SĀMARRĀ
Ā Città medievale della Mesopotamia, sulla riva sinistra del Tigri, a mezza via tra Baghdād e Takrīt. Ebbe una effimera esistenza di circa mezzo secolo, dalla fondazione nel 221 ègira/836 d. C., sotto il califfato del ‛abbāside al-Mu‛taṣim, a opera del suo generale turco Ashnās, sino al 276/889, quando il califfo al-Mu‛tamid ricondusse la residenza califfale a Baghdād. Gli ‛abbāsidi che hanno abitato e dato incremento a Sāmarrā sono dunque al-Mu‛taṣim, al-Wāthiq, al-Mutawakkil, al-Muntaṣir, al-Musta‛īn, al-Mu‛tazz, al-Muhtadī e al-Mu‛tamid.
Il motivo che spinse i califfi a creare ex novo questa residenza fuori Baghdād è generalmente indicato nel desiderio di sottrarsi ai continui minacciosi torbidi dell'elemento militare mercenario, composto soprattutto di Turchi e di Berberi, che spadroneggiava ormai nella capitale. Se tale veramente fu il loro scopo, non si può dire che lo abbiano raggiunto, perché anche nella nuova residenza dovettero trasportare le caserme dei loro pretoriani, di cui al-Mutawakkil stesso doveva cader vittima (247/861). Certo è che appunto sotto al-Mutawakkil, Sāmarrā (il cui nome, di probabile origine iranica, fu arabizzato ufficialmente nell'augurale forma Surra man ra'à "si allietò chi (la) vide") arrivò all'apogeo del suo splendore. Attorno agli otto conventi cristiani, preesistenti sul luogo al trasporto della residenza califfale, si moltiplicarono i palazzi del califfo e degli alti dignitarî dello stato (al-Mutawakkil ne avrebbe fatti costruire o ampliare ben 24, tra cui il celebre Balkuwārā), sorse la Grande Moschea, le cui rovine superstiti col minareto a spirale formano tuttora la parte più imponente dei resti di Sāmarrā (v. ‛abbāsidi, I, pag. 19), e interi quartieri, di carattere sempre però ufficiale e aulico, più che di agglomerazione popolare. Ucciso al-Mutawakkil, i suoi successori presero ad alternare il soggiorno tra Baghdād e Sāmarrā, sino ad abbandonare definitivamente quest 'ultima.
La decadenza di Sāmarrā fu ininterrotta, a partire dal sec. X, d. C., né valse a fermarla il fatto che la pietà musulmana sciita imāmita vi localizzò la tomba dell'undecimo imām Ḥasan al-‛Askarī, ivi morto nel 260/873, e quella sotterranea (sardāb) dove si credette che fosse scomparso il successore teorico di al-‛Askarī come legittimo imām, il fanciullo Muhammad ritenuto il Mahdī (v.). Benché per tale motivo fatta oggetto di pellegrinaggi, Sāmarrā non riacquistò più il suo antico splendore, e decadde alle proporzioni di piccolissima città (8000 abitanti), santa per gli Sciiti imāmiti o duodecimani, e raggruppata, lungi dall'antica moschea sunnita, intorno al santuario sciita dalla cupola coperta interamente da lamine d'oro.
Gli scavi eseguiti nel 1911-1913 da una missione tedesca diretta da E. Herzfeld hanno dato cospicui risultati per l'archeologia e la storia dell'arte, non soltanto islamica, ma anche ellenistica, sirocopta e sāsānidica, i cui influssi sono riscontrabili nei ritrovamenti architettonici, plastici e ceramici della città musulmana.
Solo una parte dell'immenso campo delle rovine poté essere messa in luce. Degli oggetti ritrovati, la parte più importante si trova a Berlino, un'altra a Istanbul, a Londra, a Parigi e a New York.
