Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
All’inizio del XX secolo la Repubblica di San Marino rinnova il proprio ordinamento politico in senso democratico, avviandosi lungo la strada del parlamentarismo. Il primo dopoguerra è segnato da un’involuzione autoritaria provocata dall’affermazione del fascismo in Italia. Dopo la caduta di Mussolini, San Marino torna alla democrazia e a un’intensa vita politica, dominata dalla contrapposizione tra i partiti. Nella seconda metà del Novecento, l’economia sammarinese entra in una fase di crescente espansione e il piccolo Stato aumenta la propria visibilità internazionale.
La Repubblica di San Marino (61,19 km2), enclave dell’Italia, situata tra la Romagna e le Marche, vive nella prima metà del Novecento una fase storica di convulsioni politiche. Nel 1906 il tradizionale governo oligarchico, le cui origini risalgono al XV secolo, è rimosso dall’Arengo dei padri di famiglia. Il Gran Consiglio cessa allora di essere l’espressione di una ristretta élite di nobili e borghesi, garantiti nel loro dominio politico dal diritto di cooptazione, e assume la configurazione di un moderno Parlamento, il Consiglio grande e generale, titolare dell’autorità legislativa, composto di 60 membri, eletti a suffragio universale maschile (le donne accederanno ai diritti politici soltanto nel 1964). A un Congresso di Stato, emanazione dell’Assemblea rappresentativa, è affidato il potere esecutivo, al cui vertice si trovano due capitani reggenti, che sono designati tra i consiglieri e che assolvono per sei mesi alle funzioni di capi dello Stato. Il nuovo ordinamento democratico della repubblica, però, non dura a lungo: nonostante la condizione giuridica di Stato sovrano, San Marino gravita nell’orbita politica italiana, cosicché, inevitabilmente, risente degli effetti della svolta dittatoriale di Mussolini. Il fascismo si afferma nella piccola repubblica nella forma di un governo di fazione, caratterizzato dalla preponderanza politica di una famiglia, che reintroduce la cooptazione nella scelta dei componenti del Consiglio grande, neutralizzando gli oppositori politici. Lo stretto legame che unisce la storia sammarinese alle vicende italiane si mostra anche al momento della caduta di Mussolini: San Marino si avvia nuovamente, ma non senza contrasti, verso una vita politica democratica; mentre la guerra raggiunge il suo territorio attraverso i bombardamenti aerei, che nell’estate del 1944 provocano ingenti danni materiali e decine di morti. Le prime elezioni del dopoguerra avvengono nel contesto di una competizione partitica simile a quella italiana, ma il voto della maggioranza dei sammarinesi premia l’alleanza tra i socialisti e i comunisti che insieme ottengono i due terzi dei seggi al Consiglio grande. Il governo delle sinistre, che procede a una drastica epurazione, realizza una riforma agraria e statalizza alcuni servizi di pubblico interesse, segna una fase anomala nella storia di San Marino che, per più di un decennio, si allontana visibilmente dalla strada imboccata dall’Italia. Tuttavia, nel 1957, il passaggio di un gruppo di consiglieri socialisti all’opposizione, che così diventa maggioranza parlamentare, innesca una grave crisi istituzionale che dà modo al governo italiano di intervenire nella politica interna della piccola repubblica. Opponendosi allo scioglimento del Consiglio, i partiti democratico-cristiano e socialdemocratico di San Marino costituiscono un “governo provvisorio” su suolo italiano, che subito riceve il riconoscimento dell’Italia, il cui esercito provvede alla chiusura della frontiera sammarinese. Realisticamente consapevoli dei rapporti di forza sfavorevoli, i social-comunisti cedono il governo della repubblica ai democristiani e ai loro alleati che ottengono la vittoria nelle successive elezioni del 1959. Per vent’anni la Democrazia Cristiana resta il partito guida delle coalizioni governative che, come accade intanto in Italia, si aprono anche al Partito Socialista. I comunisti, tenuti lontani dal Congresso di Stato, tornano a far parte della compagine di governo nel 1978, prima alleati con i socialisti, poi, dal 1988, con i democratico-cristiani che si affermano nuovamente come il baricentro della politica sammarinese. Nel 1990 il Partito Comunista si trasforma in Partito Democratico Progressista e, nelle ultime due legislature del secolo, resta fuori delle coalizioni di governo. Sul piano economico, durante la seconda metà del Novecento, San Marino cambia volto. Mentre precipita la percentuale di addetti all’agricoltura sulla popolazione attiva, l’afflusso di capitali e imprenditori stranieri stimola lo sviluppo industriale e commerciale, il quale accompagna un’apprezzabile crescita demografica (nonostante l’ingente flusso migratorio, la popolazione raddoppia tra il 1945 e il 1995, raggiungendo quota 24 mila abitanti). Dagli anni Settanta in avanti, il turismo, con tre milioni di visitatori l’anno, diventa il settore trainante dell’economia sammarinese, la cui dinamica positiva mantiene bassissimo il tasso di disoccupazione e consente la strutturazione di un efficiente Stato sociale, imperniato su un sistema pensionistico pubblico e un sistema di assistenza sanitaria di alto livello. Nell’ultimo quindicennio del secolo, San Marino aumenta notevolmente la sua visibilità internazionale. Diventa membro del Consiglio d’Europa, ottiene un seggio alle Nazioni Unite, entra a far parte del Fondo Monetario Internazionale. Anche i rapporti con l’Unione Europea si intensificano con la ratifica di un trattato di unione doganale, ma la prospettiva di un ingresso nelle istituzioni comunitarie, auspicato e sollecitato da una parte dell’opinione pubblica sammarinese, resta fuori dall’agenda dei governi del piccolo Stato.