SAN GIMINIANO
SAN GIMIGNANO Cittadina della Toscana in prov. di Siena. La prima formazione e i successivi sviluppi di S. furono legati alla presenza di una via di grande comunicazione come la Francigena, importante sia come percorso di pellegrinaggio sia come principale arteria N-S di uso commerciale e militare. La scelta del luogo della più antica fortificazione (un rilievo collinare facilmente difendibile per la presenza di uno scoscendimento naturale alle cui falde scaturisce una sorgente) fu infatti funzionale al controllo del nodo stradale d’incrocio tra la Siena-Pisa e la Volterra-Firenze. Su questo rilievo (monte della Torre) il vescovo di Volterra (della cui diocesi faceva parte S.) possedeva una corte alla fine del sec. 10°, quando già esistevano la pieve (od. collegiata di S. Maria Assunta), in località Pietratonda, e il borgo; nel 998 l’insediamento veniva già definito come castello. Si venne consolidando uno spiazzo libero in posizione centrale (od. piazza della Cisterna), mentre a O, nella parte opposta rispetto alla fortificazione vescovile, il vescovo possedeva anche l’altura di Montestaffoli, notevolmente più elevata e strategicamente dominante: tra questa e la via Francigena venne trasferita, dal 1053, la pieve.
La rete viaria fondamentale si componeva di un tracciato primario N-S, tangente alla piazza, e di una breve strada che collegava la piazza stessa, verso E, al castello vescovile: si trattava di tracciati fortemente curvilinei che vennero mantenuti nelle successive fasi di ristrutturazione e ampliamento del centro cittadino. Entro la metà del sec. 12° l’abitato venne circondato da una prima cinta muraria con tre porte principali e comprendente al suo interno la pieve, Montestaffoli e il monte della Torre; due borghi si formarono esternamente alle porte lungo la via Francigena: a S quello di San Giovanni e a N quello di San Matteo. Dal 1147 è documentata l’esistenza del Comune, che sviluppò una politica di forte inurbamento, tentando di sottomettere i signori dei piccoli castelli circostanti, anche a prezzo di aspre contese con i Volterrani. Contemporaneamente (sec. 12°) si costruirono in numero crescente le torri, che testimoniano, come nei maggiori centri urbani dell’epoca, un forte sviluppo economico fondato sulla competizione tra le principali famiglie. La vicinanza con Siena impose a S. di seguire una politica più o meno scopertamente ostile a Firenze; ne è esempio l’appoggio dato a Semifonte, un nuovo centro sorto poco più a N per iniziativa filoimperiale e distrutto dai Fiorentini nel 1202.
I decenni successivi furono determinanti per l’ulteriore e definitiva estensione del circuito murario, sotto la guida della nuova magistratura del podestà (dal 1199). L’incremento demografico portò nei primi anni del nuovo secolo alla decisione di promuovere l’urbanizzazione all’esterno dell’antico nucleo (castrum vetus): è il castrum novum, citato già nel 1204, e comprendente i borghi consolidati e una nuova vasta area, a N, tra la collina di San Jacopo e porta S. Matteo. Qui si può individuare un impianto di strade basato su una struttura cruciforme che si lega con le porte aperte nella nuova cinta difensiva, da ritenere completata entro la metà del 13° secolo. Si tratta di strade più ampie e regolari, ma ancora leggermente curve, lungo le quali si sviluppò un’edilizia più modesta, priva di connotazioni feudali e difensive, e destinata soprattutto ai nuovi immigrati; nell’area trovarono ampio spazio gli insediamenti religiosi. Le nuove mura di S. racchiusero il nucleo antico estendendosi a S e soprattutto a N, e attestandosi sulle alture naturali, ma seguendo un progetto unitario e bilanciato. L’asse dell’impianto urbanistico - che fa anche ri ferimento a un sistema territoriale che punta verso la catena collinare in direzione di Volterra - è quello che attraversa il centro cittadino, da Montestaffoli alla fortificazione del vescovo; un riferimento fondamentale verso valle è costituito dalle fonti, rimaste all’esterno del circuito. La nuova cinta, rinforzata da torri sul lato occidentale, disponeva di tre porte principali (S. Giovanni, S. Matteo, alle Fonti); ma rimasero in situ anche le porte del circuito interno, sia per motivi militari sia per continuare a delimitare il nucleo più antico, dove risiedeva ancora la maggior parte delle più ricche famiglie feudali e mercantili. L’articolazione amministrativa in quattro contrade - del Castello, della Piazza, di San Giovanni e di San Matteo (ridotte a tre dopo la pestilenza del 1348) - rifletteva a sua volta ancora la distinzione tra castrum vetus e castrum novum e sanciva rapporti gerarchici ormai immutabili. Le prime due contrade, poi unificate, corrispondevano infatti all’antico nucleo, del resto ancora oggi perfettamente identificabile, del castrum vetus.
