SANGUE (XXX, p. 664)
I gruppi sanguigni. - Da tempo era conosciuto che il siero di sangue di una specie zoologica agglutina i corpuscoli rossi di un'altra specie (eteroagglutinazione). Nel 1900 K. Landsteiner dimostrò nell'uomo che il siero di alcuni individui agglutina le cellule di altri (isoagglutinazione). Si constatò poi che gli uomini si possono ripartire, da questo punto di vista, in quattro categorie o "gruppi sanguigni" indicati secondo la notazione più usata con i simboli A, B, AB e 0 (zero). Alle voci ematologia: Ematologia forense (XIII, p. 856) e sangue: Trasfusione del sangue (XXX, p. 677), sono indicati i principî della teoria dei gruppi sanguigni e la loro importanza pratica. In seguito furono scoperte altre proprietà immunitarie del sangue umano normale, cioè altri gruppi sanguigni, e precisamente i gruppi MN, i gruppi P e i gruppi Rh.
Gruppi A, B, 0. - Le ricerche più recenti si riferiscono specialmente alla genetica, alla distribuzione geografica, alla presenza dei gruppi sanguigni nelle scimmie antropomorfe.
Per quanto riguarda la genetica, è tuttora valida la teoria di F. Bernstein (1924-25), secondo la quale queste proprietà del sangue dipenderebbero da una serie di tre geni allelomorfi, cioè da una serie di alleli multipli. Ciò significa che sono localizzati nello stesso punto (locus) di una coppia cromosomica. È opportuno, secondo le convenzioni genetiche, indicare tali geni con un simbolo, G, a cui si affigge un esponente. Il gene GA, che determina la formazione dell'agglutinogeno A, è dominante su GB, che determina la formazione dell'agglutinogeno B. Recessivo rispetto ai due è g. Il genotipo gg corrisponde al gruppo 0, in cui non vi è alcun agglutinogeno e sono presenti le due agglutine α e β. Com'è noto, il gruppo 0 costituisce la classe dei "donatori universali" il cui sangue può essere trasfuso in quello di qualsiasi altro individuo senza inconvenienti.
Fin dal 1911 E. Dungern e M. Hirschfeld scoprirono che il gruppo A era divisibile in due sottogruppi A1 e A2 e, rispettivamente, il gruppo AB era suddiviso in A1 B e A2 B. Dal punto di vista genetico ciò si spiega con un'estensione della teoria di Bernstein, ammettendo che la serie degli alleli multipli sia costituita da quattro, anziché tre geni, nel seguente ordine di dominanza: GA1, GA2, GB, g. In seguito furono descritti altri sottogruppi di A (A3, A4, A6) meno importanti per la loro scarsa diffusione e perché le loro reazioni sono meno intense.
Una delle applicazioni pratiche dei gruppi sanguigni è nella ricerca della paternità, in cui si può giungere in alcuni casi a conclusioni negative, cioè ad escludere che un dato individuo sia figlio di un presunto genitore (v. ematologia, XIII, p. 856). Tenendo conto della suddivisione del gruppo A in A1 e A2, si può costruire la seguente tabella (da E. B. Ford, Genetics for medical students):
I gruppi sanguigni hanno una distribuzione razziale tipica, in cui l'aspetto più notevole è la maggior frequenza del gruppo B, rispetto al gruppo A, in Asia e in Europa orientale rispetto all'Europa occidentale. Altri particolari risultano dalla tabella seguente compilata sui dati di G. L. Taylor, R. R. Race, A. M. Prior, E. W. Ikin, 1942, L. Lattes, 1934, A. S. Wiener, 1939. I dati sono ordinati secondo l'aumento della frequenza del gruppo B (da E.B. Ford, Genetics for medical students):
Per quanto riguarda i gruppi sanguigni nelle scimmie antropomorfe, si sa che nello scimpanzé si trovano i gruppi 0 e A e non B e AB. Anche in altri primati, si sono riscontrati gruppi analoghi a quelli dell'uomo, ma i dati statistici sono ancora scarsi: è accertata la presenza di B nel gorilla, nell'orango e in varie altre scimmie.
Interessanti alcune ricerche sulle mummie egiziane e degli aborigeni americani, in cui sono stati riconosciuti i gruppi sanguigni. Non si hanno però, per ovvie ragioni, dati sufficienti a giudicare della loro frequenza relativa.
