Sangue
Il sangue è il liquido di colore rosso che circola nelle arterie e nelle vene (vasi sanguigni) degli animali superiori. In biologia, il sangue è un tessuto, perché consiste di cellule e di una sostanza intercellulare; ma questa, anziché essere solida, come nella maggior parte dei tessuti, è liquida, ed è chiamata plasma. Le cellule sono di vario tipo: globuli rossi o eritrociti; globuli bianchi o leucociti; piastrine. Una caratteristica importante delle cellule ematiche è che sono soggette a un ricambio più rapido rispetto a quello della maggioranza degli altri tessuti: alcune durano in circolazione solo poche ore. Le funzioni del sangue sono molte e complesse: in gran parte sono funzioni di servizio per tutti gli organi e tessuti del corpo. Il servizio può essere svolto efficacemente perché il sangue irrora tutte le parti del corpo: perciò è essenziale che esso sia liquido. Al tempo stesso, questo stato fisico costituisce un rischio: la perdita di sangue (emorragia) può essere pericolosa o addirittura mortale se uno o più vasi sanguigni vengono lesionati per accidente o per malattia. Nel sangue stesso, meccanismi delicati operano per mantenerlo liquido all’interno dei vasi o, al contrario, per renderlo solido (coagulazione) quando sia fuoriuscito dai vasi.
Come sempre in biologia, struttura e funzioni sono strettamente collegate: qui ci limiteremo all’essenziale dell’una e delle altre per ciascuno dei componenti principali del sangue umano.
Globuli rossi o eritrociti
I globuli rossi sono le cellule più numerose nel sangue, essendo presenti alla concentrazione di circa 5 milioni per μl, un numero difficile da concepire (una goccia di sangue – circa 50 μl – contiene tanti globuli rossi quanti sono gli abitanti degli Stati Uniti). I globuli rossi hanno molte proprietà uniche rispetto a tutte le altre cellule del corpo.
a) Sono cellule che hanno perso il nucleo e altri organelli importanti come i mitocondri e i ribosomi, pertanto consistono solo di citoplasma, non possono dividersi, non sono in grado di sintetizzare proteine e hanno attività metaboliche limitate.
b) A fronte di questi limiti, i globuli rossi hanno caratteristiche fisiche eccezionali: a riposo hanno forma di una lente biconcava del diametro di circa 7 μm, ma sono dotati di elasticità tale da potersi assottigliare quando attraversano vasi capillari di diametro assai minore del loro per poi riacquisire la forma originale appena ne escono per defluire nei vasi venosi.
c) I globuli rossi contengono una quantità eccezionale (34%) di emoglobina (Hb, Hemoglobin), una proteina avente a sua volta proprietà straordinarie: una molecola di Hb è letteralmente un traghettatore di ossigeno, essendo in grado di legarne 4 molecole quando, nel polmone, è esposta all’aria atmosferica, e a cederne una buona parte una volta raggiunti i tessuti del corpo, dove la tensione di ossigeno è più bassa (in pratica i globuli rossi contenuti in un litro di sangue riescono a distribuire ai tessuti ben 65 ml di ossigeno).
d) Nel corso di ogni giro in circolo di un globulo rosso ha luogo una fase di ossigenazione e una di deossigenazione dell’Hb. Ogni eritrocita, circolando continuamente dal distretto polmonare agli altri tessuti, va incontro a una successione ciclica di queste fasi per migliaia di volte. Le deformazioni meccaniche e vari eventi chimici gradualmente fanno ‘invecchiare’ il globulo rosso, che dopo circa 120 giorni, in media, viene rimosso dalla circolazione perché non più idoneo. Questa rimozione avviene in vari organi, particolarmente la milza, il fegato e il midollo osseo stesso: addette all’operazione sono cellule simili ai monociti, veri e propri operatori ecologici all’interno dell’organismo.
Si vede così che l’adattamento del globulo rosso alla sua funzione di provvedere al fabbisogno di ossigeno di tutte le altre cellule del corpo è eccezionalmente efficiente; ed è reso possibile dal grado estremo di specializzazione di questa cellula che, nell’economia generale dell’organismo, potremmo definire altruistica: in effetti, l’accumulo massimale di Hb nel citoplasma è associato al sacrificio della capacità di dividersi e limita alla fine la durata in vita della cellula stessa.
La prova più diretta del ruolo cruciale dei globuli rossi è che, se il loro numero diminuisce (anemia), i tessuti soffrono per la mancanza di ossigeno, causando stanchezza, affanno, aumento della frequenza cardiaca e altre complicazioni che, in caso di anemia grave, possono mettere a rischio la vita.
Globuli bianchi o leucociti
Sono così chiamate tutte le cellule del sangue che, non contenendo Hb, non sono rosse e hanno il nucleo. Il termine generico globuli bianchi è consacrato dall’uso, ma esso comprende cellule con caratteristiche e funzioni diverse, che perciò devono essere considerate individualmente.
