Vedi SAMOTRACIA dell'anno: 1965 - 1997
SAMOTRACIA (Σαμοϑράκη; Samothrace, o Samothracia)
Quest'isola montagnosa nel Mar Tracio era famosa nell'antichità per il suo santuario dei Grandi Dei, uno dei maggiori di tutta la Grecia e legato all'iniziazione a misteri antichi e rinomati quanto a quelli di Eleusi. Situato fuori dell'antica città greca, ora abbandonata, le sue rovine restarono sempre visibili e furono visitate già nel 1444 da Ciriaco di Ancona, che menzionò alcune iscrizioni e sculture. Se si eccettuano esplorazioni e saggi sporadici, scavi in grande stile furono compiuti per la prima volta nel 1870 da una spedizione austriaca, e dal 1938 da una americana. Presso la zona degli scavi nel 1955 fu aperto un museo.
Poco si sa ancora della civiltà e dell'arte preistorica del luogo. Ritrovamenti sporadici risalgono all'Età Neolitica. Un largo abitato, ancora non scavato, su una collina al di sopra della piana di Karyotis, ha restituito un nuovo tipo di ceramica, fatta a mano, che risale probabilmente alla prima Età del Bronzo. Verso gli inizî dell'Età del Ferro, l'isola fu abitata da Traci, la cui lingua (si hanno iscrizioni dal VI e IV sec. a. C.) sopravvisse nella liturgia del culto samotracio (Diod. Sic., v, 47). A questa civiltà sono da riferire le origini del famoso santuario di cui rimane un muro "ciclopico" presso un altare di pietra. Intorno al 700 a. C. immigrati greci fondarono una città (Palaeopolis) presso al santuario, che incominciarono a sviluppare monumentalmente.
I. - Architettura. - Un doppio recinto, non dissimile da quello di Naukratis e da attribuire alla fine del VII sec. a. C. (cubi di pietra calcarea su cui poggiano muri di mattoni di argilla), racchiudeva l'altare pre-greco sulla roccia e il muro ciclopico.
Nel VI sec. il santuario si era già esteso su una vasta area, che per secoli non subì ulteriori espansioni. Nella parte meridionale, presso ad un grande altare roccioso, venne eretta una lesche per contenere tutti i doni votivi; era costruita con uno strano miscuglio di leggere pietre calcaree e strutture con intelaiature lignee, e aveva una facciata con colonne doriche (Sala dei Doni Votivi). Nella parte N venne costruita una sala per le iniziazioni (anàktoron): un ambiente unico, fatto con bella muratura poligonale (che in alcuni punti ha ancòra un'altezza di circa quattro metri) con tre porte sul lato lungo occidentale, e un santuario postico all'estremità N, a cui i mystài potevano accedere dopo l'iniziazione. Il tetto di legno non poggiava qui su colonne centrali, ma soltanto su pilastri rettangolari addossati alle pareti, e aveva una larghezza, veramente insolita, di più di undici metri. Nella parte meridionale del santuario (sotto allo Hieron) c'era un piccolo edificio absidato, che serviva per l'iniziazione al secondo grado (epòpteia) e pare sia della stessa epoca; fu rinnovato e un poco ampliato probabilmente intorno al 400 a. C. Pure al VI sec. a. C. appartengono resti di notevole estensione di uno dei muri di cinta urbani meglio conservati di tutta la Grecia, costruito in struttura poligonale irregolare, senza torri, e circondante anche la vicina città.
