SAMO (gr. Σάμος; lat. Samus; A. T., 90)
Isola dell'Egeo, vicinissima alla costa dell'Asia Minore, della quale rappresenta un frammento distaccato in epoca geologicamente molto recente (dopo il Pliocene). Situata tra 37°39′ e 37°49′ circa di lat. N. e fra 26°35 e 27°5 di long. E., l'isola ha forma allungata da est a ovest (lunghezza km. 45, larghezza km. 6-19) e misura circa km. 159 di perimetro costiero, kmq. 491 di area.
Samo è posta al margine settentrionale della piattaforma sottomarina che collega tra loro e con l'Asia Minore parecchie delle Sporadi meridionali, fino a Coo. Questo margine corrisponde probabilmente a una frattura, alla quale pure si deve l'andamento uniforme della costa settentrionale, alta e pittoresca, piegata ad arco convesso. Nella parte più occidentale però si stacca una penisoletta frastagliata, che chiude il bel porto naturale di Bathý, capoluogo dell'isola. La costa sud presenta invece due grandi falcature, separate da un massiccio promontorio collinoso, davanti al quale sta l'isolotto di Samopoúla. In queste falcature si hanno tratti di spiagge sabbiose, che marginano piccole pianure costiere. La breve costa orientale, articolata da due ampie insenature, si avvicina alla terraferma asiatica, che qui si protende col montuoso promontorio Micale (Samsun Dăgi). Il passaggio (Stretto di Samo) si restringe fino a un chilometro e mezzo ed è diviso in due da un isolotto; vi si formano talora vortici dovuti alle correnti di marea.
L'ossatura geologica dell'isola è data da rocce calcaree più o meno metamorfosate e accompagnate da scisti, probabillnente paleozoici: marmi bianchi o azzurrini, cipollini, calcari dolomitici, micascisti, ecc. Queste rocce formano i rilievi più alti e anche la penisoletta nord-orientale. Essendo il motivo tettonico costituito da pieghe dirette quasi da nord a sud, trasversalmente all'isola, il rilievo di questa non forma affatto una vera catena disposta secondo l'asse maggiore, come potrebbe apparire. I due gruppi montuosi più alti sono anzi nettamente separati. Essi sono il Kerletes, o Kérkis (m. 1437), nella parte occidentale, massiccio grossolanamente conico, profondamente inciso da molte valli radiali, e perforato, nella zona alta selvaggia e rocciosa, da numerose grotte carsiche; e il Karvoúnis, o Ámpelos, nella parte centrale, culminante nel S. Elia (m. 1137) con morfologia molto diversa, presentandosi anche le sommità come un seguito di groppe arrotondate e boscose (pini, cipressi, querce). Verso il mare entrambi i rilievi si raddolciscono in colline coltivate o rivestite di lussureggiante vegetazione sempreverde. Quasi isolate sono le alture del promontorio meridionale (alt. 750 m.), mentre nella parte orientale dell'isola si hanno soltanto colline elevate meno di 400 m.
Alla costituzione delle zone collinose prendono larga parte i terreni neogenici (sarmatico, pontico). Sono depositi alluvionali o lacustri: conglomerati e arenarie, marne bianche, travertini, anche tufi vulcanici, che racchiudono qualche banco di lignite xiloide. Presso Mytilē noi fu raccolta dal Forsyth Major in questi depositi una ricchissima fauna di Vertebrati, che per molti elementi si ravvicina a quella di Pikermi, nell'Attica (Mastodon, Dinotherium, Rhinoceros, Hipparion, Chalicotherium, svariati tipi di Ruminanti, Machairodus, Mesopithecus, ecc.).
Nella serie metamorfica si trovano filoni e lenticelle di minerali metalliferi, particolarmente di ferro e di piombo; assai più scarsi i minerali di zinco, rame, antimonio.
L'isola è frequentemente scossa da terremoti.
