SAN GIORGIO, Giovanni Francesco Biandrate
di. – Nacque a Casale Monferrato (a Trino secondo De Gregory, 1821, p. 83) il 7 aprile 1545, quartogenito di Giovanni Guglielmo e di Violante Roero di Guarene.
Di famiglia trinese, il padre (morto nel 1549) era stato uno degli uomini di punta della transizione del Monferrato dai Paleologo ai Gonzaga: ambasciatore presso Carlo V, era stato consigliere cesareo nel 1535 e presidente del Senato di Casale nel 1537, a suggello del cambio di dominazione. In particolare, Teodoro, primogenito, divenne suddito fedele dei duchi di Mantova inanellando le cariche di maggior prestigio dello Stato. Guido militò invece nelle Fiandre sotto Emanuele Filiberto, restando ucciso nell’assedio di Maastricht del 1580; Alessandro, il terzo fratello, fu cavaliere gerosolimitano e l’ultimo nato, Federico, combatté a Lepanto, fu colonnello di cavalleria per Gregorio XIII e Filippo II e morì cavaliere di Malta nel 1595. La famiglia Biandrate, peraltro, aveva già espresso un cardinale nel XV secolo, Gianantonio Sangiorgio (morto nel 1509), vescovo di Alessandria e di Parma (v. la voce in questo Dizionario).
Giovanni Francesco fu indirizzato alla carriera ecclesiastica, che percorse con rapidità e brillanti risultati, favorito dalle congiunture che vedevano Guglielmo Gonzaga allinearsi alla politica di Pio V. Dopo gli studi compiuti a Roma, esordì nelle vesti di segretario di Legazione accompagnando il cardinal nipote Alessandrino Michele Bonelli e Ippolito Aldobrandini (futuro Clemente VIII) nella missione che, fra 1571 e 1572, li condusse a colloquio presso le corti di Madrid, Lisbona e Blois per ottenere sostegno contro i turchi e regolare alcune questioni politico-dinastiche relative al trattamento dei Medici e alla Corona di Portogallo. Sempre nel 1571 fu nominato referendario del tribunale della Segnatura apostolica di grazia e giustizia ed ebbe avvio un cursus honorum dedicato al controllo dell’amministrazione pontificia.
Assai numerosi furono gli incarichi di governo a partire dal 1572: fu governatore di Norcia da giugno di quell’anno a gennaio del 1574; di Camerino fino a dicembre 1575; presidente e legato di Romagna nel biennio 1576-77; governatore di Bologna da gennaio 1578 a giugno 1579; delle Marche nel 1580; di Perugia dal 10 dicembre 1580 al novembre 1581 e infine di Roma fra il 27 aprile 1583 e il 12 agosto 1585. A Bologna, durante il suo governo, furono emanate nuove costituzioni inerenti i registri processuali, mentre la responsabilità romana riguardò la questione dei carcerati e dei banditi, spesso originari di altre città dello Stato pontificio, supplicanti la grazia, uno sconto di pena o un lasciapassare. Fu costituito protonotario apostolico soprannumerario e gli fu conferita in beneficio la prepositura della chiesa di Nostra Signora della Scala a Milano (novembre 1581).
La fervida attività testimonia sia le capacità diplomatiche di Biandrate, contraddistinto da un carattere conciliante, sia il suo pieno inserimento nei circuiti vaticani. La forte contiguità con il casato degli Aldobrandini e il radicamento in seno allo Stato pontificio non gli impedirono di mantenere saldi legami con le origini e con la famiglia. Appare in tal senso strategica la scelta, sollecitata da Guglielmo Gonzaga presso Sisto V, di deputarlo vescovo della diocesi monferrina di Acqui, vacante per l’abbandono di Pietro Fauno Costacciaro.
Una prima preferenza era stata espressa per il più celebre Francesco Panigarola, già vescovo di Asti e collaboratore di Carlo Borromeo. Tuttavia, il fratello minore di Teodoro Biandrate – presidente del Senato casalese come già il padre – garantiva al duca maggiore aderenza alla dinastia e continuità di governo anche nelle materie ecclesiastiche.
Giovanni Francesco giunse ad Acqui nell’agosto del 1585 senza aver ancora ricevuto gli ordini sacri – li ebbe il 3 novembre con la commenda dell’abbazia di Ripalta –, ma fu subito attivo nella gestione di un bacino di fedeli in area di confine. Riorganizzò la diocesi secondo i dettami tridentini: indisse un sinodo nel 1586; stese una relazione per le visite ad limina constatando come essa annoverasse «86 torri, 9 nello Stato di Milano, 11 nelle terre di Casa Savoia, 2 nella Repubblica di Genova, 5 nelle terre imperiali» (Archivio vescovile di Acqui, Visite ad limina, 6 dicembre 1588); disciplinò i 12 conventi, le 4 abbazie e i 2 monasteri esistenti sul territorio; si attivò per la fondazione di un collegio barnabitico. Agevolò l’accorpamento di benefici vacanti; la ristrutturazione del duomo di Acqui (con la diffusione della pratica dell’osculo sancto: egli stesso donò un osculatorio d’argento massiccio) e l’accensione di un Monte di pietà regolato secondo le normative di Pio V contro l’usura, che dotò personalmente con 2000 crosazzi di Spagna (Biorci, 1819, p. 54).
