LUZZATTO, Samuel David (acronimo ebraico ShaDaL)
Nacque a Trieste il 22 ag. 1800 da Ezechia e Miriam Regina Lolli Cormons. Figlio di un modesto artigiano (il padre era emigrato a Trieste dopo la cacciata degli ebrei da San Daniele del Friuli nel 1777), il L. fu sostanzialmente un autodidatta, condotto dalle sue precoci capacità linguistiche a scrivere i primi versi in ebraico a soli nove anni. Dopo la prematura morte della madre lavorò per alcuni anni come precettore, intessendo stretti rapporti scientifici e umani con i goriziani Isacco Samuele Reggio (fra i più importanti intellettuali ebrei italiani, precursore della "Wissenschaft des Judentums", la Scienza del giudaismo) e Samuele Vita Lolli.
Negli anni di formazione il L. mostrò particolare predilezione per gli studi linguistici, e identificò nella poesia ebraica il terreno principale nel quale esercitare il proprio talento. Già nel 1819 pubblicò a Vienna una breve raccolta di testi poetici (Kinnòr na'ìm), inserendosi giovanissimo in quella corrente di pensiero ebraico moderno, la Haskalàh (Illuminismo ebraico), che aveva fatto della riscoperta e della modernizzazione della lingua ebraica uno dei principali strumenti della riorganizzazione culturale nell'età dell'emancipazione.
Nel ricco epistolario (in gran parte edito nell'ultimo trentennio del secolo XIX) si rinvengono, tuttavia, anche un accentuato interesse del giovane L. per la condizione degli ebrei nella società moderna e una già spiccata tendenza alla difesa argomentata delle millenarie tradizioni dell'ebraismo a fronte delle tendenze riformatrici e modernizzatrici.
È del 1821 la sua traduzione in italiano del testo di orazioni quotidiane di rito tedesco, nella cui prefazione (firmata da Abraham Eliezer Levi, ma redatta dallo stesso L.) si ribadiva - in contrasto con una sovrana risoluzione imperiale del 1820 - che la lingua del culto per gli ebrei doveva essere l'ebraico: "E qui è da osservare che all'epoca in cui questo formulario [(] venne istituito, l'ebraica lingua comune più non era presso il basso popolo e fu allora appunto che [(] lo fissarono in Ebraico, [(] prova parlante di quanto gradita all'Altissimo, e quanto doverosa cosa essi credettero, il tributargli le preci nella lingua medesima, in cui egli stesso ai santi suoi Profeti parlò".
Nel 1827 - a fronte di una vita professionale incerta - il L. venne indicato da I.S. Reggio come docente presso il nascente collegio rabbinico di Padova, dove prese servizio nel 1829 contribuendo - con l'insegnamento di storia, filosofia e letteratura ebraica - alla formazione di oltre quaranta rabbini.
Sposato in prime nozze a Trieste con Bella Segrè, ebbe da lei tre figli: Filosseno, Regina e Isaia. Il primo, scomparso prematuramente, fu una promessa dell'orientalistica italiana e collaborò a Parigi con Salomon Munk alla traduzione dall'arabo della Guida dei perplessi di Mosè Maimonide. Isaia, notaio, fu il principale curatore dell'eredità di pubblicazioni, articoli e lettere del padre. Accudito dalla seconda moglie, Elena Segrè, sorella di Bella, che gli diede altri quattro figli (Benedetto, Marianna, Giuseppe e Beniamino), il L. non lasciò mai Padova, dove insegnò fino alla morte affidando la sua vita scientifica a un'intensissima attività epistolare che gli consentì di stringere contatti con la maggior parte degli ebraisti italiani ed europei, fino a divenire un punto di riferimento del movimento della Scienza del giudaismo.
I suoi epistolari contengono migliaia di lettere (alcune ancora oggi inedite) in ebraico, italiano, francese, latino e tedesco, in cui, dialogando con personalità assolute della cultura ebraica, da Leopold Zunz ad Abraham Geiger, da Solomon Rapoport a Moritz Steinschneider, il L. redasse dissertazioni storiche, filologiche o filosofiche che, in seguito, meritarono l'onore della pubblicazione.
