CARLO Borromeo, san
È, dopo S. Ambrogio, il più celebre e popolare arcivescovo di Milano. Fiorito in un'epoca della massima importanza storica, egli è l'uomo di governo che, per la sua attività e le sue eccezionali virtù e qualità, ha lasciato un'orma incancellabile non solamente nell'ambito della chiesa milanese, ma in tutta la cristianità.
Carlo nacque secondo figlio del conte Giberto Borromeo e di Margherita de' Medici (sorella, questa, di quel Giovanni Angelo che fu poi Pio IV) nella Rocca di Arona il 2 ottobre del 1538. Religiosamente educato a Milano dal parroco di S. Ambrogio, ricevette dodicenne l'abito clericale e la tonsura. A sedici anni lo troviamo inscritto all'università di Pavia per i rami della teologia e delle leggi e il 6 dicembre 1559 egli conseguì la laurea in diritto canonico e civile.
Pochi giorni dopo, il 25 dicembre, è assunto al pontificato lo zio Pio IV, e questo fatto segna l'ingresso di Carlo nelle più alte carriere: il pontefice zio chiamò a sé a Roma, il 3 gennaio, il giovane nipote e gli assegnò senz'altro le cariche più importanti. Il 31 gennaio 1560 Carlo fu eletto cardinale diacono, e l'8 febbraio dello stesso anno arcivescovo di Milano, con l'obbligo di rimanere in Roma e di governare la lontana diocesi per mezzo di vicarî. Nello stesso tempo Carlo fu nominato protonotario apostolico, referendario, governatore delle legazioni pontificie di Bologna, della Romagna e delle Marche d'Ancona; diventò quindi protettore della Corona del Portogallo, dei Paesi Bassi, dei Cantoni cattolici della Svizzera, dell'ordine gerosolimitano di Malta e di parecchi ordini religiosi, come i francescani e i carmelitani. Fu altresì nominato presidente della Consulta, dicastero che Paolo IV aveva istituito per provvedere a tutta l'amministrazione civile degli stati pontifici; toccò pure a lui l'onore d'aprire nella storia del governo della Chiesa la serie dei segretarî di stato. Un così vasto favore concesso dal pontefice a un nipote tanto giovane non poteva non destare le critiche di molti, specialmente nella curia romana. Ma presto apparve che la scelta era stata felice.
Da questo momento Carlo appartiene alla grande storia, e la sua vita si può dividere in due periodi che potremmo chiamare, l'uno romano-tridentino, l'altro milanese. Il primo, breve di anni, ma densissimo d'azione, va dal 1560 al 1565; il secondo si protrae per 19 anni, cioè fino al 1584, anno della morte di Carlo.
Fosco era il quadro della cristianità in quell'epoca. Il concilio di Trento riconvocato nel 1550, veniva subito di nuovo interrotto per le sovrastanti minacce di Maurizio di Sassonia. In Germania il cattolicismo era fieramente avversato dall'idea luterana, che si radicava sempre più profondamente nelle coscienze. Nella Polonia molte fazioni si agitavano, e a por fine alle diverse tendenze confessionali era stato radunato un concilio nel 1555. Accesissima era la lotta religiosa in Francia, specialmente per l'agitarsi del vivace nucleo dei protestanti; disastrose le condizioni dei cattolici in Inghilterra, dove Elisabetta, salita sul trono nel 1558, aveva compiuto la separazione della chiesa anglicana da Roma. Meno gravi, ma non liete, le condizioni generali dell'Italia e della Spagna. D'altra parte, se l'intrapreso concilio aveva già portato qualche rimedio, la sua doppia interruzione aveva dissipato quei germi di orientamento cattolico, che i primi Padri là radunati avevano gettato nel terreno. Il cardinale Borromeo concepisce pressoché da solo il piano della ripresa del concilio, in mezzo a difficoltà grandissime. Nonostante l'avversione di molti, anche cattolici, Carlo indusse il pontefice a riconvocare in Trento la grande assemblea che fu riaperta il 18 gennaio del 1562. Carlo intanto, già orfano dei genitori, nel 1562 aveva perduto anche il fratello Federico, unico sostegno del casato; per la qual cosa era stato consigliato dallo stesso pontefice a formarsi una famiglia; rifiutò decisamente, anzi, ricevendo pochi giorni dopo quella morte, dal card. Cesi, gli ordini ecclesiastici, si dava tutto all'esecuzione di ciò che avrebbe avuto rapporto col concilio.