Una monumentalizzazione del santuario, che ricevette così la sua forma definitiva, con splendidi edifici per la maggior parte in marmo di Tasos, fu iniziata verso la metà del IV sec. a. C. I principali edifici sono: 1) un recinto scoperto (tèmenos) nel centro del santuario, sul luogo in cui prima si riteneva fosse esistito un tempio antico; è preceduto da una terrazza aperta e vi si accede per mezzo di un leggiadro propileo ionico con due ali laterali sporgenti (del 340 circa a. C.). È notevole dal punto di vista architettonico, per i suoi bei capitelli con collarino di palmette e per la sua ricca decorazione consistente in un fregio a rilievo nella parte inferiore del muro, e in un soffitto a cassettoni scolpiti. 2) Il Cortile dell'Altare, costruito sopra ad un altare roccioso arcaico a S della Sala dei Doni Votivi (del 320 a. C. circa) dedicato, secondo quanto si desume dall'iscrizione dedicatoria in parte pervenutaci, o al successore di Alessandro o al contemporaneo dinasta dell'Ellesponto. Si tratta di un recinto non coperto, la cui facciata presenta colonne doriche marmoree e una trabeazione; nell'interno c'è un altare monumentale a cui si accede per mezzo di gradini e che in un certo senso precorre l'altare di Pergamo. 3) Lo Hieròn (prima detto Tempio Nuovo o Tempio Dorico di Marmo), nuova edizione del precedente Epoption, dietro al Cortile dell'Altare e alla Sala dei Doni Votivi (originariamente costruito nel 300 circa a. C.); il portico della facciata presenta 14 colonne doriche disposte in due file, separate da due colonne esterne, in parte risollevate nel 1956, completato dopo la metà del II sec. a. C., con frontone e acroteri scolpiti; larghi rifacimenti successivi, specialmente dell'inizio del III sec. d. C. Questa costruzione ha una pianta del tutto insolita, con un portico pavimentato in marmo, antistante il pronao dal soffitto di marmo scolpito; la cella è divisa in una navata centrale adibita agli atti liturgici e strette navate laterali con banchi per la comunità; le navate terminano in un'abside che, dal punto di vista architettonico, rappresenta un legame tra la locale tradizione arcaica e l'architettura religiosa dell'Impero Romano e del mondo cristiano. 4) L'Arsinoeion, il più vasto edificio circolare della Grecia antica (misura più di venti metri di diametro), dedicato dalla regina Arsinoe, probabilmente tra il 289 e il 281 a. C., a S dell'Anaktoron. Massicce pareti di marmo ornate da fregi sostengono una galleria superiore; sopra è una trabeazione dorica (di proporzioni adeguate però alla intera altezza della costruzione) con un ordine corinzio a rilievo nella parte interna e parapetti scolpiti con decorazioni a bucrani e patere. Il tetto piramidale, con tegole squarnate di terracotta, era sormontato da un camino aperto di marmo, con decorazioni a foglia di lauro, che serviva a far uscire il fumo dei sacrifici che si compivano nell'interno. 5) Il Ptolemaion, stando all'iscrizione dedicatoria rimastaci, di Tolomeo II, costruito tra il 280 e il 264 a. C. E un pròpylon monumentale di marmo con sei colonne ioniche su ognuna delle facciate e una trabeazione che si distingue per un bel fregio di bucrani e rosette alternate; esso costituì un nuovo accesso diretto al santuario, a breve distanza dalla città, le cui mura di cinta furono ornate allora di una nuova porta monumentale, e restaurate probabilmente nello stesso periodo. Questo pròpylon, costruito sul pendio orientale di una ripida voragine che separa il santuario dai territori a S della città, conduceva a un ponte di legno largo 12 m poggiante su piloni di pietra. Si tratta di un'audace opera di ingegneria, che è interessante anche per una galleria con vòlta a botte costruita obliquamente attraverso le sue fondamenta con funzione di canale di scolo delle acque in caso di alluvione. 6) Un edificio dedicato da una donna milesia nella seconda metà del III sec. a. C. (secondo la scoperta di M. Salviati; prima veniva erroneamente chiamato Tempio Ionico o Tempio dei Cabiri), sull'altura di fronte all'Anaktoron, a O e al di fuori dell'area dell'antico santuario. 7) Una lunga stoà (a due piani?) eretta come riparo per i visitatori sulla collina occidentale, a N dell'edificio precedente, probabilmente intorno al 200 a. C.; era costruita in pietra calcarea, con sima di terracotta e, sul davanti, una terrazza con doni votivi. Questa costruzione dava un inquadramento monumentale a tutto il santuario. 8) Un teatro, sotto l'estremità meridionale della stoà, con gradini di pietra calcarea bianca e porfido rosso locale; costruito probabilmente nello stesso periodo, sfruttava la facciata del Cortile dell'Altare come fondale di scena, con un rapporto simile a quello che intercorre tra il teatro e il Thersilion a Megalopolis. 9) Una monumentale fontana circolare architettonica all'estremità meridionale del santuario, al di sopra della cavea del teatro, su cui dominava la Nike di Samotracia. 10) Muri di cemento che servivano come argini per le rive del fiume tra il santuario antico, e le strutture medio-ellenistiche ad O dello stesso, e davano al fiume un corso sotterraneo (I sec. a. C.). Nonostante la fama e la popolarità del santuario nel periodo imperiale, in quell'epoca furono eseguiti solo restauri di poca importanza, così che rimase quasi intatto l'aspetto architettonico di un passato consacrato.
