Vedi SAMO dell'anno: 1965 - 1973 - 1997
SAMO (v. vol. VI, p. 1091 e S 1970, p. 683)
L'immagine finora codificata della città di S. è stata influenzata essenzialmente dalle ricerche dello scorso secolo. Gli estesi scavi compiuti dall'Istituto Archeologico Germanico e un certo numero di sondaggi realizzati dall'Ufficio delle Antichità greco hanno arricchito e modificato in molti dettagli questo quadro.
In base agli scavi eseguiti sul Castro è risultato che a S. vi era un insediamento già in età neolitica: lo studio stratigrafico ha dimostrato l'esistenza di quattro fasi insediative che arrivano fino alla prima Età del Bronzo. Da rilevare sono gli eccezionali rinvenimenti ceramici che provano che l'isola era un centro importante già in età arcaica.
Gli inizi dell'epoca storica continuano a essere sconosciuti. E però certo che la città di S. si era estesa già nell'VIII sec. oltre l'area della collina di Castro; la scoperta recentissima di una necropoli geometrica, c.a 800 m a O da questo, fa dedurre l'esistenza di un'estesa area di insediamento. S., come è noto, era un famoso centro commerciale in epoca arcaica, come testimoniano le fonti letterarie; nuove ricerche archeologiche hanno dimostrato che la città allora aveva non soltanto considerevoli dimensioni, ma era caratterizzata anche da un'infrastruttura evoluta.
L'accurato studio della cinta muraria ha dimostrato che l'anello fortificato, lungo complessivamente 6,4 km, era stato edificato già in età arcaica. Le mura, costituite originariamente da uno zoccolo in pietra con alzato in mattoni, erano munite di torri e postierle e consolidate ulteriormente con un fossato lungo il fianco occidentale, particolarmente minacciato. Esse furono restaurate nel 300 a.C. e, all'inizio del II sec. a.C., rinnovate e adattate all'evoluzione nel campo delle fortificazioni.
Da rilevare la scoperta di un tempio di Artemide proprio davanti al lato occidentale della cinta muraria, all'esterno dell'area cittadina fortificata; l'edificio non è ancora del tutto disotterrato, ma è di particolare interesse in quanto può essere collegato alla tradizione riportata da Erodoto (ni, 48) e poiché i reperti anzitutto ceramica a figure nere della più alta qualità - attestano la cronologia alta della cinta muraria.
Particolarmente fruttuoso è stato lo studio dell'acquedotto di Eupalinos che, a partire dalla fine del VI sec., rifornì la città di acqua sorgiva. Punto di partenza dell'impianto è una sorgente che scaturisce al di là del monte su cui si erge la cinta muraria e che viene raccolta in una massiccia cisterna. Di lì l'acqua viene portata attraverso una conduttura sotterranea, con una sensibile inclinazione, fino a un bacino di ripartizione nel centro della città. La parte più spettacolare dell'impianto è un tunnel che per una lunghezza di 1.036 m conduce sotto il monte su cui fu costruita la cinta muraria e che evidentemente venne scavato da entrambe le parti contemporaneamente. Sia l'esatta misurazione del tracciato del tunnel, sia l'osservazione di originari marchi di misurazione riportati in colore rosso sulla parete rocciosa, hanno permesso di chiarire i diversi cambiamenti di direzione resi necessari durante l'avanzamento dei lavori di tracciato, e hanno fornito dati interessanti sulle tecniche di misurazione in epoca arcaica. Accanto a questi aspetti tecnici, lo scavo nel tunnel ha offerto una considerevole quantità di reperti di epoca bizantina. Evidentemente nel VII sec. il tunnel fu usato almeno due volte come nascondiglio per fuggiaschi; la quantità di recipienti per provviste, i numerosi oggetti di uso comune e addirittura alcune sepolture mostrano che i fuggitivi spesso dovettero nascondersi per un periodo piuttosto lungo.
Un'imponente villa di epoca ellenistica è stata scavata sul versante del monte su cui si trova la cinta muraria. Gli ambienti scoperti, soprattutto quelli con eccellenti pavimenti a mosaico, documentano un impianto del II sec. a.C., che evidentemente per misura e per apparato decorativo era più importante di quello già noto sul Castro. Una struttura, che ugualmente risale all'epoca ellenistica, è stata messa in luce a SO della città. Questa area è stata coperta per almeno un millennio da importanti edifici pubblici che possono essere distinti in tre complessi: del III-I sec. a.C. un ginnasio greco-ellenistico per l'istruzione degli adolescenti; del I-IV sec. d.C. un impianto di terme d'acqua calda lussuosamente allestito con ambienti per ginnastica e sale da pranzo; e infine - dopo una distruzione a causa di un terremoto - un convento protobizantino.
Ancora più approfondite sono state le ricerche nel c.d. Heràion: con scavi sistematici il quadro topografico è stato completato e anche ampliato in direzione E e S.