I gruppi MN. - Nel 1928 K. Landsteiner e P. Levine descrissero altri agglutinogeni, denominati M e N, le cui agglutinine non sono presenti nel sangue umano normale. La presenza degli agglutinogeni M e N si determina mescolando sangue umano con siero di conigli previamente immunizzati con iniezione di eritrocitì contenenti M o N. Dal punto di vista genetico i gruppi M e N dipendono da una coppia di geni indipendente da quella del gruppo AB0. Non vi è dominanza e perciò vi sono tre gruppi, M, N, e MN, nel quale ultimo ambedue gli agglutinogeni sono presenti. Le previsioni dei fenotipi assenti nei figli dei varî matrimonî è facile e, come quella del gruppo AB0, è usata in ematologia forense (v. tabella, da E. B. Ford).
I gruppi P. - Un altro carattere che pure si determina saggiando il sangue umano con siero di coniglio, è quello che divide gli uomini in due gruppi, P (dominante) e non-P. Per ragioni tecniche è meno usato dei due precedenti, dai quali è geneticamente indipendente.
I gruppi Rh. - Furono scoperti da K. Landsteiner e A. S. Wiener nel 1940, ed hanno assunto subito una grande importanza teorica e pratica. Siero di coniglio immunizzato con iniezione di eritrociti di macaco (lat. scient. Rhesus, donde il simbolo Rh) agglutina il sangue dell'85% circa degli Americani bianchi, mentre il 15% non presenta agglutinazione. Anche per la frequenza di questo fattore si sono riscontrate notevoli diversità fra le varie razze. Esiste quindi negli eritrociti di circa l'85% delle persone (Rh-positive) un antigene Rh, che reagisce con l'anticorpo (agglutinina anti-Rh) formatosi nel siero di coniglio. Negli Rh-negativi invece gli eritrociti non contengono tale antigene.
Della importanza di questo fattore in patologia sarà detto più oltre a proposito della eritroblastosi fetale e delle reazioni emolitiche da trasfusione di sangue.
La genetica del fattore Rh, che sembrava semplice all'inizio (si supponeva che si trattasse di un sol gene con dominanza di Rh su non-Rh) si rivelò poi assai complicata, in seguito alla identificazione di varî sottogruppi Rh. Immunologi e genetisti si sono occupati di questo fenomeno, che è stato in gran parte chiarito dalle brillanti ricerche di R. A. Fisher. I fatti e la teoria sono notevolmente complicati; è comunque sufficiente accennare che richiedono la presenza di quattro geni localizzati in punti diversi di uno stesso cromosoma, alcuni dei quali presentano più di un allelo. Insieme con le deduzioni sulla frequenza dei gruppi Rh nella popolazione originaria inglese e sulle sue variazioni nel corso dei tempi, la teoria del Fisher sul gruppo Rh costituisce oggi uno dei capitoli più notevoli e più profondamente esplorati della genetica umana.
Secrezione. - Per i gruppi AB0 e probabilmente anche per altri (certamente per i gruppi P) esiste ancora un'altra proprietà: la capacità di secernere gli antigeni in varî liquidi e specialmente nella saliva. Gli individui possono quindi classificarsi in "secretori" e "non secretori". La capacità di secrezione è un carattere dominante, che dipende da una coppia genica indipendente da quella che determina i gruppi AB0.
L'analisi di queste proprietà immunitarie del sangue ha dunque portato alla conoscenza di numerosi "gruppi" in cui si può dividere la popolazione umana. Considerando soltanto i sei gruppi principali AB0, i tre MN, i due P, gli undici Rh conosciuti nel 1944 e i due del fattore secrezione, il numero dei possibili gruppi fenotipicamente riconoscibili è: 6 × 3 × 2 × 11 × 2 - 792 (G. L. Taylor e R. R. Race, 1944). K. Landsteiner ritiene teoricamente possibile che si giunga a stabilire una vera e propria individualità immunologica, così come si stabilisce l'individualità attraverso un carattere morfologico quale le impronte digitali.
Anche in alcune specie di animali (vertebrati) sono state studiate alcune proprietà immunologiche del sangue, ma non così estesamente come nell'uomo.
