SANO di Pietro
SANO di Pietro. – Ansano di Pietro di Domenico di Pepo fu battezzato a Siena il 2 dicembre 1405 (Milanesi, 1850, p. 183 nota 1; Trübner, 1925, p. 91, n. 15), e pare assai verosimile che fosse nato il giorno precedente, ricorrenza dell’evangelizzatore senese Ansano, di cui gli fu assegnato il nome. Fu certamente uno dei pittori di maggiore successo della Siena del Quattrocento, pur adottando un linguaggio ancora fondamentalmente legato agli stilemi gotici, che gli permise di affermarsi soprattutto presso i committenti più nostalgici, ma gli impedì di avere una qualche fortuna tra gli scrittori d’arte del Quattro e Cinquecento. Dopo i significativi accenni di Sigismondo Tizio (1506 circa - 1528) quanto all’Incoronazione della Vergine affrescata nella Cancelleria di Biccherna, alla decorazione della Porta Romana e a una tavola con s. Girolamo ai Gesuati (con probabile riferimento alla pala compiuta nel 1444 per quest’ultimi), nei secoli successivi spettò alla letteratura artistica senese (Mancini, 1617-1621 circa; Chigi, 1625-1626; Ugurgieri Azzolini, 1659; Pecci, 1752; Della Valle, 1785; Romagnoli, ante 1835; Milanesi, 1850; e 1854-1856; Borghesi - Banchi, 1898) avviare la riscoperta della sua personalità, che in virtù del carattere devoto dei suoi innumerevoli dipinti l’avrebbe fatto apprezzare ben oltre i confini italiani tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento (Rio, 1861-1867; Gaillard, 1923; Trübner, 1925), dopo di che gli studi hanno sovente espresso giudizi piuttosto duri sulle sue capacità (come ripercorso in Freuler, 2012, e ben esemplificato in ultimo da Laclotte, 2012). Comunque sia, anche in virtù di una rara capacità di relazionarsi con i colleghi, Sano di Pietro svolse a lungo un ruolo decisivo nel mercato artistico senese, dimostrando una personale abilità nell’adattare il proprio idioma alla sperimentazione di nuovi formati di tavole d’altare e per il culto privato, oltre che alla commercializzazione della nuova iconografia bernardiniana, e dando vita a una produzione veramente sterminata, che lo rende ancora oggi uno dei più popolari quattrocentisti senesi.
Il nome di Sano di Pietro compare nel lungo elenco dei pittori senesi iscritti all’arte nel 1428, subito dopo quello di Stefano di Giovanni detto il Sassetta (Milanesi, 1854-1856, I, p. 48). Con il Sassetta egli doveva avere fatto il suo apprendistato e certamente era in relazioni di familiarità, dovendosi credere che per qualche tempo sia stato assistente nella sua bottega. Nel dicembre del 1427 Stefano aveva delineato su una parete del battistero di Siena un grande disegno del progetto dato da Jacopo della Quercia per la pila che, di lì a poco, avrebbe completato il fonte battesimale. E non sembra casuale che proprio Sano, nel 1429, si occupasse delle lumeggiature a oro e azzurro di quel monumento, che in scultura vedeva confrontarsi Lorenzo Ghiberti, Jacopo e Donatello (Bacci, 1929; Butzek, 2006, p. 129). A questi anni risale inoltre una deliziosa Crocifissione miniata a c. 92v del Messale romano G.V.7 della Biblioteca comunale degli Intronati di Siena, di norma assestata nel catalogo sassettesco, ma che in ultimo è stata proposta come una primizia del giovane Sano, all’ombra del suo maestro (De Marchi, 2012, pp. 52, 69 s.). A confermare l’assiduità tra costoro, nel 1432 – anno in cui il nostro pare sposasse una certa Antonia, con la quale dovette risiedere nella Compagnia di S. Donato, di cui era stato capitano nel 1431 (Romagnoli, ante 1835, 1976, p. 277) – Sano fu chiamato dal Sassetta a fare il perito di parte per la stima della pala della Madonna della Neve dipinta da Stefano per il duomo di Siena, e oggi agli Uffizi (Laurent, 1935; Israëls, 2003).
