JOHNSON, Samuel
Letterato ed erudito inglese, nato a Lichfield l'8 settembre 1709. Dal padre, un libraio di cultura non spregevole, e dai suoi libri apprende ad amare le lettere; s'immerge negli eruditi in-folio inglesi e latini, e quando si presenta all'università di Oxford (1728), stupisce il suo professore con una citazione di Macrobio. Già lo domina la malinconia religiosa; è stanco della vita, ma teme la morte; da vecchio, sarà ossessionato dal timore che la morte lo coglierà con l'animo impreparato a Dio. Studente povero ma superbo, rifiuta i sussidî delle persone caritatevoli; alfine lascia l'università senza una laurea (1731). Nel medesimo anno muore suo padre, e comincia la lotta con la miseria: diventa assistente in una scuola, poi cerca di metterne su una di suo, ma non ha che tre scolari: uno è l'attore Garrick: di lì nasce la loro amicizia. Frattanto ha sposato (1735) una vedova, vanesia, di età doppia della sua, cinquantenne, e madre di figli coetanei del novello sposo; ma J. la idolatra (era povera anche lei), e la rimpiangerà sempre dopo la sua morte (1752). Nel 1738 va a Londra, con pochi soldi e il manoscritto di una tragedia (Irene). È il periodo della Grub Street, la bohème letteraria del Settecento. J. se ne libera dopo fatiche e lotte durate un trentennio, in cui aveva dovuto prestarsi ai più disparati sfacchinaggi, compilando resoconti parlamentari (1740-44), biografie (una di Fra Paolo Sarpi, 1738), periodici (scritti quasi interamente da lui: The Rambler, 1750-52, The Idler, 1758-60), edizioni, per non dire delle prefazioni, dediche, ecc., che scriveva per altri; ma anche nella più cupa penuria tiene la testa alta, pronto a bastonare un editore che gli manchi di rispetto. Nel 1762 infine, una pensione governativa gli toglie ogni preoccupazione economica (ed egli si sentirà in dovere di scrivere, a pro' del governo, quattro opuscoli politici, 1770-75: tra cui Taxation no Tyranny, 1775, contro le colonie americane); ma l'acerbità della lunga lotta con la miseria (nel 1759 aveva dovuto scrivere un romanzo, Rasselas, in una settimana, per pagare le esequie della madre) hanno inasprito il suo spirito, assuefacendolo a quel modo di parlare brusco e aggressivo che gli è caratteristico.
Per combattere i francesismi e conservare la purità della lingua, fissandone una volta per sempre l'uso e la pronuncia (a lavoro finito si accorse che questo scopo era irrealizzabile, dato il perpetuo divenire del linguaggio), aveva cominciato nel 1747 il suo grande Dizionario della lingua inglese, condotto a termine (aiutato soltanto da qualche amanuense) nel 1755. Quello che in Francia e in Italia era stato intrapreso da intere accademie, veniva compiuto in Inghilterra da un uomo solo, povero, senza appoggi: giacché lord Lhesterfield, a cui J. si era rivolto da principio, presto si seccò del malvestito pedante: e quando, terminata l'opera, ne capì l'importanza e cercò di lusingarne l'autore, questi gli rispose con una lettera che è il più celebre rabbuffo del tagliente Johnson. Intorno al quale si formerà presto (1764) un club: sono suoi amici Gibbon, Goldsmith, Garrick, il pittore Reynolds, lo statista Burke, l'indianista Jones, il Baretti, che poi in Italia bandirà il verbo del "grande Samuello Johnson"; Burke, oratore impareggiabile, taceva per lasciar primeggiare J.; Boswell, scrittore ambizioso, futuro biografo del J., non ha altra aspirazione che di registrare ogni sentenza, ogni bravura dialettica, ogni risposta schiacciante con cui il J. atterra l'avversario. È vero che talvolta egli sembra discutere per puro spirito di contraddizione, e il dialogo non è più un contrasto d'idee ma un gioco di botta e risposta che rasenta la commedia. Gli episodî più celebri sono il primo incontro con Boswell, la polemica scritta con Macpherson (1763), l'incontro col re (1767), il viaggio alle isole Ebridi (1773), l'amicizia, e poi la rottura, con Mrs. Thrale, ecc.
Il 13 dicembre 1784 J. morì a Londra. Le università di Dublino e Dxford gli avevano conferito il dottorato ad honorem.
