SANGUE
(XXX, p. 664; App. II, II, p. 782; III, II, p. 657; IV, III, p. 261)
Sviluppi delle tecniche trasfusionali. - Nell'ambito della trasfusione del s. si è verificata un'evoluzione di vasta portata per l'intervento di molteplici fattori, di vario ordine e natura, solo alcuni dei quali saranno citati a titolo di esempio. Sulle modalità della raccolta del s. − con l'organizzazione di Centri trasfusionali e la selezione dei donatori −, sulle ricerche per la sua conservazione, sull'individuazione dei metodi idonei a evitare la trasmissione di malattie infettive o parassitarie presenti nel donatore ha influito il progressivo aumento della richiesta di sangue. Tale aumento è stato particolarmente significativo nel corso degli eventi della seconda guerra mondiale e durante i conflitti successivi, poi come esigenza connessa ai progressi della chirurgia − approdata a interventi non immaginabili, per mole e per complessità, nei decenni precedenti − e a quelli della medicina interna (principalmente ematologia e immunopatologia), che si sono tradotti in specifiche richieste terapeutiche. I progressi verificatisi nel campo dell'immunologia, inoltre, hanno dimostrato che il problema della compatibilità tra s. del donatore e s. del paziente è ben più complesso di quanto si riteneva in passato e non può più essere limitato alla ricerca dell'appartenenza a uno dei gruppi eritrocitari A B O e alla dimostrazione della presenza o meno del fattore Rh. Infine, ma non ultimi, i progressi tecnologici, nella loro espressione più significativa, hanno messo a disposizione apparecchiature che consentono il prelievo selettivo (aferesi) dei componenti corpuscolati del s. (piastrine: piastrinaferesi; leucociti: leucaferesi o granulocitaferesi), del plasma (plasmaferesi) per la rimozione di sostanze responsabili di un determinato quadro morboso (plasmaferesi terapeutica) o per l'ulteriore preparazione di sue frazioni (albumina, immunoglobuline, fattori della coagulazione: plasmaferesi preparatoria).
Tutto questo ha portato alla distinzione dei ''componenti'' del s. dai ''derivati'', e a un aggiornamento delle tecniche terapeutiche. I componenti del s. sono rappresentati dalle frazioni della porzione corpuscolare (eritrociti, leucociti, piastrine) e possono essere separati dal s. intero con semplici mezzi fisici (centrifugazione differenziale, emaferesi), sfruttando le loro differenze di morfologia e di peso molecolare. Gli emoderivati sono rappresentati dalle frazioni plasmatiche (albumina, fibrinogeno, fattore viii antiemofilico, altri fattori della coagulazione, immunoglobuline) allestite con complesse metodiche fisico-chimiche, sulle quali il Consiglio d'Europa, che adempie a una funzione di forum per i vari esperti, nel 1976 ha dato suggerimenti in tema di preparazione, classificazione e usi. Gli emoderivati vengono considerati prodotti farmaceutici e in Italia sono soggetti alle disposizioni della vigente farmacopea.
Gli interventi terapeutici sono divenuti più appropriati, consentendo d'intervenire con infusioni di concentrati corpuscolari (granulociti, piastrine), con somministrazioni di emoderivati e col ricorso all'autotrasfusione (v. oltre): si tratta di una vera e propria terapia mirata che fa giungere al paziente unicamente la frazione di cellule o di plasma di cui scarseggia e soddisfa allo stesso tempo un'esigenza di economia, perché permette di utilizzare per più casi l'unità di s. (400÷500 ml) ricavata da un solo donatore: i globuli rossi per l'anemia, le piastrine per la piastrinopenia, il fattore viii per l'emofilia A, l'albumina per determinate nefropatie, le gammaglobuline per determinate esigenze profilattiche o terapeutiche (v. tab. 1).