Granulociti
Sono caratterizzati da nucleo polimorfo (e pertanto detti anche polimorfonucleati), apparentemente segmentato, e dalla presenza nel citoplasma di fini granuli variamente colorabili. Secondo l’affinità di questi per i colori neutri, acidi o basici, i granulociti si distinguono rispettivamente in neutrofili, eosinofili e basofili. I neutrofili, i più numerosi tra i globuli bianchi, sono di cruciale importanza nei processi infiammatori, e particolarmente nelle infezioni. Infatti, attraverso molecole localizzate sulla loro superficie, queste cellule riescono a percepire segnali che indicano la presenza di batteri o di altri corpi estranei. Quando ricevono questi segnali di richiamo, i neutrofili migrano attraverso le pareti dei capillari e affluiscono in massa dove sono necessari: per es., dove ci sono batteri (un brufolo sulla pelle e il pus di una ferita hanno colore bianco-giallastro per la presenza di miliardi di globuli bianchi, in maggioranza neutrofili). Qui il neutrofilo fa uso di un’altra sua proprietà: esso riesce con lembi del suo citoplasma a inglobare letteralmente i batteri, che sono assai più piccoli; in altre parole, li ingerisce – un fenomeno chiamato fagocitosi. In molti casi, i batteri ingeriti vengono addirittura uccisi dal potente apparato metabolico dei neutrofili. Inoltre, i granuli (che ai granulociti danno il nome) contengono un armamentario di enzimi distruttivi che danneggiano anche batteri non ingeriti, e contribuiscono al processo infiammatorio che di solito risolve l’infezione. I neutrofili sono cellule molto dinamiche che durano in circolo da poche ore a due giorni. Gli eosinofili e i basofili sono i globuli bianchi meno numerosi (intorno all’1%), e intervengono in particolare nelle infezioni da parassiti e nei processi allergici. Inoltre i basofili aiutano la risoluzione di processi infiammatori.
Linfociti
Sono i globuli bianchi più numerosi dopo i neutrofili, e sono anch’essi importanti nei processi infiammatori e nelle infezioni, ma in modo assai diverso; hanno durata di vita assai variabile e, a differenza dei neutrofili, talvolta assai lunga, fino a più anni. Esistono molti tipi e sottotipi di linfociti: qui dobbiamo limitarci a nominarne tre. I linfociti B sono capaci di riconoscere un immenso numero di molecole organiche diverse (che chiamiamo antigeni) e di produrre, contro quelle estranee all’organismo, anticorpi specifici. Per ottimizzare questa loro funzione, ogni linfocito B produce sulla propria superficie, già prima di incontrare qualsiasi antigene, un certo tipo di molecola di anticorpo, un po’ diverso da quello di ogni altro linfocito B: abbiamo perciò milioni di linfociti B, ciascuno lievemente differente dalla maggior parte degli altri. Quando compare sulla scena un antigene – per es. una molecola di origine batterica nel corso di un’infezione – questo stimola la proliferazione soltanto dei linfociti B che lo riconoscono: in questo modo viene incrementata la produzione proprio di quegli anticorpi che possono servire a debellare l’infezione. Anche i linfociti T hanno sulla loro superficie molecole capaci di riconoscere antigeni, o frammenti di antigeni (e perciò, di nuovo, ognuno di loro è un po’ diverso dagli altri), ma, anziché produrre anticorpi, ‘aiutano’ i linfociti B a farlo; oppure, quando riconoscono cellule infettate da un virus, possono addirittura eliminarle. Questo duplice ruolo dei linfociti T fa sì che dobbiamo considerarli, in prima approssimazione, ancora più importanti dei linfociti B, e ce ne fornisce una prova drammatica la potenziale gravità della patologia nota come AIDS (Acquired Immune Deficiency Syndrome), provocata dal virus HIV-1 (Human Immunodeficiency Virus-1), che ha la prerogativa di distruggere i linfociti T. I linfociti del terzo tipo sono chiamati natural killers: infatti sono capaci di eliminare cellule estranee, o cellule infettate da virus, anche prima che si siano mobilitati i linfociti T.
Monociti
Sono al terzo posto come numero tra i globuli bianchi. Come i neutrofili, sono in grado di migrare dove c’è bisogno di loro, e sono capaci di fagocitosi. Oltre ad alcuni batteri, eliminano in questo modo anche microrganismi più grandi come funghi e protozoi (in questa veste i monociti sono perciò detti macrofagi). Inoltre i monociti, più o meno modificati (cellule dendritiche), hanno un’estrema abilità di trasformare molecole per farne antigeni più potenti, che ‘presentano’ poi ai linfociti T, stimolandoli così a proliferare, sempre in modo specifico.
Si vede, dunque, che i vari tipi di globuli bianchi, pur svolgendo funzioni diverse, hanno in comune la difesa dell’organismo contro agenti esterni, particolarmente contro le infezioni. In prima approssimazione, i neutrofili sono la difesa immediata, che cerca di arginare l’invasione nemica, mentre i linfociti – in questa analogia volutamente semplificata – rappresentano i rinforzi che provvedono all’eliminazione completa del nemico e a respingere eventuali nuovi attacchi. La riprova di queste funzioni si ottiene di nuovo dall’osservazione di varie malattie: per es., se mancano i neutrofili un’infezione banale può divenire grave; se mancano i linfociti l’organismo non produce anticorpi e non è in grado di rispondere alle vaccinazioni. Infine, anche se i vari tipi di globuli bianchi hanno funzioni ben differenziate, essi collaborano: per es., sostanze prodotte da alcuni linfociti possono stimolarne altri, o stimolare la funzione dei neutrofili; sostanze prodotte da altri linfociti possono essere inibenti, e via dicendo.
Piastrine
Questi elementi particolati del sangue non sono cellule, bensì frammenti cellulari: infatti sono assai più piccole di tutte le cellule del sangue. La funzione delle piastrine, che durano in circolo circa dieci giorni, è di enorme importanza, perché sono implicate nella prevenzione delle emorragie, e lo fanno efficacemente grazie al fatto che, quando ricevono certi segnali, hanno una straordinaria capacità di aggregarsi tra loro e di aderire ad altre cellule, particolarmente alle cellule endoteliali che rivestono all’interno i vasi sanguigni. In pratica, appena un vaso sanguigno è danneggiato, le piastrine si attivano e formano letteralmente un piccolo tappo che, a seconda delle dimensioni della lesione, la occlude più o meno completamente. Lesioni lievi dei piccoli vasi avvengono continuamente e neppure ce ne accorgiamo, se abbiamo piastrine normali; ma se le piastrine diminuiscono di numero, o se non sono ben funzionanti, vedremo comparire puntini rossi emorragici sulla pelle (petecchie); e ben più pericolose potrebbero essere simili piccole emorragie sulla superficie degli organi interni, come il cervello. Esiste anche il pericolo opposto: se le piastrine sono troppe, o se hanno una tendenza anomala a eccessiva attivazione, possono aggregarsi ‘illegalmente’ anche quando non vi è alcuna lesione dei vasi: si può allora verificare l’occlusione di una vena o di un’arteria (trombosi). È chiaro perciò che una fine regolazione del numero e dell’attivazione piastrinica è critica per mantenere sempre il giusto equilibrio, evitando sia il rischio di emorragia sia quello di trombosi.