Bibl.: A. S. Wiener, Blood groups and blood transfusion, Londra, 3ª ed., 1943; G. L. Taylor, R. R. Race, Human blood gorups, in Brit. Med. Bull., I, 1944, pp. 160-165; R. R. Race, A summary of present knowledge of human blood-groups with special reference to serological incompatibility as a cause of congenital disease, in Brit. Med. Bull., IV, 1946, pp. 188-93; R. R. Race, A. E. Mourant e M. N. Mc Farlane, Travaux récents sur les antigènes et anticorps Rh avec une étude particulière de la théorie de Fisher, in revue d'Hématol., I, 1946, pp. 9-21; R. Gates, Human Genetics, I, New York 1946; G. Morganti, Il problema genetico del sistema Rh, in Ann. di Biol. norm. e Patol., I, 1947, fasc. 4; M. Tortora, Genetica Rh, in Arch. di Ostetr. e Ginecol., LII, 1947, n. 2; E. B. Ford, Genetics for medical students, Londra 1946, trad. ital., Milano 1948.
Trasfusione.
Notevoli progressi sono stati fatti, specie in questi ultimi 15 anni, fra la prima e la seconda Guerra mondiale e durante la guerra stessa, nella trasfusione del sangue e derivati (plasma, siero, frazioni proteiche) e sostituti. Mentre prima si usava per lo più la trasfusione diretta, da uomo a uomo, trovata l'azione anticoagulante del citrato (Sabbatani), si usò questa sostanza per la stabilizzazione del sangue e quindi per la trasfusione indiretta (Hustin 1914, ed altri).
Potendo tenere incoagulato il sangue, fu possibile non solo trasfonderlo subito o poco tempo dopo il prelevamento dal donatore, ma anche conservarlo per alcuni giorni. Già nel 1918 le forze di spedizione anglo-americane fecero alcune trasfusioni indirette con sangue prelevato qualche tempo prima. La trasfusione di sangue conservato tuttavia è stata in esteso usata dagli autori russi (1930-35), i quali hanno anche utilizzato sangue di cadavere (nei nostri paesi ciò non è possibile, essendo proibito per legge toccare il cadavere prima di 24 ore dal decesso), di soggetti precedentemente sani e morti per causa violenta. Varî altri autori, fra cui Tenconi e Palazzo in Argentina (1934), hanno usato, pure fra i primi, il sangue conservato. Oltre al citrato di sodio, altri anticoagulanti sono stati indicati fra cui l'eparina (v. in questa App.) e, in Italia l'iposolfito (Corelli). Varie ricerche hanno mostrato che il sangue prelevato con perfetta asepsi e tenuto in ghiacciaia a + 3, + 5, conserva attive le proprietà biologiche, per cui può essere utilizzato con completo vantaggio nei giorni successivi, fino a 7-8 giorni (non, come all'inizio si credeva, fino a 20-30 giorni).
La conservazione del sangue ha permesso al medico di essere indipendente dal donatore e di avere sempre a disposizione quantità anche elevate, 1-2 o più litri, di sangue per un paziente, ciò che, diversamente richiederebbe la contemporanea chiamata di numerosi donatori; senza contare poi che la tecnica della trasfusione indiretta con sangue già pronto è molto più semplice di quella della trasfusione diretta. Dà la possibilità, infine, di spedire il sangue anche lontano, come si spedirebbe un altro medicamento. La conservazione del sangue nelle emoteche, oggi molto diffuse e costituite in ogni grande ospedale (la prima emoteca italiana, e una delle prime in Europa, è stata istituita nel 1936 nella Clinica medica dell'università di Roma), ha permesso di avere a disposizione quantità anche notevoli di plasma. Dal sangue sedimentato, e spesso dal sangue che ha oltrepassato i limiti di utilizzabilità, si preleva per decantazione o per centrifugazione il plasma soprastante. Le trasfusioni di plasma si possono eseguire con plasma fresco o con plasma essiccato. Il plasma essiccato, che al momento dell'uso si riporta a volume con acqua distillata annessa al plasma, è stato molto usato, specie dagli Anglo-americani durante la guerra, per la facilità di trasporto (v. fig.).
L'estesissimo, abbondante, uso di sangue e di plasma in caso di shock di vario tipo, di emorragie, e in molte altre forme morbose, accanto alla penicillina, ha permesso di abbassare notevolmente la percentuale di mortalità in quest'ultima guerra. Allo stesso modo permette successi notevoli, finora sconosciuti nella medicina e chirurgia corrente (molti arditi interventi operatorî, per es., sul cervello, sul cuore, sui polmoni, sugli organi addominali, ecc., sono possibili mercé abbondanti trasfusioni di sangue, anche di litri, durante l'intervento e dopo di esso).
La trasfusione di sangue e di plasma ha indicazione come uso d'urgenza, oppure spesso, come fosse un qualsiasi altro medicamento, quale uso abituale, fatto in serie (malati anemici, astenici, anoressici, per preparazione ad interventi operatorî, ecc.). Nel sangue totale infatti, oltre ai globuli rossi, ai globuli bianchi e alle piastrine è da calcolare l'apporto di proteine, di ormoni, di vitamine, di principî vitali in senso lato, che, trasfusi in soggetti anemizzati, astenizzati, possono avere notevole potere stimolante.
