BONAVENTURA, san
, Cardinale e dottore della Chiesa. Nacque nel 1221 o 1222 in Bagnorea (Bagnoregio), fra Viterbo e Orvieto. Non sappiamo dove B. abbia ricevuto la prima istruzione; Francesco da Fabriano (morto nel 1322) ci dice che terminò a Parigi lo studio delle arti liberali. Forse nel 1238, ma più probabilmente solo nel 1243 o '44, e dopo aver compiuto buona parte del corso di teologia, entrò nell'ordine francescano; fu infatti baccelliere prima della morte del suo maestro Alessandro di Hales (1245). Secondo il Salimbene nel 1248 cominciò a leggere come baccelliere la Sacra Scrittura, poi le Sentenze di Pier Lombardo, ed è da credere che, appena raggiunta l'età prescritta di 34 anni, abbia ottenuto la licenza di leggere pubblicamente. Nello stesso tempo egli dispiegò quell'attività di predicatore che continuò per tutta la sua vita, parlando sia davanti a papi (Clemente IV, Urbano IV, Gregorio X), sia davanti ai re di Francia e ai più illustri contemporanei ecclesiastici e laici, e ciò tanto a Parigi, quanto in Germania, Spagna ed Italia; la sua oratoria, di forma semplicissima, si distingueva per l'abbondanza di sentimento, il qual fatto probabilmente lo fece ritenere l'oratore più efficace dei suoi tempi. L'ostilità da qualche anno latente nell'università di Parigi da parte dei professori secolari contro gl'insegnanti che appartenevano ai due nuovi ordini mendicanti (francescani e domenicani) scoppiò in lotta aperta nel 1254, allorché Guglielmo di Sant'Amore pubblicò il suo De periculis novissimorum temporum per impugnare l'Evangelium aeternum di Gerardo da Borgo S. Donnino, specie di antologia tratta dalle opere di Gioachino da Fiore, e screditare i francescani in genere e i domenicani. B., insieme con S. Tommaso, rispose pubblicando scritti apologetici (De paupertate Christi, Apologia pauperum, ecc.) che portarono alla condanna dell'opuscolo di Guglielmo da parte di Alessandro IV. B. fu dichiarato dottore parigino il 23 ottobre 1257, ma già nel febbraio di quell'anno era stato eletto generale dei francescani al posto di Giovanni da Parma dimessosi, e da allora l'attività di B. si può dire quasi totalmente assorbita dal governo dell'ordine. Superati i primi difficili mesi, in cui si svolse il processo al suo predecessore Giovanni da Parma (nel qual processo B. non seguì, in verità, una linea di condotta rettilinea e netta), egli redasse le nuove costituzioni dell'ordine (capitolo generale dell'ordine tenuto a Narbona nel 1260); quindi, anche a sopire le dissensioni che si manifestavano tra le varie tendenze dei francescani, scrisse la biografia di S. Francesco, a cui fu poi attribuito carattere di ufficialità dal capitolo generale dell'ordine tenuto in Pisa nel 1263. Negli anni seguenti troviamo B. in varî luoghi: è in Roma nel dicembre 1272 per l'incoronazione del suo grande amico e protettore Gregorio X; poco dopo la Pasqua del 1273 è a Parigi per un corso di prediche sull'Esamerone, durante le quali lo raggiunge la nomina, fatta in vista del concilio di Lione, a cardinale e vescovo di Albano. Nel 1274 B. è quindi col papa a Lione, ove in un capitolo generale del suo ordine si dimette dalla carica del generalato; si occupa dei lavori del concilio, specialmente dell'unione dei Greci con Roma; alla IV sessione (6 luglio) i Greci fanno atto d'unione con Roma; il 15 luglio 1274, B. muore. Fu canonizzato nel 1482 da Sisto IV, e la sua festa fissata al 14 luglio.
