sicuro e il C. fu ancora costretto alla fuga, diretto stavolta in Francia, dove trovò finalmente tranquillo asilo a Parigi.
Non ci è noto per quanto tempo egli abbia soggiornato in Francia né quando abbia potuto fare ritorno in Italia, dove fissò la propria dimora a Napoli riuscendogli ancora impossibile rientrare a Palermo a causa dell'incombente condanna ecclesiastica. È certo però che agli anni dell'esilio dalla Sicilia risalgono altri due scritti del C., pubblicati nel 1794 e composti a Napoli o forse addirittura in Francia, come lascia supporre l'accenno alla grande distanza che lo separava dall'isola al momento della stesura di uno di essi (cfr. Lettre de Monsieur l'Abbé C. à Monsieur le Baron N. N. sur la littèrature de Palerme,c'est à dire les portraits des savans palermitains de nos jours, Naples 1794, pp. 7 s., II s.). Il più importante dei due scritti (Elogio dimylord Bolingbroke quale potrà servire come di preliminare ai di lui saggi filosofici composto dall'abate S.C.S., Cosmopoli 1794), pur riprendendo il tema dell'apologetica baronale argomento del Saggio in risposta al Guerra, guarda ora direttamente all'esempio dell'Inghilterra elogiandone la costituzione e le libertà politiche in conformità con l'indirizzo che l'aristocrazia più avveduta veniva assumendo in Sicilia dopo il fallimento dell'offensiva riformistica del governo borbonico e che più tardi avrebbe condotto all'esperienza costituzionale del 1812; l'idea di tolleranza religiosa che vi appare apertamente asseverata, la ferma convinzione che la diversità di credenze religiose è compatibile con la posizione di cittadino rispettoso delle leggi dello Stato, maturate certo anche attraverso le vicende personali della persecuzione e dell'esilio, indicano chiaramente come l'illuminismo del C. si sia venuto arricchendo di esperienze europee intensamente vissute. L'altro scritto, la Lettre... sur la littérature de Palerme, in una serie di brevi profili, in genere di tono laudativo, ritrae i maggiori esponenti della cultura siciliana del tempo ricordandone le opere più significative.
Nell'introduzione, il C. presenta la Lettre come frutto dello sdegno suscitato in lui, lontano dalla patria, dall'avere udito qualificare la Sicilia un paese barbaro, che la natura ha separato dal resto d'Italia per lasciarlo nell'ignoranza; mentre la caustica penna di Domenico Scinà (Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo decimottavo, III, Palermo 1827, pp. 158 ss.) viravvisò il tentativo di accattivarsi le simpatie dei letterati palermitani al fine di garantirsene l'appoggio per la conquista di una cattedra in previsione della possibilità di fare ritorno a Palermo.
La morte dell'arcivescovo Sanseverino, deceduto il 31 marzo 1793, lasciava infatti sperare che, il giorno del rientro in Sicilia non fosse lontano; nondimeno, poiché anche il nuovo arcivescovo di Palermo, mons. Filippo Lopez y Royo, si mostrò assolutamente intransigente nei confronti dell'esule, malgrado i buoni uffici prestati dalla marchesa della Cerda, madre del giovane patrizio che nel 1790 era riuscito a strappare il C. dalle mani dei gendarmi pontifici, la possibilità di tornare a Palermo si concretò solo dopo il 24 luglio 1798, data della morte del successore del Sanseverino, durante un periodo di vacanza della sede arcivescovile.