Approdato all'insegnamento a Padova, il L. dovette fare i conti con la novità dell'esperimento didattico, che imponeva la realizzazione ex novo di testi di studio adatti agli studenti e corrispondenti agli indirizzi scelti dalla dirigenza del collegio in materia di impostazione degli studi e organizzazione della carriera rabbinica. Era volontà dell'amministrazione dello Stato che ai giovani aspiranti rabbini venisse impartita una solida e omogenea formazione teologico-filosofica, accompagnata da un'istruzione superiore in materie umanistiche, per far sì che avessero gli strumenti necessari ad affrontare le questioni proprie dell'età contemporanea senza per questo dover rinunciare al dettato della tradizione ebraica. La capacità di predicare seguendo canoni ben precisi doveva essere affiancata all'abilità di operare come pastore d'anime.
I testi che il L. preparò per fornire le basi teoriche al suo insegnamento furono le Lezioni di teologia morale israelitica (Trieste 1863), in cui cercò di delineare i punti essenziali che avrebbero dovuto reggere il complesso della religione ebraica dopo l'uscita dai ghetti, nonché le Lezioni di teologia dogmatica israelitica (ibid. 1864). La sua analisi si basava sulla riproposizione dei valori dell'ebraismo e delle sue leggi, viste come espressione di un complesso di norme morali valide universalmente. Veniva rigettata l'idea di una necessaria "rigenerazione" dell'ebraismo quale era proposta in quegli anni da non pochi commentatori, e nel medesimo tempo si sanciva la compatibilità dell'insegnamento ebraico con i canoni morali che andavano regolando il mondo moderno.
Il L. identificava le "verità dogmatiche" dell'ebraismo in alcuni concetti fondamentali: l'esistenza di Dio, provata dalla perfezione del creato, opera di una superiore intelligenza; l'unità e unicità di Dio; la sua onnipotenza; la veridicità dei miracoli e della rivelazione, attraverso la quale Dio comanda agli uomini l'attuazione di alcuni precetti pratici e alcuni dogmi adeguati alla capacità limitata dell'uomo per educarlo alla felicità e all'amore. Derivavano da questi elementi basilari i dogmi insegnati dalla "religione israelitica", che il L. sintetizzava con la giustizia di Dio, il patto perenne fra Dio e il popolo ebraico, l'immortalità dell'anima e la resurrezione dei morti. Particolare valore veniva attribuito all'analisi degli insegnamenti morali dell'ebraismo, che assumevano nell'Ottocento un rilevante significato sul piano sociale e che dovevano fornire risposte alla possibilità per gli ebrei di vivere liberamente nella nuova società borghese. Il L. sentiva la necessità di indicare ai propri allievi i luoghi essenziali che caratterizzavano a suo giudizio la "morale israelitica", per fornire strumenti polemici coi quali difendersi dagli attacchi cui gli ebrei erano costantemente sottoposti. Egli poneva così l'accento sugli insegnamenti relativi alla convivenza sociale, al rapporto col prossimo, con il non ebreo, mettendo particolarmente in luce le norme di tolleranza e di moderazione e insistendo specialmente sulle regole del retto commercio.
Il suo ruolo di insegnante lo indusse a produrre nuovi e adeguati testi attinenti alla storia e alla struttura della lingua ebraica e delle lingue semitiche per fornire agli studenti quegli strumenti scientifici necessari a un approccio moderno e razionale all'analisi della letteratura rabbinica e delle fonti della tradizione ebraica. I Prolegomeni ad una grammatica ragionata della lingua ebraica (Padova 1836); la Grammatica della lingua ebraica (ibid. 1853-69); gli Elementi grammaticali del caldeo biblico e del dialetto talmudico babilonese (ibid. 1865) furono fra i lavori che maggiormente contribuirono a rendere la figura del L. rilevante in ambito europeo.
Ancora maggiore importanza, nel lavoro di studio e di elaborazione scientifica impostato dal L., riveste il percorso di riscoperta e critica delle fonti di letteratura ebraica postbiblica, che lo portò a un intenso confronto con i più alti esponenti della cultura ebraica europea e a un ininterrotto rapporto con alcuni fra i più importanti collezionisti di libri ebraici antichi.
Sul piano teoretico, il L. contrastò con aspri accenti polemici - sia nella corrispondenza, sia in opere e articoli espressamente dedicati - da un lato la filosofia maimonidea, accusata di aver inquinato con elementi di aristotelismo gli insegnamenti della tradizione ebraica, dall'altro le correnti mistiche, il cui lavoro avrebbe minato a suo giudizio l'idea di una generale uguaglianza fra gli uomini e una loro tollerante convivenza. La critica al misticismo era, di fatto, fortemente influenzata dall'immagine negativa che si percepiva in Occidente dei movimenti chassidici sorti nel corso del secolo precedente in Europa orientale. Ne derivò un'opposizione che poté a volte apparire preconcetta e che condusse negli anni successivi a una polemica teologica e dottrinale di alto livello con il più importante fra gli esponenti della tradizione mistica in Italia, il livornese Elia Benamozegh. Dopo la pubblicazione del Vikku'ah al hokhmat ha-Kabbalah (Dibattito sulla saggezza della Kabbalah, Gorizia 1852), in cui il L. metteva in seria discussione l'antichità e l'autorità dello Zohar (la principale opera della mistica ebraica), si aprì una lunga polemica culminata con la pubblicazione, da parte di Benamozegh, di un pamphlet polemico, Ta(am le-Shad (Livorno 1863), dedicato al Luzzatto.
