Sanità
(App. V, iv, p. 623; v. anche sanitaria, legislazione, XXX, p. 716; App. IV, iii, p. 263; V, iv, p. 625)
Economia e legislazione sanitaria
Negli anni Novanta tutte le economie avanzate, malgrado le differenti caratteristiche dei singoli sistemi sanitari, si sono trovate ad affrontare problemi comuni riguardo al finanziamento e all'erogazione dell'assistenza sanitaria: la rapida crescita della spesa, la mancanza di coordinamento tra i diversi produttori, le ineguaglianze nell'accesso ai servizi sanitari e nel pagamento degli stessi. Come conseguenza, la maggior parte dei paesi ha intrapreso dei processi di riforma (da stime OCSE, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, e OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, si ritiene che circa 40 paesi stiano riorganizzando il loro sistema sanitario), la cui direzione non è stata però uniforme per diverse ragioni. Anzitutto, perché l'intensità dei problemi si è manifestata in maniera differente, ma soprattutto perché le tipologie di sistema sanitario variano molto a seconda del sistema di finanziamento (fiscalità generale, assicurazione sociale, assicurazioni private), della natura giuridica (pubblica o privata) dei fornitori di assistenza, in particolare dei presidi ospedalieri, e delle modalità di retribuzione dei soggetti e istituzioni che offrono i diversi servizi. In generale, comunque, il tentativo di conciliare efficienza ed equità, sia nelle riforme già attuate, sia in quelle in corso di attuazione, ha comportato l'introduzione di elementi di gestione comune, quali: il controllo dei costi; il miglioramento della qualità e dell'efficienza amministrativa dei servizi; l'aumento della compartecipazione dei cittadini alla spesa; l'introduzione dei principi del libero mercato nella gestione pubblica della sanità. Più in generale si può operare una distinzione tra riforme 'macroeconomiche', che mirano a ridurre la quota della spesa sanitaria totale sul prodotto interno lordo, e riforme 'microeconomiche', che si propongono una razionalizzazione della spesa attraverso un aumento dell'efficienza.
Negli anni Ottanta, diversi paesi europei, spinti da problemi di bilancio, hanno tentato di seguire il primo approccio, ma il porre limiti alla spesa totale può avere comportato conseguenze negative in termini di efficienza dei sistemi e, inoltre, il successo di questa politica è dipeso dal grado di centralizzazione delle decisioni di spesa. Nei paesi come il Regno Unito o l'Irlanda, in cui esiste un unico finanziatore e organizzatore dei servizi sanitari (lo Stato), il controllo è relativamente facile, mentre nei paesi in cui sono i governi regionali, provinciali o locali a organizzare l'assistenza (come in Svezia) diventa più difficile stabilire e far mantenere un tetto di spesa, anche se si pongono dei limiti ai trasferimenti dal governo centrale a quelli locali e alla capacità impositiva di questi ultimi. Il controllo sulla spesa totale è stato spesso associato a limitazioni alla spesa in specifici settori: nella maggior parte dei paesi i provvedimenti adottati riguardano prevalentemente la spesa ospedaliera e quella farmaceutica. Poiché la prima rappresenta la percentuale più alta sul totale della spesa sanitaria in tutti i paesi (in Italia il 47,7% nel 1997), la ricerca della massima efficienza nel settore ha rappresentato la strada obbligata da percorrere. Il contenimento dei costi ospedalieri si è perseguito spesso mediante una modifica del metodo di finanziamento degli stessi, passando da bilanci retrospettivi a bilanci prospettici, basati su contratti negoziati tra gli acquirenti e gli ospedali, con differenti modalità di pagamento per le attività effettuate, computate secondo quantità e tipo di servizi prestati e durata della degenza. In Germania e in Belgio, per es., sono state introdotte tariffe giornaliere, mentre un crescente numero di paesi ha già adottato (Austria, Italia, Portogallo), o sta sperimentando (Danimarca, Paesi Bassi, Francia, Norvegia, Svezia), il nuovo sistema di pagamento a ricovero classificato secondo i DRGs (Diagnosis Related Groups). Altre misure per diminuire la spesa ospedaliera sono state la riduzione del numero degli ospedali (Belgio, Danimarca, Irlanda, Italia, Paesi