Plasma
Il plasma è essenzialmente una soluzione acquosa la cui composizione è estremamente complessa poiché contiene migliaia di sostanze diverse, sebbene la maggior parte di queste sia a concentrazioni molto basse. Gli ioni più abbondanti sono sodio, calcio, cloro e bicarbonato, che determinano la pressione osmotica e il pH del plasma, e che devono essere contenuti entro limiti molto stretti. Tra le centinaia di proteine, le più abbondanti sono l’albumina, che determina la pressione colloidosmotica e lega molte sostanze endogene ed esogene; e le globuline, tra le quali molte sono anticorpi. Presenti a concentrazione più bassa sono il fibrinogeno e altre proteine connesse al fenomeno della coagulazione, e le proteine appartenenti al cosiddetto sistema del complemento che, in presenza di opportuni anticorpi, può letteralmente disintegrare i batteri. Vi sono poi molti prodotti metabolici, tra i quali il glucosio, la principale fonte di energia per tutte le cellule dell’organismo: la sua concentrazione deve essere perciò finemente regolata. Nel plasma sono presenti in sospensione anche particelle submicroscopiche che contengono lipidi, provenienti dall’assorbimento intestinale dei grassi. Vi sono poi vitamine, ormoni, fattori di crescita e molte altre molecole piccole e grandi che regolano a loro volta le funzioni dei vari organi e tessuti.
Le funzioni del plasma si possono classificare in tre categorie. a) In primo luogo, il plasma deve servire a ottimizzare la funzione del sangue come tale, cioè mantenerne la fluidità e assicurare le condizioni ottimali per la circolazione dei globuli; deve anche contribuire a prevenire e bloccare emorragie. b) Il plasma, irrorando tutti i tessuti, fa da veicolo per le sostanze delle quali i tessuti hanno bisogno (per es., glucosio, amminoacidi, lipidi), e per tutte le sostanze delle quali i tessuti devono liberarsi (per es., acido lattico, urea); in questo senso il plasma è come un servizio pubblico per l’approvvigionamento di sostanze nutritizie e la rimozione dei rifiuti per tutti gli utenti senza distinzione. c) Il plasma fa anche da veicolo per sostanze altamente specifiche, prodotte in qualche parte del corpo e utili altrove: per es., l’insulina è prodotta solo dal pancreas ma serve a tutte le cellule dei muscoli e di altri tessuti; l’eritropoietina, prodotta dal rene, stimola la produzione dei globuli rossi nel midollo osseo. Da questo punto di vista il plasma funziona come un servizio postale, poiché a esso vengono affidati messaggi con indirizzi ben precisi, che sono poi consegnati prontamente ai rispettivi destinatari.
Coagulazione del sangue
Abbiamo tutti osservato che il sangue, una volta uscito dai vasi, da liquido diviene rapidamente solido. Questo passaggio di stato ricorda ovviamente quello di una sostanza chimica come l’acqua che diventa ghiaccio ma, a differenza di questo, avviene senza che occorra una variazione di temperatura. Pertanto, la coagulazione assomiglia di più a un processo di polimerizzazione chimica (come in certe resine usate come collanti). In effetti, la coagulazione ha luogo grazie alla presenza nel plasma di una proteina solubile, il fibrinogeno: quando da questa vengono staccati alcuni frammenti, la proteina diviene insolubile e forma un finissimo reticolo, chiamato fibrina. Pertanto, sebbene normalmente la coagulazione del sangue avvenga in toto, e sebbene le piastrine favoriscano questo processo, esso è una proprietà del plasma (se eliminiamo artificialmente tutte le cellule, il plasma può ancora coagulare). La funzione della coagulazione è di fermare e prevenire emorragie: infatti, difetti della coagulazione, ereditari (come l’emofilia) o acquisiti, espongono al rischio di emorragie che possono essere anche mortali. D’altro canto, la coagulazione del sangue all’interno dei vasi arresterebbe la sua circolazione e sarebbe disastrosa: pertanto, nel corso dell’evoluzione si è realizzato un sistema estremamente raffinato. Normalmente il fibrinogeno circola intatto, ma quando è necessario – per es. in seguito a una ferita – un enzima chiamato trombina in pochi minuti catalizza la reazione chimica che permette al fibrinogeno di divenire fibrina. Naturalmente la trombina non può circolare come tale nel plasma: è presente in questo sotto forma di un precursore chiamato protrombina, che a sua volta è convertita in trombina da un altro enzima presente nel plasma (fattore Xa), che è a sua volta inattivo prima che il processo coagulativo inizi; e via dicendo per altre due tappe. Questa complessa serie di reazioni viene chiamata la cascata coagulativa; a monte, l’avvio iniziale del processo scatta con la lesione di un vaso sanguigno.