La polemica, ampiamente studiata e commentata, si incentrò sostanzialmente sul valore da assegnare alla tradizione mistica della kabbalàh nell'ambito del complesso teologico-religioso dell'ebraismo. Non si trattava di un contrasto peculiare italiano: da tempo l'Europa era attraversata da una contrapposizione a tratti assai dura fra i seguaci della mistica e i rappresentanti della nuova Scienza del giudaismo. "I grandi dotti ebrei dei secoli scorsi - osserva G. Scholem, il maggiore fra gli studiosi della mistica ebraica - uomini come Graetz, Zunz, Geiger, Luzzatto, Steinschneider ebbero, a dirla molto blandamente, poca simpatia per la Kabbalah. Ignorata e respinta al tempo stesso, pareva che essa comprendesse in sé tutto ciò che contraddiceva le loro idee e quel modo di vedere che essi speravano di far dominare nell'ebraismo moderno" (Le grandi correnti della mistica ebraica, Torino 1993, p. 15). Il dibattito, in cui furono coinvolti anche allievi dei due maestri che duellarono sulle pagine dell'Educatore israelita e del Corriere israelitico, si andò progressivamente stemperando dopo la morte del Luzzatto.
L'insegnamento presso il collegio rabbinico di Padova fu di gran lunga l'attività che tenne maggiormente impegnato il L.: l'istituto funzionò fra costanti difficoltà finanziarie, ma con una certa regolarità, per più di quarant'anni, e, almeno fino alla metà degli anni Cinquanta, dominò con la sua impostazione scientifica il mondo della cultura ebraica italiana. Alla funzione formativa di nuove leve di rabbini e studiosi si affiancò spesso quella di riferimento superiore per arbitrati di natura ritualistica e tradizionale. Inoltre il L. e il suo collega Lelio Della Torre, insieme con i loro allievi, furono i principali animatori della produzione di testi educativi, storici, poetici e filosofici dell'ebraismo italiano nell'Ottocento.
Per dare solo un'idea del peso assunto dall'istituto nella vita degli ebrei italiani è utile ricordare alcuni fra i nomi più significativi di rabbini che frequentarono il collegio di Padova, da Lelio Cantoni da Gazzolo, laureato nel 1833, guida spirituale e politica delle comunità del Piemonte dal 1834 al 1857, ad Abraham Lattes da Savigliano, che nel suo ruolo di rabbino di Venezia collaborò apertamente con la Repubblica di D. Manin; quindi Marco Mortara di Viadana, rabbino in Mantova e ideale continuatore della tradizione della Wissenschaft in Italia, e Mosè Levi Ehrenreich da Brody in Galizia, di tendenze riformatrici, che fu rabbino a Modena e Casale Monferrato, e resse negli anni Ottanta la cattedra rabbinica di Roma tentando di riorganizzare il collegio rabbinico italiano nella capitale. Per non limitarsi all'Italia, sono da ricordare le figure di Lazzaro Elia Igel da Leopoli, che resse il rabbinato della Bucovina insediandosi a Czernowitz, nonché Pacifico Modena, che andò a dirigere la comunità di Alessandria d'Egitto, primo segno di una presenza costante italiana nelle comunità ebraiche mediterranee, e di importanza fondamentale per una comprensione complessiva delle dinamiche storiche dell'ebraismo italiano.
La posizione del L. nell'ambito della corrente innovativa della Scienza del giudaismo rifletteva i canoni che a metà Ottocento furono additati dal fondatore del seminario teologico ebraico di Breslavia, Zecharia Frankel: fedeltà alla tradizione ortodossa, unita a una rigorosa critica filologica dei testi della tradizione scritta e orale. Il L. e i suoi colleghi, soprattutto tedeschi, erano impegnati in un intenso lavoro di recupero e analisi delle modifiche apportate ai testi tradizionali nei secoli successivi alla loro codificazione scritta.