Conservazione del sangue, dei suoi componenti e modalità dei trattamenti. - La conservazione del s. è stata affrontata dapprima diluendo il s. intero con una soluzione di acido citrico (citrato di sodio) e destrosio (miscela contrassegnata con il simbolo A C D; J.F. Loutit e P.L. Mollison 1943) che ha consentito di mantenerlo ''vitale'' alla temperatura di +4°C per 21 giorni. Nel 1950 A.V. Smith e A.S. Parkes osservarono che le emazie sospese in una soluzione ipertonica di glicerolo non si coartavano per poi emolizzarsi. Essi ipotizzarono che il glicerolo passasse attraverso la membrana eritrocitaria all'interno del citoplasma, comportandosi da crioprotettore: il glicerolo, per la sua formula chimica (CH2OH − CHO-CH2OH), ha una grande affinità per gli idrogenioni dell'acqua, attraverso i quali la lega, impedendo la formazione di ghiaccio intracellulare ed extracellulare durante il congelamento, lento (−86°C) o rapido (−196°C). Tale osservazione ha reso possibile la conservazione dei globuli rossi a basse temperature, ma ha creato altri problemi: quello della deglicerolizzazione e quello di preservare, nelle emazie così trattate, l'attitudine dell'emoglobina a cedere ossigeno ai tessuti. Su quest'ultimo argomento hanno fornito un significativo contributo R. Benesh e A. Chanutin e coll. con la scoperta (1967) del fattore che regola la capacità dell'emoglobina di trattenere e cedere ossigeno: l'acido 2,3 difosfoglicerico (simbolo 2,3-DGP), detto perciò ''liberatore di ossigeno''. Nel 1981 l'American Association Blood Banks (AABB) ha presentato studi definitivi (due anni di sperimentazione di più banche) per l'impiego di una soluzione conservativa di s. intero composta di citrato, fosforo, destrosio e adenina (simbolo CPDA); l'adenina, assorbita dalle emazie, migliora l'attività dell'ATP (adenosintrifosfato), elemento fondamentale per il metabolismo delle cellule: la nuova soluzione permette di conservare il s. intero per 28 giorni. Un ulteriore perfezionamento (O. Akerbon e altri 1985) del prelievo di s. intero, ma con la separazione delle emazie dal plasma prima dell'aggiunta della soluzione conservativa, offre numerosi vantaggi: a) l'immediata separazione del plasma evita le alterazioni che sarebbero indotte dal destrosio delle soluzioni conservative; b) l'adenina potenzia l'attività dei globuli rossi; c) la soluzione stabilizzante (o di ringiovanimento) di mannitolo è dosata per le sole emazie; d) la soluzione riduce la viscosità del concentrato dei globuli rossi, favorendo il flusso della trasfusione.
Un'altra forma di conservazione delle emazie separate dalle altre cellule è il loro congelamento (previo recupero e conservazione del plasma, cui si è accennato a proposito dell'osservazione di Smith e Parkes sulla glicerolizzazione). Il congelamento arresta il metabolismo delle cellule, mentre la glicerolizzazione e la deglicerolizzazione − con il lavaggio con soluzioni di sodio a differenti concentrazioni − rimuovono, per eliminarli, sia la piccola porzione di plasma residuo, sia la maggior parte degli elementi non eritrocitari (95% degli ammassi di leucociti e di piastrine, di isoagglutinine, di prodotti delle emolisine e di altri componenti proteici e non proteici del plasma). Per la conservazione delle piastrine è risultato che se ne può garantire la funzionalità, sia pure per un breve periodo (5 giorni), mantenendole in ambiente ricco di ossigeno: a tale scopo se ne pratica la raccolta in una sacca di plastica caratterizzata dalla permeabilità ai gas, che permette l'afflusso di ossigeno e l'allontanamento dell'anidride carbonica, e che è sottoposta a movimenti di rotazione. L'impiego dei concentrati di leucociti è ostacolato dalle difficoltà nella separazione dagli altri elementi cellulari e nella conservazione: attualmente trovano impiego nella produzione dell'interferon. Complessivamente i vantaggi rappresentati dal ricorso ai concentrati cellulari sono molteplici e possono essere così riassunti: un'indiscutibile efficacia terapeutica controllata; un minore volume trasfuso; una minore quantità di anticoagulante; una minore esposizione a proteine (elementi che possono creare nel ricevente un'indesiderabile risposta immunitaria) e, infine, una minore possibilità di trasmissione di malattie.
Il quadro di questi progressi va completato ricordando che essi hanno aperto la strada alla pratica dell'autotrasfusione (o ''trasfusione autologa'') nelle sue differenti varianti, e in certo qual modo alla tecnica della cosiddetta emodiluizione isovolemica. Le autotrasfusioni comprendono: a) autotrasfusione differita, ossia trasfusione di s. autologo, dopo prelievo singolo o plurimo di unità di s. effettuato nei giorni precedenti un intervento (predeposito); b) autotrasfusione intraoperatoria per il recupero del s. perso dal paziente; c) trasfusione di emazie autologhe congelate, che possono essere conservate per cinque anni: tale tecnica permette all'individuo sano di prepararsi una riserva di s. che potrà utilizzare per sé quando necessario oppure rinnovare periodicamente. L'emodiluizione isovolemica consiste nel prelievo di s. immediatamente prima dell'intervento, mantenendo la volemia con la somministrazione di appropriate soluzioni e con la reinfusione del s. durante o dopo l'atto chirurgico.
