SAN GERMANO (1230), PACE DI
Conclusasi con la piena vittoria di Federico II la cosiddetta 'guerra delle chiavi' (autunno 1229), che era stata voluta e organizzata da papa Gregorio IX con il preciso intento di smantellare il Regno di Sicilia per porlo sotto il controllo diretto della S. Sede, riportato l'ordine in Puglia e riconquistati i territori che erano stati sottratti al Regno ai confini settentrionali con lo Stato pontificio, si trattava ora per Federico di affrontare il compito più difficile: trovare un'intesa con il pontefice. Sua intenzione era infatti a quel punto chiudere al più presto il conflitto apertosi con Gregorio IX e ottenere l'annullamento della sentenza di scomunica lanciata dal pontefice nel 1227, per poter poi rivolgersi di nuovo al suo Regno, dove l'invasione dell'esercito pontificio aveva creato varie sacche di ribellione e dove era quanto mai urgente porre mano alla realizzazione di una nuova raccolta legislativa. Al contrario, proseguire il conflitto, magari spingendo il suo esercito nel cuore dello Stato pontificio, avrebbe portato come conseguenza il prolungarsi della scomunica (nonostante questa non avesse ormai più senso, visto che Federico, seppure con ritardo, aveva comunque assolto agli obblighi presi nella dieta di San Germano del 1225; v.) e, forse, una eccessiva umiliazione del pontefice, che avrebbe anche potuto far apparire quest'ultimo in una luce migliore agli occhi dei suoi pur tiepidi sostenitori. Non altrettanto favorevole a un accordo era invece Gregorio IX, il quale, seppure sconfitto, non voleva risolversi a cedere alle richieste di pace, consapevole che questo avrebbe in qualche modo significato sconfessare le sue scelte.
Raggiunta a fatica con l'intervento del Gran Maestro dell'Ordine teutonico Ermanno di Salza una tregua d'armi, si aprirono i negoziati per la pace, alla quale si giunse tuttavia dopo molti mesi, a causa dell'atteggiamento ostile tenuto dal pontefice, che, irremovibile, si ostinava a dettare le sue condizioni, nonostante Federico II si mostrasse invece estremamente paziente e arrendevole. Era chiaro del resto che la pace conveniva soprattutto a quest'ultimo, il quale non tollerava di continuare a essere scomunicato, ben sapendo tra l'altro che la scomunica che lo aveva colpito non giovava affatto alla sua regalità.
Nella primavera del 1230 le trattative si trovavano in fase di stallo, così Federico si rivolse ai principi tedeschi affinché intercedessero presso il pontefice garantendo per lui; ma solo dopo molte insistenze, e grazie anche all'intervento di numerosi esponenti del collegio cardinalizio che pressavano il papa affinché scendesse a un accordo con l'imperatore, gli inviati imperiali poterono infine ottenere il consenso alle trattative di pace, che si svolsero a San Germano nel luglio del 1230. Gregorio IX si risolse a sciogliere dalla scomunica l'imperatore a patto che questi si impegnasse a esentare il clero siciliano dalla giurisdizione secolare sia in campo civile che penale; a non imporre il pagamento delle imposte a chiese, monasteri, conventi e in generale agli ecclesiastici del Regno; a restituire tutti i beni sottratti a coloro che avevano preso le parti del pontefice e in particolare a reintegrare i Templari e gli Ospitalieri nel possesso dei beni confiscati loro dopo la crociata; a garantire l'impunità ai partigiani del papa nel Regno di Sicilia, in Germania, in Lombardia e in Toscana; a rinunciare ai propri diritti nell'elezione dei vescovi e a dichiarare vincolanti per il Regno le norme prescritte dal IV concilio lateranense nel 1215 (v.) in materia di elezioni; a rinunciare infine esplicitamente a tutti i suoi diritti sul ducato e sulla Marca e a non invadere le altre terre della Chiesa.
