PETŐFI, Sándor (Alessandro)
Poeta ungherese, nato nel comitato di Pest, a Kiskőrös, il 1° gennaio 1823. Figlio di un macellaio, Stefano, che si era acquistata una modesta agiatezza, il P. iniziò i suoi studî a Félegyháza nel 1828; poi per quattr'anni frequentò le scuole evangeliche di Kecskemét e di Szent-Lőrincz. Nel 1833, per apprendere il tedesco, andò a Pest. Due anni dopo è ad Aszód, dove segue i corsi ginnasiali, dimostrando disposizione per la poesia, amore per la lingua latina e una forte passione per il teatro. La sua ardente sete di sapere e il suo temperamento indipendente, irrequieto, mal si adattavano a sopportare i freni della scuola. Nel liceo di Selmec, ove trascorse parte dell'anno 1838, venne a conflitto, per il suo forte sentimento nazionale, con un professore panslavista. Per questo, per le sue letture private e per la smania di assistere alle rappresentazioni teatrali, trascurò gli studî regolari. Il padre, tormentato da preoccupazioni di carattere economico, ne fu talmente contrariato, che non volle più saperne di lui. Il giovane sedicenne abbandonò allora la scuola di Selmec, emigrò a Pest, dove si adattò a fare da comparsa nei teatri. Quindi s'arruolò in un reggimento imperiale di fanteria. La dura vita soldatesca fece per qualche tempo tacere quei tentativi poetici che gli avevano valso la stima dei condiscepoli e logorò seriamente la salute del gracile P. Invece di seguire il suo reggimento nel Tirolo e, come sperava, forse anche in Italia, s'ammalò gravemente a Graz, e nel 1841 dovette essere congedato. Cominciò allora un'epoca di travagli e di privazioni. Invano egli tenta di riprendere a Pápa gli studî regolari: la sua irrequieta natura lo spinge a Pozsony, Pest, Veszprém, Balatonfüred, Ozora. Il padre pretende di farne un bravo macellaio, la madre vorrebbe che compisse i suoi studî; il P. invece si unisce a una compagnia di guitti, compila e distribuisce manifesti e il suo dubbio talento d'attore viene appena notato in qualche parte secondaria. La compagnia si scioglie ed egli resta disoccupato. Durante un breve riposo fra le mura della scuola di Pápa fa la conoscenza di Maurizio Jókai e prende parte attiva alla vita studentesca come poeta e come dicitore. A questo periodo (1842) appartiene la pubblicazione della sua poesia A Borozó (Il bevitore) e la composizione dell'ode Hazámban (Nella mia patria). Questo componimento, con i suoi quadri del bassopiano, col suo accentuato patriottismo e col suo pathos lirico rivela alcuni tratti caratteristici della poesia petöfiana e a buon diritto fu sempre messo dal poeta in testa alle diverse raccolte dei suoi versi. Ciò nonostante egli ritornò ancora una volta al teatro. Ma anche quest'ultimo tentativo fallì e il P. dovette passare l'inverno del 1843 a Debrecen, soffrendo la fame e il freddo e studiando francese. Nel febbraio del 1844 si recò a piedi a Pest per sottoporre i suoi componimenti al Vorosmarty, che riconobbe nel giovane suo compagno capacità eccezionali e curò personalmente l'edizione di una raccolta di 109 poesie, apparsa nell'ottobre del 1844 col titolo: Petöfi Sándor versei (Liriche di A. P.).
