CAMASIO, Sandro (Alessandro)
Nacque a Isola della Scala (Verona) il 5 nov. 1886 da Giuseppe e Costanza Chiroli. Prima di laurearsi in giurisprudenza entrò nel mondo giornalistico come redattore mondano della Gazzetta di Torino e, in una sala teatrale, conobbe N. Berrini che ne raccolse le prime confidenze d'arte e ne lesse i primi copioni. Nella stagione estiva del 1908 il Berrini raccomandò a E. Della Guardia un atto unico del C., Senza guida, che non venne rappresentato per motivi rimasti sconosciuti. Il Berrini lesse ancora gli abbozzi de Il solco e di Sotto la cenere, poi La zingara, in 3 atti, scritta in collaborazione con N. Oxilia, che, sottoposta al comitato di lettura della Società degli autori, fu giudicata degna di rappresentazione: G. Antona-Traversi sollevò riserve nei riguardi del dialogo del terzo atto, ma S. Lopez vi ravvisò un compiuto libretto d'opera.
L'esile favola, che riproduceva il dissidio tra una zingara, primitiva e selvaggia, e il mondo borghese ancorato alle convenzioni, interessò il pubblico per il suo sentimentalismo; C. Cammarano, che intervenne alla prima rappresentazione al teatro Carignano di Torino il 12 novembre 1909, rilevò che le psicologie dei personaggi erano descritte con un po' di maniera e senza il dovuto risalto, ma che l'interpretazione era stata ottima: M. Melato riuscì "superba" nella parte di Sara, A. Betrone efficacissimo inquella di Mirza.
Due anni più tardi sopravvenne la fama con la commedia in 3 atti Addio, giovinezza!, scritta con l'Oxilia, divenuto suo amico inseparabile, e rappresentata al teatro Manzoni di Milano il 27 marzo 1911 (un adattamento in dialetto piemontese di D. Testa fa rappresentato l'anno seguente). V. Tocci, recensendola, ne sottolineò il tono umoristico-sentimentale, ingenuo, ma sincero, ormai caratteristico degli autori che nella lineare vicenda amorosa dello studente Mario e della crestaia Dorina, destinati a separarsi dopo il conseguimento della laurea di lui, ritrassero se stessi, i loro amici (L. A. Garrone ammise che col personaggio di Leone essi alludessero a lui), l'ambiente goliardico torinese. Un primo atto fresco, spontaneo, ricco di movimento e di grazia, la trama che diventa più consistente negli altri atti, dove, peraltro, s'insinua l'artificio, il finale ad effetto; gli ottimi interpreti, la Melato nella parte di Dorina, il Betrone in quella di Mario e A. Giovannini in quella di Leone, disarmarono ogni velleità critica grazie alla loro misura e sicurezza.
Più severo G. Pozza, secondo il quale la commedia apparve povera di azione, quantunque fosse costruita con garbo, addirittura inferiore alle promesse intravvedute ne La zingara. È pur vero che essa conseguì un successo incontrastato nelle successive edizioni (memorabili le interpretazioni di T. Di Lorenzo nelle vesti di Dorina e di A. Falconi in quelle di Leone), ma soprattutto quando servì da libretto a G. Pietri per l'operetta omonima, rappresentata a Livorno nel 1915: una volta accentuati gli spunti patetici della storia, Addio giovinezza!, nata nel clima di trionfo dell'operetta italiana, accompagnò una intera generazione, quella dei combattenti della prima guerra mondiale, fino a quando il genere venne soppiantato, nelle propensioni del pubblico piccolo e medioborghese, dalla commedia musicale. Dopo la prima versione cinematografica, si interessarono al soggetto A. Genina con due film del 1918 e del 1927e F. M. Poggioli con un terzo film del 1941, proprio quando la seconda guerra mondiale stava per travolgere inesorabilmente ogni residuo di sentimentalismo.
L'8 marzo 1912 fu rappresentata al politeama Chiarella di Torino, a beneficio dei feriti e dei familiari dei caduti in Libia, la rivista satirica Cose dell'altro mondo, su libretto del C., del Berrini e dell'Oxilia. Il copione, che chiamava in causa morti e vivi, da Dante a S. Benelli, dalle due Gramatica alla Di Lorenzo, riuscì, secondo La Stampa di Torino, un cumulo di scene bizzarre e di arguzie spesso felici coronate dall'apoteosi, finale d'obbligo in tempo di guerra, ma senza una trovata fondamentale (era ancora vivo il ricordo della Turlupineide di R. Simoni). Dei quattro atti risultò migliore il primo, con la danza dei biglietti da mille, festoso il secondo, più affastellato di episodi, poveri e scuciti gli altri due; la musica, accanto a qualche pagina originale, comprendeva motivi di operette e di opere adattati alle situazioni.
Interessatosi al cinema, il C. diresse, nel primi mesi del 1913, per l'Itala Film di Torino, L'antro funesto con Le. Quaranta e, con l'Oxilia che, solo, firmò la regia, la prima versione di Addio, giovinezza! con Ly. e Le. Quaranta, A. Bernard e A. Manzini.