Scritti e dottrina. - Al primo periodo dell'insegnamento di B. appartiene l'opera sua più voluminosa, il Commentarium in quattuor libros Sententiarum. Siamo nel momento in cui alla corrente tradizionale che si ispira ad Agostino, comincia ad opporsi la nuova corrente peripatetica, di cui sono a capo Alberto Magno e Tommaso d'Aquino. B. nel Commentarium si mostra seguace della tradizione: vi sostiene la dottrina agostiniana delle ragioni seminali; estende anche agli angeli e alle anime umane la composizione di materia e forma; considera l'anima e il corpo come due sostanze complete, e ammette per conseguenza nel composto umano una pluralità di forme; afferma l'evidenza dell'esistenza di Dio, e considera errore volontario il non est Deus dell'insipiente; fa dipendere il credere da un atto di volontà mossa dalla grazia, e lo concepisce come il necessario presupposto dell'intendere; considera la volontà come la facoltà più nobile dello spirito, la facoltà sovrana e dominatrice di tutte le altre, compresa la ragione, la prerogativa per cui l'uomo più si assomiglia a Dio, e la libertà non come una facoltà diversa dalla volontà, ma come la sua qualità distintiva, il suo essere autonoma e creatrice, consistendo non nel poter volere due cose opposte, ma nel volere ad sui ipsius imperium; aggiunge che l'atto libero è in sé necessario, e riconosce che la possibilità di volere il male deriva non dalla libertà per sé, ma dalle deficienze della libertà umana. L'Itinerarium mentis in Deum fu scritto nel 1259 nella solitudine dell'Alvernia, ed è l'opera che meglio riassume il suo pensiero e più nitidamente manifesta gli opposti affetti della sua personalità. L'Itinerarium è sempre stato considerato l'opera di un mistico: fin dalle prime parole del prologo B. insiste sulla necessità dell'amore verso Dio e della preghiera, che invoca in suo aiuto per raggiungere la verità e Dio; fino all'ultimo ripete che solo chi ha il cuore puro e illuminato dalla grazia può salire i gradi che conducono a lui; per raggiungerlo e immedesimarsi in lui occorre mettere da parte tutte le operazioni dell'intelletto, trascendere non solo il mondo sensibile, ma sé stesso ancora, e affidarsi a Cristo. Ma l'Itinerarium può ben dirsi anche l'opera d'un filosofo intellettualista: i sei gradi dell'ascesa a Dio sono altrettanti ragionamenti intesi a provare che tutte le cose in grado diverso ci fanno conoscere Dio; è in esso specialmente che B. espone la sua dottrina gnoseologica, per la quale la verità assoluta è la prima conoscenza d'ogni intelletto umano. La gnoseologia bonaventuriana è lo sviluppo del principio agostiniano: in interiore homine habitat veritas. Dal principio di Averroè, privationes et defectus nullatenus possunt cognosci nisi per positiones, B. deduce che l'intelletto non può arrivare al concetto di alcun ente creato, se non mediante il concetto dell'ente perfettissimo e assoluto. Come potrebbe infatti il nostro intelletto conoscere che un ente è limitato e imperfetto, se non conoscesse l'ente senza difetto alcuno? Il primo oggetto conosciuto dal nostro intelletto è quindi di necessità l'ente puro atto, e questo non può essere altro che l'essere divino, l'essere semplice ed eterno, in cui sono nella loro purezza le idee universali di tutte le cose. La nostra mente non ha sempre coscienza di possedere la nozione di Dio, ma ciò non toglie che questa sia la prima di tutte e il mezzo per arrivare a ogni altra.
Che B. quindi ammetta l'intuito di Dio sempre presente, a suo giudizio, ad ogni intelletto, e che lo estenda alle idee universali che sono in lui, resta fuor di dubbio, anche dopo i tentativi del Couailhac e del Gilson di attribuirgli una semplice azione delle idee divine nell'intelletto. Si aggiunga che nella Quaestio IV de scientia Christi B. rigetta la dottrina riducente la conoscenza in rationibus aeternis alla sola loro influenza ed escludente che esse siano direttamente raggiunte dall'intelletto. È certo tuttavia che B. non fa consistere tutta la nostra conoscenza nell'intuito delle idee divine. Nella citata Quaestio scrive che esso è ben diverso da quello dei beati: a causa dell'imperfezione del nostro intelletto le ragioni eterne sono intuite in modo non pieno (ex parte), indistinto (in sua generalitate) e confuso. Non possono perciò darci da sole i concetti di tutte le cose, ma servono solo da stimolo (ratio motiva) a trarli dalle immagini sensibili, e insieme da norma (ratio regulans) per la loro retta formazione: B. può quindi affermare che sebbene il nostro intelletto raggiunga le idee eterne, come dice Agostino, pur tuttavia la conoscenza è dovuta al senso, alla memoria e all'esperienza, come insegna Aristotele; nella sua teoria, infatti, il senso dà all'intelletto la materia, e le idee eterne dànno la norma per la formazione dei concetti. Così lo spirito umano è attivo