SAN VINCENZO AL VOLTURNO
SAN VINCENZO AL VOLTURNO Monastero dell’Italia altomedievale, tra quelli meglio documentati e più intensamente studiati dell’Europa preromanica, posto a ca. km 200 a S-E di Roma, nell’angolo nord-est dell’od. regione del Molise (prov. Isernia).
Il Chronicon Vulturnense - un compendio redatto all’inizio del sec. 12°, contenente un resoconto del sec. 8° sulla preistoria e la fondazione del monastero, le vite e le gesta dei suoi abati, nonché la trascrizione di oltre duecento documenti - costituisce una risorsa documentaria fondamentale per la storia degli esordi della comunità. La scoperta, avvenuta nel 1832, di un oratorio sotterraneo, decorato da uno dei più completi e complessi programmi di pittura murale dell’Europa dell’inizio del sec. 9°, ha valso a S. l’attenzione degli storici dell’arte (Piscitelli Taeggi, 1896; Toesca, 1904; Belting, 1968; de’ Maffei, 1985; Mitchell, 1993). Gli scavi su vasta scala, effettuati quasi senza interruzione dal 1980 a oggi, hanno portato alla luce cospicue parti dell’antico monastero medievale, fornendo numerose testimonianze della sua ricca cultura artistica e materiale (Pantoni, 1980; San Vincenzo al Volturno: the Archaeology, 1985; San Vincenzo al Volturno, 1993; 1995; Hodges, Mitchell, 1995; Hodges, 1997; San Vincenzo al Volturno, III, in corso di stampa).
Il monastero di S. venne fondato nel primo decennio del sec. 8°, secondo la tradizione nel 703, a ca. km 2 dalla sorgente del Volturno, in un territorio che si era di recente aggiunto al ducato meridionale longobardo di Benevento. L’ampia terra centrale di S. comprendeva gran parte della valle del corso superiore del fiume, donata dal duca Gisulfo I (683-706). Fondazione longobarda, per tutto il corso dei secc. 8° e 9°, il monastero continuò a godere della protezione dei governanti longobardi dell’Italia meridionale e a ricevere donazioni dalla classe dominante insediatasi nella regione. I fondatori furono tre nobili beneventani, Paldo, Tato e Taso, i quali divennero, l’uno dopo l’altro, abati del monastero. Un documento emesso dal terzo abate, Taso, permette di ipotizzare che la comunità seguisse, già nella prima metà del sec. 8°, la Regola benedettina (Chronicon Vulturnense, 1925-1938, I, p. 267).
Il primo insediamento monastico venne stabilito tra le rovine del centro di una villa rustica tardoromana da molto abbandonato, forse la sede della diocesi tardoantica del Sannio, sul pendio inferiore di una bassa collina, il colle della Torre, sulla riva occidentale del Volturno. In quest’epoca venne ricostruita, probabilmente con le funzioni di prima chiesa abbaziale, una basilica funeraria del sec. 5°, che era servita da centro del fondo. Nelle fasi iniziali il monastero si estendeva per un territorio di poco superiore a m2 5000; la comunità crebbe comunque in fretta e, nel corso degli ultimi anni del sec. 8° e nei primi decenni del 9°, sotto l’abate Giosuè (792-817) e sotto i suoi successori Talarico (817-823) ed Epifanio (824-842), l’intero monastero venne completamente riprogettato come grande città monastica e fu ricostruito in dimensioni notevolmente maggiori. Negli anni quaranta del sec. 9° il complesso, esteso sulle due sponde del fiume, copriva ha 10 e consisteva in centinaia di edifici, tra cui nove chiese. Fulcro di questa trasformazione fu lo spostamento della chiesa abbaziale principale, S. Vincenzo Maggiore. Secondo il Chronicon Vulturnense (1925-1938, I, pp. 177-180, 212-215, 220-228) i sovrani franchi Carlo Magno (v.) e Ludovico I il Pio (814-840) ebbero in quest’epoca un ruolo importante nelle fortune del monastero e sembra probabile che gli ideali e le consuetudini carolinge possano avere avuto a che fare con le dimensioni scelte per le nuove imprese edilizie a S., con l’impiego regolare di tecnologie avanzate e con i sistemi di organizzazione adottati.