Tali vicende rappresentano la migliore premessa documentaria per il riconoscimento a Sano del corpus del cosiddetto Maestro dell’Osservanza: una personalità artistica creata da Alberto Graziani (1948; al seguito di Longhi, 1940, e approvato da Carli, 1957), con il fine di distinguere dal catalogo sassettesco una serie di opere da assegnare alla mano di un suo felicissimo allievo, che di lì a poco Cesare Brandi (1949) propose di individuare nel giovane Sano; a valle dell’accesa e prolungata disputa storiografica successiva (che ha visto vani tentativi di svelare l’anonimo in Francesco di Bartolomeo Alfei – Alessi - Scapecchi, 1985 – o in quel Ludovico di Luca che i documenti rivelano come poco più che un ornatista: Israëls, 2012, con bibliografia), Maria Falcone (2010) ha infine fornito le prove documentarie di tale identificazione (rilanciata ancor prima con forza nel convegno su Sano del 2005 da Bellosi e De Marchi, 2012, e poi nella mostra Da Jacopo della Quercia a Donatello, 2010, ma che continua a trovare avversari: Laclotte, 2012; Bagnoli, 2015).
Le opere tradizionalmente assegnate al Maestro dell’Osservanza raccontano oltre un decennio di attività di Sano, a partire dalla Compianto con Peter Volckamer e s. Sibaldo (Siena, Banca Monte dei Paschi), dipinto sul finire del 1432 o poco dopo per la cattedrale di Siena, quale memoria sepolcrale del medesimo Volckamer: un tedesco di Norimberga giunto in città con l’imperatore Sigismondo del Lussemburgo e morto il 5 settembre 1432 (A. De Marchi, in Da Jacopo della Quercia…, 2010, pp. 258 s., n. C.31). In quegli anni Sano dovette eseguire anche una serie di miniature divise tra il Fitzwilliam Museum di Cambridge, il Getty Museum di Los Angeles, la Lehman Collection del Metropolitan Museum di New York e una collezione austriaca, provenienti da un codice verosimilmente appartenuto a una comunità femminile agostiniana (forse S. Marta a Siena; G. Freuler, in Da Jacopo della Quercia…, 2010, pp. 260-262, n. C.32). Reca la data 1436 e il nome del committente Manno di Orlando la pala con la Madonna col Bambino e i ss. Ambrogio e Girolamo che oggi si trova nella chiesa dell’Osservanza, ma in origine stava nella perduta chiesa di S. Maurizio a Siena (Alessi - Scapecchi, 1985, pp. 15-18), evidentemente entro una nicchia, dato il curioso formato di trittico integrato entro una tavola centinata. Si tratta del namepiece del Maestro dell’Osservanza, di cui è nota pure la predella, dove Sano raffigurò S. Ambrogio che scaccia gli ariani dal tempio, la Crocifissione, S. Girolamo nel deserto n. 216 della Pinacoteca Nazionale di Siena (M. Israëls, in Da Jacopo della Quercia…, 2010, pp. 263-266, n. C.33). Qui si trovano pure il grazioso gradino di s. Bartolomeo n. 218 e il trittichino n. 177: opere prossime alla pala del 1436, così come l’altro trittichino della Collezione Chigi Saracini (mentre potrebbero essere più antichi gli altaroli dei musei di Pienza e dell’Aja; A. De Marchi, in Da Jacopo della Quercia…, 2010, pp. 372 s., n. E.6).
Il 26 dicembre 1439 il Concistoro del Comune di Siena scrisse al vescovo di Arezzo affinché ordinasse al pievano di Asciano, Matteo di Giovanni, di saldare Sano «pro pictura tabule capelle edite in Plebe Asciani per dictum plebanum» (Falcone, 2010). Il riferimento è a una pala destinata all’altare del transetto destro della pieve di S. Agata (Israëls, 2005), di cui rimangono la Natività della Vergine del Museo di Palazzo Corboli di Asciano, scomparto centrale intriso di reminescenze trecentesche, e il Congedo della Vergine dagli Apostoli di Villa I Tatti, proveniente da una cuspide laterale (Brüggen Israëls, 2015a, pp. 550-554, n. 91). Incluso da Graziani nel corpus del Maestro dell’Osservanza, il complesso ascianese si distingue tra le opere di maggiore levatura del pittore, che nel medesimo 1439 tornava a ricoprire l’incarico di capitano della Compagnia di S. Donato, faceva da testimone al testamento dello speziale Matteo da Campriano e dipingeva una S. Caterina nel palazzo pubblico di Siena (Romagnoli, ante 1835, 1976, pp. 278 s., 281), difficile da identificare tra le due immagini della santa assai rimaneggiate che si conservano nell’edificio (Borghini, 1983, pp. 162 s., 160, figg. 181 e 183; personalmente propendo per quella della Cancelleria di Biccherna).