nella conoscenza intellettuale formando i concetti. Per B. è attivo anche nella conoscenza sensitiva: perché questa abbia luogo, occorre che dall'oggetto promanino delle immagini e che esse arrivino a fare impressione sull'organo del senso, ma in ciò sta il solo processo preparatorio della sensazione; la vera sensazione si ha quando la potenza sensitiva si rivolge all'immagine già impressa nell'organo e ne prende come possesso, trasformandola in specie sensibile. La potenza sensitiva non riceve cioè semplicemente le immagini sensibili, ma le produce servendosi di quelle impresse negli organi come di materia. Ma intanto è necessario riconoscere che il tentare di accordare una tale gnoseologia con il volontarismo mistico, che attribuisce il raggiungimento della verità a un atto di buona volontà incapace da sé di essere buona, sarebbe impresa malagevole. Il sistema di B. non è un amalgama contradittorio di principî agostiniani e aristotelici, come pensa il Lutz; è l'agostinianismo tradizionale, e dell'agostinianismo ha i pregi e le manchevolezze. Ora in Agostino troviamo una vera oscillazione fra la capacità e l'incapacità dell'intelletto umano a raggiungere il vero: Dio è presente allo spirito e perciò conoscibilissimo, oggetto primo di conoscenza; ma Dio è anche infinitamente trascendente e perciò inconoscibile, e alla stessa fede in lui non si giunge per forza di intelletto, ma per uno slancio di volontà mossa dalla sua grazia. Non enim crederet nisi vellet, ci ripete anche B., mentre pur afferma che lo spirito umano ha sempre presente Dio, verità suprema. Il suo amico Tommaso d'Aquino, abituato alle esigenze della logica aristotelica, non può adattarsi a una simile antinomia, e mira, con le sue teorie della conoscenza di Dio per effectus e della razionalità del credere, a superarla. B. preferisce mantenerla in tutta la sua interezza, mostrando di dissentire dalle mire del novatore domenicano. Egli inizia così la corrente antitomistica nel seno della stessa scolastica, e apre la via ai suoi confratelli Duns Scoto e Occam, i quali, accentuando sempre più il volontarismo, dissentiranno fondamentalmente dalla dialettica teologica dell'Aquinate, diventando così i lontani precursori del pensiero moderno. Dal quale B. non potrà essere giudicato del tutto lontano, quando si pensi ai suoi principî dell'intimità del divino, dell'attività dello spirito nella conoscenza, dell'autonomia del volere, dell'identità fra libertà e necessità, e allo stesso concetto della fede come causata da volontà e non mediata razionalmente.
Sempre poi a lui sentiranno il bisogno di avvicinarsi moltissime anime schiettamente religiose, quante pensano che non sia di nocumento alla religiosità il considerarla come esperienza immediata ed originale. La vitalità, il valore apologetico del pensiero di B. è stato ben compreso dalla stessa Chiesa, la quale, pur avendo fatto propria l'apologetica dialettica dell'Aquinate, ha annoverato B. fra i suoi dottori (1587, per decreto di Sisto V, francescano) con l'epiteto di Serafico.
Edizioni: Dobbiamo ai padri francescani di Quaracchi l'ottima edizione critica Doctoris Seraphici S. Bonaventurae Opera omnia, 10 voll., 1883-1902; dell'Itinerarium abbiamo anche recenti traduzioni italiane a cura di M. Barbano (Milano 1924); F. Dal Monte (Bologna 1927); L. Hermet (Lanciano 1923); L. Stefanini (Torino 1928).
Bibl.: La letteratura su B. è copiosissima, ma in gran parte di scarso valore; in genere le opere recenti sono le migliori. - Per la biografia: Lemmens, S. B. trad. it., Milano 1921; Dissertatio critica de vita, nel vol. X dell'Opera omnia di Quaracchi. - Per le relazioni col gioachinismo e il processo di Giovanni da Angeli, 1924. - Studî d'insieme: F. Dal Monte, Filosofia e mistica in B. da Bagnorea, Roma 1924; É. Gilson, La philosophie de saint B., Parigi 1924; Palhoriès, S. B., Parigi 1913. - Studî particolari: Bolka, Il misticismo di S. B., Torino 1901; Couailhac, Doctrina de ideis divi Thomae divique B. conciliatrix a Juvenali Annamensi proposita, Parigi 1897; F. Dal Monte, L'intimità del divino in B. da Bagnorea, Roma 1924; Desbute, De S. B. à Duns Scot, in Annales de philosophie chrét., 1910; G. Gentile, I problemi della scolastica, Bari 1913; Joseph, Philosphische studien zu B., Berlino 1909; J. Krause, Die Lehre des heil. B. über die Natur der körperlichen und geistigen Wesen, Paderborn 1889; Langré, La théologie mystique de Saint-B., Quaracchi 1921; Lutz, Die psychologie B.s nach den Quellen dargestellt, Münster 1909; Mennisson, La connaissance de Dieu chez Saint-B., in Revue de philos., 1910; Sestili, La filosofia di s. B., in Rivista di fil. neo-scolastica, 1921; Tiesche, Die Naturlehre B.s, in Philos. Jahrb. 1908 e Die Lehre v. Materie u. Form bei B., ivi 1908. - Per le relazioni con la Divina Commedia, E. De Bisogno, S. B. e Dante, Milano 1899.