Il problema delle origini del santuario è tornato di nuovo al centro dell'interesse, quando a E del témenos è stato scoperto un insediamento dell'inizio del III millennio fino allora sconosciuto. Gli scavi comprendono sia una parte della cinta difensiva con torre, sia una grande costruzione del tipo a mègaron, entrambe in buono stato di conservazione. C'è da sperare che tramite scavi futuri si possa chiarire l'annosa questione se l'insediamento sul Castro sia stato abbandonato in epoca calcolitica e spostato sulla pianura alluvionale dell 'Heràion. Occorrono però ancora ulteriori ricerche per stabilire se poi vi sia stato uno sviluppo continuativo da questo primo insediamento fino, e oltre, l'insediamento del II millennio già reso noto da V. Milojcič, e se questo sia stato infine il punto di partenza per il culto di Hera.
Un dettaglio decisivo sul primo luogo di culto deve di nuovo essere messo in discussione: il ceppo d'albero scoperto nel 1963 nell'area dell'altare, considerato allora dagli archeologi un residuo del sacro lỳgos, cioè la pianta di agnocasto sede del culto originario, è stato nuovamente messo in luce e analizzato. Secondo le recenti analisi scientifiche, il tronco appartiene a un ginepro che, in un tempo imprecisato tra il 750 e il 450 a.C., è spuntato dalla pavimentazione dell'altare e fu sradicato a forza al più tardi dopo 80 anni. Non soltanto il tipo d'albero identificato con sicurezza, ma soprattutto la breve durata della sua vita contraddicono chiaramente la tesi del sacro albero di Hera, la cui ubicazione, di conseguenza, rimane al momento sconosciuta. Di contro il ginepro ritrovato sarebbe potuto appartenere al boschetto che, secondo le informazioni disponibili, si estendeva a SE dell'altare.
Con questo risultato cade anche ogni argomento che pone in dubbio la ricostruzione del grande altare presentata da H. Schleif. Una ricerca successiva ha mostrato inoltre che determinati dettagli della rappresentazione della sovrastruttura da lui eseguita devono sì essere corretti, ma che in linea di principio la ricostruzione di un altare a gradini è giusta.
E stata approfondita anche la conoscenza delle costruzioni secondarie del santuario, con scavi nel c.d. Edificio Nord e presso il c.d. Tempio D. Si conosceva l'esistenza dell'Edificio Nord in base alle ricerche di Th. Wiegand; esso è riportato anche su tutte le piante d'insieme dell'area a Í della Via Sacra, ma una ricerca conclusiva è stata compiuta soltanto adesso. Si è potuto dimostrare in maniera inequivocabile che l'edificio è sorto in due momenti diversi e che fu inizialmente eretto quale semplice òikos con colonnato prostilo e struttura interna a due navate; solo in una seconda fase della costruzione fu circondato da una peristasi, con un procedimento unico nella storia dell'architettura greca, che implicava anche tutta una serie di difficoltà tecnico-costruttive. La funzione dell'edifìcio non si è potuta chiarire nonostante le accurate ipotesi ricostruttive, ma l'interpretazione suggerita da Buschor e Walter, quale Tempio di Apollo-Artemide, appare piuttosto dubbia. L'edificio non ha né una base per un'immagine cultuale, né un altare, e dopo la sua distruzione verso la fine del IV sec. a.C. non è stato sostituito da un'altra struttura - dato di fatto impensabile per una sede di culto funzionante. Sembra dunque che, nonostante la sua corona perimetrale di colonne, l'edificio Í - e certamente anche il suo pendant, l'edificio S - non fosse un tempio, ma avesse un altro ruolo nell'ambito del santuario.
Ugualmente dubbia si è rivelata la definizione di tempio per le piccole costruzioni a Ν dell'altare. Uno scavo nella zona del c.d. Tempio D, ne ha reso possibile uno studio accurato, portando a una ricostruzione quasi completa. Ne deriva che l'edificio aveva su entrambi i lati brevi ampi ingressi, spiegabili solamente quali aperture per una buona visione dell'interno, il che fa escludere una sua interpretazione quale tempio. A quanto pare l'edificio a doppia anta era un thesauròs, del tipo privo di colonne presente solo nell’Heràion, e i cui antecedenti sono probabilmente i c.d. templi A e B, che quindi sono ugualmente da interpretare quali thesauròi.
Con lo scavo del 1980-81 è stata raggiunta una zona completamente inesplorata poiché, essendo stata ampliata l'area degli scavi, è stato possibile seguire la Via Sacra più a E, nella speranza di scoprirne l'ingresso principale, cioè la Porta Sacra. Riguardo a ciò le attese non sono state esaudite; è venuto però alla luce un reperto sensazionale, il torso di un kouros di grandezza superiore al naturale, e subito accanto anche esigui resti della base a esso relativa. Per altezza, tipo e stile il kouros è identico al «Colosso Meridionale» (E. Buschor); esso era alto c.a 4,75 m e stava su un podio quadrangolare di 5,25 m di lato. La figura può essere definita senza alcun dubbio quale lavoro magistrale dell'arte scultorea arcaica, un'opera chiave della scultura ionica.