Bassi e Regno Unito) e la contrazione dei fondi per le attrezzature mediche. Circa la spesa farmaceutica, in tutti i paesi sono stati introdotti provvedimenti che mirano a frenare la domanda globale attraverso controlli diretti, quali forme diverse di copagamento da parte dei cittadini, suddivisione dei farmaci in categorie con diverse percentuali di rimborso o, in alcuni casi, prezzi di riferimento che fissano il massimo rimborso per prodotti con lo stesso valore terapeutico. Inoltre, sono stati realizzati interventi che hanno tentato di modificare il comportamento dei medici generici (da cui dipende la maggior parte della domanda di farmaci), introducendo incentivi che li spingano a prescrivere i preparati generici più a buon mercato (ciò è avvenuto nei paesi scandinavi e nei Paesi Bassi), oppure imponendo un budget limitato per le prescrizioni farmaceutiche e addossando il costo dell'eventuale eccedenza ai medici inadempienti, come per esempio in Germania.
L'introduzione di forme di copagamento nell'acquisto dei farmaci ha rappresentato uno degli aspetti della strategia, comune a molte riforme, di trasferire parte della spesa sanitaria direttamente sui cittadini. La tendenza più recente è però quella di ridurre il numero e il tipo di servizi inclusi nel 'pacchetto' minimo garantito e cui tutti i membri della società hanno accesso. Le risorse limitate obbligano a simili scelte, ma la decisione riguardo a quali cure includere e quali escludere risulta molto difficile per questioni di equità e di etica e per la natura stessa del bene che si intende razionare.
Il primo e clamoroso esempio di riforma di questo genere è stato offerto dallo Stato dell'Oregon negli USA, in cui tutte le prestazioni sono state elencate in ordine di priorità e solo quelle situate nella parte più alta della lista vengono garantite dal programma pubblico del Medicaid, secondo le risorse disponibili. Nei Paesi Bassi invece si è tentato di stabilire un pacchetto minimo di prestazioni sulla base dei quattro criteri di necessità, efficacia, efficienza e responsabilità individuale. I risultati non sono però stati incoraggianti perché la pratica ha dimostrato che non è facile escludere dal programma di assistenza né interi settori, né singole prestazioni. La tendenza in atto alla riduzione dei servizi sanitari pubblici ha comunque favorito lo sviluppo di assicurazioni private integrative che coprono le prestazioni non garantite.
Le politiche sanitarie europee si sono comunque servite in misura crescente di interventi di tipo microeconomico prestando una maggiore attenzione all'aumento dell'efficienza, alla libertà di scelta dei pazienti e alla risposta dei rispettivi sistemi sanitari ai bisogni dei cittadini, oltre che a un maggiore equilibrio tra assistenza primaria, secondaria e terziaria. La maggiore novità e l'elemento distintivo delle riforme adottate nel settore sanitario degli ultimi anni sono stati rappresentati dalla diffusa convinzione che lo strumento chiave per un miglioramento dell'efficienza sia costituito dall'introduzione di incentivi, tipici del meccanismo di mercato, nell'ambito di una cornice generale fatta di regolamentazioni pubbliche. Si è quindi passati da un modello integrato pubblico a un modello 'contrattuale' pubblico, nel quale è operante una netta separazione tra finanziatori e produttori di servizi sanitari, e i rapporti tra i due soggetti vengono regolati da contratti. I fornitori (sia pubblici che privati) devono quindi competere tra di loro per guadagnarsi le preferenze dei pazienti, mentre, al contempo, la concorrenza risulta 'amministrata', nel senso che un mercato così particolare come quello della salute non può fare a meno dell'intervento pubblico per il controllo di eventuali distorsioni. Poiché la concorrenza tra i vari produttori di assistenza sanitaria si basa prevalentemente sulla rispettiva efficienza e qualità, un aspetto collaterale all'introduzione dei meccanismi di mercato è stato la concessione di una più ampia autonomia giuridica e amministrativa ai principali fornitori di servizi, ovvero gli ospedali, che devono essere gestiti con criteri privatistici e manageriali, cercando di minimizzare i costi ed effettuare guadagni in termini di efficienza.
