Peckinpah, Sam (propr. David Samuel)
Regista e sceneggiatore cinematografico statunitense, nato a Fresno (California) il 21 febbraio 1925 e morto a Los Angeles il 28 dicembre 1984. Diresse alcuni dei capolavori della New Hollywood, divenendo il simbolo della sua tendenza più aggressiva e anticonformista, in aspro conflitto con la logica delle majors. A lungo contestato e molto spesso boicottato dalla maggioranza della critica, fu invece prediletto dalla più avvertita cinefilia europea. In tempi recenti la sua opera è stata universalmente ritenuta cruciale per l'evoluzione del cinema americano e, più in generale, per la ristrutturazione dell'immaginario collettivo postmoderno: di incalzante e avvincente figuratività, è al contempo iperrealistica e barocca, 'politicamente scorretta' eppure in sintonia con gli ideali libertari della generazione 'sessantottina', capace di elaborare una visione in cui il lato oscuro della Frontiera e del mito americano diviene epico affresco, poema nostalgico, brutale ritratto del disfacimento fisico e morale dei suoi tormentati eroi.
Figlio di un giudice di ascendenza olandese, P. stesso alimentò le voci sulle sue origini pellerossa. Nel 1943 si arruolò nel corpo dei Marines, e dopo la fine della Seconda guerra mondiale fu inviato in Cina. Tornato in patria, studiò arte drammatica al Fresno State College (1947-1949) e alla University of Southern California (1949-50). Lavorò quindi come produttore, regista e attore allo Huntington Park Civic Theatre di Los Angeles, e nel 1951 passò alla televisione, dove, dopo mansioni marginali di vario tipo, dal 1955 fu sceneggiatore, dal 1958 regista e dal 1959 produttore, guadagnandosi la fama di autore innovativo e spregiudicato di western.Al cinema si avvicinò progressivamente nel 1954-55 collaborando con un regista affermato come Don Siegel. Nel 1961 diresse The deadly companions (La morte cavalca a Rio Bravo), storia di cowboys accomunati dai patimenti fisici e spirituali di un viaggio nel territorio Apache; il film solo a tratti fa emergere temi personali, come il conflitto latente fra l'istinto di sopravvivenza e quello di morte, o la ferocia dei duelli, spogliati di qualsiasi aureola consolatoria. Più significativo fu il lavoro compiuto per Ride the high country (1962; Sfida nell'Alta Sierra), western sui generis affidato alle consunte e tuttavia toccanti maschere di Randolph Scott e Joel McCrea, nel ruolo di attempati ex sceriffi che decidono d'imbarcarsi in un'ultima e pericolosa impresa. Il film, che fece scoprire P. ai critici europei, non è solo un esempio di raffinata e vivida ricostruzione dei maestosi e selvaggi scenari del Far West, ma anche uno struggente omaggio allo stoicismo della vecchiaia, al tramonto degli 'invincibili' pistoleri, a un'America originaria inflessibile, fatalista e asciuttamente nostalgica. Major Dundee (1965; Sierra Charriba), cronaca della caccia a un capo Apache condotta da un maggiore nordista per deliranti ossessioni personali, fu stravolto al montaggio dai produttori, e P. fu costretto a rientrare per alcuni anni nei ranghi. Con The wild bunch (1969; Il mucchio selvaggio) la forza e l'originalità del suo stile si imposero definitivamente (fu per la sua sceneggiatura che P. ricevette nel 1970 l'unica nomination all'Oscar). Metafora della 'guerra di tutti contro tutti' e riflesso di uno strenuo individualismo anarchico, il film incrocia l'implacabile inseguimento di una banda di fuorilegge e la rivoluzione messicana, e termina con un terribile massacro. I temi dell'amicizia prigioniera del passato, del disincanto dei sopravvissuti e del perpetuo e barbaro deflagrare della violenza ‒ con l'impatto delle pallottole che squassa i corpi al rallentatore ‒ si radicano in un plastico senso figurativo e in un convulso romanticismo che riecheggiano la suggestione letteraria della scuola realistica americana (H. Garland, F. Norris, Th. Dreiser e soprattutto J. London). The ballad of Cable Hogue (1970; La ballata di Cable Hogue) ha invece un andamento da commedia picaresca, tra il lirico e l'epicureo. Ambientato al tramonto dell'epopea del West, è la saga di un cercatore d'oro (Jason Robards) che s'arricchisce grazie a una vena d'acqua ma viene travolto dalla prepotenza del moderno capitalismo. Il film corregge con sorprendente grazia il dualismo classico del western fra 'deserto', e 'giardino': è lo stato selvaggio a