Allora il P. era già viceredattore del Pesti Divatlap e con le poesie pubblicate in questo periodico s'era acquistata negli ambienti giovanili una popolarità uguale all'ostinata incomprensione incontrata presso i poeti da salotto, per i quali erano cose rozze e sciatte la fresca semplicità, l'immediatezza, le forme tratte dalle canzoni popolari e gl'inusitati soggetti della lirica del P. L'animosità degli avversarî arrivò al punto da fraintendere del tutto il poemetto eroicomico, apparso contemporaneamente alle Liriche col titolo di A helység kalapácsa (Il martello del comune) e in cui veniva presa in giro l'ampollosa verbosità della letteratura narrativa dell'epoca. Verso la fine di quell'anno scrisse János vitéz (L'eroe Giovanni), che con elementi tratti dalle fiabe popolari stupendamente intesse una favola ingenua sull'amore fra un povero pecoraio e una contadinella orfana. L'opera incontrò il favore del migliore pubblico di quel tempo. Ma questa gioia era offuscata dalla delusione del patriota, che, sempre più profondamente compartecipe delle sorti della patria, vide con rammarico lo scioglimento della dieta, che invano aveva lottato per i diritti della lingua ungherese e per le riforme volute dai tempi. A partire da quell'epoca il suo patriottismo angoscioso e impaziente arricchì la sua poesia di nuovi e sempre più vigorosi accenti. E infelice fu anche nell'amore: ancor prima che la simpatia per Etelka Csapó si fosse tramutata in passione, la bella fanciulla era improvvisamente morta (vedi le 34 poesie intitolate Cipruslombok Etelka sirjáról, "Foglie di cipresso sulla tomba di Etelka"). Nella primavera del 1845 il P. lasciò il posto di redattore per fare un'escursione nell'Ungheria settentrionale. Le molteplici impressioni provate durante questo viaggio, l'affetto con cui venne dovunque accolto, diedero presto i loro frutti: oltre a numerose poesie, scrisse allora i suoi deliziosi Appunti di viaggio (Uti jegyzetek), e questi lievi schizzi, in una lingua semplice e piana, intessuti di riflessioni ora patetiche, ora umoristiche, costituirono una novità assoluta per la prosa ungherese dell'epoca. Tornato a Pest, sbocciò in lui la speranza d'un nuovo amore; ma il suo affetto non fu ricambiato, sicché nella maggior parte delle poesie apparse nell'ottobre del 1845 col titolo Szerelem gyöngyei (Perle d'amore) e dedicate appunto a Berta Mednyánszky, c'è più giuoco di fantasia che palpito d'amore. Il P. soffrì in quel tempo anche altre delusioni: ai critici che lo censuravano meschinamente si unì uno dei suoi amici; fu assalito di nuovo da preoccupazioni economiche; le condizioni dei suoi genitori divennero inquietanti. Tante angustie offuscarono la sua giovanile serenità. Espressione magistrale di questo suo stato d'animo sono il poemetto intitolato Az őrült (Il pazzo) e le 66 epigrammatiche brevi e amare poesie che col titolo di Felhők (Nuvole) pubblicò nell'aprile del 1846. Anche un dramma: Tigris és hiéna (Tigre e iena) e un romanzo: A hóhér kötele (La corda del boia) furono frutti di questa sua crisi spirituale, che però non hanno alcuna importanza sul complesso dell'attività letteraria del P. Nella ricca armonia dei versi composti nell'estate del 1846 ritroviamo il P. d. una volta, ma con un contenuto e una forma più nobili e più puri. Con Maurizio Jókai e con altri otto compagni suoi egli progettò allora di fondare un giornale per divulgare le idee e l'arte nuova della generazione dei giovani scrittori. Il governo non permise la pubblicazione del giornale; ciò nonostante l'influenza della "compagnia dei dieci" si fece rapidamente sentire nella letteratura ungherese: essi rappresentavano il popolo e la tendenza nazionalista, il malcontento e l'agitazione, come in Francia i romantici e presso i tedeschi la "Giovane Germania". Per la sua origine e per istinto il P. amava il suo popolo; la sua concezione etica e la particolare natura della sua fantasia lo avevano predestinato banditore e difensore della libertà: la corrente liberale dell'epoca, le idee democratiche, lo studio della rivoluzione francese e le poesie di Béranger non fecero che accrescere il suo fervore patriottico. Allontanandosi dalla tradizione e dalla pratica sino allora seguita, egli diede a questo patriottismo un carattere personale non risparmiando né censure, né critiche, né sdegno. Per qualche tempo l'entusiasmo politico passò in seconda linea, per dar posto al suo ultimo e questa volta reale amore, che rivelò d'un tratto, in