Nel 1592 Giovanni Francesco tornò al governo delle Marche e nel 1593 passò alla presidenza della Romagna. Si trattava di un banco di prova importante. Prima di lui, fra gli altri, avevano retto quell’incarico lo stesso Borromeo (1565) e Paolo Camillo Sfondrati, nipote di papa Gregorio XIV. Cresceva intanto sempre più il vincolo di fiducia e amicizia con Pietro Aldobrandini. Quando lo zio di questi salì al soglio come Clemente VIII ed egli, con l’altro nipote Cinzio, divenne il suo cardinal nipote, la carriera di San Giorgio progredì ulteriormente. Egli fu tra i partecipanti ai colloqui romani atti a valutare la bontà della conversione di Enrico IV di Borbone, perorata prima (invano) da Ludovico Gonzaga Nevers, poi dai suoi ambasciatori Arnaud d’Ossat e Jacques Davy Du Perron, vescovo di Évreux, tra il 1593 e il 1595. Ancora titolare di Acqui, compare fra «gli italiani meritevoli, politicamente neutrali ed obbligati al papa» (von Pastor, 1929, p. 183) scelti dal pontefice nel 1596 per creare una commissione ad hoc guidata da Cesare Baronio. Il 5 giugno Clemente VIII lo aveva premiato con il cappello cardinalizio e il titolo di S. Clemente; di più, considerandolo esponente del suo clan familiare, gli concesse facoltà di aggiungere al suo il cognome Aldobrandini e di trasmetterlo agli eredi (per l’identificazione del personaggio nelle fonti ciò contribuì e contribuisce a creare ambiguità: Clemente VIII aveva infatti anche un nipote laico di nome Giovanni Francesco Aldobrandini, mentre Cinzio era cardinale con il titolo di S. Giorgio).
Fu allora affidata a Biandrate una nuova, importante missione: l’assistenza al cardinal nipote Pietro nella devoluzione del Ducato di Ferrara dagli Este al Papato. In qualità di prolegato egli raggiunse la città con il papa l’8 giugno 1598 e lì, a novembre, si occupò dell’accoglienza di Margherita d’Asburgo diretta in Spagna come sposa di Filippo III ricevendola «a cavallo con l’abito» (Bentivoglio, 1648, p. 26). Pietro e Giovanni Francesco furono soprattutto alle prese con i problemi strutturali del ducato, primo fra tutti la sua bonifica.
Nel settembre del 1599 il cardinale di S. Clemente si ritrovava «sul luogo ove si disegna far il nuovo taglio» di un ramo del delta fluviale (Archivio segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Legazione di Ferrara, b. 2, 1599 s., c. 1: Girolamo Agucchi a Pietro Aldobrandini) e la sua presenza è registrata anche nei mesi successivi, con il cardinale Maffeo Barberini (cc. 3-16). Risalgono a quel tempo i Capitoli circa l’acque [...] della citta di Ravenna editi sotto l’auspicio di «Francis. card. leg.» nel quale va certamente riconosciuto Biandrate. A lui, poi, Clemente VIII diresse un breve datato 22 agosto 1604 con il quale intendeva regolare i difficili lavori d’immissione delle acque torbide del Reno in un alveo del Po affinché si riprendesse «la navigatione già perduta» (Archivio di Stato di Bologna, Assunteria di confini e acque, Notizie diverse d’acque, b. 1, t. I, Relatione di mons. Corsini fatta l’anno 1625 al sig. card. Barberini, cc. 49-57).
Nel 1601 gli fu concessa in beneficio l’abbazia di S. Maria di Caramagna, in territorio sabaudo, e il 16 aprile 1603 fu proclamato vescovo di Faenza, affinché proseguisse la sua opera in Romagna. Alla morte di Clemente VIII, Biandrate era tra le cinquantatré creature del papa defunto: si trattava di un nucleo forte, capeggiato da Pietro Aldobrandini e pronto a seguirlo nella sua sterzata a favore dei francesi dopo anni di orientamento filospagnolo. A quel punto, apprezzato e piuttosto super partes, il nome del cardinale di S. Clemente fu tra i papabili insieme con quello di Cesare Baronio, di Alessandro de’ Medici e di altri graditi a Enrico IV. Nel testa a testa serrato fra Baronio e Medici, fu eletto quest’ultimo come Leone XI, ma il suo pontificato durò meno di un mese e le trattative si riaprirono subito, sempre manovrate da Aldobrandini. Giovanni Francesco tornò a essere menzionato fra i candidati, sebbene con poche speranze: sormontato da Baronio, Roberto Bellarmino, Ottavio Aquaviva, Paolo Emilio Sfondrati, ma soprattutto avversato dalla Spagna contro Aldobrandini, il 14 maggio 1605 egli fu escluso dai giochi, restando confinato a ruoli subalterni nonostante l’estremo tentativo di contrapporlo al cardinale Alessandro Peretti Montalto e a Camillo Borghese poi vincitore come Paolo V. Del resto, pur non vecchissimo, la sua salute peggiorò rapidamente e il 16 luglio di quello stesso 1605 morì a Bagni di Lucca.