Tale trasformazione ebbe luogo durante un periodo di ca. quarant’anni, secondo un progetto esteso nel tempo, ma più o meno sistematico. L’area coperta dall’antico monastero dell’inizio del sec. 8° venne trasformata in alloggi destinati a ospiti di riguardo. L’originaria chiesa di S. Vincenzo, un edificio relativamente modesto (lungo ca. m 21,5), venne trasformata in un palatium, una sala al di sopra di ambienti sotterranei, con pavimenti di marmo e pareti splendidamente dipinte, che doveva servire alle necessità dei visitatori laici. Sul lato sud tale sala era servita da un’elegante corte con giardino, circondata da colonne, a imitazione degli antichi peristili romani, con un piccolo refettorio riccamente arredato all’esterno del suo portico orientale. Sul lato nord si trovava una cappella, la chiesa con cripta, ricostruita nel quarto decennio del sec. 9°, con un oratorio sotterraneo che ospitava nell’abside una grande tomba. Si tratta della cripta dell’abate Epifanio, che aveva, a quanto sembra, la destinazione di oratorio funebre per l’importante benefattore del monastero e che presentava alle pareti un complesso programma pittorico.
In sostituzione dell’antica chiesa abbaziale venne costruita nel primo decennio del sec. 9° una grande, nuova basilica, su un’alta piattaforma artificiale, posta ca. m 120 a S; questa nuova struttura era una gigantesca chiesa a tre navate (lunga m 63,5; larga ca. m 29; alta oltre m 20), preceduta da un ampio atrio che subì numerose fasi costruttive nel corso del sec. 9° e che in quest’epoca serviva come luogo principale di sepoltura per i monaci (Cult, 1997; Hodges, 1997, pp. 119-122; Hodges, Gibson, Mitchell, 1997, pp. 246-248). Davanti all’atrio vi era un’elaborata facciata, fiancheggiata da due basse torri scalari, che costituiva il principale accesso pubblico alla basilica. Intorno all’820, sotto l’abate Talarico, all’interno dell’abside centrale venne costruita una grande cripta anulare, con corridoi provvisti di splendidi pavimenti policromi in pietra e pareti dipinte con uno straordinario programma decorativo e iconografico (Hodges, Mitchell, 1995). L’occasione che determinò tale costruzione fu probabilmente l’acquisizione di importanti reliquie di s. Vincenzo (Cult, 1997; Hodges, 1997, pp. 93-94).
Le ricognizioni e gli scavi hanno portato alla luce numerose altre strutture di questo insediamento così esteso. Immediatamente a S del nuovo complesso per gli ospiti venne edificato, intorno all’800, un grande refettorio per i monaci, costituito da due navatelle separate da una fila di colonne impostate su uno stilobate elevato, provvisto di un pulpito in uno degli angoli. Adiacente a questo ambiente vi era una sala per le assemblee, nella quale dovevano raccogliersi i monaci prima di mangiare. Il refettorio era illuminato da ampie finestre chiuse da pannelli di vetro colorato (Dell’Acqua, 1997; San Vincenzo al Volturno, III, in corso di stampa); sia il refettorio sia la sala per le assemblee recavano sulle pareti complessi programmi pittorici. Nella sala delle assemblee, lun go la parete principale, erano rappresentati i dodici apostoli a grandezza naturale, mentre immagini di profeti erano disposte tutt’intorno sulle altre pareti. Queste figure, poste sotto gli archi di una loggia vivacemente colorata, recavano grandi cartigli con testi tratti dalle loro opere. La pianura tra il colle della Torre e il fiume era occupata da una serie di edifici claustrali, mentre altri erano disposti lungo le terrazze sui pendii orientali della collina. Le costruzioni importanti vennero erette sui livelli alti della collina, sulla cui sommità si trovava una struttura che sopravanzava le altre, forse una chiesa.
Sui pendii sud ed est della collina, prospiciente gli edifici posti più in basso e i campi della parte interna della terra, si trovava un grande cimitero che doveva servire alla familia del monastero, la comunità laica che si occupava delle necessità materiali quotidiane dei monaci (Coutts, 1995).