tutto il suo splendore, la personalità originale del poeta. L'anno che va dalla conoscenza con Giulia Szendrey al giorno del suo matrimonio con essa (8 settembre 1846-8 settembre 1847), costituisce il più luminoso capitolo della storia della canzone ungherese. Le poesie scritte per la sposa schiusero non solo una nuova sfera d'idee alla lirica ungherese, ma l'arricchirono anche di forme nuove, varie e nobilmente elaborate. Particolare interessante della ricca produzione poetica del periodo è che elementi amorosi e patriottici, cure e gioie personali e il destino del suo popolo, anzi dell'umanità, appaiono paralleli e, non di rado, amalgamati. Il famoso voto petőfiano "Libertà, amore! Ambedue mi son necessarî. Per il mio amore sacrifico la vita, per la libertà sacrifico l'amore" fu appunto pronunciato nei primi mesi della sua passione per Giulia. Queste parole furono poste sul frontespizio delle Poesie complete pubblicate il 15 marzo 1847, e fisso in questo voto egli trascorre il resto della sua vita, muovendo con fermezza, con sempre più attiva partecipazione al movimento politico, verso la gloria. Mentre da un lato in quel tempo l'amore per la sua patria e per il suo popolo matura in lui un'arte perfetta di forme, figure di genere e paesaggi (Kutyakaparó, A Tisza, A gólya, Falu végén kurta kocsma, A téli esték, A puszta télen) e mentre crea alcuni capolavori di poesia narrativa (Szécsi Mária, Bolond Istók), si va sempre meglio concretando il suo pensiero politico. Reclama l'indipendenza del paese dall'Austria, l'abolizione dei privilegi sociali e attende con ansia la rivoluzione. Le spiana efficacemente la strada con poesie piene di forza suggestiva; diventa il vero idolo della gioventù e quando sotto l'influsso della rivoluzione francese anche a Pest si passa all'azione, il P. ha una parte direttiva nel movimento rivoluzionario. Il 13 marzo 1848 scrive il grandioso Canto nazionale (Nemzeti dal); il giorno dopo insieme ai suoi compagni fissa in 12 punti le rivendicazioni del paese e il 15 marzo è uno dei protagonisti di quella incruenta rivoluzione, che, con l'aiuto della gioventù universitaria e della borghesia, proclama la libertà di stampa, fa accettare alla città di Pest i 12 punti e apre le porte delle carceri ai prigionieri politici. Il Canto nazionale, la marsigliese ungherese, è il primo frutto della libertà di stampa. Ma l'ulteriore sviluppo degli avvenimenti lo spinge fuori della scena politica. Dominato dai suoi ideali e dal suo temperamento, non riesce a trovare l'accordo con la realtà e con le possibilità che essa offre. Le sue vedute ultraradicali lo misero in urto col primo ministero costituzionale ungherese e così il suo ardente desiderio di poter lottare in seno al parlamento per la felicità del mondo venne deluso: il governo non lo fece eleggere deputato. Sotto l'influsso del suo fervore e delle sue esperienze d'allora compose la poesia narrativa, L'apostolo, specchio fedele della sua passione politica, ricca d'interessanti tratti soggettivi e non priva di particolari importanti anche dal punto di vista artistico. In generale però essa rivela, in una composizione affrettata e astratta, alcune debolezze, da cui non vanno esenti nemmeno parecchie altre troppo infiammate poesie politiche scritte in quel torno di tempo. Ai primi di settembre il P. entrò nella guardia nazionale, poi passò nell'esercito; dal campo de Honvéd si trasferì a Debrecen per istruire le reclute. Nei versi scritti in occasione d'una sua visita alla moglie, allora a Erdöd, ritroviamo il poeta dell'amore e della natura. Verso la fine del gennaio seguente presta servizio nell'esercito transilvano del generale Bem, che lo nomina subito suo aiutante e che cerca di tenere il poeta lontano dai pericoli dandogli incarichi nelle retrovie. Fuori del campo male sopporta la disciplina militare, entra ripetutamente in conflitti col comando, si dimette due volte da ufficiale e ritorna a Pest. Alla notizia dell'avanzata dei Russi, alleatisi con l'Austria, il 25 luglio 1849, raggiunge nuovamente Bem e alcuni giorni dopo, il 31 luglio, nella battaglia svoltasi tra Fejéregyháza e Segesvár, il poeta fu visto per l'ultima volta. "Sparì come un bel dio della Grecia" - scrisse di lui il Carducci, e questa morte sul campo di battaglia "è quasi un tratto artistico della sua meravigliosa individualità, della sua straordinaria carriera; questo mistero lo solleva dalla sfera degli umani, per mantenerlo eternamente vivo, eternamente giovane".