A compendio del suo operato, più che la lapide solenne del duomo di Faenza dove fu sepolto, risuonano le parole del cardinal Guido Bentivoglio. Egli ebbe modo di apprezzarlo in occasione della devoluzione ferrarese: «Al governo di quella legazione era rimasto con titolo di collegato il card. San Clemente, di casa San Giorgio, famiglia delle più antiche e più nobili del Monferrato, [...] cardinale veramente di gran valore, d’alta e nobile corporatura, cortese, magnanimo e che aveva in tutte le sue azioni altrettanto del cavaliere quanto avesse dell’ecclesiastico [...] e ne ricevei molti fruttuosi ricordi per avermi a ben governare alla corte di Roma» (cit. in Fattori, 2004, p. 282).
Fonti e Bibl.: Acqui, Archivio vescovile, Relazioni per visite ad limina, b. 1, f. 1, 6 dicembre 1588; Archivio di Stato di Bologna, Assunteria di confini e acque, Notizie diverse d’acque, b. 1, t. I, Relatione di mons. Corsini fatta l’anno 1625 al sig. card. Barberini, cc. 49-57; Archivio di Stato di Roma, Tribunale criminale del governatore, Cancelleria, b. 41, Mandati, 1583-1584; Archivio segreto Vaticano, Registra Vaticana, 2020, cc. 72v, 101v, 107, 144v, 194v, 219v; Segreteria di Stato, Legazione di Ferrara, b. 2, 1599-1683, cc. 1, 3, 16, 30 s.; Archivio di Stato di Torino, Monferrato, Materie ecclesiastiche, m. 5, Acqui, Monte di pietà, 1606.
Constitutiones nuperrime editæ per ill.mum et reuer. D. Fr. Sangeorgium Bononiæ gubernatorem pontificium..., Bononiæ 1578; Felicissima entratata di N. S. P.P. Clemente VIII nell’inclita città di Ferrara..., Ferrara 1598; Capitoli circa l’acque [...] della citta di Ravenna et suo territorio, Ravenna 1599; G. Bentivoglio, Memorie del cardinal Bentivoglio..., Venezia 1648, pp. 26-30; G. Biorci, Antichità e prerogative d’Acqui-Staziella, II, Tortona 1819 (rist. anast. Acqui Terme 2001), pp. 155 s., 253 e Appendice, pp. 54, 75, 132 s.; G. De Gregory, Istoria della vercellese letteratura ed arti, parte III, Torino 1821, pp. 83-85; A. Manno, Il patriziato subalpino..., II, Firenze 1906, p. 288; L. von Pastor, Storia dei Papi..., XI, Roma 1929, pp. 183, 613, 705, 712 s.; XII, 1930, pp. 6, 8, 24, 26, 30, 221, 232; K. Eubel, Hierarchia Catholica Medii et recentioris Ævi, IV, 1592-1667, a cura di P. Gauchat, Münster 1935, p. 5; N. Del Re, Monsignor governatore di Roma, Roma 1972, p. 92; Titulos y privilegios de Milán. Siglos XVI-XVII, a cura di A. Gonzalez Vega - A. Diez Gil, Valladolid 1991, p. 323; Legati e governatori dello Stato pontificio: 1550-1809, a cura di C. Weber, Roma 1994, pp. 122, 171, 249, 286 s., 296, 312, 329, 360, 364, 366, 498; P. Ravera, I vescovi della Chiesa di Acqui dalle origini al XX secolo, Acqui Terme 1997, pp. 274-280; B.A. Raviola, Il Monferrato gonzaghesco. Istituzioni ed élites di un micro-stato (1536-1708), Firenze 2003, pp. 358, 394; M.T. Fattori, Clemente VIII e il Sacro Collegio (1592-1605). Meccanismi istituzionali ed accentramento di governo, Stuttgart 2004, pp. 4, 124, 144, 149, 170, 172, 199, 212, 250, 252, 261, 282, 356; K. Jaitner, Der Hof Clemens’ VIII (1592-1605). Eine Prosopographie, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, 2004, vol. 84, pp. 137-331 (in partic. pp. 201 s., 303); P.P. Piergentili, «Christi nomine invocato». La cancelleria della Nunziatura di Savoia e il suo archivio (secc. XVI-XVIII), Città del Vaticano 2014, pp. 488 s.; S. Feci, I criminalisti dello Stato pontificio in età barocca. Una ricerca in corso, in Historia et ius. Rivista di storia giuridica dell’età medievale e moderna, 2016, vol. 9, pp. 1-44 (in partic. p. 25), http://www.historiaetius.eu/num-9.html (24 luglio 2017). Si veda inoltra la scheda dedicata a S. da D. Cheney, sul sito web http://www.catholic-hierarchy.org/bishop/ bbdsga.html (24 luglio 2017).