Nel corso di tutta la sua storia, S. fu provvisto di officine per la produzione di manufatti in vetro e di eleganti opere in metallo e in altri materiali, destinati sia all’uso interno sia all’esportazione. Durante la costruzione di S. Vincenzo Maggiore, nell’area in cui successivamente sarebbe stata edificata la facciata dell’atrio della basilica, venne collocata una serie di impianti produttivi di carattere temporaneo, che si avvicendarono in successione cronologica: dapprima una grande fornace per piastrelle, a più ambienti; in un secondo tempo fornaci per la lavorazione del rame; in un terzo momento una vetreria; la quarta fase è caratterizzata dalla corte di un edificio, con un grande mescolatore per la malta, forse connesso alla costruzione della basilica di S. Vincenzo Maggiore. Raffinati recipienti di vetro, vivacemente decorati con fili vitrei colorati, ritrovati nelle botteghe e negli appartamenti per gli ospiti del monastero (attualmente in deposito a Campobasso), offrono una vivida immagine della cultura d’élite promossa in quest’epoca dalla comunità di San Vincenzo al Volturno.
In seguito, nel terzo decennio del sec. 9°, nell’area a S dell’atrio di S. Vincenzo Maggiore venne impiantata una serie di officine dal carattere permanente, una delle quali sembra essere stata utilizzata fra il terzo e l’ultimo decennio del sec. 9° per la realizzazione di eleganti oggetti di metallo argentato, decorati con smalti cloisonnés, pietre preziose, imitazioni di gemme in vetro, placchette d’avorio e d’osso come reliquiari, coperte di codici, croci processionali. In un altro ambiente, nella seconda metà del secolo, venivano prodotti oggetti in corno e in osso, tra cui pettini, destinati all’uso quotidiano dei monaci, ma anche preziosi manufatti in avorio. Un notevole esempio conservato per quest’epoca è costituito da una piccola testa eburnea, lavorata in rilievo, rappresentante un santo, con perline di vetro poste in corrispondenza degli occhi. In questo periodo vennero prodotte per l’esportazione finiture per le cinture delle spade e briglie per i cavalli, finemente lavorate in ferro ageminato con argento.
Due aspetti rilevanti della cultura monastica di S. nel sec. 9° furono la decorazione dipinta delle pareti degli edifici e il modo in cui la scrittura era diffusa in tutte le parti del complesso. Le pareti di tutti gli edifici del monastero, che non avessero un carattere puramente utilitario, erano fornite di programmi decorativi attentamente organizzati: non solo gli edifici ecclesiastici, ma anche tutti gli altri spazi pubblici del monastero, le varie sale e camere, i passaggi e i corridoi, i portici delle corti, persino le case del camerlengo e del soprintendente alle attività agricole. Le pitture dei diversi ambienti, che possono essere datate con una certa precisione alla prima metà del sec. 9°, riflettono varianti di un idioma figurativo diffuso nelle aree di cultura longobarda dell’intera penisola alla fine dell’8° e nel 9° secolo. Una fase relativamente precoce di questa tradizione a S., risalente all’800 ca., va ritrovata nei profeti della sala per le assemblee, eseguiti con una certa abilità, con pennellate libere e fluttuanti; una fase successiva, risalente all’830 ca., è evidente nell’oratorio a destinazione funeraria della chiesa con cripta, la cui pittura è considerevolmente più solida, attenta e ricca di particolari.
La decorazione dipinta fu accuratamente impiegata per definire e articolare i vari spazi del monastero (Mitchell, 1997). Schemi e motivi venivano variati, scambiati e arricchiti per distinguere l’uno dall’altro singoli edifici e ambienti. Ciò è particolarmente evidente negli zoccoli dipinti, dove si effettuarono sottili variazioni e cambiamenti tipologici, per differenziare gli appartamenti degli ospiti da quelli riservati ai monaci e per distinguere le chiese più importanti da quelle minori. All’interno della chiesa abbaziale maggiore la decorazione pittorica venne attentamente orchestrata per condurre il visitatore dalle logge di ingresso della fronte dell’atrio, attraverso le navatelle della basilica e infine, tramite i cunicoli della cripta, all’ambiente centrale che ospitava le reliquie. L’effetto era quello di un continuo crescendo, che culminava nella cripta con una serie ricca e varia di pannelli policromi, le cui origini sembrano rimontare alla sontuosa ornamentazione dei palazzi longobardi del tardo sec. 8° dell’Italia meridionale, a Salerno e a Benevento (Hodges, Mitchell, 1995, pp. 113-117; Mitchell, 1995, pp. 51-59; Hodges, 1997, pp. 91-93).