Trasfusione di globuli rossi concentrati. - Estratto il plasma sovrastante, rimane sedimentata la parte globulare, cioè i globuli rossi (i globuli bianchi neutrofili in 3-5 giorni vanno incontro a lisi, le piastrine ancora prima). La trasfusio1ie della massa globulare rossa, anche senza ulteriore diluizione, è di particolare utilità nelle forme in cui c'è carenza di globuli rossi, cioè nelle anemie. Anemie ipercromiche e ipocromiche di varia origine, anemie neoplastiche, leucemie, ecc., possono trarre grandissimi vantaggi dall'apporto di queste masse globulari concentrate, che talora nelle emoteche sono a disposizione in notevole quantità.
Frazioni proteiche. - Dal plasma, che contiene 7 per cento di proteine totali, sono state anche separate, specie da chimici americani, le varie frazioni proteiche (albumine, 4,1 per cento; globuline, 2,7 per cento; fibrinogeno, 0,27 per cento) che si possono in casi particolari usare anche separatamente, normali o concentrate.
Siero umano. - In alcuni paesi ed anche in Italia viene usato, con le stesse indicazioni del plasma, anche il siero umano. Il siero si ottiene dopo coagulazione del sangue (in tal modo non è più possibile la utilizzazione dei globuli rossi che restano impigliati nel coagulo). Benché non vi siano grandi e sostanziali differenze, l'uso del plasma è più esteso di quello del siero che è anche di più difficile preparazione.
Sostituti del plasma. - Le sempre maggiori richieste di plasma, che si ottiene solo dall'uomo, hanno stimolato la ricerca di attivi sostituti. Si è cercato di utilizzare il plasma ed il siero di animali domestici, specie di grossa taglia, ma finora non sono stati ottenuti risultati sicuri, per la possibilità di reazioni proteiche allergiche anche gravi. Sembra che il plasma equino, preparato con metodo speciale, possa dare qualche risultato favorevole; l'esperienza è ancora molto recente.
Numerose proposte sono state fatte di soluzioni isoosmot che di varie sostanze (acacia, liquido ascitico, pectina, gelatina di pesce ed altri animali, amminoacidi, idrolisati proteici, ecc.). Quella che si è dimostrata finora più attiva è il periston (soluzione 3,5% di polivinilpirrolidon), trovato da chimici tedeschi durante la guerra e con vantaggio usato nelle armate germaniche. Attualmente questa soluzione, col nome subtosan, si usa anche in Italia e Francia.
Patologia.
Eritroblastosi fetale o malattia emolitica del neonato. - Si verifica nel figlio di una madre Rh negativa e di padre Rh positivo (v. sopra). Nel corso della gravidanza, il feto, che è Rh positivo perché il fattore è dominante, può determinare nella madre per via placentare la formazione di anticorpi (agglutinine ed emolisine) anti-Rh che a loro volta ritornando dal sangue della madre a quello del feto agiscono sui globuli rossi di quest'ultimo.
Possono avvenire pertanto, dai gradi più lievi ai più intensi, l'agglutinazione e l'emolisi con i varî fenomeni successivi: anemia, eritroblastosi midollare e periferica, sonnolenza, ittero, lesioni epatospleniche, cerebrali (cosiddetto ittero nucleare), tossiemia, convulsioni, coma, fino alla morte. Insorge cioè il quadro della malattia emolitica del neonato, la quale non è evidente al momento della nascita, ma appare, dopo poche ore o dopo qualche giorno, spesso al 3° al 4°. Il perché di questa tardiva comparsa, pur essendo presenti già durante la vita intrauterina le agglutinine Rh, non è bene spiegabile.
Secondo A. S. Wiener gli anticorpi prodotti dalla madre sarebbero di due tipi: anticorpi bloccanti, univalenti od incompleti, agglutinine di minor mole, che passano attraverso la placenta con maggiore facilità anche durante la gravidanza donde l'idrope fetale; anticorpi bivalenti o completi, agglutinine di maggiori dimensioni che passerebbero attraverso la placenta nella circolazione fetale non durante la gravidanza, ma solo durante il parto, a causa dell'aumentata pressione endouterina.