II. - Scultura. - In S. troviamo solo pochi frammenti dell'epoca arcaica. Essi comprendono: una testa ionica in terracotta, di insolita bellezza, che risale alla prima metà del VI sec. a. C.; un bassorilievo architettonico di marmo dell'isola, che ora si trova al Louvre (e che, secondo la tradizione, d'altronde confermata dall'alfabeto dell'iscrizione, proviene appunto da S.) ci mostra Agamennone e altri eroi (negli Inferi?) eseguiti con uno stile ionico-provinciale della metà circa del VI sec. a. C. (vol. III, fig. 431). Degli inizî del periodo classico ci sono pervenuti una statua femminile e un busto (di Tiresia?) in marmo di Thasos, sempre di stile ionico (resti di un gruppo frontonale di una nèkyia?). Del IV sec. a. C. è invece una delle prime opere importanti della scultura arcaica, un fregio con fanciulle danzanti e musici, che ornava il pròpylon del tèmenos, e una testa sfigurata di donna, in marmo, di stile scopadeo; quest'ultimo particolare assume una certa importanza quando si consideri la notizia di Plinio di un gruppo di Afrodite e Pothos, di Skopas, che si trovava in S. (Nat. hist., xxxvi, 25). Rimangono inoltre (Vienna e S.) lastre dei cassettoni provenienti dal soffitto del pròpylon, con busti di dèi.
La più nota delle sculture di S., la Nike del Louvre, (v. volume v, fig. 604), può essere assegnata al 200 circa a. C., secondo quanto è stato scoperto nei recenti scavi. La colossale figura, in marmo di Paro, stante su una prua di nave, ch'era invece in marmo di Rodi, fu rinvenuta nel 1863. Questo monumento stava, come ora è evidente, all'aperto, nella parte di fondo di un recinto a ferro di cavallo in un basso bacino d'acqua alimentato da un acquedotto. Davanti alla nave, ch'era sistemata obliquamente, c'era un altro bacino più basso, da cui emergevano scogli naturali, e che rifletteva l'immagine della nave. La figura teneva una mano levata (ora al Louvre), ma non reggeva alcun attributo. Questa fontana a forma di nave con l'impostazione in parte architettonica e in parte naturale, è il primo esempio di una vasta serie di monumenti che culminerà nella Roma barocca. La Nike, che può essere considerata il più grande capolavoro della statuaria ellenistica a noi pervenuto, si ricollega, come molti critici moderni hanno osservato, al dinamismo "barocco" dell'altare di Pergamo. Una firma frammentaria di un rodio ha sollevato la questione sull'identità dell'artista, ma le lettere a cui ci si riferisce sono troppo piccole per poter appartenere alla colossale statua, per cui si può affermare che tanto l'artista quanto la relazione tra questo monumento e gli eventi storici del tempo (200 circa a. C.) ci sono del tutto sconosciuti. Chiunque ne sia stato l'autore però, il materiale usato per la nave ci indica che doveva appartenere alla scuola rodia.