Ugualmente sensazionale è stato il ritrovamento di una figura femminile acefala, spezzata in tre parti, inserita in un muro tardoantico a E della Via Sacra; è quasi identica alla kore di Cheramyes al Louvre, e tutti i dettagli dell'esecuzione mostrano che è stata eseguita dallo stesso maestro. L'iscrizione documenta inoltre che essa è stata offerta dallo stesso donatore, e probabilmente non si è in errore se si assegnano le due korai al medesimo monumento.
Accanto a questi due fondamentali ritrovamenti, lo scavo ha dimostrato che il santuario era decisamente più grande di quanto finora supposto. Il vecchio limite è stato spostato di 25 m verso E senza che si potesse trovare l'ingresso. E evidente che in età arcaica l'area in questione era riservata esclusivamente a eminenti offerte votive.
Non meno fruttuosi sono stati gli scavi a SE del tempio: in realtà essi non hanno fornito nuove cognizioni sulla topografia, non essendo stato possibile verificare l'esistenza di alcun tipo di edificio, tuttavia l’Heràion si è di nuovo dimostrato un luogo di rinvenimento quanto mai ricco. Si sono potuti recuperare innumerevoli esemplari di comune ceramica cultuále - più che altro tazze e bricchi - una gran quantità di oggetti di bronzo, di terracotta, schegge di legno e di avorio, la cui abbondanza si spiega considerando che evidentemente la zona a SE dopo l'allargamento del témenos, intorno al 600 a.C., veniva usata come deposito per le più svariate offerte votive. Oltre all'alta qualità dei manufatti, è importante soprattutto l'accertato terminus ante quem·, tutti questi reperti sono del VII sec. a.C. e la ricerca cronologica, basata sullo scavo stratigrafico, costituisce un valido criterio di datazione per i numerosi pezzi di importazione da Cipro, dall'Assiria, dalla Fenicia, dall'Urartu e da altre località.
Bibl.: Città: R. Tölle-Kastenbein, Das Kastro Tigani. Die Bauten und Funde griechischer, römischer und byzantinischer Zeit (Samos, XIV), Bonn 1974; H. Kienast, Der Tunnel des Eupalinos auf Samos, in Architectura, VII, 1977, pp. 97-116; id., Die Stadtmauer von Samos (Samos, XV), Bonn 1978; K. Tsakos, Eva ιερο της Αρτεμιδος στη Σαμο, in AAA, XIII, 1980, pp. 305-318; R. C. S. Felsch, Das Kastro Tigani. Die spätneolithische und chalkolithische Siedlung (Samos, II), Magonza 1988; V. Giannouli, A. M. Guinier-Sorbets, Deux mosaïques hellénistiques à Samos, in BCH, CXII, 1988, pp. 545-668; H. Kienast, Die Wasserleitung des Eupalinos auf Samos (Samos, XIX), Magonza 1995. - Heràion: H. Kyrieleis, Ausgrabungen im Heraion vom Samos 1976, in AA, 1978, pp. 250-259; id., Ausgrabungen im Heraion vom Samos 1979, ibid., 1980, pp. 336-350; id., Archaische Holzfund aus Samos, in AM, XCV, 1980, pp. 87-147; A. Furtwängler, Heraion vom Samos. Grabungen im Südtemenos 1977, I. Schichtund Baubefund, Keramik, ibid., pp. 149-224; id., Heraion von Samos. Grabungen in Südtemenos 1977, 2. Kleinfunde, ibid., XCVI, 1981, pp. 73-138; H. Kyrieleis, Führer durch das Heraion von Samos, Atene 1981; id., Zwei samische Bronze-Kuroi, in AM, XCIX, 1984, pp. 104-111; H. Kyrieleis, H. Kienast, J. Weisshaar, Ausgrabungen im Heraion von Samos 1980-81, in AA, 1985, pp. 365-450; H. Kienast, U. Sinn, Der sog. Tempel D im Heraion von Samos, 1. Ein Schatzhaus aus der nachpolykratischen Zeit, in AM, C, 1985, pp. 105-127; Ph. Brize, Samos und Stesichoros. Zu einem früharchaischen Bronzeblech, ibid., pp. 53-90; H. Kyrieleis, Etruskische Bronzen aus dem Heraion von Samos, ibid., CI, 1986, pp. 127-136; id., Neue archaische Skulpturen aus dem Heraion von Samos, in Archaische und klassische griechische Plastik,. I, Magonza 1986, pp. 35-45; Á. Furtwängler, N. Kienast, Der Nordbau im Heraion von Samos (Samos, III), Bonn 1989.
(H. J. Kjenast)