Celebrato è il clima di Samo, mite e poco piovoso (secondo la leggenda, dispensava gli abitanti dalla necessità di mangiare). Le massime estive non salgono generalmente a più di 28°-30°, mentre le minime invernali non scendono sotto 2°-7°. La neve non è però infrequente sulle montagne. Le piogge invernali e i forti temporali primaverili mantengono per alcuni mesi acque abbondanti in parecchi torrenti. Ma nell'estate quasi tutti i corsi d'acqua disseccano; le acque di quelli alimentati da sorgenti vengono del resto deviate per l'irrigazione.
L'isola è fertile e ben coltivata, sebbene le colture non occupino più di 1/4 del territorio. Tra i prodotti principali è il vino, che gode fama fino dall'antichità e alimenta l'esportazione, insieme con le uve secche, le frutta, l'olio, il tabacco, il cotone, le carrube, la vallonea. Minore importanza hanno i cereali. Discretamente abbondante il bestiame bovino e ovino; la diffusione del gelso permette la produzione di bozzoli. Industria di qualche importanza è quella della concia delle pelli. Oltre al capoluogo, posseggono piccoli porti Néon Karlóvasi (5000 ab.) sulla costa nord, e Tegánion (2500 ab.), su quella meridionale.
La popolazione dell'isola, oggi composta quasi soltanto di Greci, ascendeva nel 1928 a 58.558 abitanti, con densità quindi assai alta (119 abitanti per kmq.). Samo, che dal 1832 al 1912 fu principato autonomo sotto la sovranità della Turchia, appartiene politicamente alla Grecia. L'isola, con quelle vicine di Nicaria, Furni e Thémina, costituisce una provincia (nomós), estesa 792 kmq., con 70.497 abitanti (1928). Il capoluogo fu per secoli Khõra (2100 abitanti), presso l'antica Samo e la costa meridionale; nel 1835 fu trasportato a Bathý.
Storia antica. - Il nome stesso di Samo, diffuso nel bacino orientale del Mediterraneo e non greco, lascia scorgere un'occupazione preellenica dell'isola, di cui finora non si hanno resti rilevanti. L'occupazione greca risale ad età imprecisata; e la provenienza dei colonizzatori - Ionici - non è conosciuta. Il culto principale di Samo in età storica, quello di Era, ha fatto pensare al Peloponneso, in particolare ad Argo, senza ragione specifica. Poiché le colonie fondate da Samo hanno le tribù ioniche, resta documentata indirettamente l'esistenza, non provata direttamente, delle tribù in Samo. È indubbia la partecipazione dell'isola alla Lega ionica fino dalla fase più antica. Le saghe della fondazione sono poche significative. Per ecista ufficiale, come documentano le monete, valeva Ankaios: fra le tradizioni sulla sua origine, la più importante è quella che lo considera figlio di Posidone, dato che Posidone è la divinità della Lega ionica. Adatta alla coltivazione dell'olivo e del vino, ma povera di grano (cfr. la descrizione di Apuleio, Florid., 18), Samo cercò con successo possedimenti sulla terraferma prospiciente fino da tempo assai antico. Di qui le lotte con Priene, le cui sorti alterne sono documentate soprattutto da una iscrizione di età ellenistica (Inschriften v. Priene, n. 37); di qui anche la partecipazione alla distruzione della città di Melia, circa il sec. VIII a. C., per cui il santuario panionico di Posidone Eliconio passò ai Samî, nelle cui mani era ancora nel sec. IV a. C. (per es., Scilace, 81), mentre al tempo di Strabone era in possesso di Priene.
Anche la fortezza di Tebe presso Micale era prima del sec. IV in possesso di Samo, e Teopompo (fr. 23 Jacoby) c'informa che fu oggetto di scambio con i Milesî. Di lotte arcaiche con Efeso restano tracce nelle leggende di non occupazione di Samo da parte di Efeso in Pausania, VII, 4.