Fra gli edifici, la Grande Moschea di al-Mutawakkil, costruita dall'846 all'852 e capace di contenere più di 100.000 fedeli, doveva essere il più imponente del genere. Il tetto piano poggiava su pilastri ottagonali di muratura con colonne di marmo incastrate. Fuori del muro di cinta, rafforzato da torri rotonde, s'innalza, isolata, la "Malwiyyah", una torre di preghiera con rampa esterna, il cui prototipo si è voluto vedere nelle torri a scalinate babilonesi (zikkurat). Una moschea più piccola, Abū Dilif, aveva una simile torre e una pianta affine. Della residenza del califfo (al-Giausaq) rimane ancora in piedi un'alta costruzione con tre aperture sormontate da arco acuto, dominante le rovine; la pianta di quest'edificio, quale si è potuta ricostruire durante gli scavi ma che non è stata ancora pubblicata, concorda palesemente in molti tratti col castello Balkuwara, eretto nell'854-859 per il principe al-Mu‛tazz e meglio conosciuto nei suoi particolari costruttivi. Costruito secondo il modello dell'antica residenza dei Lakhmidi, al-Ḥīrah, esso copriva un quadrilatero che misurava 1 km. per lato. Il fabbricato centrale della costruzione, chiusa da mura turrite, è costituito di due ampie corti e di una terza corte d'onore un poco più piccola, cui seguono parecchie sale del trono a pianta cruciforme. A destra e a sinistra si trova una serie di case d'abitazione che assommano a parecchie dozzine, dette riwaq (maniche), ognuna con propria corte, e un giardino verso il Tigri, munito d'un bacino d'acqua e d'un porto per le barche. Il castello Qaṣr al-‛Āshiq, dominante la sponda occidentale del fiume, racchiudeva un palazzo più piccolo costruito nell'880 secondo uno schema sostanzialmente affine. Le case private, sempre ad un piano, erano spesso di ampie dimensioni e di diversa struttura. Tutti gli ambienti avevano basamenti di stucco, al disopra dei quali le pareti erano animate da nicchie di forme differenti o decorate con pitture. Gli esemplari più antichi mostrano una decorazione a profondi incavi d'un carattere ancora abbastanza naturalistico, fatta di palmette, pampini e fiori a calice; tale decorazione diventa a mano a mano sempre più schematica finché si conchiude in uno stile del tutto astratto a incavi obliqui, poco profondi, con motivi ornamentali rapportati. Vi è innegabile l'influsso turco. Questo stile nuovo degli ‛Abbāsidi si diffonde poi in tutti i paesi.
Gli scavi di Sāmarrā hanno arricchito in modo sorprendente sopra tutto la conoscenza della ceramica islamica primitiva. Delle ceramiche di lusso trovate nel palazzo del califfo sono particolarmente notevoli quelle importate dai paesi dell'Estremo Oriente; esse forniscono la prova sicura che la Cina esportava nell'Occidente già nel sec. IX porcellana bianca e seladon grigio. Si è trovato inoltre ceramica smaltata a macchie del periodo T'ang che i vasai islamici cercarono d'imitare, come risulta da altri ritrovamenti. Ai vasai islamici stessi è dovuta l'invenzione della ceramica a riflessi metallici, cioè d'un procedimento consistente nel conferire alla ceramica smaltata ricchezza d'effetto per mezzo appunto di riflessi metallici. Questa tecnica si diffuse in seguito in tutti i paesi islamici.
Bibl.: P. Schwarz, Die Abbasiden-Residenz Samarra, in Quellen und Forschungen zur Gesch. d. Erdkunde, Lipsia 1909; E. Herzfeld, Erster vorläufiger Bericht über die Ausgrabungen von Samarra, Berlino 1912; id., Der Wandschmuck der Bauten von Samarra, ivi 1923; F. Sarre, Die Keramik von Samarra, ivi 1925; C. J. Lamm, Das Glas von Samarra, ivi 1928; E. Kuzfeld, Die Malereien von Samarra, ivi 1928; Die vorgeschichtlichen Töpfereien von Samarra, ivi 1930.