L’organizzazione a cascata della coagulazione ha due conseguenze importanti. Da un lato, ogni tappa amplifica l’efficienza del processo: solo così vi è la possibilità che si formi rapidamente abbastanza fibrina da fermare un’emorragia. Dall’altro lato, ogni tappa è regolata da fattori che prevengono la coagulazione ‘illegittima’ del sangue in circolo: è stato calcolato che se tutta la protrombina fosse attivata istantaneamente, il sangue diventerebbe un blocco solido nel giro di 4 minuti. Pertanto, l’esistenza di molteplici livelli di controllo è essenziale. Ancora una volta ne abbiamo la prova dallo studio di pazienti nei quali qualcuno di questi controlli è alterato, e che vanno incontro a rischio grave di formazione di coaguli all’interno dei vasi sanguigni.
Formazione del sangue
La maggior parte delle proteine plasmatiche è prodotta dal fegato, gli ormoni dalle ghiandole endocrine, gli anticorpi dagli organi linfatici, e via dicendo.
Il processo di produzione delle cellule ematiche (ematopoiesi) ha luogo nell’organismo adulto dei mammiferi, soprattutto nel midollo osseo (il tessuto rossastro presente in tutte le ossa piatte e verso le estremità delle ossa lunghe), ma anche nel timo e nei linfonodi. Rappresenta un buon esempio dei complessi fenomeni di differenziamento che hanno luogo durante lo sviluppo dell’organismo e poi continuano nell’adulto. Durante la vita embrionale giungono e si insediano nel midollo osseo cellule indifferenziate che in passato si chiamavano emoistioblasti o emocitoblasti, e che oggi chiamiamo cellule staminali (si definisce staminale una cellula che, quando si divide, produce almeno una cellula figlia uguale a sé stessa, mentre l’altra si dimostra già più differenziata). A grandi linee possiamo dire che in una prima fase le cellule staminali ematopoietiche producono altre cellule che possiamo riconoscere come progenitrici da un lato delle cellule linfoidi (che produrranno tutti i linfociti), dall’altro di tutte le altre cellule del sangue, dette globalmente mieloidi. Dal progenitore mieloide comune si sviluppano poi progenitori specifici per varie linee cellulari; e da questi derivano eritroblasti (precursori degli eritrociti), mieloblasti (precursori dei granulociti), monoblasti (precursori dei monociti), megacarioblasti (precursori dei megacariociti, i precursori delle piastrine: queste sono infatti frammenti di citoplasma di megacariociti maturi, che da questi si distaccano). Le cellule che abbiamo chiamato precursori vanno incontro a successivi cicli di divisione cellulare, nel corso dei quali progressivamente maturano, fino a dare le cellule completamente mature che passano a questo punto dal midollo osseo nel sangue. I processi maturativi sono molto diversi nelle differenti linee cellulari: per es., nel caso della serie eritroide si arriva fino alla perdita del nucleo; nel caso dei granulociti il nucleo si segmenta e si acquistano i granuli necessari per le funzioni battericide di queste cellule. In generale, la maturazione comporta perdita di capacità moltiplicative in parallelo all’acquisizione di funzioni altamente specifiche. La situazione è più complicata per i linfociti T, perché alcune fasi del loro differenziamento hanno luogo nel timo, e per i linfociti B, perché circolano più volte tra midollo osseo e linfonodi.
Cellule staminali
Si vede così che l’ematopoiesi ha un’organizzazione gerarchica, con al vertice le cellule staminali ematopoietiche, che sono chiamate multipotenti poiché hanno la capacità di generare tutti i tipi di cellule del sangue. Vengono poi cellule con potenziale più ristretto (possono generare alcuni tipi di cellule del sangue, ma non tutti); quindi progenitori specifici (possono generare un solo tipo di cellula), che danno gli elementi maturi. La prova diretta che il midollo osseo contiene cellule staminali multipotenti ci è data da una procedura che da quasi un trentennio è entrata nella pratica clinica, il trapianto di midollo osseo (TMO). Nell’ambito del trattamento di alcune gravi malattie ematologiche può essere indicato distruggere deliberatamente (mediante farmaci e/o radiazioni) il midollo osseo del paziente, e successivamente infondere il midollo osseo di un donatore idoneo. Quando il TMO ha successo, si può dimostrare che l’intera ematopoiesi è assicurata a lungo termine dalle cellule del donatore: ciò significa che tra le cellule infuse dovevano esservi cellule staminali ematopoietiche. Le cellule staminali ematopoietiche sono più numerose negli stati precoci della vita: per es. sono presenti nel sangue del cordone ombelicale e, quando il midollo osseo è opportunamente stimolato, possono comparire anche nel sangue dell’adulto. Le cellule staminali ematopoietiche, definite dal test del TMO, non devono essere confuse con le cellule staminali embrionali, che sono non solo multipotenti, ma addirittura totipotenti, nel senso che possono dar luogo a un intero organismo. La possibilità delle cellule staminali ematopoietiche di rigenerare altri tessuti oltre al sangue è attualmente oggetto di ricerche di punta: ma finora risulta chiaro che esse non sono equivalenti alle cellule staminali embrionali.