Egli ne aveva preparato la buona ripresa col far riconoscere dal papa l'imperatore Ferdinando I; aveva fissato, inoltre, d'accordo col pontefice, tutto il programma: la riforma del clero e degli ordini religiosi, i rapporti della Chiesa con gli Stati, le costituzioni dogmatiche e disciplinari, la disciplina liturgica, l'ordinamento matrimoniale, il generale miglioramento morale e religioso del popolo. Il B. impartiva le istruzioni ai legati pontifici presso il concilio che sorvegliava in ogni atto e decisione (è famosa una frase del Sarpi a questo proposito), e tanto fece che, con la XXV seduta, il concilio poté chiudersi felicemente il 3 dicembre 1563.
Terminate le assise tridentine, Carlo, chiamato subito fra i membri della congregazione concistoriale per l'esecuzione dei deliberati, ebbe gran parte nella compilazione del Catechismus Romanus ad parochos, deciso dal concilio e pronto in redazione definitiva nel 1564, che doveva essere il testo unico ufficiale per l'insegnamento della religione al popolo.
Nel frattempo il Borromeo non trascurò la sua diocesi lontana, da cui gli giungevano giornalmente notizie sempre più dolorose. L'assenza dell'arcivescovo aggravata dalle assenze degli arcivescovi antecessori, aveva prodotto uno scadimento generale nella diocesi. Il Borromeo decise allora di chiudere oramai il suo periodo romano, per tornare a Milano a dirigerne personalmente l'amministrazione ecclesiastica. Da principio vi aveva mandato come suo vicario l'agostiniano Gerolamo Ferragata; nel 1564 vi manda l'eccellente veronese mons. Nicola Ormaneto. A costui era affidata la mansione di preparare la venuta del cardinale a Milano, la quale in realtà avvenne il 23 settembre del 1565, dopo un suo viaggio attraverso l'Italia in qualità di legato a latere.
Aggravatosi per malattia lo zio pontefice, il Borromeo fece subito ritorno a Roma per assisterlo fino alla morte, avvenuta il 10 dicembre 1565.
Nel conclave seguito il B. fece trionfare il nome del Ghislieri (Pio V) e riprese quindi la via di Milano, arrivandovi il 15 aprile 1566; ivi rimase definitivamente come pastore, salvo qualche fugace parentesi romana, come per il conclave donde uscì Gregorio XIII, e in occasione dell'affare Ayamonte. L'opera grandiosa del B. a Milano si può riassumere in uno sforzo non mai interrotto per la difesa dell'idea religiosa e specialmente per il miglioramento dei costumi, sia del clero sia del popolo, in modo particolare eseguendo e facendo eseguire scrupolosamente le leggi del concilio di Trento; di guisa che il B. si può considerare il campione della Controriforma.
Lo zelo del B. non ebbe limiti: volle dapprima riformato l'uno e l'altro clero; servendosi dell'opera dei nuovi ordini di chierici regolari, quali i barnabiti, i gesuiti, i teatini, ecc. riordinò il culto secondo norme severe, erigendo numerose chiese fin sulle rupi alpestri, e fondando o rifacendo santuarî celebri, come quello di Rho, di Cannobio, del S. Monte di Varallo, e ponendo la prima pietra di S. Fedele in Milano; qui fondò nel 1564 il seminario; altri seminarî minori fondò nella campagna, come a Inverigo nel 1582, a Somasca nel 1576, e a Celana nel 1579. Estese la propria cura ai giovani ecclesiastici della Svizzera, istituendo per essi nel 1579 un Collegio elvetico. Nello stesso anno aveva anche ottenuto da Gregorio XIII d'istituire una nunziatura per la Svizzera. Aprì scuole e collegi, tra cui celebri il collegio di Brera affidato ai gesuiti, il collegio di Pavia, il collegio dei Nobili in Milano e quello pontificio d'Ascona sul Lago Maggiore; aprì anche case e ricoveri d'ogni sorta, tra cui in Milano il ricovero di S. Maria Maddalena, detto il Deposito, per le donne di malavita. Fondò l'istituto delle Scuole della dottrina cristiana, e diede principio alle scuole elementari, la cui tenuta rese obbligatoria ai parroci. Eresse pure le confraternite della Penitenza, e quelle del Sacramento tuttora fiorenti. Volle inoltre visitare tutta la diocesi, recandosi personalmente in circa mille parrocchie, non badando né a difficoltà di viaggio né a fatiche: il fatto della visita così generalizzata è una delle grandi lodi dell'episcopato del B., il quale visitò fin due volte ogni singola rupe delle Tre Valli Ambrosiane della Svizzera. Radunò durante il suo episcopato 11 sinodi diocesani (il primo presieduto dall'Ormaneto nell'agosto precedente l'ingresso solenne a Milano; e l'ultimo dal B. stesso nel 1584, pochi mesi prima della sua morte); che se si aggiungono anche i 6 concilî provinciali da lui tenuti negli anni 1565, '69, '73, '76, '79 e '82, si vede quale somma di lavoro egli abbia compiuto, non paragonabile forse a quella di nessun altro episcopato.