Nel 1738 J. compose un poemetto, London, imitazione della 3ª satira di Giovenale. Pubblicato nello stesso giorno della satira del Pope "1738", il libro dell'oscuro poeta ebbe maggior successo dell'opera del vate illustre. Non per originalità, ma per aver usato il medesimo stile e il medesimo metro ancor più classicamente del maestro; con in più una vena di melanconia caratteristica. Questa è ancor più evidente nell'altro poemetto On the Vanity of human Wishes (1759), imitato dalla 10° satira di Giovenale, e nel Rasselas, che merita di essere annoverato tra le opere classiche del pessimismo: a dimostrare la vanità dei desiderî umani sono chiamate in causa perfino le piramidi d'Egitto, che si rivelano, in grazia di un sottile ragionamento degno di Schopenhauer, "un monumento all'insufficienza degli umani godimenti" (cap. XXXII). La sua pubblicazione coincide con quell'altra e ben diversa polemica contro l'ottimismo che è il Candide di Voltaire (anch'esso 1759). Dissertazioni etico-morali, se non addirittura sermoni, - appena mascherati da quell'urbanità, necessaria a chi professava di seguire il modello dello Spectator, - sono gli essays del Rambler e dell'Idler. Tutto in essi è reso solenne e aulico dallo stile ponderoso, a clausole contrapposte, irto di latinismi, che lo hanno fatto proverbiale. Egli reagiva deliberatamente ai prosatori troppo familiari, infranciosati, del suo tempo, e si rifaceva alla tradizione di Browne e di Hooker, sviluppando particolarmente le antitesi e le contrapposizioni.
Si è già accennato al grande Dizionario del J.: la novità di questa opera consisteva nell'avere accompagnato ogni definizione con esempî e citazioni. Gli autori citati vanno dal rinascimento elisabettiano ai contemporanei, e presentano un primo corpus sistematico dell'uso letterario. Il merito grande del dizionario, per cui anche oggi è insuperato, sta nelle definizioni. J. sa definire con tanta precisione e completezza, che anche i più moderni dizionarî scientifici non possono che ripeterlo, e distingue acutamente le varie sfumature d'un vocabolo, fino a dare cinquanta suddivisioni a parole come "andare" e "venire", apparentemente semplici ma ricche di costrutti e frasi idiomatiche. È un dizionario personalissimo: tutto definizioni ed esempî (le etimologie sono d'accatto e rudimentali), reca l'impronta di J., lo stilista, il critico, e perfino l'uomo di parte: davanti a certi vocaboli politici J. non resiste alla tentazione di dare una scudisciata agli odiati whigs o "patrioti"; in compenso la voce "lessicografo" porta l'auto-definizione "uno sgobbone inoffensivo".
L'attività critica del J. si è svolta soprattutto in articoli e prefazioni: in specie, quella per la sua edizione di Shakespeare (1765), e le Vite premesse a una raccolta di poeti del 1600-1700 che veniva pubblicata da un gruppo di editori (1779-81); a essi si deve se la penna di J. si esercitò su una cinquantina d'autori di cui oggi più della metà sono seppelliti nell'oblio più profondo. I principî di J. sono, come il suo stile poetico, la cristallizzazione del classicismo inglese del '700. Materia della poesia è il genere, non l'individuo; il poeta non deve "contare le screziature del tulipano". Scopo dell'arte è l'istruzione attraverso il diletto. Per il moralista J., l'elemento etico-pedagogico è così importante che a esso si possono anche sacrificare le regole. Onde la sua difesa di Shakespeare contro i sostenitori delle unità drammatiche: anche esse vanno sacrificate alle superiori bellezze della varietà e dell'istruzione". Egli le combatte in nome del buon senso: è assurdo sostenere che lo spettatore presti tanta fede nello spettacolo da non poter ammettere mutamenti di scena e intervalli lunghi di tempo da un atto all'altro. Questo suo onesto buon senso, questo sano empirismo britannico si rivelano anche in alcune acute osservazioni particolari, sparse nel commento a Shakespeare. Ma se abbatte un limite, egli non vede quello che c'è oltre; il concetto romantico della poesia, che veniva allora lentamente elaborandosi, gli ripugna fortemente: Gray gli è ostico; contro Milton ha, per giunta, una prevenzione politica. Gli elogi a Pope e a Dryden sono quelli d'un poeta della medesima scuola. L'analisi più feconda è quella della poesia secentistica, detta da lui "metafisica", che anche oggi serve come base di discussione. La critica delle unità ha avuto efficacia storica: non solo arma Baretti contro Voltaire, ma anche Stendhal contro i classicisti. Pregio principale delle Vite è lo stile, più rapido e incisivo degli essays anteriori.
La figura di questo scrittore inglese del Settecento, che nei suoi ultimi anni dominò la vita letteraria londinese come un dittatore, sentenziando inappellabilmente in materia di letteratura e di lingua, vive ancora oggi nella mente d'ogni inglese colto, non tanto per le sue opere o per le sue idee, quanto per il suo carattere e per la sua conversazione. Ciò è avvenuto in grazia della biografia di J. Boswell, e il ritratto tracciato in essa con tanta ricchezza di particolari e finezza d'arte interessa oggi assai più che non le massicce opere di questa singolare figura. La sua vitalità è tale che i suoi atteggiamenti e i suoi pregiudizî (sempre attraverso la descrizione di Boswell) avevano il potere di suscitare antagonismo postumo in uomini come il Macaulay e il Taine. Rozzo nei modi e nel vestire - anche all'apogeo della sua fama - quest'uomo dalla struttura taurina, dal volto butterato, dal parruccone scomposto, soggetto a tic nervosi e accessi di melanconia e di astrazione, grossolano nel mangiare, di scarsa pulizia, pigro e lento, dominava col vigore della sua conversazione la più brillante società intellettuale dell'epoca. Anima profondamente attaccata alla fede, provata dalla più dura miseria, egli era veramente caritatevole: soleva tenere con sé un vecchio medico ciarlatano e quattro povere donne, creature misere e di cattivo carattere, che egli nutriva e che lo ricambiavano con insolenze. I suoi stessi pregiudizî hanno un fondo generoso. Pur devoto all'autorità politica ed ecclesiastica, egli è uno spirito radicalmente indipendente, il cui atteggiamento risoluto verso l'arbiter elegantiarum lord Chesterfield dà un colpo mortale alla tradizione umanistica del letterato cliente e adulatore dei grandi. Carlyle, che simpatizzava profondamente con il suo alto sentire etico e il suo infaticabile lottare, definì il J. "l'eroe come uomo di lettere".