Il maggiore esempio di questo tipo di riforme è rappresentato dal National Health Service del Regno Unito, nel cui ambito è stato creato un 'mercato interno', in cui le District Health Authorities (finanziate dal governo centrale), che prima producevano direttamente i vari servizi sanitari, adesso li possono acquistare sia l'una dall'altra, sia dai Trusts Hospitals (i nuovi ospedali pubblici autogestiti ai quali è data anche la possibilità di realizzare dei profitti, non superiori però al 6%), sia dal settore privato, in base alla convenienza in termini di qualità e costo.
Un'altra strategia comune alla maggior parte delle riforme è data dallo sforzo per migliorare la qualità e l'efficienza amministrativa nella produzione dell'assistenza sanitaria. Gli strumenti più utilizzati a tale scopo sono stati l'aumento delle procedure di revisione interna e di valutazione dei risultati raggiunti con lo sviluppo di indicatori appropriati, l'adozione su scala sempre più ampia del metodo e delle tecniche dell'approccio della qualità totale, un'espansione dei sistemi di informazione istituzionale per fornire nuovi tipi di conoscenze ai medici e agli amministratori, come nel caso dell'istituzione del Resource Management Initiative nel Regno Unito.
Nel complesso, le riforme adottate nei vari paesi, soprattutto europei, possono essere considerate come cambiamenti relativamente piccoli di parti dei singoli sistemi già esistenti, e focalizzate su miglioramenti di tipo organizzativo. La ragione principale risiede nel fatto che riforme strutturali dell'intero sistema sono molto complesse e le decisioni operative richiedono troppo tempo per essere portate a termine durante la vita politica di un solo governo.
La situazione italiana
Nonostante lo stato di salute della popolazione italiana risultasse uno dei migliori del mondo (a fronte dei pochi dati statistici disponibili, riguardanti, per es.: mortalità evitabile con prevenzione primaria, con diagnosi precoce, con igiene e assistenza; mortalità cardiovascolare; tasso di sopravvivenza per neoplasie allo stomaco, al colon, ai polmoni, alla mammella; ecc.), all'inizio degli anni Novanta si poteva registrare una marcata insoddisfazione dei cittadini per il Servizio sanitario nazionale (SSN). A questo si aggiungeva il fatto che l'onere sanitario in percentuale del PIL era salito sino al 6% e che, in previsione di un rapido invecchiamento demografico, sembrava destinato ad aumentare ulteriormente. Seguendo la tendenza europea a conciliare nel campo dell'assistenza sanitaria efficienza ed equità, dunque, il SSN è stato oggetto di una profonda riforma, delineata nei suoi elementi essenziali nei dd. legisl. 30 dic. 1992 nr. 502 e 7 dic. 1993 nr. 517, nei quali si trova una conferma dei principi di fondo introdotti dalla l. 23 dic. 1978 nr. 833 e posti in essere all'atto dell'istituzione del SSN. Da ricordare fra essi l'universalità come conseguenza del principio costituzionale del diritto alla salute per tutti i cittadini, la prevenzione come approccio alla realizzazione degli obiettivi di salvaguardia della salute, la programmazione come metodo gestionale. La riforma ha innovato il sistema introducendo elementi istituzionali e gestionali che, nella continuità dei principi posti dalla legge di istituzione del SSN, ne hanno modificato radicalmente la cultura gestionale.