Del seguente periodo ellenistico, in S. rimane un unico complesso di sculture architettoniche in marmo provenienti dal pronao, dal frontone anteriore e dal tetto dello Hieron (150-130 circa a. C.). Il soffitto del pronao comprendeva, a quanto pare, vasti altorilievi con centauri eseguiti in un vigoroso stile "barocco" (ai quali allude probabilmente Callistrato, De statuis, 12; uno fu ricostruito con i frammenti rimasti ed è a Vienna, mentre altri frammenti si trovano a Vienna, e altri in Samotracia). Il gruppo del frontone anteriore (per la maggior parte a Vienna, alcuni frammenti in S.), che sembra rappresenti l'inseguimento di una donna (hierogamìa?), tra divinità o personificazioni sedute o appoggiate, segna una rinascita della scultura frontonale nella tarda età ellenistica, mentre la torsione delle figure, il modellato profondo e vibrante dei drappeggi riecheggiano ancora la fase precedente barocca. Una Nike di grandezza naturale, che fungeva da acroterio, l'unica rimasta delle quattro che ornavano i quattro angoli, e scoperta in S. nel 1949, è invece opera di stile "rococò"; aggraziata e un poco manierata, presenta come caratteristica un busto alquanto esile in contrasto con l'abbondante drappeggio della parte inferiore in cui forme di solennità classica sono unite a dinamiche volute ellenistiche. Queste figure si trovavano a fianco di acroterî centrali a carattere floreale, in cui gli steli, i fiori e le foglie eseguiti a traforo partivano da calici di foglie d'acanto mosse dal vento.
Tutte queste sculture, unitamente alle leggiadre decorazioni scolpite del IV sec. a. C. e dell'età ellenistica, e in particolare le sime decorate a viticci con grondaie a testa di leone provenienti dal pròpylon del tèmenos, dallo Hieron e dall'Arsinoeion, i parapetti e i fregi di quest'ultimo e dello Ptolemaion (a Vienna e Istanbul) sono scolpiti in marmo di Thasos, e danno un esempio dell'alto livello raggiunto dall'arte ellenistica in questa regione.
Dopo il 200 d. C. la decorazione acroteriale dello Hieron fu rinnovata, probabilmente in seguito ad un terremoto, e riproduzioni tardo-antiche delle Nìkai ellenistiche e degli acroteri centrali a carattere floreale del frontone postico sono conservate a Vienna.
III. - Arti minori. - I ritrovamenti di più piccola mole provenienti dal santuario e dalle necropoli (soprattutto da due di queste) in S. comprendono oggetti molto disparati che vanno dall'epoca arcaica a quella bizantina.
Le più antiche ceramiche greche trovate in quantità nel santuario sono di eccellente fattura e risalgono al VII sec. a. C.; sono per lo più kàntharoi o tazze a due manici, con delicate decorazioni subgeometriche, che già ci erano noti da alcuni sporadici ritrovamenti a Lesbo e nella Troade e che, evidentemente erano prodotti o sul luogo, o nella città eolia da cui provenivano i coloni samotraci.
Le necropoli ci hanno fornito ceramiche particolarmente abbondanti, alcune forse di produzione locale, ma la maggior parte con evidenti influssi dell'Anatolia ionica; l'importazione attica figura accanto ad esse solo a decorrere dalla metà del VI sec. a. C. Tra gli oggetti rinvenuti nel santuario e risalenti al VI, V e IV sec. a. C., ci sono numerosi vasi rituali, senza decorazioni, verniciati e senza vernice: kỳlikes, tazze con e senza manico, kàntharoi e lampade, tutti particolarmente importanti nel loro insieme per lo studio delle forme, essendo molti di essi datati.
Caratteristico di S. è l'uso di alcuni materiali per gli ornamenti personali, a causa di qualche loro particolarità. Uno di questi materiali è una pietra nera "leggera come il legno" (Plin., Nat. hist., xxxvii, 10, 181); in realtà si tratta di una resina infiammabile, di cui sono stati recentemente trovati alcuni esemplari. Un certo numero di anelli di ferro samotraci (Lucr., vi, 1044-1047; Plin., Nat. hist., xxxiii, 1, 23), evidentemente portati dagli iniziati, e stato rinvenuto in scavi recenti.
