Davis, Sammy Jr.
Attore cinematografico e teatrale, cantante e ballerino statunitense, nato a New York l'8 dicembre 1925 e morto a Los Angeles il 16 maggio 1990. A partire dalla metà degli anni Cinquanta, D. divenne, sulla scena come al cinema, uno dei più amati, irresistibili ed effervescenti showman di colore, caratterizzato da una mimica frenetica, da un'innata simpatia, da un'implicita carica antirazzista e da un'agilità surreale, ideale contrappunto ironico della bassa statura e dell'aspetto da brutto e impertinente anatroccolo. Fu membro, insieme a Dean Martin e Peter Lawford, del celebre 'clan' di Frank Sinatra.
Figlio degli attori Sammy Davis Sr ed Elvera Davis, cominciò molto presto con i genitori a calcare le scene del music hall. Al termine della Seconda guerra mondiale costituì, con il padre e lo zio, il Will Mastin Trio, che lasciò ben presto per esibirsi da solo come entertainer nei nightclub e successivamente in televisione, conciliando la danza, il canto e la recitazione. La sua carriera rischiò di interrompersi bruscamente nel 1954 in seguito a un incidente automobilistico che lo privò dell'occhio sinistro. Ma D., ormai diventato una delle più amate star del mercato discografico e dello show business americano, seppe intraprendere nel 1956, con inesausto vigore, la carriera cinematografica con il film The Benny Goodman story (Il re del jazz) di Valentine Davies. Nello stesso anno debuttò anche a Broadway, sebbene con risultati non troppo incoraggianti, nel musical Mr. Wonderful, raggiungendo tuttavia il successo solo nel 1964 con lo spettacolo Golden boy. Al cinema, il primo ruolo celebre, quello del simpatico Sportin' Life completo di bombetta, guanti, ghette e bastoncino, lo ottenne in Porgy and Bess (1959) di Otto Preminger. Seguirono quindi, al fianco di Frank Sinatra, Dean Martin e del fortunato 'clan', Ocean's eleven (1960; Colpo grosso) di Lewis Milestone, Sergeants 3 (1962; Tre contro tutti) di John Sturges, e Robin and the seven hoods (1964; I quattro di Chicago) di Gordon Douglas. In Ocean's eleven, in particolare, la presenza di D. che può esibire le sue doti canore, ben assecondate e contestualizzate dal racconto, contribuisce notevolmente a delineare il rapporto di piacevole equilibrio e complicità maschile stabilitosi tra i reduci di guerra coinvolti in una complicata e rischiosa rapina ai danni di ben cinque casinò di Las Vegas. Ma, oltre che nei congeniali panni del santone hippy in Sweet Charity (1969; Sweet Charity ‒ Una ragazza che voleva essere amata) di Bob Fosse, fu soprattutto nel dittico costituito da Salt & pepper (1968; Sale e pepe ‒ Super spie hippy) di Richard D. Donner e dall'ottimo One more time (1970; Controfigura per un delitto) di Jerry Lewis, a scatenarsi, in coppia con Peter Lawford, con esiti spesso irresistibili e punte di sferzante e inconfondibile umorismo afroamericano. In particolare nel secondo film, il sottovalutato One more time, l'unico diretto ma non interpretato da Lewis, ricco di giochi metalinguistici ai limiti del nonsense, riuscì a diventare protagonista assoluto e ideale alter ego comico dell'autore in sequenze memorabili quali quella del rovinoso starnuto durante una festa in maschera. Non a caso, sia Lewis in Smorgasbord, noto anche come Cracking up (1983; Qua la mano picchiatello), sia Woody Allen in Broadway Danny Rose (1984), hanno riservato a D. due gradevoli e commoventi cammei. La sua prestigiosa, intensa e talvolta controversa vita (pubblica e privata) fu rievocata dallo stesso D. in tre autobiografie, Yes I can (1965), Hollywood in a suitcase (1980) e Why me? The Sammy Davis, Jr, story (1989), la prima e la terza scritte insieme a J. e a B. Boyar, che offrono il ritratto di una star eclettica e imprevedibile, in grado di passare dal buonumore all'impegno politico, sia a favore della battaglia per i diritti civili dei neri d'America sia come testimonial del presidente Nixon.
bibliografia.
T. Davis, Sammy Davis Jr., my father, Los Angeles 1996.