Plasma ed emoderivati. - La preparazione del plasma da un unico donatore si effettua con la tecnica della plasmaferesi, e successivo e rapido congelamento a −80°C. L'unità da trasfondere (240 ml) deve avere la percentuale dei fattori v e vii della coagulazione (i più labili) non inferiore al 70% della quantità di un plasma normale. La conservazione a −30°C delle unità di plasma congelato può protrarsi fino a quattro mesi, fino a un anno per quelle conservate a −60°C. Il frazionamento del plasma porta all'isolamento dell'albumina, del fibrinogeno, del fattore viii antiemofilico, di concentrati di più fattori della coagulazione e delle immunoglobuline. Il fattore viii antiemofilico si ricava dal precipitato che si ottiene dal plasma congelato sciogliendolo a +4°C e centrifugandolo a opportuna velocità (tecnica del crioprecipitato). Il crioprecipitato è utile nel trattamento dell'emofilia. L'albumina è una proteina semplice costituita da 575 amminoacidi, utilizzati dalle cellule di tutti i tessuti nel loro metabolismo.
Le immunoglobuline, se provenienti da donatori iperimmuni nei confronti di un particolare antigene, hanno la proprietà di fornire, a chi non è difeso da un'immunità precedentemente acquisita e tuttora in atto, gli anticorpi specifici necessari in elevata concentrazione per la protezione da una determinata malattia infettiva (v. tab. 2).
Ai significativi traguardi raggiunti in questi ultimi decenni dalla pratica trasfusionale fanno riscontro prospettive particolarmente seducenti, come quelle basate su una particolare categoria di ormoni proteici (eritropoietina e differenti CSF o fattori stimolanti la colonizzazione) e sui trasportatori di ossigeno. L'eritropoietina e i differenti CSF stimolano la proliferazione e la maturazione dei precursori, rispettivamente, degli eritrociti e dei differenti globuli bianchi (v. emopoiesi, in questa Appendice): il successo delle prime applicazioni terapeutiche dell'eritropoietina nel trattamento di nefropazienti con anemia e sottoposti a dialisi convalidano la speranza che essa possa far diminuire il numero delle trasfusioni di s. negli interventi chirurgici e che le emoteche possano diventare anche centri di produzione del sangue. Le ricerche sui trasportatori di ossigeno si propongono l'allestimento di sostanze capaci di veicolare l'ossigeno ai tessuti in quantità sufficiente e che resti attiva in circolo per un congruo arco di tempo: tuttora allo studio sono i perfluorocarburi e le soluzioni di emoglobina, libera o incapsulata in corpuscoli artificiali, denominati neoemociti, di dimensioni inferiori a quella dei globuli rossi. Pertanto si è evoluta una medicina trasfusionale che, da un lato, ha ridimensionato l'eccessiva richiesta di trasfusioni relativa a ogni intervento e, dall'altro, ha propagandato l'autoemotrasfusione con predeposito nei diversi interventi chirurgici. A seguito dei numerosi studi tendenti a dimostrare quale applicazione vantaggiosa si abbia nel predeposito autotrasfusionale e nel recupero intraoperatorio del s., il ministero della Sanità con la l. 4 maggio 1990, n. 107 e relativo decreto legisl. 27 dicembre 1990, ha inteso promuovere la diffusione delle pratiche autotrasfusionali sotto forma di predeposito, recupero perioperatorio ed emodiluizione normovolemica. È stata, quindi, istituita (1991), come previsto dall'art. 16 comma 2 e 3 della suddetta legge, una Commissione nazionale per il servizio trasfusionale con direttive tecniche e promozionali al fine di divulgare le metodologie di riduzione della trasfusione di s. omologo.
Bibl.: H.T. Meryman (Bethesda), G. La Greca e coll., Globuli rossi congelati e terapia con i componenti del sangue, Roma 1974; Council of Europe, Committee of experts on blood transfusion and immunohaematology, Strasburgo 1976; A.H. Brannstein, H.A. Oberman, Transfusion of plasma components, in Transfusion (University of Michigan), 24, 4 (1984); R.N.I. Pietersz, J.A. Loos, H.W. Reesink, Platelet concentrates stored in bplasma for 72 hours at 22°C//Blood collected in a quadruple-bag saline, adenine, glucose, mannitol system, in Vox Sanguinis, 49 (1985), pp. 81-85; A.J. Snyder, J.L. Gottschall, J.E. Mentove, Why is fresh-frozen plasma transfused?, in Transfusion (University of Winsconsin), 26, 1 (1986).