Verso la fine del sec. VII a. C. l'isola esce da questo ambito ristretto della sua politica partecipando vigorosamente al moto coloniale: l'Isola di Amorgo (dove una colonia è condotta dal poeta Semonide e dove la dipendenza da Samo è permanente), Samotrace (intorno alla cui colonizzazione i dubbî sembrano infondati), Perinto, Bisante, Heraion Teichos, nonché Nagidos e Kelenderis in Pamfilia, sono colonizzate da Samo. Il moto ha un prolungamento nella seconda metà del sec. VI per opera dei fuorusciti avversarî di Policrate con la fondazione di Dicearchia in Italia (Pozzuoli) e con un breve tentativo di colonia a Cidonia in Creta. Gli interessi coloniali di Samo si estendevano in Libia, dove un insediamento era stabilito da una famiglia samia, che Erodoto, III, 26, chiama ϕυλή, e in Egitto, dove, oltre a insediamenti minori, l'isola era titolare di uno dei fondachi di Naucrati. Espansione dunque non solo in cerca di terre, ma mercantile, in cui all'esportazione dei prodotti del suolo e industriali (ceramica) si univa il traffico di mediazione: la stessa ricerca di terra doveva andare spesso a vantaggio dei latifondisti. In ciò una connessione tra la politica coloniale e il predominio politico dei grossi possidenti ("geomori"), a cui necessariamente il nuovo ritmo economico viene a contrapporre le classi inferiori, ma senza provocare un rivolgimento definitivo. Sparito già da tempo il regime monarchico quando le nostre informazioni cominciano, l'isola ci appare per tutto il sec. VI a. C. dilaniata dalle lotte sociali. Intorno al 600 a. C. il popolo impone un tiranno, Demotele, che viene abbattuto dai geomori; più tardi, nella prima metà del sec. VI a. C., le ciurme ritornanti da una guerra vittoriosa contro Megara instaurano la democrazia, la quale doveva essere di nuovo abbattuta verso il 540, allorché Policrate infatti, divenuto poco dopo unico tiranno per avere eliminato Pantagnoto con l'assassinio e Silosonte con l'esilio, trovò ancora una struttura oligarchica nella società di Samo (Ateneo, XIII, 602 d), che aveva le sue roccheforti nelle palestre. Il giuoco delle vicende interne porta un ultimo elemento di complicazione alla politica estera già legata alle esigenze del moto coloniale e commerciale, che i Samî sostengono con una flotta modello tra le arcaiche della Grecia (la pirateria è solo un aspetto della loro politica di egemonia marittima in forme primitive). Verso la fine del secolo VIII a. C. i Samî sono amici dei Corinzî, da cui si fanno costruire le prime navi da battaglia (Tucid., I, 13,3); Erodoto li dice pure benevoli verso gli Spartani durante la seconda guerra messenica. Più tardi l'accordo si rompe: i Samî si urtano con Periandro di Corinto, di cui evidentemente sentono la concorrenza, e aiutano i Corciresi; nella guerra Lelantea (intorno al 570) sono con i Tessali per i Calcidesi contro Eretria aiutata da Mileto e Corinto. La loro influenza si estende sino a Cirene: Arcesilao III per tornare in patria arruola mercenarî a Samo, e mercenarî samî sono in Egitto. La politica di Policrate raccoglie e accentua questi elementi tradizionali della politica dell'isola nell'ultimo momento in cui l'Oriente mediterraneo è ancora libero dal prepotere di un grande stato: approfitta della stessa caduta delle concorrenti ioniche sulla costa asiatica in mano alla Persia e del disperato tentativo dell'Egitto di conservare l'indipendenza per erigere quella che Erodoto chiama la talassocrazia di Samo. In Egitto, con l'amicizia del re Amasis, l'influenza dei Samî cresce; la pirateria, che era alle origini della fortuna della famiglia di Policrate (il padre stesso era stato uno dei capi pirati ufficiali dell'isola, cfr. la dimostrazione di F. Bilabel, in Neue Heidel. Jahrb., 1934, p. 129 segg.), è potenziata: costruzioni di navi di nuovo tipo (le samene) assicurano il primato tecnico sulle flotte contemporanee. Come e quando si estendesse l'impero territoriale di Policrate non sappiamo; della