La poesia del P. instaurò un'epoca nuova nella letteratura ungherese. Egli si allontanò presto dalle vie tradizionali e nella poesia popolare trovò la forma d'espressione della sua ricca anima. Non imitò coscientemente la canzone popolare, ma fu lo spirito di essa a vivere e ad agire in lui. Le peculiarità artistiche della canzone popolare, cioè l'introduzione pittoresca, la fusione del sentimento con quadri affini della natura, il ritmo giocondo del pensiero, l'intreccio delle idee facile e rapido, la figurazione delle scene e la vivacità drammatica, appaiono in lui sviluppate e abbellite. A forme e voci nuove accoppia un contenuto nuovo: i panorami mutevoli delle sue terre, dell'adorato suo Alföld, e le ben note figure della vita ungherese che vi si svolge, fino allora escluse dalla poesia, diventano nei suoi versi cose vive. Anche il suo mondo sentimentale è profondamente ungherese: in esso non c'è posto né per il formalismo classico, né per il sentimentalismo tedesco; ma sa alternare indomito buon umore ed esagerato dolore, passione e tenerezza, scherzi allegri e improvvise tetraggini, bontà piena d'abnegazione e ostinatezza amara, come nel cielo della puszta nuvole di tempesta ottenebrano la luce solare del mezzogiorno. Sono del pari tratti prettamente ungheresi la sua semplicità e la sua sincerità. I suoi versi, dal primo all'ultimo, sono poesie d'occasione nel senso del Goethe: c'è in essi tutta la biografia esteriore e intima del loro creatore. Con straordinaria sensibilità risente i contatti del mondo esterno, ma la vivacità di questa reazione non è in proporzione alla sua profondità. Il P. ha un'anima meravigliosamente sana: le ferite vi si rimarginano rapide, si scuote istintivamente di dosso il peso del passato, non sta ad affannarsi: vive con tutti i sensi nel presente. Da questa sua salute spirituale deriva il suo ottimismo, la fiducia in sé stesso, la volontà di agire e di operare, il suo profondo senso morale. Il suo sistema etico-filosofico e la sua vita tutta poggiano completamente sulla morale dominante; la venerazione per i suoi genitori, la stima nell'amicizia, gli amori in cui sin dalle prime vampe domina sempre l'idea del matrimonio, la fedeltà coniugale, come il suo odio contro ogni forma di tirannide e di ingiustizia sociale, non sono che conseguenze di questa morale semplice e pura. Il suo patriottismo ardente, pieno d'orgoglio nazionale e d'idealità guerresche, ci si presenta come un potenziamento dei suoi sentimenti familiari, dell'amore per la sua terra e il suo popolo. La sua spontanea ingenuità, nonostante la sua grande cultura letteraria (conosceva anche la lingua e la poesia italiana), si manifesta anche nel gusto estetico. Non è raffinato e sottile, ma canta cose belle per tutti, in una lingua che tutti comprendono. La sua maniera d'espressione usuale è l'immagine; i suoi sentimenti, i suoi pensieri sanno trovare un'immagine assolutamente individuale, ma chiara e suadente per tutti, e in modo così naturale, che in questo campo può essere considerato uno dei migliori lirici della letteratura universale. In effetti rivoluzionò le diverse forme immutabili, rigide, spesso monotone del sec. XIX: nella letteratura ungherese è il geniale iniziatore di quella poetica che segue in maniera naturale i movimenti dell'anima.