Gli scontri tra guelfi e ghibellini portarono, nella seconda metà del Duecento, a qualche distruzione di case e torri, ma ebbero minori conseguenze rispetto a quanto accadde in altri centri urbani. L’intensa attività edilizia e gli investimenti immobiliari delle principali famiglie produssero un ambiente di notevole qualità architettonica e spaziale (anche se S. non fu mai ufficialmente ‘città’), dominato dalle torri e dalle case gentilizie che vi si affiancarono. È del 1255 la prima redazione degli Statuti, ricchi di norme di carattere igienico e di prescrizioni relative alle nuove costruzioni, limitate nelle dimensioni e sottoposte a controlli sull’altezza. Ma il carattere cittadino di S. si rafforzò con la costruzione di prestigiosi monumenti e con la sistemazione, entro la fine del secolo, della piazza comunale.
Gli Ordini mendicanti si insediarono nel corso del Duecento: il convento di S. Francesco venne costruito a partire dal 1247 all’esterno di porta S. Giovanni, in direzione di Siena (distrutto nel sec. 16° per costruire la fortificazione a tenaglia voluta dai Medici); quello di S. Agostino fu edificato dal 1280 entro le mura e in direzione opposta. Si trattò, come in molti altri casi, di un posizionamento accuratamente bilanciato rispetto alla pieve, ormai divenuta collegiata.
Nella costruzione della nuova piazza religiosa e civile, collegata di spigolo da un breve tratto della via principale con la piazza dell’Olmo (od. piazza della Cisterna), si tenne conto dei nuovi ideali estetici e dei nuovi modelli progettuali che, in questi anni, provenivano in gran parte dalle esperienze urbanistiche fiorentine. L’antica chiesa, orientata liturgicamente, venne ribaltata con la facciata al posto dell’abside verso la nuova piazza, mentre di fronte, a prolungarne l’asse di simmetria, si costruì il voltone con il palazzo del Podestà.
Ma l’edificio più significativo è il nuovo palazzo del Popolo, sede del Comune, con la torre Grossa, destinata a dominare su ogni altra torre privata, che venne a occupare il lato meridionale della piazza, a squadro rispetto alla facciata della collegiata. Si venne così a comporre una spettacolare scenografia monumentale orientata secondo la veduta diagonale o di spigolo, avente come termine e asse di riferimento la torre, e dove le sedi dei due poteri dominanti si equilibravano nelle dimensioni. La scena urbana principale va osservata, e non è un caso, dall’angolo N-E della piazza, all’imbocco di via S. Matteo, dove giunge chi proviene da Firenze; infatti era ormai quest’ultima città il riferimento politico sempre più obbligato per i sangimignanesi. La cultura artistica della cittadina continuò comunque a gravitare nell’orbita senese, come dimostrarono, per tutto il sec. 14°, le prestigiose decorazioni a fresco.
definitivo status urbano. Il S. Domenico andò così a consolidare ulteriormente la prevalenza storica del nucleo centrale; inoltre, a significare il superiore controllo pontificio, la sede domenicana sovrastava sia la collegiata sia il palazzo del Popolo. Può darsi che questa scelta fosse stata anche suggerita dai precoci appetiti su Montestaffoli (luogo ideale per una moderna rocca) indirettamente manifestati dai Fiorentini; la costruzione della sede domenicana avrebbe potuto, in teoria, renderne più difficile la realizzazione.
