Sanma no aji
(Giappone 1962, Il gusto del sakè, colore, 115m); regia: Ozu Yasujirō; produzione: Shōchiku; sceneggiatura: Noda Kūgo, Ozu Yasujirō; fotografia: Astuta Yōharu; montaggio: Hamamura Yoshiyasu; scenografia: Hamada Tatsuo; musica: Saitō Kūjun.
Hirayama Shōhei, un dirigente d'azienda vicino alla pensione e vedovo da alcuni anni, vive insieme alla figlia Michiko, in età da marito, e al figlio più giovane Kazuo. Il primogenito, Kōichi, si è invece sposato con Akiko, con cui abita poco lontano dalla casa paterna. Shōhei si vede spesso con gli amici Horie e Kawai, coi quali, una volta, organizza un incontro con un loro ex professore, Sakuma, detto il 'Tasso'. L'uomo, ormai anziano, gestisce insieme alla figlia Tomoko, che non si è sposata per continuare ad accudire il genitore, una modesta tavola calda. Resosi conto che Michiko corre il rischio di fare la stessa fine di Tomoko, Shōhei cerca di spingerla a sposarsi. La ragazza è innamorata di Miura, un amico del fratello Kōichi, ma questi è già fidanzato con un'altra giovane. Michiko finisce così con l'accettare un matrimonio combinato con un giovane presentatole dall'amico del padre Kawai. Dopo la cerimonia nuziale, Shōhei rientra mestamente a casa.
Sanma no aji (letteralmente 'Il gusto della costardella', un pesce che in Giappone si è soliti mangiare alla fine dell'estate) è l'ultimo film di Ozu Yasujirō e riprende un soggetto, quello relativo a un genitore che spinge il proprio figlio o figlia a sposarsi anche se ciò significherà per lui la solitudine, che era già di Banshun e di Akibyori (Tardo autunno, 1960). Il film ripropone così due temi ricorrenti e spesso congiunti nel cinema del regista: quelli dell'ineluttabilità del distacco dai propri cari e della solitudine che ne consegue. Come frequentemente accade nei film di Ozu, questi temi sono generalizzati attraverso il ricorso a intrecci secondari che hanno la funzione di echeggiare quello principale, disegnandone delle possibilità in qualche modo alternative. È questo il compito che si assumono, con le loro scelte, i personaggi di Sakuma e Horie, i quali cercano illusoriamente di vincere la propria ineluttabile solitudine costruendosi una vita con due donne più giovani (in un caso la figlia, nell'altro una seconda moglie). Diversa è, invece, la sorte di Shōhei, evidenziata dalle ultime parole che questi pronuncia nel film: "Alla fine si resta soli". Il tema della solitudine è, poi, associato a quello della morte: come testimonia la battuta della barista che dinnanzi a Shōhei, il quale ancora indossa gli abiti della cerimonia nuziale, gli chiede se non abbia partecipato a un funerale.
Come accade di frequente nell'opera di Ozu, Sanma no aji è, però, anche una commedia, che ha come suo bersaglio privilegiato gli status symbol della famiglia media giapponese. È questo il senso principale delle scene che rappresentano la vita domestica dei giovani Akiko e Kōichi, dove il desiderio della moglie di comprare finalmente un nuovo frigorifero deve scontrarsi con quello del marito di entrare in possesso di un set di mazze da golf, come spetterebbe a ogni uomo d'affari che si rispetti. In modo ironico è trattato anche il tema della nostalgia, come accade in una scena nella quale vengono evocati gli anni di guerra e un ex commilitone di Shōhei intona una vecchia canzone patriottica: il tono elegiaco dell'episodio si stempera, tuttavia, nelle battute conclusive in cui si immagina che se il Giappone avesse vinto la guerra oggi gli americani si acconcerebbero i capelli come samurai, per concludere che forse è un bene che ciò non sia accaduto.
Sul piano narrativo e stilistico il film ripropone diversi elementi che caratterizzano tutta l'opera di Ozu: dal carattere digressivo dell'intreccio, che si frantuma attraverso le già citate vicende secondarie di Sakuma, Horie e Kōichi, al ruolo delle ellissi che omettono, fra il resto, l'incontro di Michiko con il suo futuro sposo e la stessa cerimonia nuziale. Sono, questi ultimi, iati che, in un cinema in cui non sono mai gli eventi in sé a contare ma ciò che essi suscitano in chi li vive, hanno il compito di focalizzare la narrazione sui sentimenti di Shōhei. Di rilievo, come sempre, anche le transizioni e gli inserti. Nella scena finale del film da un'inquadratura del padre rientrato ubriaco a casa dopo la cerimonia si passa, attraverso una serie di immagini, sino alla stanza del primo piano ‒ dove, in una scena precedente, Michiko aveva indossato il suo abito nuziale ‒ per tornare, poi, allo stesso Shōhei, adesso in lacrime: una transizione che, come già accadeva nella celebre scena del vaso di Banshun, ha il compito di coprire un'ellissi che cela il mutamento dello stato d'animo di un personaggio o, meglio, quel passaggio che divide la capacità di un uomo di tenere a freno l'espressione dei propri sentimenti dal momento in cui invece ciò non è più possibile.
Interpreti e personaggi: Iwashita Shima (Hirayama Michiko), Ryō Chishō (Hirayama Shōhei), Sata Keiji (Kōichi), Okada Mariko (Akiko), Mikami Shun'ichirō (Kazuo), Yoshida Teruo (Miura Yutaka), Maki Noriko (Taguchi Fusaku), Nakamura Nobuo (Kawai Shūzo), Miyake Kuniko (Nobuko), Tono Eijirō (professor Sakuma), Sugimura Haruko (Tomoko).
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Sceneggiatura: Noda K., Ozu Y., Sanma no aji, Tokyo 1972 (trad. fr. Le goût du sake, Paris 1986).