sua intenzione di avere un primato su tutte le Cicladi e in generale sul mondo ionico è prova il dono a Delo dell'Isola di Renia da lui occupata: era infatti un tentativo di conquistare alle proprie direttive il nuovo centro panionico, ora che l'antico centro del santuario di Posidone Eliconio, già in possesso di Samo, andava decadendo. Ricchezza, vastità d'iniziative economiche, splendore culturale (Anacreonte, Ibico) contraddistinguono la nuova talassocrazia. È probabile che essa all'interno dia luogo alla riunione delle due città dell'isola, in un tempo antico certo distinte, Astipalea e Chesio, i cui nomi in documenti tardi appaiono come quelli delle due tribù di Samo in sostituzione delle quattro ioniche. I disegni di Cambise sull'Egitto segnano l'inizio della fine della talassocrazia. Policrate è costretto a rompere l'amicizia con l'Egitto e a dare soldati e navi a Cambise per la conquista dell'Egitto. Le opposizioni interne (scoppiate nella stessa armata di spedizione) si associano con le rivalità antiche di alcuni stati greci - Sparta e Corinto - e anche con il loro interesse a difendere l'Egitto; Sparta e Corinto intraprendono un attacco contro Samo (525? a. C.), che è respinto. Il tracollo, come era logico, viene da parte persiana. Non solo Policrate, attratto in un agguato dal satrapo persiano di Lidia, è ucciso, ma Samo non ha ormai più forze per resistere: l'economia soffre della concorrenza fenicia sostenuta dalla Persia. Cominciano le tirannidi al servizio della Persia: a Meandrio, già segretario di Policrate, succedono Silosonte, il fratello di Policrate stesso, ed Eace. Alla città resta tuttavia tanta flotta da poter avere una delle parti principali nella ribellione ionica (499-94): nella battaglia di Lade, Samo ha 60 triere. Alla fine della ribellione succede un rivolgimento interno, in cui, con forme malcerte, i geomori devono riprendere in pieno il potere. Avviene una grande immigrazione di Samî verso la Magna Grecia e la Sicilia. Essi, chiamati in aiuto da Zancle, finiscono con l'inserirsi nella politica di Anassilao di Reggio, occupando Zancle medesima e preparando la conquista di Anassilao che si sostituisce loro intorno al 486 (v. reggio: Storia).
Nel 478 Samo passa alla Lega delio-attica, sempre ancora con forze sufficienti per avervi una posizione privilegiata: senza tributo, con la partecipazione della propria flotta, senza che l'oligarchia venga toccata. Perciò è il principale ostacolo alla politica di Pericle, il quale approfitta nel 441 di un conflitto tra Samo e Mileto per intervenire e far precipitare il governo dei geomori. L'isola si ribella (440); non aiutata dai Peloponnesiaci, si deve arrendere dopo nove mesi di assedio, perdere Amorgo, e di fatto la propria autonomia. L'oligarchia vi è però conservata, e sarà distrutta solo nel 412, allorché le condizioni generali dell'impero costringeranno gli Ateniesi a raffermare la compattezza dei confederati. Infatti, grazie alla ridistribuzione delle terre dei geomori, Samo diventa da allora campione della democrazia e della fedeltà ad Atene: l'anno dopo, nel 411, la flotta ateniese concentrata in Samo, con l'aiuto dei Samî stessi, può preparare il rovesciamento dell'oligarchia instaurata in sua assenza ad Atene. Nel 404 l'isola si arrende a Lisandro solo dopo resistenza accanita. La conseguenza è il ritorno della oligarchia. Liberata nel 394 da Conone, nel 390 di nuovo sotto Sparta, partecipa con Rodi, Cnido, Iaso e Bisanzio alla lega costituitasi dopo la pace di Antalcida (386) per la salvaguardia della Persia, ma non si sottrae, contro la lettera del trattato del 386, a un presidio persiano. Ciò offre l'occasione ad Atene nel 365 di occupare, con Timoteo, l'isola, ma non per ridarle autonomia, bensì per imporle una colonia militare (cleruchia) di 2000 Ateniesi su terre procurate spossessando gl'indigeni. Samo era ottimo centro per controllare le isole soggette alla lega navale ateniese e per un futuro