Ma la crescente pressione economica e politica di Firenze provocò, pochi anni più tardi, un completo capovolgimento dei valori strategici, simbolici e monumentali. I Fiorentini, che si erano già assicurati la proprietà dell’antico castello del vescovo, ormai da tempo ceduto a privati, ottennero la resa di S. (1353) e la inclusero nel proprio contado, imponendo alla cittadina la costruzione di una rocca proprio nel luogo più adatto, Montestaffoli. Alla connotazione religiosa subentrò improvvisamente quella militare: la chiesa di S. Domenico e il relativo convento, appena costruiti, vennero totalmente demoliti per far posto alla nuova struttura difensiva, che riassume in sé l’irreversibile perdita delle libertà comunali. Ai Domenicani venne concessa, in cambio, la più bassa ma centrale area del castello vescovile, dove il convento e la chiesa (od. penitenziario) vennero rapidamente riedificati.
L’edificazione della rocca concluse le trasformazioni urbanistiche della S. medievale: la sua presenza - non eccessivamente ingombrante e minimizzata nell’iconografia storica, per es. nella celebre rappresentazione nel polittico di Taddeo di Bartolo (San Gimignano, Mus. Civ.) - non esautorò, ma anzi in qualche modo ribadì il ruolo paesaggistico delle costruzioni religiose e civili e soprattutto delle torri. Ed è proprio alle torri, considerate l’espressione più riconoscibile della ricchezza e della potenza delle principali famiglie, e delle stesse libertà comunali, che prestò particolare attenzione Matteo Ciaccheri, autore di una Cronichetta di San Gimignano (1355) che vuole essere testimonianza delle glorie passate ma anche di una pronunciata decadenza. L’orgoglio municipale si esprime in termini di bellezza, e l’autore incoraggia i concittadini a conservare quel patrimonio monumentale ed edilizio che ha reso S. degna di essere considerata «il fiore delle castella».
Bibl.: Fonti. - Statuti del Comune di San Gimignano, MCCCXIV, San Gimignano 1982; Matteo Ciaccheri, Cronichetta di San Gimignano, a cura di E. Sarteschi, Bologna 1865.
Letteratura critica. - L. Pecori, Storia della terra di San Gimignano, Firenze 1853; E. Fiumi, Storia economica e sociale di San Gimignano, Firenze 1961; R. Salvini, Semifonte, Firenze 1969; E. Guidoni, Arte e urbanistica in Toscana, 1000-1315, Roma 1970; C. Meli, La Valdelsa, lotta economico-militare e dinamica degli insediamenti nel baricentro viario della Toscana, in Città, contado e feudi nell’urbanistica medievale, a cura di E. Guidoni, Roma 1974, pp. 37-62; id., San Gimigna no, in Storia dell’arte italiana, VIII, Inchiesta su centri minori, Torino 1980, pp. 105-132; J. Vichi Imberciadori, San Gimignano: edilizia e igiene sociale, XIII-XIV secolo, Poggibonsi 1980; P. Cammarosano, V. Passeri, Città, borghi e castelli dell’area senese-grossetana. Repertorio delle strutture fortificate dal Medio Evo alla caduta della Repubblica Senese, Siena 1984, pp. 159-171; I. Ceccarini, San Gimignano, i fatti principali della Storia urbanistica, San Gimignano 1988; F. Redi, Edilizia medievale in Toscana (Strutture edilizie e organizzazione dello spazio in Toscana, 1), Firenze 1989; Gli albori del comune di S. Gimignano e lo Statuto del 1314, a cura di M. Brogi, Siena 1995; San Gimignano e la Via Francigena, De Strata Francigena, 4, 2, 1996; Atlante storico delle città italiane. San Gimignano, a cura di E. Guidoni, Roma 1997.
Pittura e miniatura. - Furono le due maggiori istituzioni pubbliche cittadine, il Comune e la Chiesa, a promuovere le più importanti imprese artistiche tra 13° e 14° secolo. Del periodo anteriore, totalmente perduta è la decorazione romanica della collegiata di S. Maria Assunta, ricostruita nel corso della prima metà del sec. 12° e consacrata da papa Eugenio III nel 1148. Di datazione incerta sono i due pavoni, in parte ridipinti, affrontati al rosone della navata destra.