Un altro aspetto notevole della cultura figurativa di S. fu l’interesse per la parola scritta e per la diffusione delle iscrizioni (Mitchell, 1990; 1994a; San Vincenzo al Volturno, III, in corso di stampa). Ciò è evidente a vari livelli di produzione. Sulla facciata della basilica di S. Vincenzo Maggiore l’abate Giosuè pose un’iscrizione dedicatoria in lettere di rame dorato, ciascuna dell’altezza di un piede romano. Poco più in basso si trovano gli epitaffi funebri incisi dei monaci, di cui sono stati finora rinvenuti ca. duecento esemplari; i più imponenti sono caratterizzati da un attento ed esperto intaglio delle lettere, mentre quelli più piccoli sono realizzati con minore attenzione e cura. Un’altra testimonianza del grande interesse per la scrittura a S. è costituita dai cartigli con iscrizioni recati dai profeti raffigurati sulle pareti della sala delle assemblee: un’iconografia quasi sconosciuta nel Mediterraneo occidentale prima del tardo 11° secolo. Meno formali, ma anche più notevoli manifestazioni di tale fenomeno sono le migliaia di tegole e di piastrelle pavimentali che recano iscrizioni con i nomi di coloro che realizzarono i tetti e i pavimenti di molti degli edifici monastici nel 9° secolo.
Poco è noto dell’attività scrittoria a S. per l’Alto Medioevo, ma è possibile che nello scriptorium del monastero sia stato prodotto un evangeliario di lusso, scritto per l’abate Attone nel 750 ca. e caratterizzato da un’ispirazione spiccatamente tardoantica (Londra, BL, Add. Ms 5463; Wright, 1979; Una grande abbazia, 1985, pp. 354-360; De Rubeis, in corso di stampa).
L’attività costruttiva risulta ridotta dopo gli anni cinquanta del sec. 9° e nel corso delle generazioni successive nel complesso vennero effettuati soltanto alcuni piccoli cambiamenti. Nonostante che in quest’epoca il monastero continuasse a estendere il proprio territorio, è probabile che la sua congregazione fosse numericamente diminuita. È attestato che alcuni degli edifici erano caduti in uno stato di semiabbandono. Nell’autunno dell’881 un esercito arabo, che sembra fosse al servizio di Atanasio II, vescovo e duca di Napoli, saccheggiò e bruciò S., uccidendo numerosi monaci. Il fatto che la distruzione sia stata sistematica e terribile risulta chiaro dalle testimonianze archeologiche. I sopravvissuti fuggirono a Capua, dove fondarono una nuova casa, anche questa sotto la protezione di s. Vincenzo (Hodges, 1998). Soltanto nel secondo decennio del sec. 10° ritornarono alle sorgenti del Volturno e furono necessari altri cento anni per ché la comunità potesse stabilirsi di nuovo sul vecchio sito e perché la chiesa abbaziale in rovina potesse essere restaurata e rimessa in funzione.
S. Vincenzo Maggiore fu infine restaurata dall’abate Giovanni IV (998-1007) e, sotto il suo successore Ilario (1011-1045), venne decorata con una grande figura di Cristo con angeli ai lati, nella ricostruita abside centrale, e con fregi ornamentali classicheggianti vividamente colorati. Gli scavi hanno attestato, in questa chiesa, la successione di numerose fasi pittoriche nel corso dell’11° secolo. Intorno al 1050 venne edificata una piccola cappella triabsidata, con pareti accuratamente dipinte al centro della navatella settentrionale. Sotto l’abate Giovanni V (1053-1076) vennero costruiti, a S della chiesa abbaziale, nuovi edifici monastici - che includevano edifici claustrali a servizio della comunità e di rappresentanza -, una sala capitolare, un refettorio e un dormitorio. Si trattava evidentemente di un tentativo di creare una nuova sequenza compatta di costruzioni monastiche intorno alla chiesa abbaziale, secondo un nuovo modello romanico (Chronicon Vulturnense, 1925-1938, III, p. 89).