Iconografia. - B., canonizzato oltre due secoli dopo la sua morte, fu rappresentato piuttosto di rado, per lo più tardi, ma già nel Trecento appare quale autore del Lignum vitae (v. appresso) ai cui piedi viene dipinto in atto di scrivere, o inginocchiato in adorazione (Taddeo Gaddi nel refettorio di S. Croce, Firenze; affresco giottesco in S. Maria Maggiore a Bergamo; affresco giottesco nella sala capitolare di S. Francesco a Pistoia). Per lo più è identificato da attributi o da allusioni a fatti della sua vita: un cappello cardinalizio o la mitra vescovile; lavora nel suo studio, o tiene la penna; gli vien dato dalla Vergine un particolare rosario; un angelo gli porge l'Ostia ch'egli si stimava indegno di ricevere; mostra a S. Tommaso d'Aquino il Crocifisso, quale unica fonte a cui ricorreva per le sue speculazioni. Fra le varie rappresentazioni si può ricordare la serie di quadri dipinti da Francisco de Zurbarán per la chiesa di S. Bonaventura a Siviglia ed oggi conservati due a Parigi, uno a Berlino e uno a Dresda; la tavola del Cavazzola nel Museo di Verona; la predella di Niccolò Alunno in S. Francesco a Gualdo.
Notevole l'influenza di B. sulle arti figurative. La sua Vita di S. Francesco sembra esser stata seguita passo passo da Giotto negli affreschi di Assisi. Altra opera di B. ch'ebbe riflessi nell'arte è il già citato Lignum vitae. L'albero santo, formato da 12 rami, i 4 più bassi riferentisi all'origine e vita di Cristo, i secondi 4 alla sua passione, gli ultimi 4 alla sua glorificazione e portanti ognuno un frutto il quale è una particolarità del frutto vero e unico, cioè il Salvatore, è motivo frequentissimo nell'iconografia cristiana dal sec. XIV in poi.
Quasi sempre sul tronco dell'albero della vita è appeso Cristo crocifisso, al vertice sta il pellicano, e su ogni ramo sono scritte le parole delle divisioni corrispondenti nell'opera del santo. Alla base sono rappresentati S. Bonaventura, S. Francesco, la Vergine che sviene (S. Croce e Pistoia), o santi francescani, o storie diverse: si possono vedere simmetricamente posti in alto alcuni profeti con i loro rotuli (S. Croce), o, pendenti dai rami in molti tondi (Accademia di Firenze; Bergamo), storie del Redentore riferentisi ai versi del poema.
Il Boving (v. Bibl.) ha voluto ritrovare nella Disputa sul Ss. Sacramento di Raffaello una derivazione dall'Itinerarium e dalla Reductio artium ad sanctam theologiam.
Non va dimenticato che le nuove costituzioni dell'ordine dettate da B. diedero anche norme relative alla costruzione e all'arredamemo delle chiese francescane.
Bibl.: P. Ch. Cahier, Caractéristique des Saints dans l'art populaire, Parigi 1867; A. Thode, Franz von Assisi und die Anfänge der Kunst der Renaissance in Italien, Berlino 1885; traduzione francese di Lefèvre, Parigi 1904; L. Gillet, Histoire artistique des ordres mendiants, Parigi 1912; P. R. Boving, S. B. und der Grundgedanke der Disputa Raffaels, in Franziskanische Studiew, I (1914), p. 1 segg.; P. L. Bracaloni, L'arte francescana nella vita e nella storia di 700 anni, Todi 1924; É. Gilson, St. B. et l'iconog. de la Passion, in Revue d'hist. franciscaine, 1924, p. 405 segg.; K. Künstle, Ikonographie der Heiligen, Friburgo in B. 1926, p. 139; R. Ligtenberg, Het Lignum vitae van den heil. B. in de ikonographie der veertiende eeuw, in Het Gildebach, XI (1928), p. 15 segg.