SAN BENEDETTO PO
Centro, in prov. di Mantova, sviluppatosi intorno all'abbazia sorta in origine su un isolotto formatosi nell'alveo del Po alla sua confluenza con il fiume Lirone, ora interrato.
Il sito, proprietà dei vescovi di Mantova e Reggio Emilia, fu acquisito da Atto di Canossa tra il 961 e il 962 nell'ambito di un progetto volto a consolidare i possessi patrimoniali canusini lungo il corso del fiume. Spettarono al suo successore Tedaldo la trasformazione della cappella altomedievale - probabilmente edificata nel luogo di un insediamento tardoantico (Attene Franchini, 1988-1989) - in una basilica dedicata ai ss. Maria, Benedetto, Pietro e Michele Arcangelo e, successivamente, nel giugno del 1007, l'istituzione del cenobio strettamente legato alla politica della famiglia degli Attonidi. Il figlio Bonifacio (1012-1052) continuò a favorire l'istituzione con donazioni e con la fondazione di una nuova chiesa dedicata a s. Simeone - eremita di cui promosse attivamente la canonizzazione, dopo la morte avvenuta il 26 luglio 1016 - e della chiesa battesimale di S. Floriano, dipendente dal monastero, di cui resta il campanile (Codice diplomatico polironiano, 1993).La nuova abbaziale, verosimilmente già eretta nel 1054, venne consacrata solo poco prima dell'affiliazione al monastero di Cluny, voluta nel 1077 da papa Gregorio VII (1073-1085) e Matilde di Canossa, che trasformarono il cenobio in uno dei principali centri di diffusione della riforma gregoriana. L'abbazia fu obiettivo delle mire di Enrico IV (1054-1106), che l'attaccò direttamente nel 1091; era allora abate Guglielmo di Benedicktbeuern, rimasto alla guida del monastero negli anni segnati da gravi incertezze, ma anche da un forte incremento delle donazioni private, che estesero i possedimenti polironiani dal Veneto alla Toscana, mentre l'introduzione delle consuetudini cluniacensi connotava fortemente la vita spirituale e materiale del monastero (Piva, 1980; 1981). Il successore Alberico (1099-1123), legato a Ugo di Cluny, consolidò i possessi patrimoniali nell'area padana, stringendo fortemente i legami con la casa madre, destinati ad allentarsi immediatamente dopo la sua morte, probabilmente a causa del coinvolgimento dell'abbazia nello scisma di Ponzio. Nonostante l'instabilità dei rapporti con Cluny, fino alla metà del secolo l'abbazia padana continuò a rinforzarsi grazie a donazioni, mentre le date superstiti nei due pavimenti musivi delle cappelle di S. Simeone (1130 o 1139) e di S. Martino (1151) documentano interventi nell'abbaziale, cui si abbinò una sempre più raffinata produzione di manoscritti all'interno dello scriptorium, al quale giunsero nel 1142-1143 commissioni pontificie (Piva, 1978).Il mutarsi dei rapporti di potere nella pianura Padana, al tempo delle lotte dei Comuni contro Federico I Barbarossa, ridusse l'importanza politica del cenobio, formalmente ancora sottoposto all'abbazia borgognona, ma concretamente dipendente da Roma. Nei due secoli seguenti si rinforzò il potere degli abati, che si allontanarono dalla vita comunitaria diventando fedeli sostenitori della classe feudale dominante nel territorio; San Benedetto al Polirone si trovò allora strettamente legato al monastero cittadino di S. Andrea e, come quest'ultimo, registrò dirette interferenze dei Bonacolsi prima (1272-1328) e dei Gonzaga poi, fino a cadere sotto la giurisdizione di abati commendatari.Del complesso monastico restano due ecclesiae, tre chiostri, l'infermeria, il refettorio, il palazzo dell'abate e l'aula capitolare (Piva, 1998), che costituiscono solo una parte dell'imponente