GRAL, SAN
. La leggenda del San Gral, quale ci si presenta nel testo francese in cui appare nel suo maggiore sviluppo (il romanzo in prosa di Lancelot del sec. XIII), è, si può dire, un grande tentativo fatto dall'eresia per combattere la supremazia di Roma nella storia della propaganda delle dottrine della Chiesa e per sostituire un'altra autorità a quella di San Pietro. Dalla prima delle tre parti di questo romanzo, detto di Lancelot (che risulta della Estoire dou Graal; del Lancelot vero e proprio; e della Queste dou Graal), appare evidente il proposito di mostrare come la fede cristiana si sia difiusa non da Roma, ma per altre vie, dall'Oriente alle regioni settentrionali europee. Nella Estoire dou Graal, scritta fra il 1221 e il 1225, leggiamo come Giuseppe d'Arimatea fosse istigato da una voce celeste ad andare predicando la fede di Cristo con i suoi compagni, fra cui il figlio, e come questa predicazione giungesse, indipendentemente da Roma, sino in Inghilterra. Questi predestinati a propagare la parola di Cristo erano accompagnati nel loro viaggio dalla virtù miracolosa di un sacro vaso, contenente il sangue del Redentore: il Graal. Il romanzo di Lancelot dipende per non piccola parte da un poema, che ci è stato anch'esso conservato, di Robert de Boron, scritto sullo scorcio del sec. XII e intitolato Roman de l'estoire dou Graal, prima parte di una trilogia, di cui le due ultime sezioni (Merlin e Perceval) ci sono giunte solo in un rimaneggiamento in prosa. Anche della prima sezione abbiamo una redazione prosastica (Joseph d'Arimathée); in questa, come nell'opera di Robert, l'intento eretico non si nota.
Questa leggenda ha una lunga preistoria, la quale ci conduce all'evangelo di S. Matteo (XXVII, 57-61), in cui è raccontato come, morto Gesù, Giuseppe d'Arimatea avesse chiesto e ottenuto da Pilato il corpo del Salvatore per dargli sepoltura. Troviamo poi il racconto di S. Matteo svolto ed esteso nel cosiddetto Pseudo-Evangelo di Nicodemo, composto non dopo il sesto secolo, nel quale si legge che gli Ebrei, irati contro Giuseppe, lo avevano chiuso in una prigione per dargli la morte, ma che poi, aperta la porta, non vi avevano più trovato il prigioniero, sebbene i sigilli apparissero intatti. In seguito, la narrazione si arricchì e si ampliò; e in un testo latino prezioso, che fu rimaneggiato in versioni romanze poetiche e prosastiche (la Vindicta Salvatoris), essa si trova combinata con altra leggenda: Vespasiano e Tito, per vendicare la morte di Gesù, erano andati a Gerusalemme, ove, distrutta la città, avevano punito gli Ebrei. Vespasiano aveva trovato entro la torre, dopo quarant'anni di prigionia, ancor vivo Giuseppe d'Arimatea, assistito dai prodigi del sacro vaso, il Graal (lat. mediev. gradalis "catino, vaso, recipiente", nel quale Giuseppe aveva raccolto il sangue stillante dalle piaghe di Cristo. Tutta questa fioritura di sacre leggende si trova nel poema di Robert de Boron, donde passò, con sviluppi e rimaneggiamenti profondi, nel Lancelot.
Poi il Gral andò perduto. Esso non poteva essere rintracciato che da un uomo puro, che nell'opera di Rokert doveva essere Perceval e nel Lancelot invece, Galaad. Così nacque un'altra grande sezione della leggenda che fu incorporata alla precedente, come un suo necessario complemento, e costituì l'ultima parte della trilogia di Robert e del romanzo in prosa.
Durante il suo svolgimento, questa leggenda di carattere religioso s'era venuta incontrando con leggende profane in qualche parte affini. Nelle tradizioni celtiche si trovava ricordo, come nella leggenda di Peredur (uno dei più interessanti racconti o mabinogion tramandatici da una grandiosa collezione leggendaria celtica detta del "Livre rouge" di Hergest nel Jesus College di Oxford), di vasi incantati e magici, che avevano proprietà miracolose. Mentre Robert de Boron si atteneva alla leggenda religiosa, ecco che Chrétien de Troyes, nel suo famoso poema Perceval, narrava avvenimentì che hanno riscontro nella leggenda celtica di Peredur e creava nel protagonista del suo romanzo il tipo dell'eroe del Gral, destinato a una grande fortuna letteraria. Ma, in Chrétien, il Gral non è identificato col vaso di Giuseppe d'Arimatea. Questa identificazione l'abbiamo soltanto nelle opere dei suoi continuatori (Vauchier de Denain, Gerbert, Manessier, tutti del sec. XIII). Per lui, la narrazione sacra del vaso si direbbe che non esista.