Regolazione dell’ematopoiesi
Considerando la limitata vita media delle cellule del sangue, il numero di queste che deve essere continuamente rimpiazzato è enorme (circa 200 miliardi al giorno solo per i globuli rossi). L’apparato ematopoietico provvede regolarmente a questo fabbisogno; in più è in grado di rispondere efficacemente anche a eventuali esigenze extra dell’organismo. Per es., se per qualsiasi motivo i globuli rossi vengono distrutti a ritmo accelerato, il midollo osseo aumenta specificamente la loro produzione (eritropoiesi); lo stesso avviene se i tessuti percepiscono carenza di ossigeno (perché siamo in alta montagna, o perché una malattia polmonare limita l’ossigenazione del sangue, o perché fumando aumentiamo il livello di ossido di carbonio nel sangue). D’altro canto, in caso di infezione batterica, il midollo osseo aumenta la produzione di neutrofili; se si verifica un’emorragia, aumenta la produzione delle piastrine. I meccanismi che permettono questi provvidenziali aggiustamenti quantitativi e qualitativi dell’ematopoiesi in relazione alle esigenze dell’organismo sono complessi; uno dei principali è basato sull’esistenza dei cosiddetti fattori di crescita più o meno specifici per singoli tipi di cellule. L’eritropoietina stimola l’eritropoiesi; il G-CSF (Granulocyte-Colony Stimulating Factor) stimola la produzione dei neutrofili; il GM-CSF (Granulocyte Monocyte-Colony Stimulating Factor) stimola la produzione di neutrofili e monociti, e via dicendo. La scoperta di questi fattori di crescita, oltre a darci una chiave di lettura per la regolazione dell’ematopoiesi, ha fornito anche nuovi strumenti terapeutici: l’eritropoietina e il G-CSF sono sintetizzati artificialmente con la tecnologia del DNA-ricombinante e possono essere somministrati, quando opportuno, a pazienti anemici o neutropenici.
Malattie del sangue
Data la distribuzione del sangue in tutto l’organismo, molte malattie che non sono originariamente del sangue, ma di altri organi, hanno riflessi in questo tessuto. È per questo che una o più ‘analisi del sangue’ sono utili per diagnosticare moltissime malattie: la diagnosi di diabete si basa sul livello di glucosio plasmatico; un aumento dei neutrofili indica la presenza di una probabile infezione batterica in atto, e via dicendo. Inoltre, molte rare malattie metaboliche ereditarie possono essere svelate misurando determinate sostanze nel plasma o certi enzimi nei globuli bianchi. In tutti questi casi un prelievo di sangue, che è come una biopsia poco invasiva, serve a identificare malattie che non sono in realtà del sangue. La branca della medicina che ha per oggetto lo studio e la cura delle malattie del sangue e del sistema ematopoietico si chiama ematologia. È impossibile qui enumerare tutte le malattie del sangue: piuttosto, enunciamo alcuni concetti generali illustrandoli con qualche esempio.
Anemia
Letteralmente il termine greco vuol dire, «mancanza di sangue»: tuttavia esso viene usato correntemente per indicare una diminuzione dei globuli rossi. Sebbene nella percezione di chi vive nei Paesi industrializzati siano ben più temute altre malattie del sangue (come le leucemie), nei Paesi meno sviluppati sono proprio le anemie che hanno un grande impatto sulla salute. In alcuni Paesi africani si stima che più del 70% dei bambini e delle donne in gravidanza soffra di anemia, e in queste popolazioni tale malattia rappresenta anche una causa o una concausa frequente di mortalità. Siccome sappiamo già che i globuli rossi sono soggetti a un ricambio intenso (ogni giorno ne vengono rimpiazzati quasi l’1%), i meccanismi principali che portano all’anemia sono: diminuita produzione, aumentata distruzione, perdita netta di globuli rossi (in certi casi più di una di queste cause possono coesistere).
a) Una diminuita produzione di globuli rossi può dipendere dalla carenza di sostanze necessarie per la loro produzione, che sono principalmente il ferro, l’acido folico e la vitamina B12. Siccome queste tre sostanze devono essere fornite dall’alimentazione, la loro carenza deriva da insufficienza nutrizionale: chi mangia pochi vegetali freschi non ingerisce abbastanza acido folico; chi non mangia alcun prodotto animale (vegetariani assoluti) non ingerisce abbastanza vitamina B12; quanto al ferro, esso è presente nella carne, nel pesce, nei latticini e anche nei vegetali, ma il ferro dei vegetali è generalmente meno assorbibile. Si comprende pertanto che la dieta delle persone meno abbienti è spesso carente di ferro. Può anche succedere talvolta che l’apporto dietetico di queste sostanze sia sufficiente, ma il loro assorbimento sia scarso a causa di qualche malattia gastrointestinale. In alcuni casi è specificamente difettoso l’assorbimento di vitamina B12, e ciò causa una malattia detta anemia perniciosa, in quanto in passato era incurabile. Oggi questa anemia, purché sia fatta una diagnosi corretta, non è per nulla perniciosa, infatti per curarla basta una iniezione di vitamina B12 ogni tre mesi. Tutte le anemie nutrizionali possono essere corrette mediante la somministrazione delle sostanze che risultano carenti nella dieta. Un’altra sostanza necessaria per la produzione dei globuli rossi, come si è già detto, è l’eritropoietina, normalmente prodotta dal rene. Pazienti affetti da insufficienza renale cronica sono gravemente anemici e un tempo dovevano ricevere periodicamente trasfusioni di sangue: oggi possono essere curati con iniezioni di eritropoietina.
Vi sono anche situazioni nelle quali apparentemente nulla manca al midollo, eppure la produzione di globuli rossi risulta inadeguata. È il caso di molte malattie croniche, inizialmente estranee al sistema ematopoietico: malattie del fegato, tumori, altre malattie e infezioni croniche. Evidentemente queste malattie, con vari meccanismi solo in parte conosciuti, inibiscono direttamente o indirettamente l’attività eritropoietica del midollo osseo. In questi casi l’anemia viene chiamata secondaria, e il modo logico di curarla è di curare la malattia che l’ha causata. Infine, può accadere che non vi siano carenze e non vi siano cause estranee al midollo, ma che proprio quest’ultimo non riesca a svolgere il suo compito ematopoietico. Questa grave situazione, fortunatamente rara, va sotto il nome di anemia aplastica. Nei pazienti con questa malattia non è solo la produzione di globuli rossi a essere compromessa, ma anche quella dei globuli bianchi e delle piastrine: ciò fa pensare che siano state danneggiate proprio le cellule staminali. In alcuni casi di anemia aplastica il trattamento più indicato è il trapianto di midollo osseo da un donatore idoneo.