La città di S. ha emesso belle monete d'argento in età arcaica (testa di Atena, testa di leone, sfingi, quadrato incuso), di bronzo e di rame dal IV sec. a. C., a tutta l'età ellenistica (diritto: per la maggior parte testa della patrona della città, Atena; rovescio: dea seduta tra leoni, la dea più importante del santuario; testa di ariete; kerykèion; prue di navi, talvolta con guerriero).
Bibl.: I. - Opere generali: E. Ziebarth, in Ath. Mitt., XXXI, 1906, p. 405 ss.; F. Saxl, in Journ. Warburg and Courtauld Inst., IV, 1940-1, p. 32 ss.; K. Lehmann, in Hesperia, XII, 1943, p. 115 ss. (citato in seguito: L). - A. Conze, Reise auf den Inseln des Thrakischen Meeres, Hannover 1860, p. 45 ss.; G. Deville-F. Coquart, in Archives Miss. scient., IV, 1867, p. 253 ss.; A. Conze, Archäologische Untersuchungen in Samothrake, 2 voll., Vienna 1875-80 (citato in seguito: Conze); O. Rubensohn, Die Mysterienheiligtümer in Eleusis und Samothrake, Berlino 1892; C. I. G., XII, 8, Berlino 1909, p. 36 ss. (C. Frederich); F. Chapouthier, Les Dioscures au service d'une déesse, Parigi 11935, p. 162 ss.; H. Thiersch, in Sitz. Ber. Ak. Wien, Phil. Hist. Kl., 212, I, 1930, p. i ss.; K. Lehmann, in Am. Journ. Arch., XLIII, 1939, p. 133 ss. (citato in seguito: L i); ibid., XLIV, 1940,p. 485 ss. (L 2); id., in Archaeology, I, 1948, p. 44 ss.; B. Hemberg, Die Kabiren, Uppsala 1950, p. 49 ss.; K. Lehmann, in Hesperia, XIX, 1950, p. i ss.; (L 3); XX, 1951, p. i ss. (L 4); XXI, 1952, p. 19 ss. (L 5); XXII, 1953, p. 30 ss. (L 6); id., in Archaeology, VI, 1953, p. 30 ss. (L 7); VII, 1954, p. 91 ss.; id., Samothrace, A Guide to the Excavations and the Museum, New York 1955, citato di seguito: S.; Samothrace. Excavations Inst. Fine Arts. Nw York University (ed. K. Lehmann), Londra I: N. Lewis, The Inscriptions on Stone, 1960; II, 2: K. Lehmann, The Inscriptions on Ceramics and minor objects, 1960; IV: K. Lehmann, The Hall of Votive Gifts, 1962. Ceramica preistorica: S., pp. 2, 89. Iscrizioni tracie: K. Lehmann-G. Bonfante, in Hesperia, XXIV, 1955, p. 93 ss.