Il B. protesse e difese la fisionomia milanese attraverso l'antico rito liturgico della chiesa ambrosiana, pur non riuscendo, per la tenacia degli antichi usi locali, a introdurre il rito in taluni luoghi nel cuore stesso della diocesi (Monza). Con la questione del rito va pure connessa l'edizione del Breviario nel 1582, per la quale, come per il Messale, egli insistette nella conservazione della tradizione liturgica ambrosiana. Il B. è altresì il fondatore della Congregazione degli oblati, chiamata anche Congregazione dei Ss. Ambrogio e Carlo, eretta nella chiesa di S. Sepolcro in Milano nel 1578; le regole degli oblati, redatte da S. Carlo stesso, furono loro definitivamente consegnate il 13 settembre 1581.
Nel periodo milanese di S. Carlo non va dimenticata l'eroica assistenza agli appestati, quando il flagello colpì dopo la carestia la metropoli e la campagna lombarda nel 1576-1577 (rifacimenti in Milano del tempio votivo di S. Sebastiano, apertura della chiesa del celebre lazzaretto). Allora divise tra i poveri il prezzo di un intero principato, quello d'Oria, venduto per 40 mila ducati.
È naturale che ad un uomo siffatto si opponessero ostinate resistenze d'ogni sorta. Si ricorda l'opposizione fatta dai canonici della Scala che rifiutarono all'arcivescovo, il 24 agosto 1569, l'ingresso alla loro basilica, né meno noto è il contrasto di lui per i diritti della Chiesa con i rappresentanti del potere laico (questione d'Ayamonte, caso Requesens), contrasto finito poi col trionfo pacifico del santo; famosa è anche l'archibugiata tirata il 26 ottobre 1569 al santo, mentre pregava nella propria cappella, dal prete Gerolamo Donato, detto il Farina, la cui mano era stata armata da quei tracotanti Umiliati, il cui ordine stava per essere abolito dal B. (come avvenne con bolla papale del 7 febbraio 1571).
Il B. fu di carattere mite, ma energico. Taluni l'incolparono di precipitazione nei suoi consigli e perfino di ferocia nei suoi atti, rimproverandogli tra l'altro il cosiddetto processo intentato alle streghe: processo che pare a noi moderni di una rigorosità senza confine. Ma, a portare un retto giudizio sulla persona di lui, bisogna inquadrarla nell'epoca in cui visse. Egli fu l'uomo veramente di tutti e prodigò il suo patrimonio ai poveri, ai quali poi lasciò in eredità il suo asse, legandolo all'Ospedale Maggiore di Milano. Fu largo caldeggiatore dei Monti di Pietà e del patrocinio gratuito ai poveri; riformò il pio Istituto di S. Corona per malati poveri; fondò il consorzio dei disciplini per il supremo conforto ai condannati a morte. Né è a credere alla poca cultura di S. Carlo. Il B. restaurò lo Studio di Bologna, protesse dotti ed artisti. Del rimanente, egli fu discepolo del dotto cardinale Sirleto e studiò S. Tommaso senza trascurare i filosofi antichi, specialmente Seneca, Epitteto e Cicerone, come ne fa fede la sua ricca biblioteca, di cui l'Ambrosiana possiede il catalogo manoscritto; e fra i suoi segretarî ebbe Giovanni Botero. Giovane in Roma, nel periodo d'intensa preparazione del concilio tridentino egli radunava la sera dopo le fatiche della giornata i più dotti, anche laici, a discussioni scientifiche in latino nel palazzo Vaticano, ed era il primo a tener alta l'erudita serata con quelle animate conversazioni che furono poi pubblicate dal Sassi a Milano nel 1748, sotto il titolo di Noctes Vaticanae seu sermones habiti in Academia Romae in Palatio Vaticano instituta. A quelle conversazioni partecipavano tra gli altri il Sirleto, Francesco Alciati, e il Boncompagni che divenne Gregorio XIII. Si sa anche che egli prediligeva la musica, essendo amicissimo del Palestrina. Ma la sua serietà negli studî è attestata dalle sue Instructiones, dai suoi Sermones, dalle numerose lettere e specie dai discorsi nei concilî e nei sinodi. Le opere di S. Carlo furono stampate complete in 5 volumi in Milano nel 1747, pure da G. A. Sassi, prefetto dell'Ambrosiana, e, in seconda edizione, ad Augusta nel 1758 (voll. 2 in-folio).