Era inevitabile che questo tipo di ricerca portasse gli studiosi stessi a interrogarsi su quanto della tradizione ebraica dovesse essere ritenuto ineliminabile, giacché originale e parte dei fondamenti dell'ebraismo, e quanto invece si potesse considerare aggiunta successiva e inquinamento estraneo alla tradizione stessa. Il dibattito si spostava così spesso e volentieri sul valore e sugli effetti del movimento di riforma ebraica che proprio a partire dagli anni Venti, ma soprattutto dagli anni Quaranta in poi aveva iniziato a prendere piede in area tedesca. Il L. fu sempre assai fermo nel suo rifiuto di ogni tentazione di riforma religiosa, e tuttavia non mancò di dialogare anche in forma piuttosto rude con i protagonisti di questa svolta epocale nella storia dell'ebraismo moderno: spunti fecondi di tale dibattito si ritrovano nella sua ricca corrispondenza con Abraham Geiger (docente al seminario di Breslavia), Osias Hirsch Schorr (studioso ed editore di Brody, leader della Haskalàh galiziana, con il quale il L. ruppe ogni rapporto a causa delle sue posizioni troppo radicali in materia di riforma), Moisè Soave, studioso veneziano particolarmente vicino al L. e autore di un pamphlet favorevole alla riforma in Italia (L'israelitismo moderno, Venezia 1865).
Costante nell'opera del L. fu la passione per la poesia ebraica, sia nella forma tradizionale di componimento etico religioso, sia nella forma di strumento moderno per l'apprendimento e l'utilizzo corretto della lingua ebraica. Scritti in forma autonoma, racchiusi in appositi quadernetti o inclusi in lettere, sono presenti nel suo archivio centinaia di componimenti poetici nelle più varie forme metriche, in ebraico (v., in particolare, la raccolta postuma Poesie ed epitaffi, Padova 1879), come in italiano, e riguardanti i più svariati argomenti. Molti fra questi componimenti sono ancora inediti: dalle poesie per le nozze di amici o parenti alle odi in onore del monarca, dagli scherzi agli indovinelli in rima alle traduzioni in ebraico di poesie di Dante o Petrarca: una passione che condusse il L. a riscoprire e curare criticamente alcune opere poetiche medievali fra cui spiccano le pionieristiche edizioni di Jehudah Halevi (Betulat bat Yehudah, Praga 1840; Diwan, Lyck 1864) e una postuma raccolta antologica di poesia ebraica medievale (Tal Oroth, Przemyśl 1881).
Fra le sue opere a stampa di maggior rilievo spiccano il commento ebraico al Pentateuco e alle Haftaròth, scritto in collaborazione con alcuni suoi allievi ed edito post mortem (Padova 1871-76), il commento e traduzione di Isaia (ibid. 1855) e altri commenti sui libri di Geremia, Ezechiele, Giobbe e sui Proverbi (tutti postumi). Dai suoi studi di argomento biblico, oltre che in svariate lettere, emerge una visione dell'ebraismo legata alla tradizione e in particolare a Rashi. La fedeltà alla tradizione, pur continuamente ribadita, non impedì tuttavia al L. di allontanarsi a volte dall'esatta versione di brani della Masoràh o del Talmud che egli riteneva inesatti dal punto di vista linguistico.
Il L. morì a Padova il 29 sett. 1865.
Fonti e Bibl.: Autobiografia di S.D. Luzzatto preceduta da alcune notizie storico-letterarie sulla famiglia Luzzatto a datare dal secolo decimosesto(, Padova 1878; I. Luzzatto, Catalogo ragionato degli scritti sparsi di S.D. L. con riferimenti agli altri suoi scritti editi e inediti, Padova 1881; S.D. Luzzatto, Epistolario italiano, francese, latino pubblicato dai suoi figli, Padova 1890; M. Harris, The theologico-historical thinking of S.D. L., in The Jewish Quarterly Review, LII (1962), 3, pp. 216-244; S.D. L.: 1800-1865. Exhibition on the occasion of the 100th anniversary of his death, a cura di B. Yaron, Jerusalem 1966; Nel primo centenario della scomparsa di S.D. L., in Rass. mensile di Israel, XXXII (1966), 9-10 (fascicolo dedicato al L.); M. Del Bianco Cotrozzi, Il collegio rabbinico di Padova: un'istituzione religiosa dell'ebraismo sulla via dell'emancipazione (con App. documentaria), Firenze 1995, ad ind.; S.D. L.: the bi-centennial of his birth, a cura di R. Bonfil - I. Gottlieb - H. Kasher, Jerusalem 2004.