In una lettera dell'8 maggio 1913, l'ultima della sua vita, il C. confidò al Berrini di essersi riammalato di gastrite e di sentirsi molto stanco, e annunciò l'enorme successo del film e l'inizio della stesura di un dramma, L'amante del cuore.
Perduta la vista, fu ricoverato presso l'ospedale Mauriziano di Torino, dove morì di meningite alle 18 del 23 maggio 1913.
Diversi i lavori che il C. non volle rappresentati per eccesso di autocritica: L'uomo in frak e La serra dei baci, scritti con l'Oxilia, L'amica delle nuvole con S. Gotta, La più bella (da tre atti ridotto in uno), Noie il mondo. Il C.visse una vita postuma nel cuore del pubblico che lo applaudì ancora ne L'amante del cuore (Il cuore dell'amante nel testo pubblicato a Torino nel 1931). Questa commedia in 3 atti, terminata dal Berrini, una delle prime di ambiente cinematografico, fu rappresentata al teatro Carignano di Torino il 27 apr. 1914, tra la crescente commozione degli spettatori che le decretarono, secondo G. Bardanzellu, un caloroso successo (una dozzina di chiamate); il C. vi riconfermava le sue doti native, finezza di sentimento, freschezza e semplicità, favorite da un dialogo rapido e scintillante; A. Pieri impersonò Emma con il suo consumato talento, A. Chiantoni fu un Mario Sembranti colorito e pieno di garbo e R. Lotti rese efficacemente il tipo comico-sentimentale di Carlito. Il 2 apr. 1918 al teatro Giardino d'Italia di Genova andò in scena un'altra commedia inedita, Itre sentimentali, in 3 atti, pure terminata dal Berrini; fu recensita come un lavoro che non ha la freschezza di Addio, giovinezza!, ma che denota i segni di un temperamento singolare: I. Lazzarini e R. Calò ne furono i valenti interpreti (due anni più tardi il Genina ne ricavò un film dal titolo omonimo). A Torino, nel 1921, la casa ed. S. Lattes e C. pubblicò, col titolo Faville e la prefaz. di O. Quaglia, una raccolta di otto bozzetti (Le gioie della matricola, dove rivive la Torino degli studenti e delle sartine, "le più care compagne della vita universitaria", Gliamici, dove ricompaiono Mario e Leone con le loro collere inoffensive, Ilmio cinematografo con interessanti note di costume, Confessione, di stampo dannunziano, Povero Teo!, patetico ritratto di un amore caduco, Come finirono due unghie, Contratto fallito e Le buone cose)e due scene in un atto (Bocca baciata e La signorina per bene).
C. Pellizzi considera la versione dialettale di Addio,giovinezza! come uno degli ultimi esempi di un teatro piemontese quasi estinto; S. D'Amico ascrive il C. al piccolo gruppo che tentò di trasportare sulla scena, dopo l'orgia dannunziana, la poesia crepuscolare; C. Terron, nel tentativo di discriminare l'apporto dell'Oxilia da quello del C., ravvisa nel secondo "una visione più ottimistica e gaia della vita". Comunque si voglia dissociare il suo contributo da quello dell'Oxilia, compito difficilissimo se non impossibile, data la presenza in ambedue degli stessi ideali di di vita e d'arte (quanto al comportamento esteriore, egli risulta, attraverso le testimonianze di chi lo ebbe vicino, più chiuso e malinconico del collega, ma quanto questo aperto alla bontà e alle gioie semplici e sensibile alle lodi degli amici provati), il C. resta il cantore della giovinezza perduta, un uomo candido e indifeso la cui parabola umana, precocemente e crudelmente interrotta, coincise con quella letteraria: il suo teatro labile e dimesso, segno dell'incapacità di uscire dal piccolo mondo dell'effimero e del nostalgico, era destinato, tutt'al più, a una generazione, o meglio alla prima stagione di una generazione, e a diventare molto presto un patetico pezzo d'antiquariato.
Fonti e Bibl.:La scena di prosa (Milano), 19 nov. 1909, 1º apr. 1911, 24 maggio 1913 (necrologio), 2, 9 maggio 1914; Corriere della sera, 28 marzo 1911; La Stampa, 9-10 marzo 1912, 24-25 maggio (annuncio necrologico), 25-26 maggio 1913; Il Secolo XIX, 3 apr. 1918; L. A. Garrone, Memoria di Oxilia e C., in Cinema, 25 nov. 1940, fasc. 106; C. Pellizzi, Le lettere ital. del nostro secolo, 1929, pp. 197, 314; S. D'Amico, C. S., in Encicl. Ital., VIII, Roma 1930, p. 497; A. Fiocco-*, C. S., in Encicl. d. Spettacolo, II, Roma 1954, col. 1545; C. Terron, Oxilia Nino, ibid., VII, ibid. 1960, col. 1440; Filmlexicon degli autori e delle opere, I, col. 1040.