Fra gli elementi di maggiore impatto da un punto di vista giuridico si devono sottolineare: l'aziendalizzazione delle Unità sanitarie locali (ora Aziende sanitarie locali, ASL); l'estrapolazione da esse dei presidi ospedalieri più complessi che divengono aziende ospedaliere autonome; l'introduzione del principio della libera scelta del cittadino nei confronti della struttura assistenziale erogatrice cui rivolgersi, e quindi l'abolizione del cosiddetto convenzionamento delle strutture private, sostituito dal modello dell'accreditamento; l'introduzione di un metodo di pagamento delle aziende ospedaliere a prestazione resa; il trasferimento della responsabilità di programmazione alle Regioni, mantenendo lo Stato centrale i poteri di indirizzo e di controllo; la modifica degli organi istituzionali delle ASL, dirette ora da una terna tecnica costituita da un direttore generale affiancato da un direttore sanitario e un direttore amministrativo; l'introduzione dell'obbligo per le aziende pubbliche di adottare strumenti gestionali quali la contabilità analitica, e l'abbandono della contabilità finanziaria in favore di quella economico-patrimoniale; una maggiore attenzione verso il controllo e la misurazione della qualità, da realizzarsi sia in corso d'opera con l'utilizzo di metodi quali la verifica e revisione della qualità (VRQ), sia a posteriori con indicatori di efficacia. La riforma ha inoltre radicalmente trasformato il metodo di finanziamento del SSN, con progressiva modificazione della base imponibile in favore dell'utilizzo di imposte sulle attività produttive e sui consumi; contemporaneamente si è convenuta una responsabilizzazione delle Regioni per la copertura del fabbisogno, realizzando di fatto un federalismo sanitario. Sul versante delle compatibilità macroeconomiche, infine, in presenza di un deficit troppo elevato, secondo i criteri di convergenza europei, non era altresì possibile agire sul versante del prelievo, per effetto di una pressione fiscale già oltre la media degli altri paesi dell'Unione Europea. La riforma è quindi nata in un contesto di crisi finanziaria del sistema, che ha reso necessario agire sui livelli di compartecipazione dei cittadini alla spesa, in particolare a quella farmaceutica.
Trasferendo parte dell'onere sanitario dal settore pubblico a quello delle famiglie, si è riportato l'onere sanitario sul PIL alle percentuali degli anni Ottanta, di poco inferiori al 5,5%. Si è inoltre definito un livello uniforme ed essenziale di assistenza che rappresenta di fatto l'onere che lo Stato ritiene macroeconomicamente compatibile.
Il principio della libertà di scelta del cittadino nei confronti della struttura erogatrice assume, in questo contesto, un ruolo fondamentale. Innesta infatti un meccanismo pro-concorrenziale all'interno del sistema, finalizzato al recupero di efficienza tecnica. Quest'ultima implica una migliore allocazione delle risorse limitate destinate alla s., definite a priori nel loro ammontare dai citati livelli uniformi ed essenziali di assistenza. Sempre nell'ottica di sviluppare una concorrenza interna sullo stile di quella della riforma inglese, pure se con importanti differenze in merito al meccanismo di contrattazione, si è inserito il principio dell'accreditamento, che rappresenta, per le strutture sia pubbliche che private dotate dei requisiti necessari, un diritto e non più un'opportunità come nel regime convenzionale.
L'aziendalizzazione ha rappresentato, dunque, un atto dovuto per permettere alle aziende sanitarie pubbliche di competere con quelle private. Secondo una diffusa dottrina, anche l'introduzione di strumenti di controllo di gestione è condizione necessaria per il perseguimento dell'efficienza e dell'efficacia da parte di aziende complesse. Il disegno generale è stato completato sia da un sistema tariffario che permette, nello stesso tempo, la compensazione della mobilità dei pazienti e l'incentivazione della riduzione dei costi assistenziali, sia da meccanismi finalizzati al controllo della qualità e al perseguimento di una maggiore trasparenza del mercato. Controllo della qualità e trasparenza risultano infatti necessari in un contesto caratterizzato da forti asimmetrie informative a scapito del paziente: si cita per esempio l'introduzione in tutte le aziende ospedaliere di una 'Carta dei servizi' sul modello di quelle anglosassoni.