passo in Asia. Fu l'ultimo colpo all'antica potenza. Ormai Samo non avrà più politica autonoma. Ateniese rimase (fallito un assedio dei confederati ribelli durante la guerra sociale nel 356) fino quando Perdicca nel 322 la staccò da Atene e richiamò gli antichi abitanti spossessati. Fu quindi formalmente autonoma, di fatto sotto taluno dei sovrani ellenistici: prima di Antigono Monoftalmo, poi di Lisimaco di Tracia, almeno dal 280 tolemaica, tra il 255 e il 245 circa sotto i Seleucidi, poi di nuovo tolemaica. Fu anche occupata fuggevolmente da Filippo V di Macedonia: dopo il 194 per qualche anno vi si esercitò una non ben chiara supremazia rodia. Nel 189 fu riconosciuta dai Romani come città libera; la sua sorte dopo la costituzione della provincia d'Asia è incerta. Perdette la libertà forse quando si schierò dalla parte di Mitridate Eupatore nella lotta contro Roma (88 a. C.) e fu presto domata. Più tardi, coinvolta nelle guerre civili, ne subì spoliazioni, poi fu protetta da Augusto, che la dichiarò libera, privilegio toltole da Vespasiano. Alla fine del III sec. d. C. venne a far parte della provincia insularum: nel sec. IV subì piraterie. La stessa scarsità delle notizie per quest'ultimo periodo è la miglior prova che ormai l'isola è ridotta a piccola città di provincia. Il che non toglie, come dimostrano i risultati degli scavi, che i commerci continuassero ad assicurare all'isola una notevole floridezza e che il suo santuario di Era fosse sempre celebre, se anche non godesse più tra i Greci dell'Asia Minore quell'autorità che aveva avuto in età arcaica. Intorno al santuario di Era si dovette appunto conservare quella tradizione di cultura locale, con i suoi interessi antiquarî, che dai poeti arcaici, Asio e Semonide, passa agli eruditi ellenistici e romani e conta almeno uno storico d'importanza, Duride, autore tra l'altro anche di una storia di Samo.
Topografia archeologica. - Presso l'odierna Tigani si conservano varî resti dell'ampia cerchia di mura che verso la fine del sec. XIX il capitano T. W. Spratt poteva rilevare in molti punti ancora in ottima condizione, del perimetro di circa 6-7 km., spessa oltre 4 m. e mezzo, e rinforzata da torri rotonde e rettangolari, comprendente, in un'area di oltre 100 ettari, a est una collina più bassa, chiamata Castelli, probabilmente sede del più antico abitato, a ovest un dorso collinoso lungo circa 1300 m., alto fino a 227 m., oggi chiamato Kastro. La struttura delle mura, a tratti poligonali e tratti parallelepipedi, è prepolicratea, ma certo parzialmente rinnovata da Policrate. A mare la cinta abbracciava il porto, racchiuso fra un piccolo e un grande molo, quest'ultimo, lungo circa 370 m. e sul quale s'è fondata verosimilmente la moderna diga, considerato come una delle tre fra le più grandi creazioni elleniche nell'isola. La città, costruita in parte sulla riva e in parte sulle terrazze risalenti la collina fino a circa metà altezza verso la cinta, offriva dal mare uno spettacolo grandioso. Al tempo di Policrate va attribuita probabilmente anche la costruzione del celebre acquedotto di Eupalino di Megara, recentemente riscoperto, che portava le acque da una fonte a nord della cinta, nell'attuale località di Agiades. Esso correva prima in tubi cilindrici di terracotta (lunghi ciascuno circa 66 cm. e del diametro interno di 18 cm., muniti a intervalli di un foro che serviva per l'aerazione e la ripulitura dei tubi) attraverso una galleria sotterranea costruita di grossi blocchi poligonali sotto il letto di un ruscello di cui seguiva il corso, per 853 m. di lunghezza; quindi traforava il monte, con una larga galleria scavata nella roccia, sotto cui correva, per ignote ragioni a profondità notevolmente maggiore (verso sud fino a oltre 8 m. più in basso), uno stretto canale per la conduttura dell'acqua, che passava qui in tubature rettangolari aperte in alto. La perforatura del monte cominciata da due parti importò un errore che richiese una