Ediz.: Non esistono raccolte complete posteriori a quella di Oxford, 1825, voll. 11. L'ultima edizione del dizionario riveduta dall'autore fu la 4ª, 1773; ed. R.G. Latham, 1866-70. Ed. critiche moderne: a cura di G.B. Hill, The Lives of the English Poets, voll. 3, Oxford 1905; a cura di R.W. Chapman, Rasselas, ivi 1927; Journey to the Western Islands (con il Journal di Boswell), ivi 1924, e un'antologia Prose and Poetry, ivi 1922. Le poesie furono pubblicate con quelle di W. Collins e altri, Londra, Muses' Library, s. a.; London e The Vanity of human Wishes, ed. con un saggio introduttivo da T.S. Eliot, Londra 1930. I giudizî critici vennero raccolti e ordinati da J.E. Bronn, The critical Opinions of S.J., voll. 2, Princeton 1926; quelli su Shakespeare già da W. Raleigh, Oxford 1908. Un fairy tale (The Fountain) e le Prayers and Meditations furono stampate nel 1927 (Londra e Lichfield, rispettivamente). Nuove lettere inedite sono state pubblicate da J.M. Wright, Manchester 1932.
Bibl.: Una bibliografia su J. è quella di W. P. Courtney, A Bibliography of J., Oxford 1915, rist. 1924. - Biografia: La classica vita è quella di J. Boswell, Life of J., 1791; la quale a sua volta è oggetto d'un imponente lavoro erudito di critica e illustrazione che continua tuttora: l'ediz. monumentale di G. B. Hill (vol. 6, che comprendono anche il Journal of a Tour to the Hebrides, Oxford 1887; Hill pubblicò anche le Letters di J., Oxford 1892, in 2 voll., le Johnsonian Miscellanies, ivi 1897, voll. 2, e un volume di studî, Dr. J., his friends and his critics, Londra 1878) è in corso di revisione; molto materiale nuovo è venuto in luce negli ultimi anni: si vedano i lavori a cura di R. W. Chapman (Boswell's Note Book, 1776-77, Oxford 1925; Papers written by Dr. J. and Dr. Dodd, ivi 1926; J. and Boswell Revised, con scritti di D. N. Smith e L. F. Powel) ivi 1928; J., Boswell and Mrs. Piozzi, ivi 1929; e il saggio in Portrait of a Scholar, ivi 1920); il catalogo del materiale raccolto nella R. B. Adams Library relating to Dr. Johnson and his Era, voll. 3, ivi 1929; e, ultima importantissima scoperta, gli archivî di J. Boswell, tornati alla luce nel 1926: The Private Papers of J. B. from Malahide Castle, ediz. parziale di G. Scott, voll. 6, 1928; id., catalogo ed. F. A. e M. S. Pottle, Oxford 1931. Tuttora in corso sono le Johnsonian Gleanings di A. L. Reade (Arden Press, parte 3ª, 1922; parte 5ª, 1928). Il tirocinio letterario del Boswell, che lo preparò alla grande biografia, è illustrato da F. A. Pottle, The literary Career of J. Boswell, Oxford 1929. - Monografie: L. Stephen, S. J., in English Men of Letters, Londra 1878 (dello stesso, articoli in Dictionary of National Biography, 1892; Hours in a Library, II, Londra 1892; Studies of a Biographer, I, Londra 1898); J. Bailey, Dr. J. and his circle, Londra 1913 (oltre al saggio in Poets and Poetry, Oxford 1911). - Saggi: Il Macaulay tracciò due ritratti di J., uno nella Edinburgh Review, 1831, ristampato poi con gli Essays, 1841 segg.; un altro, più curato, nell'Encyclopaedia Britannica, 1856, rist. poi a parte; T. Carlyle, On Heroes and Hero Worship, 1841; W. Raleigh, Six Essays on J., Oxford 1910; A. Birrel, in Selected Essays, Londra 1908. - Rapporti con l'Italia: A. Graf, L'anglomania e l'influsso inglese in Italia nel sec. XVIII, Torino 1911, cap. 12°; L. Piccioni, Un altro italiano amico di S. J., in Rivista d'Italia, 1924 e 1925. - Per le idee critiche, v. G. Saintsbury, A history od English criticism, Edimburgo 1911, cap. 4°.