insieme rappresentato nella veduta cinquecentesca di S. (Perugia, Arch. del monastero di S. Pietro; Bentivoglio, 1986; Tafuri, 1986). La facies dominante è quella tardogotica, rinascimentale e giuliesca, ma gli elementi venuti alla luce dagli anni Settanta hanno reso possibile la formulazione di ipotesi di restituzione degli edifici dei secc. 11°-12°, soprattutto dell'abbaziale di S. Benedetto - attualmente a tre navate precedute da nartece, con cappelle lungo i lati maggiori, transetto, coro a deambulatorio con cinque cappelle radiali, copertura a volte - e della cappella di S. Martino, già S. Maria, ambiente a navata unica di quattro campate, con coro piatto, situata a N-E, con accesso dal transetto nord dell'abbaziale.Infatti, dopo i primi tentativi di restituzione basati prevalentemente sui documenti (Bellodi, 1905), fu inizialmente il mosaico pavimentale di S. Martino, datato 1151, raffigurante le quattro Virtù e guerrieri in lotta con animali fantastici (Pigozzi, 1975; Piva, 1981), ad attirare l'attenzione degli studiosi, a cominciare da Venturi (1905), e fu questo insieme a indurre Porter (1917) a datare globalmente al 1151 la cappella, mentre la chiesa maggiore veniva assegnata al 1246. La mancanza di sicuri dati archeologici segnò anche i più mirati studi successivi (Paccagnini, 1960), fino a quando Fontana (1971) rese noti i risultati di una campagna di scavo nella cappella di S. Martino, la cui struttura originaria, identificata come la chiesa di Tedaldo del 1007, sarebbe stata a navata unica, con endonartece a due navate, transetto sporgente triabsidato e copertura a volte; nella navata furono segnalate tracce di mosaici simili a quelli noti del transetto e di un precedente edificio ad aula unica monoabsidata. Tra gli interventi successivi si segnalano quelli di Quintavalle (1973; 1974) che, riprendendo le indicazioni di Arslan (1940) relative a nessi cluniacensi, ha collegato San Benedetto al Polirone alla cultura della riforma gregoriana, e quelli di Piva (1978; 1980; 1981; 1998), che ha proposto l'identificazione della cappella di S. Martino con la chiesa di S. Maria citata in alcuni documenti polironiani del 1179 e confrontabile con l'omonima cappella di Cluny III. Lo studioso ha ipotizzato la successione di tre chiese e la coincidenza della seconda ad aula monoabsidata con la basilica tedaldiana, mentre ha assegnato la facies cluniacense, con nartece più elevato della navata, transetto triabsidato e volte, a dopo il 1130, anno in cui sarebbe stato già terminato il rifacimento dell'edificio maggiore fondato da Bonifacio. Il risultato di quest'ultimo intervento sarebbe stato una chiesa a tre navate con transetto sporgente - biabsidato a S e inglobato nel nartece di S. Maria a N (comunicante attraverso arcate in cui restano tracce di affreschi due-trecenteschi di buona qualità) - e deambulatorio a cinque cappelle radiali. L'interno è diviso da colonne disposte su due file, interrotte a metà da un pilastro, e sormontate da capitelli squadrati in rosso di Verona (oggi parzialmente visibili entro le strutture giuliesche). La soluzione del coro a deambulatorio e cappelle radiali si collega direttamente a quella espressa dalla casa madre e dalle chiese franco-iberiche sulle vie di pellegrinaggio, con volte sul blocco orientale e copertura lignea sulle navate, sostenuta a metà della maggiore da un arco trasverso. L'abbaziale, preceduta da un vestibolo corrispondente all'attuale ultima campata aggiunta nel sec. 15°, avrebbe avuto un portale di tradizione wiligelmica, di cui restano tre frammenti con Mesi (San Benedetto