L’abate Gerardo (1076-1109) decise infine di abbandonare l’antico sito, sostanzialmente indifendibile, e di costruire un nuovo monastero in una posizione fortificata, spostato a E di ca. m 500, sull’altra sponda del Volturno. Si trattava di un complesso accentrato che seguiva una tipologia diffusa in tutta Europa nell’Alto Medioevo, con un’unica chiesa princi pale, preceduta da un ampio atrio porticato, con un chiostro a S della chiesa, circondata dagli edifici residenziali dei monaci (Pantoni, 1980; Bowden, in corso di stampa). Il sito era cinto da alte mura di protezione con torri angolari. Gli elementi conservati di questa chiesa e i frammenti di scultura permettono di ipotizzare che nei secc. 12° e 13° la comunità avesse ancora a disposizione risorse considerevoli. Questo nuovo monastero venne gravemente danneggiato da un terremoto nel 1349 e nel sec. 14° la comunità era in rapido declino. Nel 1395 S. fu affidato a un abate commendatario e infine, nel 1699, divenne proprietà di Montecassino e cessò praticamente la propria funzione. La chiesa venne ricostruita in dimensioni molto ridotte nella prima metà del sec. 17° e subì ulteriori notevoli alterazioni nel 1763. Il palazzo dell’abate, ancora in piedi, divenne oggetto in quest’epoca di vari restauri e trasformazioni. La chiesa fu gravemente danneggiata nel 1944, durante la battaglia del Volturno, e fu completamente ricostruita dalla comunità di Montecassino all’inizio degli anni Sessanta, incorporando costruzioni pertinenti a fasi precedenti. Dal 1990 vi risiede una comunità di monache benedettine e sia la chiesa sia gli edifici monastici conservati sono stati ampiamente restaurati.
Bibl.: Fonti. - Chronicon Vulturnense del Monaco Giovanni, a cura di V. Federici (Fonti per la storia d’Italia 58-60), 3 voll., Roma 1925-1938.
Letteratura critica. - O. Piscitelli Taeggi, Pittura cristiana del IX secolo esistente nella cripta della badia di San Vincenzo al Volturno alle fonti del Volturno, Montecassino 1896; P. Toesca, Reliquie d’arte della badia di S. Vincenzo al Volturno, BISI 25, 1904, pp. 1-84; H. Belting, Studien zur beneventanischen Malerei (Forschungen zur Kunstgeschichte und christlichen Archäologie, 7), Wiesbaden 1968; F. de’ Maffei, Roma, Benevento, San Vincenzo al Volturno e l’Italia settentrionale, Commentari 24, 1973, pp. 255-284; D.H. Wright, The Canon Tables of the Codex Beneventanus and the Related Decoration, DOP 33, 1979, pp. 135-155; A. Pantoni, Le chiese e gli edifici del monastero di San Vincenzo al Volturno (Miscellanea cassinese, 40), Montecassino 1980; Una grande abbazia altomedievale nel Molise. San Vincenzo al Volturno, «Atti del I Convegno di studi sul medioevo meridionale, Venafro-San Vincenzo 1982», a cura di F. Avagliano (Miscellanea cassinese, 51), Montecassino 1985; F. de’ Maffei, Le arti a San Vincenzo al Volturno: il ciclo della cripta di Epifanio, ivi, pp. 269-352; L. Duval-Arnould, Les manuscrits de San Vincenzo al Volturno, ivi, pp. 353-378; San Vincenzo al Volturno: the Archaeology, Art and Territory of an Early Medieval Monastery, a cura di R. Hodges, J. Mitchell (BAR. International Series, 252), Oxford 1985; J. Mitchell, Literacy Displayed. The Use of Inscriptions at the Monastery of San Vincenzo al Volturno in the Early Ninth Century, in The Uses of Literacy in Early Medieval Europe, a cura di R. McKitterick, Cambridge 1990, pp. 186-225; R. Hodges, A Fetishism for Commodities: Ninth-Century Glass-Making at San Vincenzo al Volturno, in Archeologia e storia