Carlo morì in Milano, la sera del sabato 3 novembre 1584, con gli occhi fissi su un Cristo orante che si conserva all'Ambrosiana. Fu canonizzato il 1° novembre 1610, essendo arcivescovo di Milano suo cugino il cardinale Federico Borromeo, il quale fece costruire nel 1624 il famoso colosso di S. Carlo sulla sponda del basso Verbano. La sua festa ricorre il 4 novembre.
Fonti: Le fonti per una valutazione criticamente sicura del B. sono conservate soprattutto nell'archivio della curia arcivescovile di Milano e nella biblioteca Ambrosiana. Nell'archivio della curia è specialmente importante la parte che riguarda l'amministrazione dell'archidiocesi.
Un secondo fondo è conservato all'Ambrosiana, la quale possiede il vastissimo epistolario del santo che comprende entrambi i periodi della vita di S. Carlo. Interessantissimo poi è un altro fondo pure all'Ambrosiana, che contiene documenti d'ogni maniera, anno per anno, riflettenti i supremi negozî religioso-politici trattati dal santo. L'Ambrosiana conserva del Borromeo anche schizzi autografi di omelie e di prediche nonché abbozzi ascetici. Questa molteplice massa di documenti ha ormai all'Ambrosiana repertorî manoscritti generali e parziali, che si possono consultare. Pure all'Ambrosiana sono le Notti Vaticane.
Una terza f0nte è data dagli Atti del processo di canonizzazione (presso la Sacra Congregazione dei Riti in Roma, e anche presso l'Ambrosiana); come pure da documenti della Biblioteca Vaticana e dell'Archivio Vaticano (unziature di Spagna e di Germania, fondo svizzero) e da molti altri dell'archivio e della biblioteca dei barnabiti a S. Carlo a' Catinari in Roma.
Una quarta fonte poi per la vita di S. Carlo è il materiale raccolto dal bollandista van Octroy, e ora giacente nella sede dei bollandisti a Bruxelles, per essere riutilizzato da Baudouin de Gaiffier, successore dell'Octroy (morto nel 1921). Colà si trova pure il materiale manoscritto raccolto da A. Ratti (Pio XI), specie intorno alla vita giovanile di S. Carlo.
Bibl.: Oltre le storie e gli atti del concilio tridentino, v. A. Ratti (Pio XI), Acta Ecclesiae Mediolanensis, Milano 1890-92, II e III; G. Šusta, Die Römische Kurie und das Konzil von Trient unter Pius IV, Vienna 1909; P. Herre, Papstthum und Papstwahl im Zeitalter Philipps II, Lipsia 1907; Steffens e Reinhardt, Die Nuntiatur von G. F. Bonhomini (1579-1581), I, Soletta 1906 (in corso di stampa altri volumi); L. von Pastor, Carlo Borromeo, Das Muster eines tridentinischen Bischofs, in Katholische Reformatoren, Friburgo in B. 1924; id., Storia dei papi, trad. it., VII, VIII, IX, Roma 1920 segg.