II. - (Per il valore delle sigle L, S. e Conze, si veda il nr. I): doppio recinto: L 3, p. 9 ss.; L 4, p. 2 ss.; S., p. 52 ss. Sala dei doni votivi: L 6, p. 2 ss.; S., p. 66 ss. Anàktoron: L i, p. 135 ss.; L 2, p. 330 ss.; S., p. 45 ss. - Hieron I e II: L 4, p. 20. - Mura della città: Conze, I; II, passim; H. Seyrig, in Bull. Corr. Hell., LI, 1927, p. 353 ss. Tèmenos: Conze, II, pp. 5 ss.; 21 ss.; L 4, p. 12 ss.; L 5, p. 21 ss.; S., p. 57 ss. - Cortile dell'Altare: L 6, p. 16 ss.; L 7, p. 30 ss.; S., p. 68 ss. - Hieron: Conze, I, p. 9 ss.; 45 ss.; II, p. 25 ss.; A. Schober, in Öst. Jahresh., XXIX, 1935, p. i ss.; L 3, p. 4 ss.; L 4, p. 19 ss.; S., p. 61 ss. - Arsinoèion: Conze, I, p. 65 ss.; 77 ss.; L 2, p. 336 ss.; L 3, p. 7 ss.; L 4, p. 8 ss.; S., p. 49 ss. - Ptolemaion: Conze, I, p. 35 ss.; S., p. 73 ss. - Edificio della Donna Milesia: C.I.G., loc. cit., n. 229. F. Chapouthier, op. cit., p. 164 ss. - Stoà: Conze, I, p. 86 s.; II, p. 47; S., p. 71. - Teatro: F. Chapouthier-A. Salac-F. Salvait, in Bull. Corr. Hell., LXXX, 1956, I, p. 118 ss.; S., p. 71. - Fontana della Nike: Conze, II, p. 52 ss.; H. Thiersch, op. cit.; L 5, p. 20; L. 7, p. 32 s.; S., p. 71 s. - Kabirion: E. O. Berzin, Fouille d'un temple des Kabires à Samothrace, in Sovetskaja Arch. (in russo), 1958, p. 239 ss. - Necropoli: E. B. Dusenbery, A Samothracian Necropolis, in Archaeology, XII, 1959, p. 163 ss.
III. - Testa ionica di terracotta: L 6, tav. 3 a; S., p. 86, fig. 42. Rilievo arcaico nel Louvre: L., p. 130 ss.; J. Bousquet, in Mél. d'arch. et d'hist. Charles Picard, I, 1949, p. 105 ss.; L 4, p. 6. Gruppo frontonale del V sec.: L i, p. 143, fig. 15; L 2, p. 353, fig. 34; L, p. 124 ss.; S., p. 82, fig. 41. Fregio del pròpylon del tèmenos: L, p. i ss., con bibl. precedente; L 4, p. 16 ss.; L 5, p. 24 ss.; S., p. 58 s., fig. 31. - Soffitti a cassettoni del pròpylon: Conze, I, tav. 51; H. Chapouthier, op. cit., p. 177 ss.; L 4, tav. 6 d; S., p. 83. - Testa scopadea: L 3, tav. 12. - Nike: Conze, II, p. 52 ss.; H. Thiersch, op. cit., p. 21 ss.; id., in Nachrichten Ges. d. Wiss Göttingen, I, 1931, p. 357 ss., con bibl.; J. Charbonneaux, in Hesperia, XXI, 1952, p. 44 ss. Hieron, soffitto del pronao: Conze, I, p. 52; L 6, tav. 6 a-b. - Gruppo frontonale: Conze, II, tav. 35 ss.; A. Schober, op. cit.; L 4, tav. 13 e 14 a; G. Kleiner, Tanagrafiguren, Berlino 1942, p. 153 ss.; Ph. Williams Lehmann, The Pedimentel Sculptures of the Hieron in Samothrace, New York 1962. - Acroterî con Nike: L 4, p. 25 ss.; S., p. 88, fig. 43. - Acroterio centrale: S., p. 38, fig. 79. - Parti di restauro romano: Conze, II, tavv. 46, 48; A. Schober, op. cit., tav. 2 s.; L. 4, p. 26. - Ornamenti architettonici e sime: Conze, I-II, passim; M. Schede, Antikes Traufleisten-Ornament, Strasburgo 1909, p. 83 ss.; L 1-7, passim; J. Frel, Listy filolozicke, LXXIV, Praga 1950, p. 65 ss.
IV. - Arti minori: Conze, I-II, passim; L 1-7, passim; S., passim. Ceramica subgeometrica: L 5, tav. 9-10; S., p. 90 s., fig. 44-5. - Necropoli: L i, p. 141 ss.; S., passim. - Anelli di ferro: S., p. 22, fig. 8. - Monete: W. Schwabacher, in Transactions Int. Numism. Congress, Londra 1936, p. 109 ss.; N. B. Phardys, in Journal Int. d'arch. numism., I, 1897, p. 253 ss.; B. Hemberg, op. cit., p. 57.