piegatura in piano di circa 5 m. per l'incontro dei due bracci. Un nuovo canale sotterraneo conduceva poi l'acqua, dall'uscita della galleria, all'agorà e al porto; presso a questo stava l'agorà dei tempi ellenistici; nella parte alta della città invece, a circa 140 m. di altezza, si conservano i resti del teatro. Fuori della cinta, a nord e a ovest, si sono trovate delle necropoli, che hanno ridato importanti suppellettili funerarie; presso quelle occidentali passava la "via sacra" conducente alla terza costruzione monumentale di Samo, l'Ereo, il più grande tempio ellenico dell'epoca di Erodoto, anteriore all'Artemisio di Efeso e al Didimeo di Mileto.
A circa 5 chilometri a occidente della città, presso la foce di un ramo del fiumicello Imbraso, là dove secondo la tradizione alcuni pastori in tempi antichissimi avevano trovato nelle paludi un legno di forma strana in cui credettero di riconoscere un'immagine di Era, ancora in epoca geometrica era sorto, accanto ad alcuni piccoli sacelli, un "ecatompedo" un tempio cioè periptero e con lunghissima cella a due navate, con colonne e gran parte della struttura superiore evidentemente di legno; in esso si conservò la rozza immagine divina, che rimase oggetto di culto attraverso i secoli (v. la moneta riprodotta nella fig. 2). La regione paludosa, le successive deviazioni del letto del fiume vicino, insieme con le necessità del culto, causarono varie radicali trasformazioni di tutto il santuario. Ancora nel sec. VII questo tempio primitivo ebbe un leggiero ingrandimento, conservando in gran parte la struttura lignea, ma abolendo la fila dei sostegni mediani e trasformando pertanto la cella a una sola navata fiancheggiata da pilastri accanto alle pareti (v. fig. 1); presso il letto del fiume fu costruito allora un ampio portico (di 70 m. di lunghezza), diviso in due navate da due serie di sostegni lignei e con un lastricato anteriore; più a sud ancora si sono conservati meglio i resti di un bacino d'acqua. Il maggiore ampiamento e arricchimento del santuario è legato, verso la metà del sec. VI, ai nomi dei grandi architetti di Samo, Reco e Teodoro, celebri anche quali scultori e bronzisti; trasportatosi il letto del fiume, per ragioni naturali e forse anche in parte artificialmente, a 200 m. più a ovest, distrutte quasi completamente le costruzioni precedenti, su una colossale piattaforma sorse il nuovo tempio, un immenso diptero (v. fig. 3), con due file di 8 colonne ioniche sulla fronte orientale, 9 su quella occidentale, e 21 colonne sui fianchi, cella a tre navate col sacrario, di doppia lunghezza dell'atrio, contenente sempre nel mezzo l'antica immagine di culto. La maggior parte di questa costruzione era in poros. A est sorgeva un colossale altare pure in poros, conservatosi, con qualche trasformazione e sostituzione di sovrastrutture marmoree, anche in epoca romana; un nuovo portico tripartito, a una sola cella, sorse nell'angolo nord-ovest del santuario, limitato a ovest verso il fiume da una specie di cancellata a pilastrini, mentre a sud del santuario fu eretta una costruzione periptera con cella a due navate, simile a un tempio, che forse è l'Odeon di cui è rimasta notizia. Distrutto a causa di un incendio il santuario di Reco e Teodoro, una nuova radicale ricostruzione del tempio ebbe luogo, probabilmente per volontà di Policrate, trasportando il tempio più a ovest e più a sud, pur mantenendogli la medesima pianta del precedente; una parte di questa nuova costruzione fu elevata, invece che in poros, in marmo. Ma le successive tragiche vicende di Samo, i massacri di Otanes prima, l'occupazione attica poi, impedirono il compimento della gigantesca impresa; se ne tentò l'ultimazione dopo Alessandro, nel sec. III-II, ma parte dei colonnati e delle trabeazioni rimase per sempre incompiuta; e il tempio in questo stato fu sorpreso dall'abbandono e dalla rovina di Samo, che ci descrive Cicerone negli ultimi tempi della repubblica di Roma.