Alla fine di giugno Federico giunse a San Germano per incontrarsi con i legati pontifici e il 19 luglio scrisse a Gregorio IX di aver accettato le condizioni di pace comunicategli dall'arcivescovo di Reggio Calabria, dal vescovo di Reggio Emilia, dal Gran Maestro dell'Ordine teutonico, dall'abate di Casamari e dal frate domenicano Guala. Quattro giorni dopo, il 23 luglio, fu siglato l'accordo, con l'emanazione di tre diplomi imperiali muniti di bolla aurea e con un giuramento solenne prestato dallo stesso Federico e dai principi tedeschi, che si fecero garanti per lui insieme al conte d'Acerra, Tommaso d'Aquino (v.). Il giorno seguente i legati pontifici, cardinali Giovanni della diocesi della Sabina e Tommaso del titolo di S. Sabina, sciolsero dall'interdetto le terre del Regno. Il 28 agosto, poi, a Ceprano, gli accordi furono perfezionati e Federico II fu pubblicamente e solennemente prosciolto dalla scomunica. Quattro giorni dopo, il 1o settembre, l'imperatore si recò ad Anagni, dove incontrò Gregorio IX e si riconciliò con lui.
Le pesanti condizioni alle quali Federico II dovette sottostare per ottenere il proscioglimento dalla scomunica e la cancellazione delle sanzioni decise contro di lui hanno fatto sì che il trattato fosse ritenuto da molti una pesante sconfitta per l'imperatore; in realtà la pace di San Germano fu uno smacco per Gregorio IX e una vittoria per Federico II, il quale, oltre ad aver ottenuto l'annullamento della scomunica, era riuscito di fatto a conseguire anche il riconoscimento pontificio del suo dominio sulla Germania e sul Regno meridionale. Egli inoltre aveva guadagnato il tempo e la tranquillità necessari per rivolgersi di nuovo al suo Regno, per rimettervi ordine e riunire quindi tutte le sue forze contro i comuni lombardi, potendo contare, se non sull'appoggio, quanto meno sulla neutralità del papato. Non un infortunio, dunque, ma il frutto della sagacia politica di Federico, il quale in questa circostanza seppe dare prova di una non comune abilità diplomatica (Abulafia, 1990).
Per quanto riguarda infine le concessioni fatte da Federico al pontefice, c'è da dire che alcune di queste furono di lì a poco disattese, mentre altre vennero automaticamente annullate durante la guerra scoppiata nel 1239 (si pensi a come l'offensiva di re Enzo sottrasse quasi tutta la Marca al dominio della Chiesa). Le prime a essere eluse furono quelle sul diritto di elezione: la maggior parte dei vescovi eletti nel Regno negli anni successivi alla pace di San Germano, infatti, furono esponenti della nobiltà fedele alla Corona, di quelle famiglie cioè dai cui ranghi Federico II traeva i suoi più fidati collaboratori (giustizieri, castellani, podestà, ecc.), e la monarchia ripristinò quasi subito i diritti consuetudinari che erano stati osservati nel periodo precedente, giungendo fino a intensificare il controllo esercitato sull'elezione, grazie di fatto a un aumento dei requisiti richiesti a coloro che aspiravano alla carica, come l'appartenenza al Regno per nascita e la provenienza dalle fila della nobiltà feudale (Kamp, 1994). Ben presto, inoltre, anche il diritto all'esenzione dalle imposte riconosciuto agli ecclesiastici del Regno da Federico II finì per restare lettera morta, cosicché chiese e conventi furono costretti a pagare regolarmente la collecta e nel 1240 ci si spinse fino a tassare i benefici ecclesiastici.
Fonti e Bibl.: Historia diplomatica Friderici secundi, III, pp. 207-229; Acta pacis ad S. Germanum anno MCCXXX initae.Die Aktenstücke zum Frieden von S. Germano 1230, in M.G.H., Epistolae selectae, IV, a cura di K. Hampe, 1926; Riccardo di San Germano, Chronica, in R.I.S.2, VII, 2, a cura di C.A. Garufi, 1936-1938, pp. 166-172. E. Winkelmann, Jahrbücher der deutschen Geschichte. Kaiser Friedrich II., II, Leipzig 1897, p. 189; E. Kantorowicz, Federico II, imperatore, Milano 19883, pp. 191 ss., 200; D. Abulafia, Federico II. Un imperatore medievale, Torino 1990, pp. 168, 169, 283, 291; N. Kamp, Potere monarchico e chiese locali, in Federico II e il mondo mediterraneo, a cura di P. Toubert-A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 84-106, in partic. pp. 88 ss., 94, 98.