b) L’aumentata distruzione di globuli rossi (emolisi) può avere molte cause diverse. In prima approssimazione, si possono individuare due tipi di meccanismi: l’emolisi deriva da un difetto intrinseco del globulo rosso; oppure i globuli rossi sono di per sé normali, ma qualche meccanismo estrinseco li danneggia e alla fine li distrugge. In entrambi i casi le anemie che ne risultano sono chiamate anemie emolitiche. Abbiamo visto che i globuli rossi, se paragonati ad altre cellule, hanno una struttura relativamente semplice nella quale possiamo identificare tre componenti: una membrana, una grande quantità di Hb, e un apparato metabolico che mantiene in buona forma le prime due componenti. Tutte e tre le componenti sono prodotte dall’azione finemente regolata di un cospicuo numero di geni. Le anemie emolitiche da causa intrinseca sono tutte provocate da difetti genetici (mutazioni) in uno di questi geni. Per es., una mutazione che modifica una proteina della membrana o una proteina legata alla membrana, può causare una deformazione del globulo rosso che non appare più come una lente biconcava, ma piuttosto come una pallina sferica: la malattia si chiama perciò sferocitosi. Una mutazione di un gene dell’Hb può alterare le sue proprietà fisiche in modo tale che quando essa cede l’ossigeno ai tessuti tende a polimerizzarsi, causando dall’interno un altro tipo di deformazione del globulo rosso, che appare a forma di falce: perciò la grave anemia emolitica che ne risulta si chiama anemia a cellule falciformi (o, con termine greco, anemia drepanocitica). Altre mutazioni, che modificano la produzione di Hb in senso quantitativo più che qualitativo, causano la produzione di globuli rossi assai più piccoli del normale (microcitosi): la malattia che ne risulta è chiamata anemia mediterranea o talassemia. Infine, mutazioni che interessano uno degli enzimi (per es. la piruvatochinasi) dell’apparato metabolico del globulo rosso limiteranno la produzione di energia chimica necessaria per la sopravvivenza dello stesso; oppure limiteranno la sua capacità di tollerare i molti attacchi ossidativi ai quali esso è continuamente sottoposto: quando si verifica una carenza di G6PD (Glucose-6-Phosphate-Dehydrogenase), non si ha necessariamente un’anemia emolitica, ma i globuli rossi risultano vulnerabili a certi agenti esterni. Di conseguenza, i soggetti che sono geneticamente carenti possono sviluppare un’anemia emolitica in caso di infezione batterica, se assumono certi farmaci, o quando ingeriscono fave (favismo). Si vede così che le anemie emolitiche da causa intrinseca sono sempre dovute a mutazioni ereditarie (con la singola eccezione di una rara malattia da anomalia di membrana chiamata emoglobinuria parossistica notturna). La maggior parte di queste malattie è rara, ma fanno eccezione l’anemia drepanocitica, le talassemie e la carenza di G6PD, che sono invece relativamente frequenti in molte popolazioni delle zone tropicali e subtropicali del globo, dove la malaria è stata o è tuttora endemica. La spiegazione di questo fatto è che i soggetti che hanno i rispettivi geni allo stato di eterozigoti (spesso chiamati portatori), e che perciò non hanno la malattia, risultano più resistenti all’infezione malarica.
L’altra categoria di anemie emolitiche è quella in cui i globuli rossi vengono aggrediti dall’esterno. Gli agenti responsabili possono essere infettivi, fisici, chimici o immunologici. Tra i primi, di gran lunga il più importante è proprio il parassita malarico Plasmodium falciparum, trasmesso dalla zanzara del genere Anopheles. Il plasmodio entra nel globulo rosso, al suo interno si moltiplica nutrendosi dell’Hb, che vi abbonda, e nel giro di 48 ore lo distrugge, liberando fino a 32 nuovi plasmodi che invadono nuovamente altrettanti globuli. Si può facilmente calcolare che, dopo una singola puntura di zanzara, entro 2-3 settimane, se l’infezione non viene curata, praticamente tutti i globuli saranno distrutti, specialmente in un bambino. La malaria è una delle principali cause di mortalità nei primi 5 anni di vita in Africa: una vera tragedia, soprattutto considerando che in altre parti del mondo essa è stata eliminata mediante opportune misure preventive. Un esempio di anemia emolitica da cause meccaniche si osserva invece in alcuni pazienti con valvole cardiache artificiali, che possono danneggiare i globuli rossi. Un esempio di causa chimica, fortunatamente rara, è costituita da certi veleni di serpenti. Infine, dove non vi è malaria la forma più frequente di anemia emolitica da causa estrinseca è la cosiddetta anemia emolitica autoimmune, che consegue alla produzione da parte dell’organismo di auto-anticorpi diretti contro un componente della membrana eritrocitaria. Pazienti con questa malattia spesso rispondono bene ai cortisonici, ma talvolta in questa, come in alcune altre anemie emolitiche, si fa ricorso all’asportazione chirurgica della milza (splenectomia) perché, come si è visto, questo rappresenta uno degli organi più attivi nel rimuovere i globuli rossi.
c) La perdita netta di globuli rossi può essere acuta o cronica. Essa è acuta quando è causata da un’emorragia che può essere esterna (in seguito a un trauma grave o per le complicazioni di un parto) oppure interna (sempre in seguito a un trauma, o alla rottura di un vaso per qualche processo patologico nell’apparato gastrointestinale o altrove). La diagnosi di anemia postemorragica è di solito facile, e nei casi gravi l’immediata trasfusione di sangue può essere il solo modo di salvare la vita del paziente. Le perdite croniche di sangue si hanno spesso nelle donne con mestruazioni abbondanti o con malattie ginecologiche, oppure per lesioni del tratto gastrointestinale. In questi casi le perdite possono essere assai insidiose, fino a passare inosservate, anche perché, mentre l’anemia grave acuta pone la vita a rischio, quando il processo di anemizzazione è lento l’organismo ha una straordinaria capacità di adattamento. In ogni anemia cronica è importante scoprire se vi sia perdita cronica di sangue, conseguente a una malattia non primitivamente del sangue, e che potrebbe essere più o meno facilmente curabile.