La grande influenza del P. sulla letteratura del suo paese si fece sentire sin da quando egli era in vita: ai suoi migliori ammiratori non fu facile, durante varî decennî dopo la sua morte, far tacere le esagerazioni della cosiddetta scuola petöfiana; l'indirizzo nazionale-popolare da lui instaurato determinò per mezzo secolo la linea di sviluppo della letteratura ungherese. La sua popolarità si diffuse presto anche all'estero: la maggior parte delle sue poesie si legge in tutte le lingue europee.
Edizioni complete: P. S. összes művei (Op-re complete di A. P.), con introduzione biografica di Maurizio Jókai, a cura di A. Havas, Budapest 1892-96, voll. 6; P. S. összes költeményei (Le liriche di A. P.), a cura di L. Baróti, Budapest 1900; P. S. összes költeményei, a cura di Z. Ferenczi, ivi 1901; P. összes költeményei, con intr. e note di G. Voinovic, ivi 1921, voll. 2; P. S. összes munkái, con intr. di J. Pekár, ivi 1928, voll. 4.
Traduzioni: Tedesche: di Adolf Dux, Vienna 1846; K. M. Kertbeny, Francoforte s. M. 1849 e Stoccarda 1850; Th. Opitz, Pest 1864; H. von Meltzl, Monaco 1867 e 1883; L. Neugebauer, Lipsia 1878; L. Aigner, Budapest 1880 e 1883; J. Steinbach, Breslavia 1902. Altri traduttori tedeschi: Fr. Szarvady, M. Hartmann, A. Buchheim, O. Falke, C. F. Daumer, J. Schnitzer, L. Reich, W. Berger, H. von Schulpe, A. Teniers, ecc. - Francesi: Poésies Magyares. P. S., trad. di H. Desbordes-Valmore e Ch. E. Ujfalvy, Parigi 1872. Altri traduttori francesi: A. Dozon, F.-E. Guathier, Thalès Bernard, H.-F. Amiel, M. de Polignac, ecc. - Inglese: J. Bowring, Translations from A. P., Londra 1866. - Italiane: E. Teza, Traduzioni di E. T., Bologna, 1863; F. Piantieri: A. P. poeta ungherese, Vallia 1868; G. Cassone: Sogno incantato, Assisi 1874; Il pazzo, Noto 1879; Foglie di cipresso su la tomba di Etelke, ivi 1881, con prefazione; Il fiero Stefano, ivi 1885; L'apostolo, Roma 1886; Nuvole, Noto 1891; Le perle d'amore, ivi 1903; Fiori stranieri da Heine, Platen, Scheffel, Puschkin, De Musset, Petöfi, ivi 1904; L'eroe Giovanni, Budapest 1908; P. E. Bolla, Liriche di A. P., Milano 1880; E. Pavolini: Poesia, Venezia 1889; C. Sapienza, Traduzioni dall'ungherese di A. P., Ragusa 1901; F. Sirola, Saggio di versioni poetiche dall'ungherese, Fiume 1903; id., A. P., Poesie, ivi 1911; R. Larice, Canti scelti di A. P., con biografia, Milano 1905; U. Norsa, A. P., Poesie. Versione interlineare con prefazione e note, Palermo s. a., voll. 2, pagg. XXXVI, 416, 427; Nubi, Mantova 1906; F. Vellani-Dionisi, Antologia Petöfiana, Milano 1929, con prefazione di G. Pekár e uno studio del traduttore; S. Rho, Poemetti. Poesie scelte, Torino 1931. Altri traduttori italiani: P. G. Maggi, D. Milelli, M. Rapisardi, G. Oliva, G. Fraccaroli, De Spuches di Galati, A. Mazza, C. Cipolla, V. Betteloni, ecc.
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