Chrétien trovò un imitatore in Germania: Wolfram von Eschenbach (morto nel 1220), il cui poema Parsifal fu destato dall'oblio sul finire del sec. XVIII e studiato durante il periodo romantico, quando si andavano disseppellendo gli antichi testi del Medioevo. Se ne fecero varie traduzioni. Una di queste (quella del Simrock, 1842) fu conosciuta da Riccardo Wagner, il quale ne trasse ispirazione per il suo dramma religioso musicale, Parsifal, nel quale la leggenda assume nuova significazione e profondità, in quanto esprime la lotta e la vittoria del bene contro il male: dramma o mistero esoterico, in cui i personaggi sono rappresentazioni di forze cosmiche (Parsifal è la purità che si fa cosciente attraverso le esperienze della vita, Kundry è la passionalità bruta, Amfortas è la debolezza, il peccato, ecc.). Questa, nelle linee fondamentali, la leggenda del Gral, che presenta un' infinità di problemi difficili e complessi e che ottenne sì grande diffusione nel Medioevo, da penetrare entro altre leggende illustri, come quella di Merlino, ad esempio, e quella di Tristano.
Accenneremo soltanto ai principali fra questi problemi astrusi. Già la designazione di gradalis (gral) è oscura. Rappresentata soprattutto oggidì nei dialetti meridionali francesi con sensi svariati, che si connettono a quello di "vaso, recipiente" (grazáou, ecc.) è stata ricongiunta alla base del vocabolo "cratere" senza solide ragioni, perché le forme provenzali postulano piuttosto un -d- etimologico intervocalico. Onde è verosimile che si debba risalire a un derivato di gradus, in quanto il piatto "gradalis" sarebbe stato in origine quello che si avvicina al credente, con la particola, durante la Comunione, sull'orlo o gradino dell'altare. Un altro problema è dato dall'origine prima dei testi letterarî. Fra l'altro, Wolfram cita, tra le sue fonti, un poeta provenzale, un certo Kyot (v. Guiot di Provins), che avrebbe scritto sul Gral un poema, il quale, se realmente fosse esistito, mostrerebbe diffuse anche nel mezzogiorno della Francia alcune narrazioni di cui non è rimasto nessun ricordo. Anche i rapporti fra il romanzo celtico di Peredur e il Perceval di Chrétien dànno luogo a una quantità di questioni, perché non è detto che la dipendenza sia diretta, potendo essere la leggenda celtica un adattamento di una leggenda narrata in un poema perduto franco-normanno. Una questione molto discussa è altresì quella della composizione del Lancelot.
La leggenda del Gral passò i Pirenei e le Alpi. Se ne hanno una redazione portoghese e una catalana. Sebbene in Italia non abbia avuto un successo pari a quello ottenuto da altre leggende francesi, è certo tuttavia che vi esistette una versione della Queste rappresentata da un frammento, ancora inedito, conservato in un codice marciano.
Bibl.: Per una bibliografia del Gral sino al 1898, v. E. Wechssler, Die Sage vom heiligen Gral, Halle 1898, pp. 191-212; indicazioni più recenti in G. Bertoni, Materiali per la Storia della leggenda del San Gral in Francia, Roma 1930. Per quanto riguarda lo sviluppo della leggenda in Germania, W. Golther, Parzival in der deutschen Literatur, Berlino e Lipsia 1929; G. V. Amoretti, Parzival, Pisa 1931. Sulle origini della leggenda, si vedano: Schroeder, Die Wurzeln der Sage vom heil. Gral, in Sitzunsgberichte di Vienna, CLXVI; Junk, ibid., CLXVIII, oltre al resoconto analitico nel Kritischer Jahresbericht nel Volmöller, IX. Il Lancelot è stato edito integralmente da H. O. Sommer, The vulgate Version of the Arthurian Romances, Washington 1909 (cfr. F. Lot, Étude sur le Lancelot en prose, Parigi 1918). Il poema di Robert de Boron è stato pubblicato da W. A. Nitze, Parigi 1927; la redazione in prosa (o Petit Saint-Gral) da Hucher, Mans 1874 (e il Joseph da G. Weisner, Oppeln 1881; il Perceval in prosa da J. C. Weston, Londra 1909). La Queste a cura di A. Pauphilet, Parigi 1932 (cfr. dello stesso autore La tradition manuscrite de la Q. d. S.-G., Parigi 1921. Sul Peredur, cfr. J. Loth, Les Mabinogion, Parigi 1913.