Leucemie
Sono queste le malattie più serie dei globuli bianchi o, più esattamente, delle cellule del midollo osseo che ne sono precursori. Le leucemie devono essere considerate come veri e propri tumori del sistema ematopoietico. Come tutti i tumori, le leucemie derivano da mutazioni che, anziché essere trasmesse dai genitori, come nelle malattie ereditarie, hanno luogo nell’organismo già formato, e sono dette perciò mutazioni somatiche. In molti casi le mutazioni somatiche non danno complicazioni e, talvolta, sono letali per la cellula. Se però una mutazione somatica modifica la cellula in modo tale da farla moltiplicare a un ritmo superiore al normale, la progenie di questa cellula avrà la stessa proprietà. Si forma allora gradualmente, e talvolta rapidamente, un’intera popolazione di cellule (chiamata clone perché tutta derivata dalla prima cellula mutante), che tende a prendere il sopravvento sulla popolazione normale. Siccome il tessuto ematopoietico, come già sappiamo, è essenzialmente liquido, questa popolazione, che possiamo ormai chiamare leucemica, invade tutto il midollo osseo (in effetti, mentre per un tumore solido che si riproduce a distanza parliamo di metastasi, nel caso della leucemia la malattia è essenzialmente diffusa in tutto il corpo sin dall’inizio). Vi sono molti tipi di leucemie, che si differenziano sia per quanto riguarda il decorso clinico (leucemie acute e leucemie croniche), sia per il tipo di cellula coinvolta. Se facciamo riferimento all’organizzazione gerarchica dell’ematopoiesi, è come se ogni tipo di cellula potesse – di rado, per fortuna – trasformarsi in una cellula leucemica; quando ciò avviene, quella cellula tende a proliferare indefinitamente e, al tempo stesso, perde in tutto o in parte la capacità di maturare: per es., se è colpito un mieloblasto, il numero di queste cellule nel midollo osseo aumenterà enormemente, e molte potranno comparire anche nel sangue, che normalmente non ne contiene affatto. D’altro canto, i mieloblasti leucemici sono incapaci di maturare fino a quello che dovrebbe essere lo stadio definitivo, cioè quello di granulocito neutrofilo; un’analisi del sangue evidenzierà paradossalmente che il numero totale dei globuli bianchi o leucociti è altissimo (di qui il nome leucemia), mentre quello dei neutrofili è molto al di sotto del normale, con grave rischio di infezione. Più la proliferazione delle cellule leucemiche aumenta, più essa invade lo spazio che compete all’ematopoiesi normale, e finisce con l’ostacolare la produzione anche di cellule appartenenti ad altre linee di sviluppo: vale a dire, nell’esempio appena fatto, diminuiranno anche le piastrine, con rischio di emorragie, e i globuli rossi, con anemia ingravescente. A seconda del tipo di cellula che ha dato origine alla leucemia distinguiamo leucemie mieloidi e linfoidi; combinando la classificazione cellulare con quella clinica parleremo di leucemia mieloide acuta (l’esempio che abbiamo appena fatto) o di leucemia linfoide cronica (la più comune forma di leucemia). In realtà esistono molti tipi e sottotipi di leucemie (alcune decine, ma alcune di queste rarissime); in ogni tipo la mutazione o le mutazioni responsabili sono diverse, e di conseguenza sono differenti le manifestazioni cliniche e le cure più appropriate. La prova più diretta di quanto questa diversità sia importante è data dai risultati della terapia: nella leucemia linfoide acuta del bambino si può oggi, con trattamento ottimale, ottenere la guarigione in circa il 90% dei casi; mentre la leucemia linfoide cronica dell’adulto, sebbene si possa tenere sotto controllo per anni, non guarisce quasi mai.
In generale il trattamento di una leucemia consiste in cicli di intensa chemioterapia con combinazioni di farmaci assai efficaci nell’eliminare le cellule leucemiche, ma che, essendo citotossici, inevitabilmente danneggiano in qualche misura anche altre cellule. Per fortuna le cellule staminali ematopoietiche normali, che sembravano sovrastate dalla proliferazione leucemica, sono piuttosto resistenti: quando il trattamento ha successo, tali cellule staminali provvedono a una vera e propria ‘rigenerazione’ del midollo osseo e dell’ematopoiesi. Quando ciò avviene parliamo di remissione della leucemia; e dopo uno o più cicli la remissione può diventare una vera guarigione. In alcuni casi però occorre un trattamento ancora più intenso, che elimina anche le cellule staminali normali: può essere allora ideale far seguire un TMO da opportuno donatore, se disponibile. Identificare le specifiche lesioni molecolari causate dalle mutazioni responsabili dei singoli tipi di leucemia non è soltanto di interesse accademico, poiché è ragionevole ipotizzare che queste lesioni, non essendo presenti nelle cellule normali, potrebbero essere come un tallone d’Achille delle cellule leucemiche, cioè buoni punti d’attacco per nuove terapie. In un caso almeno tale ipotesi è già stata verificata: mirando a inibire l’attività dell’abetalipoproteina (ABL), mutata nella leucemia mieloide cronica, è stata prodotta una sostanza chimica, l’imatinib mesilato (nota con i nomi commerciali di Glivec® e Gleevec®), divenuta in pochi anni uno dei cardini del trattamento di questo tipo di leucemia.