favorire in questo caso sviluppo e crescita, mentre la società tenta di reprimere ogni iniziativa spontanea. L'iniziale desiderio di vendetta non lascia scorie polemiche, grazie anche alle consolazioni di un traboccante erotismo, e humour e tragedia si fondono nel ritmo sincopato delle espressioni, delle battute e dei gesti. Nonostante l'insuccesso commerciale, P. ottenne cospicui finanziamenti e l'ingaggio della star Dustin Hoffman per il successivo Straw dogs (1971; Cane di paglia). è la storia di un pacifico scienziato americano che, trasferitosi nella campagna inglese, sopporta il disprezzo dei locali e subisce lo stupro della moglie senza reazioni apparenti, prima di trasformarsi in angelo vendicatore; il film amplifica il tema più caro a P., quello della violenza come sintesi di tutte le relazioni umane. Con Junior Bonner (1972; L'ultimo buscadero) e The getaway (1972; Getaway!), basati sul protagonismo di un divo emblematico del suo cinema come Steve McQueen, P. non ebbe difficoltà a far cadere la sbrigativa qualifica di reazionario: la ballata dolceamara di un campione di rodeo sul viale del tramonto e la spericolata corsa verso la libertà di uno spietato rapinatore accentuano il retrogusto malinconico e disperato delle esplosioni di violenza tipiche del suo frenetico virtuosismo. Ancora più intenso e originale risultò Pat Garrett and Billy the Kid (1973; Pat Garrett e Billy the Kid), rilettura personalissima di due personaggi mitici del West, in cui il pessimismo nichilistico di P. viene stemperato dal ritmo ipnotico e dall'abbagliante splendore formale: accanto ai duellanti senza odio (impersonati da James Coburn e Kris Kristofferson), quasi padre e figlio, protagonisti di un sacrificio simbolico implicito negli eterni ritorni della Storia, spicca l'estroso menestrello interpretato da Bob Dylan, anche autore della colonna sonora. Fu un nuovo insuccesso, e P. entrò in una spirale autodistruttiva basata su tempestose storie d'amore, divorzi, alcol e droghe. Sembrò uscirne con rinnovato ardore dirigendo in Messico l'eccentrico e cupo Bring me the head of Alfredo Garcia (1974; Voglio la testa di Garcia), in cui il suo attore preferito, Warren Oates, incarna un miserabile pianista che sogna di diventare ricco portando a un latifondista la testa del bracciante che gli ha messo incinta la figlia. Sconcertante e a tratti squilibrato, il film ha i suoi punti di forza nei monologhi del protagonista, nella sardonica raffigurazione di un Messico brulicante di feticci necrofili e nel rabbioso finale, rivolto ormai senza più mediazioni contro lo spettatore stesso (come conferma il fermo-fotogramma della bocca di un fucile fumante su cui è sovraimpressa la scritta "directed by Sam Peckinpah"). Le stroncature della critica americana ribadirono la messa al bando di P., che, pur colpito da due successivi infarti, diresse gli insoliti e inquietanti thriller The killer elite (1975; Killer elite) e The Osterman weekend (1983; Osterman weekend), e il beffardo e rapsodico road movie sui camionisti ribelli Convoy (1978; Convoy ‒ Trincea d'asfalto). Il suo ultimo capolavoro fu però Cross of iron (1977; La croce di ferro): ambientato sul fronte russo durante la Seconda guerra mondiale, descrive le reazioni di due ufficiali tedeschi di fronte alla folle ambizione di un aristocratico prussiano, pronto a qualsiasi bassezza pur di fregiarsi dell'onorificenza indicata dal titolo. Stravolgendo i canoni del genere bellico, P. costruisce una partitura magistrale, soprattutto nelle sequenze d'azione, in cui porta alla perfezione il contrasto tra l'accelerazione del montaggio e il ralenti dei dettagli. La plasticità della composizione, l'espressività degli attori, il magma corrusco del campo di battaglia squarciato dai bagliori rossastri delle fiamme concorrono a esprimere il tentativo di tradurre le assurde antinomie della guerra (e della Storia) in amara consapevolezza: è altamente significativa la sequenza dell'ospedale, dove un incubo scompone in poche frazioni di fotogramma i corpi e i volti, i ricordi e le paure, l'amore per la vita e l'attrazione fatale per la morte.
V. Caprara, Sam Peckinpah, Firenze 1975, ed. aggiornata Milano 1997².
D. Weddle, If they move... kill 'em!: the life and times of Sam Peckinpah, New York 1994.
G. Camy, Sam Peckinpah, Paris 1997.
P. Seydor, Peckinpah: the Western films, a reconsideration, Urbana (IL) 1997.