Il monumentale Crocifisso dipinto da Coppo di Marcovaldo (v.) nel 1254 per la collegiata di S. Maria Assunta (San Gimignano, Mus. Civ.) è un innesto precoce di pittura fiorentina in terra di Siena, cui fecero seguito opere sia di Guido da Siena (v.), come la Maestà del 1280 (Siena, Mus. Civ.), sia del Maestro delle Clarisse, forse Rinaldo da Siena, come il Crocifisso del 1280-1285 (San Gimignano, Mus. Civ.; Bellosi, 1991), marcando il passaggio dal Romanico al Gotico, che a S. si sviluppò sotto il segno dell’arte senese.
Nella collegiata, gli affreschi della parete sinistra della controfacciata - Miracolo di s. Nicola di Bari, scena liturgica, Madonna con il Bambino tra due sante e angeli, scena di martirio - risalgono all’inizio del sec. 14° e sono attribuiti a Memmo di Filippuccio (v.), miniatore e ‘pittore civico’ documentato a S. tra il 1303 e il 1317. Dominano l’interno dell’edificio i due cicli affrontati del Vecchio e del Nuovo Testamento, che svolgono il racconto biblico su tre registri sovrapposti, rispettivamente sulla parete sinistra e destra della navata, con l’eccezione della grande Crocifissione che occupa in altezza i tre registri.
Le storie veterotestamentarie, autografe del senese Bartolo di Fredi (v.), sono datate al 1367. Lo stile narrativo dei dipinti, ricchi di spunti favolosi e descrizioni di gustoso ma ingenuo realismo, semplifica e divulga la gloriosa tradizione pittorica inaugurata da Ambrogio e Pietro Lorenzetti, traendo nuova linfa dagli epigoni della scuola giottesca. Le storie cristologiche della parete opposta esprimono l’altro grande filone dell’arte senese che fa capo a Simone Martini (v.) e alla sua bottega. In particolare, nei riquadri con gli episodi della Passione riecheggiano gli accenti drammatici ed ‘espressionistici’ degli anni avignonesi della bottega martiniana. Una datazione degli affreschi intorno al 1380 e la tradizionale attribuzione a Barna (v.) con la collaborazione di Giovanni da Asciano (v.; Brandi, 1928; Gabrielli, 1936; Carli, 1981), che risale a Ghiberti e a Vasari, sono state più volte messe in dubbio da parte della critica (Bacci, 1927; Pope-Hennessy, 1946; Toesca, 1951; Caleca, 1977), che si è poi orientata verso la bot tega dei Memmi, in particolare sullo stesso Lippo Memmi (v.) e forse sul fratello Tederico (o Federico), e a favore di una datazione ai primi anni del quinto decennio del Trecento.
Conclude il ciclo verso la controfacciata il Giudizio universale di Taddeo di Bartolo (v.), del 1393, con le due grandi immagini affrontate dei beati e dei dannati.
La presenza di Simone Martini a S. sarebbe testimoniata dal volto di una Madonna con il Bambino, per il resto totalmente ridipinta, affrescata nell’oratorio di S. Lorenzo in Ponte, e dal polittico, datato al 1317, che si trovava sull’altare maggiore della chiesa di S. Agostino, ora smembrato: Madonna con il Bambino (Colonia, Wallraf-Richartz-Mus.); Ss. Gimignano, Agostino e Michele (Cambridge, Fitzwilliam Mus.); S. Caterina (Firenze, coll. privata; De Benedictis, 1988). Sempre a S. Agostino si ritrovano, a conferma di una notevole omogeneità di indirizzo nella produzione artistica della città, opere sia di Lippo Memmi, come l’affresco votivo con la Madonna con il Bambino e s. Michele Arcangelo (1317-1320 ca.), sia di Bartolo di Fredi, come le scene della Vita della Vergine (1370 ca.), nella cappella destra del coro. Ancora immagini di devozione privata miste a cicli agiografici frammentari sono nella vicina chiesa di S. Pietro, dove si segnala, accanto ad affreschi prossimi alla maniera di Memmo di Filippuccio, la rara iconografia della Madonna del Passeggio: il Bambino, già grande, cammina tenuto per mano dalla Madre, tra i ss. Paolo e Giovanni Battista. L’affresco, dal confronto con le scene della Passione nella collegiata, è stato attribuito a Lippo Memmi, a Tederico Memmi o a Giovanni d’Asciano.