C. De Stefani, C. J. Forsyth Major e W. Barbey, Samos. Étude géol. paléont. et botan., Losanna 1982; L. Bürchner, Mitteilung über die Insel Samos, in Globus, 1892; A. Stamatiádis, L'isola di Samo, in Cosmos, di G. Cora, 1874.
Per l'antichità in genere: L. Bürchner, Das ionische Samos, I, Amberg 1892; id., in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I A, p. 2213 segg. Cfr. la bibliografia di ioni; priene. Per le monete, v. B. V. Head, Hist. numorum, 2ª ed., Oxford 1911, p. 602 segg.; per le iscrizioni non ancora raccolte, cfr. W. Dittenberger, Sylloge inscriptionum graec., 3ª ed., Lipsia 1915 segg., passim., e H. Collitz, Griech. Dialektinschriften, III, ii, Gottinga 1905, p. 731 segg. Per i rapporti tra Samo e la Lega ionica il materiale in Inschriften von Priene, Berlino 1906, p. 191 segg. Per l'ordinamento costituzionale cfr. U. v. Wilamowitz e Th. Wiegand, Ein Gesetz von Samos über die Beschaffung von Brotkorn aus öffentlichen Mitteln, in Sitz. Preuss. Ak., 1904, p. 917 segg. Manca una storia di Samo arcaica: su Policrate il meglio in F. Bilabel., Polykrates von Samos und Amasis von Aegypten, in Neue Heidelb. Jahrb., 1934, p. 129 segg. Per le colonie, id., Die ionische Kolonisation, in Philologus, Suppl. XIV (Lipsia 1920), p. 154 segg. Notazioni acute in J. Beloch, Griechische Geschichte, I, i, 2ª ed., Strasburgo 1912, p. 159; III, i, 2ª ed., Berlino 1922, p. 95, n. 3. Per la data della guerra lelantica, cfr. G. De Sanctis, Atthis, 2ª ed., Torino 1912, p. 302. Per le sorti nell'Ellenismo, E. Meyer, Die Grenzen der hell. Staaten in Kleinasien, Lipsia 1925, e C. Klaffenbach, Samische Inschriften, in Athen Mitteil., LI (1926). Per la topografia archeologica v.: E. Fabricius in Ath. Mitt., IX (1884), pp. 163 segg., 255 segg.; Th. Wiegand, in Abh. berliner Akad., 1911, App. V; M. Schede, in Ath. Mitt., XXXVII (1912), p. 199 segg.; XLIV (1919), p. i segg.; E. Preuner, ibid., IL (1924), p. 26 segg.; M. Schede, in Abh. berl. Akad., 1929, n. 3, p. i segg.; W. Technau, W. Wrede, e A. M. Schneider, in Ath. Mitt., LIV (1929), p. 6 segg.; E. Buschor, ibid., LV (1930), p. i segg.; G. Karo, in Arch. Anz. XLVI (1931), col. 86 segg. XLVIII (1933), col. 251 segg. Sulle iscrizioni v. anche D. Euangelides, in 'Εϕημ. 'Αρχ., 1924, p. 63 segg.; G. Klaffenbach, in Ath. Mitt., LI (1926), p. 26 segg.; F. Hiller von Gaertringen, ibid., p. 155 seg.; B. Theophanides, Δηλτίον, IX (1924-25), p. 95 segg.