Questi anticorpi determinerebbero da soli l'agglutinazione in vitro e l'emolisi in vivo, mentre i primi, pur fissandosi al globulo rosso, avrebbero bisogno, per agire, di un terzo fattore, analogo ma diverso dal complemento, identificato con la cosiddetta proteina X di Pederson.
Sempre secondo il Wiener, gli anticorpi bloccanti determinerebbero la malattia emolitica congenita, le agglutinine o anticorpi bivalenti sarebbero responsabili dei varî quadri della sindrome eritroblastica vera e propria, evidenziata dopo la nascita, con ittero grave, spesso mortale, ecc.
Il fattore Rh può essere responsabile oltre che dell'anemia emolitica, anche di altre manifestazioni: l'aborto ripetuto, il feto nato morto, l'idrope fetale, fenomeni nervosi varî, ecc. La cura della malattia emolitica del neonato è fondata principalmente sulle trasfusioni di sangue Rh negativo (20-25 cc. pro kg.) o meglio oggi sull'exsanguinotrasfusione (estrazione graduale di tutto o quasi il sangue e contemporanea sostituzione a pari volume o poco più, con sangue Rh negativo). Devono essere evitati sia la trasfusione con sangue materno, perché contiene gli anticorpi Rh, sia, per la stessa ragione, l'allattamento materno.
Tentativi per evitare la sensibilizzazione della madre verso l'Rh o bloccare gli anticorpi già formati, non hanno dato finora risultati pratici; questa però è una delle vie da seguire per la profilassi della malattia e per evitare la morte talora di tutti i figli di una famiglia, non potendosi, per ragioni morali, religiose, ecc., consigliare la fecondazione con seme di soggetto Rh negativo (ciò sarebbe il procedimento più sicuro perché una donna che ha avuto e perduto i suoi figli eritroblastici possa avere figli sani e vitali).
La malattia emolitica del neonato riportabile nel 90% dei casi al fattore Rh, può, seppur di rado, essere dovuta a sensibilizzazione ad altri fattori per es. Hr, A, B, M, N. Per varie cause (paterne, fetali, materne ed altre), la comparsa dell'eritroblastosi fetale è meno frequente del prevedibile (i caso su 300-400 gravidanze).
Reazioni emolitiche da trasfusione di sangue. - Con l'enorme diffusione della trasfusione di sangue, specialmente in questo ultimo decennio, si sono osservate delle reazioni anche gravi, talora mortali, pur eseguendo la trasfusione con sangue parigruppo, sangue cioè che secondo le regole classiche avrebbe dovuto essere bene sopportato. Si è potuto allora vedere che alcune di queste reazioni erano spiegabili con la sensibilizzazione al fattore Rh (Wiener e Peters, Levine). Il meccanismo di sensibilizzazione è analogo a quello dell'eritroblastosi. Se in un soggetto Rh negativo (frequenza 15%) si trasfonde sangue Rh positivo (la cui frequenza è 85%), il ricevitore può (non "deve") sensibilizzarsi, cioè produrre anticorpi Rh. Se poi, in tempo successivo, viene fatta un'altra trasfusione con sangue Rh positivo, si può avere la crisi emolitica, più o meno grave, talora anche mortale, con brividi, febbre, emoglobinemia, emoglobinuria, ittero, anuria, iperazotemia, ecc.
Per lo più la reazione avviene, come si è detto, dopo alcune trasfusioni, dopo un lasso di tempo necessario all'instaurarsi della sensibilizzazione, e più precisamente alla formazione degli anticorpi, ma in alcuni casi particolari può avvenire già alla prima trasfusione, con sangue Rh positivo, per es., in una donna gravida di un eritroblastotico o che abbia avuto in precedenza figli eritroblastotici, per cui il siero ha già gli anticorpi Rh. È evidente che in queste particolari condizioni, se necessita la trasfusione, si farà con sangue Rh negativo. Come si è detto per l'eritroblastosi, reazioni emolitiche da trasfusione, oltre che all'Rh, più frequente, possono essere sostenute da altri fattori per es. M, N (caso di Corelli e Rogari in cui la paziente aveva agglutinine anti-N).
È opportuno ricordare - a conclusione - che si tratta di studî ancora in evoluziorie, che vanno continuamente arricchendosi di nuove acquisizioni, ed accennare alla scoperta del fattore Hr con la corrispondente agglutinina anti-Hr capace di agglutinare il sangue Rh negativo, degli antigeni Lutheran, Kell, Si, che sembrano avere anch'essi importanza nella genesi sia degli incidenti da trasfusione sia della stessa eritroblastosi fetale.