Po, Civ. Mus. Polironiano) e una testa di bue, parte di una Natività (proprietà Rubini, Romanore, prov. Mantova), assegnati da Piva (1974) al 1130, seguendo la cronologia proposta da Cochetti Pratesi (1972).Nuovi scavi del 1981 e del 1989-1990 nella sala capitolare hanno portato alla luce tracce di cinque strati pavimentali e di una fondazione curvilinea, nonché un capitello corinzio su colonna, recante una data interpretata come 1079 o 1129 (Ferrari, Pigozzi, Sanguanini, 1981) oppure 1179 (Montorsi, 1996) e un'altra, inequivocabilmente 1102; in attesa della pubblicazione dei risultati degli scavi, ancora in corso, si può comunque accettare l'ipotesi che in questo luogo insistessero le prime fabbriche monastiche e, forse, il primo edificio religioso altomedievale.Quintavalle (1982), seguito da Mussini (1982), ritornava sul problema del rapporto tra Cluny, San Benedetto al Polirone e la riforma gregoriana, stringendo i tempi degli interventi di matrice cluniacense entro la fine del sec. 11°, mentre Verzar Bornstein (1983) assegnava i frammenti del portale allo stesso Wiligelmo. In seguito Quintavalle (1984) puntualizzava le date della presenza del maestro a San Benedetto al Polirone, in relazione al cantiere modenese e alla ripresa dell'Antico, ben evidente nel capitello della sala capitolare, assegnando il portale dei Mesi polironiano allo scadere del secolo. Un ulteriore intervento dello studioso (Quintavalle, 1991) ha chiarito l'appartenenza delle colonne in rosso di Verona dell'abbaziale all'edificio bonifaciano e ha datato al 1095 la nuova S. Maria e agli anni immediatamente successivi la ristrutturazione dell'edificio maggiore, evidenziando ulteriormente i legami con Modena e gli altri cantieri dell'officina della riforma, legati a Matilde di Toscana. Questa cronologia allo scadere del secolo è confermata dall'arredo interno superstite, il candelabro in bronzo (Calzona, 1991), e dall'attività dello scriptorium (Zanichelli, 1991; 1998).La produzione di quest'ultimo è stata ricostruita (Piva, 1978; 1981) enucleando fondamentalmente due gruppi di manoscritti, l'uno legato ai maestri dell'Evangeliario Morgan, ante 1099 (New York, Pierp. Morgan Lib., 492), l'altro, di cultura toscana, attivo nel secondo quarto del 12° secolo. Dopo un inizio variamente orientato verso modelli propri di altri centri monastici nel sesto decennio del sec. 11°, si manifestò una straordinaria apertura, in relazione all'abbaziato di Guglielmo, verso modelli dell'ambito riformato, destinati a restare referenti privilegiati anche nella produzione ulteriore del cenobio, per tutto il sec. 12° (Zanichelli, 1991). Tale produzione riflette unità progettuale e coerenza, come ben documenta, per es., il suo impatto sui mosaici coevi: quello attualmente nella cappella di S. Simeone, ritenuto rinascimentale da Piva (1980) e da Montorsi (1996), ma assegnato al 1130 da Quintavalle (1991), e quello del 1151.Gli ultimi interventi hanno registrato da una parte la ripresa del confronto tipologico con edifici con coro a cappelle radiali da parte di Fergusson (1994), che inserisce San Benedetto al Polirone nel contesto della citazione di antichi modelli romani nella prima metà del sec. 12°, mentre dall'altra il ritorno (Montorsi, 1996) all'ipotesi, cara ai più antichi studiosi del cenobio padano, della sopravvivenza di elementi longobardi; ma quest'ultima necessita di ulteriori dati di conferma, che solo una nuova campagna di scavi potrebbe fornire (Piva, 1998).Frammenti dell'arredo scultoreo e musivo medievali sono conservati nel Mus. abbaziale e nel Civ. Mus. Polironiano.