della produzione del vetro preindustriale, «Atti del Convegno internazionale di studi, Colle Val d’Elsa-Gambassi 1990», a cura di M. Mendera, Firenze 1991, pp. 67-90; J. Mitchell, A Carved Ivory Head from San Vincenzo al Volturno, JBAA 145, 1992, pp. 66-76; San Vincenzo al Volturno, I, a cura di R. Hodges (Archaeological Monographs of the British School at Rome, 7), London 1993; J. Mitchell, The Crypt Reappraisal, ivi, pp. 75-114; id., The Display of Script and the Uses of Painting in Longobard Italy, in Testo e immagine nell’Alto Medioevo, «XLI Settimana di studio del CISAM, Spoleto 1993», Spoleto 1994a, II, pp. 887-951; id., Fashion in Metal: A Set of Sword-Belt Mounts and Bridle Furniture from San Vincenzo al Volturno, in Studies in Medieval Art and Architecture Presented to Peter Lasko, a cura di D. Buckton, T.A. Heslop, London 1994b, pp. 127-156; San Vincenzo al Volturno, II, a cura di R. Hodges (Archaeological Monographs of the British School at Rome, 9), London 1995; C. Coutts, The Hilltop Cemetery, ivi, pp. 98-118; R. Hodges, J. Mitchell, La basilica di Giosuè a San Vincenzo al Volturno, Monteroduni 1995; J. Mitchell, Arichis und die Künste, in Für irdischen Ruhm und himmlischen Lohn. Stifter und Auftraggeber in der mittelalterlichen Kunst, a cura di H.R. Meier, C. Jäggi, P. Büttner, Berlin 1995, pp. 47-64; id., The Uses of Spolia in Longobard Italy, in Antike Spolien in der Architektur des Mittelalters und der Renaissance, a cura di J. Poeschke, München 1996, pp. 93-107; id., Monastic Guest Quarters and Workshops: the Example of San Vincenzo a Volturno, in Wohn- und Wirtschaftsbauten frühmittelalterlicher Klöster, a cura di H.R. Sennhauser, Zürich 1996, pp. 127-155; J. Mitchell, R. Hodges, Portraits, the Cult of Relics and the Affirmation of Hierarchy at an Early Medieval Monastery: San Vincenzo al Volturno, Antiquity 70, 1996, pp. 20-30; San Vincenzo al Volturno. Cultura, istituzioni, economia, a cura di F. Marazzi, Monteroduni 1996; Cult, Relics and Privileged Burial at San Vincenzo al Volturno in the Age of Charlemagne: the Discovery of the Tomb of Abbot Talaricus (817-3 October 823), «I Congresso nazionale di archeologia medievale, Pisa 1997», a cura di S. Gelichi, Firenze 1997, pp. 315-321; K. Francis, M. Moran, Planning and Technology in the Early Middle Ages: the Temporary Workshops at San Vincenzo al Volturno, ivi, pp. 373-378; F. Dell’Acqua, Ninth-Century Window Glass from the Monastery of San Vincenzo al Volturno (Molise, Italy), Journal of Glass Studies 39, 1997, pp. 33-41; R. Hodges, Light in the Dark Ages: The Rise and Fall of San Vincenzo al Volturno, London 1997; R. Hodges, S. Gibson, J. Mitchell, The Making of a Monastic City. The Architecture of San Vincenzo al Volturno in the Ninth Century, PBSR 65, 1997, pp. 233-286; J. Mitchell, Spatial Hierarchy and the Uses of Ornament in an Early Medieval Monastery, in Le rôle de l’ornement dans la peinture murale du Moyen Age, «Actes du Colloque international, Saint-Lizier 1995», a cura di D. Paris-Poulain, Poitiers 1997, pp. 35-55; R. Hodges, 10 October 881: The Sack of San Vincenzo al Volturno, in Ultra Terminun Vagari. Scritti in onore di Carl Nylander, a cura di B. Magnusson, Roma 1998, pp. 129-141; San Vincenzo al Volturno, III, a cura di J. Mitchell, I. Hansen, Spoleto in corso di stampa; F. De Rubeis, The Codex Beneventanus, ivi; San Vincenzo al Volturno, IV, a cura di R. Hodges (in corso di stampa); W. Bowden, The Twelfth-Century Monastery of San Vincenzo al Volturno, ivi.