Malattie emorragiche
Come si è visto, l’organismo ha a disposizione due tipi di meccanismi per realizzare l’emostasi quando un vaso sanguigno è lesionato: il tappo piastrinico e la coagulazione del sangue. In linea di massima il primo costituisce un intervento immediato, particolarmente importante per piccole lesioni spontanee in certe parti del corpo; la seconda consolida l’emostasi ed è particolarmente importante dopo lesioni traumatiche e in certe altre parti del corpo, come le grandi articolazioni.
I difetti delle piastrine possono essere ereditari o acquisiti: il caso di gran lunga più frequente è una forma acquisita di difetto delle piastrine, cioè la loro diminuzione di numero (piastrinopenia o trombocitopenia), che può essere causata da certi farmaci, o può verificarsi senza che vi sia una causa riconoscibile. Analogamente a quanto si è visto per le anemie, il meccanismo di una piastrinopenia può essere o aumentata distruzione o diminuita produzione delle piastrine. Nel primo caso il responsabile è spesso un autoanticorpo (come nel caso dell’anemia emolitica autoimmune); nel secondo si tratta molte volte di una situazione in cui l’ematopoiesi in toto è depressa, per es. a causa di trattamenti chemioterapici: in alcuni di questi pazienti le trasfusioni di piastrine possono essere un salvavita essenziale.
Anche i difetti della coagulazione possono essere ereditari o acquisiti. Tra quelli ereditari uno dei più importanti è l’emofilia, dovuta a mutazioni del gene che produce una delle proteine coinvolte nella cascata coagulativa, il cosiddetto Fattore VIII. Siccome questo gene è localizzato sul cromosoma X, i malati di emofilia sono quasi sempre maschi che hanno ricevuto il gene mutato dalla madre, la quale non è di solito affetta. In passato i bambini emofilici erano a rischio di emorragie gravi, potenzialmente mortali, anche per una semplice estrazione dentaria; molto spesso in seguito a traumi lievi formavano ematomi all’interno delle ginocchia o dei gomiti, contraendone danni permanenti e invalidanti. Per fortuna oggi il Fattore VIII, prodotto con la tecnica del DNA ricombinante, somministrato prontamente o preventivamente, ha permesso agli emofilici gravi di condurre una vita quasi normale. Un’altra malattia emorragica relativamente frequente, in cui l’alterazione di una proteina plasmatica causa difetti funzionali sia della coagulazione sia delle piastrine, è la malattia di von Willebrand.
Quasi un’immagine speculare delle malattie emorragiche sono le malattie con tendenza alla trombosi. Infatti, se una piastrinopenia può essere responsabile di emorragia, un forte aumento delle piastrine (piastrinosi) può causare trombosi (anche se occorre notare che un singolo episodio di trombosi può essere dovuto a cause contingenti o locali: per es., può essere una complicanza di un intervento operatorio o di un tumore). La trombosi però, soprattutto se gli episodi sono ripetuti, può essere dovuta invece a una predisposizione ereditaria, che di solito è la carenza di una delle proteine che controllano la cascata coagulativa (come un inibitore della trombina chiamato antitrombina III).
Altre malattie del sangue
Abbiamo visto che un’anomalia di quasi qualunque componente dei globuli rossi può esitare in anemia, ma non è sempre necessariamente così: se l’Hb è alterata a causa di una mutazione ereditaria che rende meno agevole la cessione di ossigeno, ogni eritrocita fornirà meno ossigeno ai tessuti e, come fenomeno di compenso (mediato dall’eritropoietina), il numero dei globuli rossi aumenterà: si avrà cioè una eritrocitosi, il contrario dell’anemia (qualcosa di simile succede, attraverso vari meccanismi, nei forti fumatori). L’eritrocitosi può instaurarsi anche per altri tipi di mutazione ereditaria: per es., quelle che diminuiscono la sensibilità all’eritropoietina dei precursori dei globuli rossi. Talvolta, a causa di una particolare mutazione, questa volta somatica (scoperta nel 2005), si ha un aumento di tutti i tipi di cellule del sangue: questa malattia si chiama policitemia rubra vera e comporta varie complicazioni, compreso il rischio di trombosi, a causa del numero elevato di piastrine e dell’aumentata viscosità del sangue.
Il sangue nell’evoluzione
Sebbene naturalmente vi siano differenze di dettaglio, anche notevoli, nella struttura dei singoli componenti del sangue in varie specie, la sua composizione è simile in grandi linee in tutti i mammiferi, e non è molto diversa negli altri vertebrati. Nei vertebrati non mammiferi i globuli rossi non arrivano mai alla perdita del nucleo, sebbene la loro funzione sia essenzialmente la stessa; nei pesci l’ematopoiesi ha luogo nel rene anziché nel midollo osseo. Negli invertebrati non vi è circolazione del sangue e manca un sistema vascolare vero e proprio; tuttavia molti di essi hanno lacune contenenti un liquido simile al plasma che, in molti casi, contiene cellule somiglianti ai globuli bianchi. Non vi sono globuli rossi, ma in molti vermi vi è un pigmento simile all’Hb; nei crostacei si è osservato un processo che ricorda la coagulazione. Non è strano che un meccanismo complesso come l’ematopoiesi si sia evoluto gradualmente.
Bibliografia
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S. Tura, M. Baccarani, R. Fanin et al., Corso di malattie del sangue e degli organi emolinfopoietici, Bologna 20074.
Molecular hematology, ed. D. Provan, J.G. Gribben, Chichester-Hoboken (N.J.) 20103.