Fra le biografie più comuni citiamo: C. Bascapé, De vita et rebus gestis Caroli B., VII, Brescia 1602; G. P. Giussano, Istoria della vita, virtù, morte e miracoli di Carlo Borromeo, Milano 1610; B. Oltrocchi, De vita et rebus gestis S. Caroli Borromaei lib. VII quos ex J. P. Glussiano B. Rubeus latine reddidit, B. Oltrocchi notis uberrimis illustravit, Milano 1751; A. Caillot, Vie de St. Charles Borromée, Archevêque de Milan, traduite et abrégée du latin du P. Basilicopetri, Parigi 1825; A. Sala, Documenti circa la vita di S. Carlo Borromeo, Milano 1857-61; C. Sylvain, Histoire de St. Charles Borromée, voll. 3, Parigi 1884; L. Celier, St. Charles Borromée, in Les Saints, Parigi 1912, tradotta anche in ital.; C. Orsenigo, Vita di S. Carlo Borromeo, 3ª ed., Milano 1929.
Per questioni particolari: G. Boero, Risposta a Vincenzo Gioberti sopra le lettere di S. Carlo Borromeo, Milano 1850; F. Bertani, S. Carlo, la Bolla Cenae, la giurisdizione ecclesiastica in Lombardia, etc., Milano 1888; C. Camenisch, Carlo B. und die Gegenreformation im Veltlin, Coira 1901: si confronti F. Segmüller, S. Carolus Borromaeus vindicatus, Einsiedeln 1924: Atti di S. Carlo Borromeo riguardanti la Svizzera e i suoi territori, per cura di P. D'Alessandri, Locarno 1909; L. Berra, L'Accademia delle Notti Vaticane fondata da S. Carlo Borromeo, Roma 1915; U. Mannucci, S. Carlo e S. Francesco di Sales nella storia della Controriforma, Roma 1910; G. Cahannes, Die Pilgerreise Carlo Borromeo's nach Disentis im August 1581, in Zeitschrift f. schw. Kirchengeschichte, 1924; L. Gramatica, S. Carlo B. e la Terra Santa, Monza 1919; A. Castellucci, Un episodio della vita di S. Carlo Borromeo, Roma 1927. Per alcune questioni ascetiche: A. Ratti (Pio XI), St. Charles B. et les Exercices de St. Ignace, 2ª edizione, Parigi 1922; Z. Morawski, Św. Karol B. na tùe odrodzenia religijnego w XVI wieku, Varsavia 1922; Le più belle pagine delle Omelie di S. Carlo, in Biblioteca dei santi, X, diretta da G. Galbiati.
Un repertorio ricchissimo è anche la pubblicazione periodica S. Carlo Borromeo nel III centenario della canonizzazione, Milano 1908-10. Una buona miscellanea fu pubblicata nel 1910 da La Scuola cattolica di Milano. Un'utile bibl. è nel Dictionn. de théol. catholique, II, coll. 271-72. Per la genealogia del B., cfr. P. Litta, Famiglie nobili italiane, II, Milano 1819.
Società di S. Carlo Borromeo (ted. Borromäusverein). - Società sorta in Germania per l'educazione del popolo cristiano specialmente attraverso la diffusione dei buoni libri. La sua fondazione risale al 1845, per opera di Franz Xaver Dieringer, August Reichensperger e il barone Maximilian von Loe. Presero il nome da S. Carlo, perché questi aveva nel 1579 istituito a Milano, nel proprio seminario, una tipografia destinata appunto alla diffusione di buoni libri. La società si è potuta diffondere rapidamente ed è passata dai paesi renani e dalla Vestfalia ai paesi esteri, penetrando specialmente nel Belgio, nell'Olanda, nel Lussemburgo, nel territorio tedesco della Svizzera, in Austria, in Francia e in Italia. La società, che ha sede in Bonn, distribuisce annualmente buoni libri alle parrocchie e agli enti religiosi, e ha cura altresì che i proprî soci possano ottenere a miglior mercato libri d'indole educativa delle diverse case editrici. La società inoltre appoggia parecchie migliaia di biblioteche popolari, e stampa anche proprî giornali, come i Borromäusblätter e la Bücherwelt. Recentemente (1926) la colonia cattolica tedesca di Milano pubblicava i Carolusblätter a imitazione dei patrî Borromäusblätter.
Bibl.: Die Gründung und Thätigkeit des Vereins vom hl. Karl Borromäus: Festschrift zum fünfzigjährigen Jubelfest des Vereins, Bonn 1895; Ph. Huppert, Offentliche Lesehallen, ihre Aufgabe, Geschichte und Einrichtung, Colonia 1899; Jahresberichte der Zentralstelle ecc., Bonn.