Nella periferica chiesa di S. Jacopo, è ascrivibile a Memmo di Filippuccio una Madonna con il Bambino fra i ss. Giacomo Maggiore e Giovanni Evangelista, mentre la Crocifissione, la Deposizione nel sepolcro e il S. Giovanni Battista esprimono, all’interno del côté martiniano della bottega dei Memmi, una mano vicina al Maestro della Madonna Straus (v.).
La storia della pittura civile a scopo didattico-morale, tipico portato della società comunale, si apre a S. con l’immagine, oggi scomparsa, di un fratricidio dipinto nel 1274 da Rinaldo da Siena sulla facciata della collegiata (Rajna, 1920). L’assassinio di Schiavo di Paltone da parte del fratello Nanzo doveva servire da monito alla popolazione dilaniata da lotte intestine.
Il palazzo del Popolo fu inaugurato nel 1288 e nel 1291 è documentato il pagamento al pittore fiorentino Azzo di Masetto per aver dipinto cameram novi Palatii. Il ciclo, a sfondo politico e celebrativo, sviluppa i temi più classici della cultura profana del Duecento: l’epifania del potere regale, i tornei cavallereschi, una battuta di caccia, animali fantastici e figure simboliche (per es. il drago e il centauro, l’uomo e il leone armato), cui fa da corona una teoria di contrassegni araldici. Accanto alla porta troneggia una grande immagine votiva di S. Cristoforo. Il personaggio assiso sul faldistorio tra paggi recanti falconi è forse Carlo d’Angiò: secondo tale ipotesi si tratterebbe della commemorazione della riconferma dei privilegi accordati dal sovrano alla città dopo la vittoriosa battaglia di Poggibonsi nel 1274. L’iscrizione sottostante, che ricorda invece il buon esito di un arbitrato concluso il 3 aprile 1292 da Scolaio Ardinghelli in una lite tra il Comune e il clero, lascia adito a dubbi sulla sua datazione per la serie di ridipinture subìte dagli affreschi nel registro sottostante della parete.
Nella stessa sala si trova la Maestà che il podestà Nello Tolomei, ritratto ai piedi della Vergine, commissionò a «Memmo pittore e Lippo suo figliuolo» (Firenze, Bibl. Naz., Spoglio Strozziano Cl.XXV, 567, c. 4r), ma che firmò il solo Lippo Memmi nel 1317. Il grande affresco ripete, al limite della copia, quello più celebre dipinto da Simone Martini nel 1315 per la sala dei Nove nel Palazzo Pubblico a Siena. Nel 1366 Bartolo di Fredi vi aggiunse quattro santi.
Sulle pareti della c.d. camera del podestà nella torre Grossa, conclusa nel 1311, si svolge una decorazione pittorica attribuita a Memmo di Filippuccio. La destinazione è privata e il programma iconografico, di impronta didattico-morale, illustra il tema dell’eterna contrapposizione tra Virtus e Voluptas, attraverso una serie di racconti esemplari sui pericoli della seduzione, tratti dalla ricca tradizione misogina della letteratura latina e romanza del Medioevo. Quelli che in un primo momento erano stati ammirati come rare tranches de vie sono stati di recente giustamente interpretati come tópoi della letteratura gnomica ed edificante: la parabola del figliol prodigo, la leggenda cortese della seduzione di Aristotele (Aristotele sedotto durante lo studio; il filosofo cavalcato da Campaspe sotto lo sguardo di Alessandro Magno e della sua concubina), cui si aggiunge un racconto sugli inganni dell’amore che si sviluppa nelle tre scene dell’incontro, del bagno e della camera da letto (Campbell, 1997).