Bibl.:
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Letteratura critica. - R. Bellodi, Il monastero di San Benedetto in Polirone nella storia e nell'arte, Mantova 1905; Venturi, Storia, III, 1905; A.K. Porter, Lombard Architecture, III, New Haven-London-Oxford 1917, pp. 358-362; G. Warner, Gospels of Mathilda Countess of Tuscany, New York 1917; E. Arslan, L'architettura romanica veronese, Milano 1940; B. Benedini, I manoscritti polironiani della Biblioteca Comunale di Mantova, Atti e Memorie. Accademia Virgiliana di Mantova, n.s., 30, 1958; G. Paccagnini, Mantova, III, Le arti, I, Mantova 1960, pp. 169-179; A. Fontana, Scoperta della chiesa di Tedaldo a San Benedetto Po, Civiltà mantovana 28, 1971, pp. 225-240; L. Cochetti Pratesi, Il frammento romanico di San Benedetto Po e precisazioni sulla maestranza di Nonantola e di Piacenza, Commentari 23, 1972, pp. 319-334; A.C. Quintavalle, La cattedrale di Cremona, Cluny, la scuola di Lanfranco e di Wiligelmo, StArte, 1973, 18, pp. 117-172; id., La cattedrale di Parma e il Romanico europeo (Il romanico padano, 1), Parma 1974; P. Piva, I mesi romanici di Polirone, Commentari 25, 1974, pp. 169-170; M. Pigozzi, Mosaici e bassorilievi in San Benedetto in Polirone, in Il Romanico, "Atti del Seminario di studi, Varenna 1973", a cura di P. Sanpaolesi, Milano 1975, pp. 145-156; San Benedetto al Polirone. Arte e lavoro nella civiltà padana, cat., San Benedetto Po 1977; P. Piva, Contributo al recupero di un grande centro scrittorio: la miniatura romanica nel monastero di Polirone, in Codici miniati e artigianato rurale. Immagini devozionali e apotropaiche dalla cultura egemone alla cultura subalterna, cat., San Benedetto Po 1978, pp. 13-65; id., Da Cluny a Polirone. Un recupero essenziale del romanico europeo, San Benedetto Po 1980; id., Il Medioevo: storia, ideologia, produzione di immagini, in I secoli di Polirone. Committenza e produzione artistica di un monastero benedettino, cat., San Benedetto Po 1981, I, pp. 61-102; R. Ferrari, R. Pigozzi, M. Sanguanini, Comunicazione: il restauro della sala del capitolo, ivi, II, p. 464; A.C. Quintavalle, Le strade: modello evolutivo e modello antropologico, in Romanico padano, romanico europeo, "Atti del Convegno internazionale di studi, Modena-Parma 1977", a cura di A.C. Quintavalle, Parma 1982, pp. 9-25; M. Mussini, Pievi e vita canonicale nei territori matildici. Architettura e riforma gregoriana nelle campagne, ivi, pp. 27-53; Bibliografia storica polironiana, a cura di P. Golinelli, B. Andreolli, Bologna 1983; C. Verzar Bornstein, Tre frammenti provenienti da un portale perduto di Wiligelmo, in Romanico mediopadano: strada, città, ecclesia, a cura di A.C. Quintavalle, cat. (Parma 1977-1978), Parma 1983, pp. 277-278; A.C. Quintavalle, L'officina della riforma: Wiligelmo, Lanfranco, in Lanfranco e Wiligelmo. Il Duomo di Modena, cat., Modena 1984, pp. 765-834; E. Bentivoglio, Un nuovo documento grafico sul cenobio benedettino di Polirone, Quaderni di Palazzo Tè 5, 1986, pp. 7-10; M. Tafuri, Osservazioni sulla chiesa di San Benedetto in Polirone, ivi, pp. 11-21; P. Piva, Giulio Romano, Gregorio Cortese e la chiesa abbaziale di Polirone, in Da Correggio a Giulio Romano. La committenza di Gregorio Cortese, a cura di P. Piva, E. Del Canto, Mantova 1989, pp. 99-109; S. Attene Franchini, S. Benedetto Po. Monastero di S. Benedetto in Polirone, Soprintendenza archeologica della Lombardia. Notiziario, 1988-1989, pp. 302-304; A.C. Quintavalle, Wiligelmo e Matilde. L'officina romanica, cat. (Mantova 1991), Milano 1991; A. Calzona, ivi, pp. 375-377 nr. 17; G. Zanichelli, Lo scriptorium di San Benedetto al Polirone nei secoli XI e XII, ivi, pp. 507-660; id., Le bibbie atlantiche e il monastero di san Benedetto al Polirone, AM, s. II, 7, 1993, pp. 43-59; P. Fergusson, Programmatic Factors in the East Extension of Clairvaux, ivi, 8, 1, 1994, pp. 87-101; W. Montorsi, Da Tedaldo, Bonifacio e Matilde di Canossa a Napoleone Bonaparte. Otto secoli a San Benedetto di Polirone, Modena 1996; P. Piva, Topografia e luoghi di culto di un insediamento monastico, in Storia di San Benedetto Polirone. Le origini (961-1125), a cura di P. Golinelli (Il mondo medievale), Bologna 1998, pp. 153-172; G. Zanichelli, La produzione libraria e la sua illustrazione (962-1125), ivi, pp. 173-187.