I primi risultati della riforma in Italia sono parzialmente analoghi a quelli delle altre nazioni europee. Si è notata, però, una tendenza al superamento dei budget previsti, per effetto di un aumento dei tassi di ospedalizzazione non completamente compensato dalla riduzione della degenza media. Tale tendenza può almeno parzialmente attribuirsi alla necessità di un adeguamento strutturale dell'offerta sanitaria italiana, notoriamente in eccesso per quanto concerne la risposta assistenziale ospedaliera alle patologie acute e, di contro, in difetto per quanto riguarda i bisogni assistenziali a media e bassa intensità, primi fra tutti la riabilitazione e le lungodegenze. È apparsa inoltre nodale la necessità di una maggiore integrazione fra struttura territoriale (distretti, medicina di base) e livello specialistico (ospedaliero e ambulatoriale), come anche quella fra offerta strettamente sanitaria e offerta assistenziale socio-sanitaria.
A queste ultime evidenze hanno tentato di porre rimedio nuove modifiche introdotte dal d. legisl. 19 giugno 1999 nr. 229, fra le cui principali innovazioni si possono citare: la delimitazione dello spazio di intervento statale alle prestazioni sanitarie essenziali e appropriate, individuate contestualmente alle risorse economiche destinabili al comparto, con indicazione di spazi riservati alla sanità integrativa del SSN gestiti da fondi collettivi pubblici e privati, profit e non profit; la costituzione delle ASL con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale, e la disciplina dell'organizzazione e del funzionamento loro inerenti con atto aziendale di diritto privato; la modificazione del sistema di finanziamento delle prestazioni, regolato da accordi contrattuali fondati sull'individuazione dei volumi di attività da erogare a carico di ogni struttura; la previsione del rafforzamento dei distretti e dell'integrazione socio-sanitaria, con un coinvolgimento dei Comuni nel controllo dei risultati del SSN; la modificazione del contratto di lavoro del personale, in particolar modo quello dei dirigenti medici, per i quali è prevista l'esclusività di rapporto col SSN.
bibliografia
Governare la spesa sanitaria, un confronto internazionale, a cura di C. Hanau, G. Muraro, Milano 1987.
G. Virgilio, B. Curcio Rubertini, D. Aumiller Vandac, I prezzi di trasferimento dei Servizi intermedi ospedalieri, Bologna 1990.
F. Taroni, B. Curcio Rubertini, I Diagnosis Related Groups (DRGs) per la valutazione dell'attività ospedaliera, Bologna 1991.
Quasi market and social policy, a cura di J. Le Grand, W. Bartlett, London 1993.
Camera dei Deputati, Ufficio per la documentazione bibliografica e legislativa, Documentazioni e ricerche, Sistemi sanitari a confronto, Roma 1994.
ISR, CNR, Concorrenza e servizi sanitari, a cura di G. France, Roma 1994.
OECD, The reform of health care systems. A review of seventeen OECD countries, Paris 1994.
R.E. Saltman, C. von Otter, Implementing planned markets in health care, Buckingham 1995.
World Bank, An international assessment of health care financing, ed. D.W. Dunlop, J.M. Martins, Washington 1995.
Contributi per una gestione manageriale della sanità, a cura di S. Spinsanti, Roma 1996.
Ministero della Sanità, Servizio studi e Documentazione, Relazione sullo stato sanitario del paese, Roma 1996.
Ministero del Tesoro, Tendenze demografiche e spesa sanitaria: alcuni possibili scenari, Quaderno monografico n. 7 di Conti pubblici e congiuntura economica, Roma 1996.
OMS, European health care reform: analysis of current strategies, ed. R.B. Saltman, J. Figueiras, Copenaghen 1996.
Department of health, The white paper. The new NHS modern dependable, London 1997.
Rapporto sanità '97, a cura di M. Trabucchi, Bologna 1997; Y.W. van Kemenade, Health care in Europe 1997, Maarssen 1997.