Nel Mus. Civ. di S. sono conservati, tra gli altri: il dossale delle Clarisse (1310 ca.) di Memmo di Filippuccio, proveniente dalla chiesa di S. Chiara; il polittico con la Madonna Assunta e santi (1340-1345) di Niccolò di Ser Sozzo (v.) e il polittico con S. Gimignano in trono che reca in grembo la città turrita e otto miracoli (1393-1394) di Taddeo di Bartolo.
Nel Mus. d’Arte Sacra, uno scomparto di polittico, detto Madonna della rosa, firmato da Bartolo di Fredi e datato al settimo decennio del Trecento, è un raro esempio della raffinata produzione su tavola dell’artista senese. Nello stesso museo si conservano, inoltre, i corali miniati intorno al 1340 da Lippo Vanni (v.; LXVIII-5, LXVIII-6, LXVIII-7) e Niccolò di Ser Sozzo (LXVIII-1, LXVIII-4), destinati alla collegiata (De Benedictis, 1976); tra le pagine più pregiate, quella con S. Gimignano in trono (LXVIII-1, c. 22r).
Bibl.: Fonti. - Lorenzo Ghiberti, I Commentari, a cura di O. Morisani, Napoli 1947, p. 39; Vasari, Le Vite, II, 1967, pp. 253-256.
Letteratura critica. - P. Rajna, Pittura e pittori a S. Gimignano intorno all’anno 1300, Miscellanea storica della Valdelsa 28, 1920, pp. 1-13; P. Bacci, Il Barna o Berna, pittore della Collegiata di San Gimignano è mai esistito?, La Balzana 1, 1927, pp. 249-253; C. Brandi, Barna e Giovanni d’Asciano, ivi, 2, 1928, pp. 19-36; A.M. Gabrielli, Ancora del Barna pittore delle storie del Nuovo Testamento nella Collegiata di S. Gimignano, Bollettino senese di storia patria 7, 1936, pp. 113-132; J. Pope-Hennessy, The Pseudo-Barna and Giovanni d’Asciano, BurlM 88, 1946, pp. 34-37; E. Carli, La data degli affreschi di Bartolo di Fredi a San Gimignano, CrArte, s. III, 8, 1949, pp. 75-76; Toesca, Trecento, 1951; E. Carli, Una Madonna di S. Gimignano e un’ipotesi sul problema di Guido da Siena, in id., Dipinti senesi del Contado e della Maremma, Milano 1955, pp. 15-33; E. Carli, G. Cecchini, San Gimignano, Milano 1962; G. Previtali, Il possibile Memmo di Filippuccio, Paragone 13, 1962, 155, pp. 3-11; E. Carli, Ancora dei Memmi a San Gimignano, ivi, 14, 1963, 159, pp. 27-44; C. De Benedictis, I corali di S. Gimignano, Paragone 27, 1976, 313, pp. 103-120; 315, pp. 87-95; 321, pp. 61-78; A. Caleca, Tre polittici di Lippo Memmi e un’ipotesi sul Barna e la bottega di Simone e Lippo, CrArte, s. IV, 23, 1977, 151, pp. 55-80; C. De Benedictis, La pittura senese 1330-1370, Firenze 1979; E. Carli, La pittura senese del Trecento, Milano 1981; C.K. Fengler, Bartolo di Fredi’s Old Testament Frescoes in S. Gimignano, ArtB 63, 1981, pp. 374-384; C. De Benedictis, Pittura e miniatura del Duecento e del Trecento in terra di Siena, in La Pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, Milano 1986, I, pp. 325-363; G. Freuler, Lippo Memmi’s New Testament Cycle in the Collegiata in S. Gimignano, AC 74, 1986, pp. 93-102; A. Caleca, Quel che resta del cosiddetto Barna, in Simone Martini, «Atti del Convegno, Siena 1985», Firenze 1988, pp. 183-185; C. De Benedictis, Simone Martini a San Gimignano e una postilla per il possibile Donato, ivi, pp. 187-191; L. Bellosi, Per un contesto cimabuesco senese: Rinaldo da Siena e Guido di Graziano, Prospettiva, 1991, 62, pp. 15-28; G. Freuler, Bartolo di Fredi Cini, Disentis 1994; C.J. Campbell, The Game Courting and the Art of the Commune of San Gimignano, 1290-1320, Princeton 1997.