Neppure con la fine dell'esilio cessarono per il C. gli incidenti con la giustizia e l'ostilità dell'ambiente intellettuale palermitano. Il 10 marzo 1799, mentre passeggiava per le vie della capitale, fu arrestato perché colto in flagrante trasgressione del recentissimo bando del 6 marzo precedente, col quale Ferdinando III aveva proibito di adottare innovazioni nella foggia di vestire e di portare la capigliatura: il gusto per l'abbigliamento alla francese gli costò un periodo di relegazione e di penitenza in un convento, dove fu rinchiuso in quanto appartenente allo stato clericale. Il nuovo incidente, che si aggiungeva ai vecchi ma tutt'altro che dimenticati episodi della pubblicazione del Discours, della condanna vescovile e della romanzesca fuga attraverso l'Italia e la Francia, dava conferma alla fama di corruttore dei costumi e di spirito volteriano che accompagnava da tempo il C.; le critiche nei confronti di un uomo reputato superficiale, frivolo e avventato divennero sempre più feroci e inesorabili negli ambienti intellettuali palermitani, nei quali fra l'altro veniva tramontando - come sottolinea lo Scinà - il gusto per la "galante letteratura", per la letteratura di tipo illuministico reputata brillante e vistosa, ma superficiale e scettica. Gli sforzi effettuati dagli amici del C. per procurargli una cattedra poterono perciò essere coronati da successo soltanto nel 1808, allorché riuscirono a ottenergli nell'università di Palermo l'insegnamento di eloquenza, poesia e letteratura italiana e latina, ch'egli tenne solo per breve tempo, fino al 1810, probabilmente l'anno della sua morte.
Fonti e Bibl.: Palermo, Biblioteca comunale, Qq E 149:G. D'Angelo, Giornale della città di Palermo, pp. 328 s.; Ibid., Qq H 135, n. XXVIII: S. Di Chiara, Risposte a molti quesiti che risguardano lo stato attuale della religione in Sicilia, f. 4v;F. A. Zaccaria, Storia polemica del celibato sacro da contrapporsi ad alcune detestabili opere uscite a questi tempi, Roma 1774, pp. XXVIII-XXXII;E. Leone, Esame critico sul discorso dell'abbate C. contro il celibato, Napoli 1790;D. Scinà, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo decimottavo, III, Palermo 1827, pp. 158-161;[G. Melzi], Dizionario di opere anonime e pseudonime, Milano 1848-1859, I, p. 352; II, p. 225;A. Narbone, Bibliografia sicola sistematica, Palermo 1850-1855, I, pp. 430, 483; 111, p. 314; IV, pp. 240, 359;G. M. Mira, Bibliografia siciliana, I, Palermo 1875, pp. 166 s.; H. Reusch, Der Index der verbotenen Bücher, II, 2, Bonn 1885, p. 1007;F. M. Emanuele e Gaetani marchese di Villabianca, Diario palermitano, in G. Di Marzo, Diari della città di Palermo, Palermo 1886, XIX, p. 213;F. Scaduto, Stato e Chiesa nelle Due Sicilie dai Normanni ai giorni nostri, Palermo 1887, pp. 71, 107 s., 110;I. Rinieri, Della rovina di una monarchia, Torino 1901, p. 324; Monografie delle Università e degli Istituti superiori, a cura del ministero della Pubblica Istruzione, Roma 1911, I, p. 232;M. Rigatti, Un illuminista trentino del sec. XVIII. Carlo Antonio Pilati, Firenze 1923, p. 122;G. Natali, II Settecento, Milano 1936, p. 323;G. Cigno, Giovanni Andrea Serrao e il giansenismo nell'Italia meridionale, Palermo 1938, pp. 332 s.; G. Pitrè, Del Sant'Uffizio a Palermo e di un carcere di esso, Roma 1940, p. 92;Id., La vita in Palermo cento e più anni fa, I, Firenze 1944, pp. 34, 61, 278, 299 s., 327, 356 s.; II, ibid. 1950, pp. 397-399, 405ss.; S. F. Romano, Riformatori siciliani del Settecento (1770-1774), in Società, III (1947), pp. 340 s.; V. Titone, Economia e politica nella Sicilia del Sette e Ottocento, Palermo 1947, pp. 168-171;R. Romeo, Il Risorgimento in Sicilia, Bari 1950, p. 92;S. F. Romano, Momenti del Risorgimento in Sicilia, Messina-Firenze 1952, pp. 26 s.; M. Condorelli, Note su Stato e Chiesa nel pensiero degli scrittori giansenisti siciliani del secolo XVIII, in Il diritto ecclesiastico, LXVIII (1957), I, pp. 378 s.; R. De Felice, Italia giacobina, Napoli 1965, p. 270;G. Giarrizzo, Appunti per la storia culturale della Sicilia settecentesca, in Riv. stor. ital., LXXIX (1967), pp. 603 s., 623;A. C. Jemolo, Stato e Chiesa negli scrittori politici italiani del '600 e del '700, a cura di F. Margiotta Broglio, Napoli 1972, pp. 256, 406.