Si dice spesso – seguendo Milanesi, 1854-1856, II, pp. 388 s. – che nel 1439 Sano avrebbe aiutato il Vecchietta a racconciare la policromia di una perduta Annunciazione del duomo di Siena, ma in realtà l’assistente di Lorenzo di Pietro fu Adamo di Colino (Butzek, 2006, pp. 136 s., n. 1170; Fattorini, 2017a); per l’Opera, Sano eseguì invece nel 1440 «due drapeloni viticati d’oro fine co’ l’arme del papa [Eugenio IV] e l’altra quela del Popolo pel padiglione nuovamente fatto» (Milanesi, 1854-1856, II, p. 389). Intorno a quest’anno – che pure vide Sano agire come procuratore del padre in una lite con il conciatore di pelli Jacopo Giusti (Falcone, 2010, p. 31, doc. 5) – si data la smembrata pala di S. Antonio Abate, forse proveniente dall’altare Martinozzi in S. Agostino a Siena (Butzek, 1985) e da ricostruire come una vita-icon dominata da un’immagine del santo, di cui resta un grande frammento al Louvre, affiancata da una serie di episodi agiografici divisi tra la Gemäldegalerie di Berlino, la Yale University Art Gallery di New Haven, il Metropolitan Museum di New York e la National Gallery of Art di Washington (A. De Marchi, in Da Jacopo della Quercia…, 2010, pp. 267-271, n. C.34). A fare da cerniera tra il corpus del Maestro dell’Osservanza e la più tipica facies di Sano, si devono collocare verso il 1440 – anno più anno meno – la Madonna col Bambino e angeli del Lindenau-Museum di Altenburg (W. Loseries, in Maestri senesi e toscani, 2008, pp. 138-140, n. 24), l’altarolo con l’Adorazione dei pastori e santi n. 1961.1.6 K 1434 del Museum of Art di El Paso (Shapley, 1966, K1434), una Madonna col Bambino di Villa I Tatti (Brüggen Israëls, 2015a, pp. 555 s., n. 92), il delizioso trittichino con la Natività della Vergine della National Gallery di Londra e un’Assunzione della Vergine di collezione privata (A. De Marchi, in Da Jacopo della Quercia…, 2010, pp. 154 s., 158 s., nn. B.4, B.6), ispirati rispettivamente alla Natività della Vergine di Pietro Lorenzetti del 1342 e alla perduta Assunta di Camollia di Simone Martini (modello che riecheggia anche in opere successive: Fattorini, 2014b) e una serie di tavole che si è ipotizzato dovessero comporre il Polittico della Passione. Così battezzato per i principali soggetti delle cinque scene del gradino (divise tra la Pinacoteca Vaticana, la Johnson Collection di Philadelphia, il Museo di arte orientale e occidentale di Kiev, il Detroit Institute of arts e il Fogg Art Museum), questo è immaginato come un monumentale pentittico con la Madonna col Bambino della Lehman Collection del Metropolitan Museum al centro, quattro santi ai lati (restano i frammenti di un S. Giovanni Battista ex Perkins e della S. Lucia della Fondazione Monte dei Paschi di Siena), e un grandioso coronamento di cui avrebbero fatto parte il S. Francesco della Pinacoteca Nazionale di Siena e un S. Ansano di collezione privata torinese (A. De Marchi, in Da Jacopo della Quercia…, 2010, pp. 272-275, n. C.35, e, discordando sul coronamento, Bagnoli, 2015).
Avvicinandosi verso il 1444, Sano dipinse la tavola con S. Giorgio e il drago del Museo diocesano di Siena, che, insieme con un gradino da cui provengono due Storie di s. Giorgio della Pinacoteca Vaticana, andò a occupare un altare fondato nel 1440 da Giorgio Tolomei nella chiesa di S. Cristoforo (Loseries, 1987). Era una pala dal formato quadrato e piuttosto singolare, che si è proposto di completare sulla sommità con il Cristo dalla tunica rosa della Collezione Cini di Venezia (A. De Marchi, in Da Jacopo della Quercia…, 2010, pp. 276 s., n. C.36; e 2015). Intorno a questo tempo devono risalire pure i Ss. Girolamo e Antonio abate del museo di Grosseto (che si è cercato di dividere tra il Maestro dell’Osservanza e Sano: Alessi, 1996a).
Il 28 giugno 1443 Sano ebbe un pagamento dal Comune per un piccolo intervento di restauro alle Storie di Alessandro III affrescate in palazzo pubblico da Spinello Aretino, che si può riconoscere nella figura distesa dell’imperatore nella scena in cui Federico Barbarossa si sottomette al papa (Romagnoli, ante 1835, 1976, pp. 281 s.; Alessi, 1986; Weppelmann, 2011). Nel 1444 Sano firmò e datò la pala dei gesuati per la chiesa di S. Girolamo, oggi nella Pinacoteca nazionale: lo spettacolare e coloratissimo polittico – voluto e finanziato fin dal 1439 dalla Compagnia della Vergine (Freuler, 1994, pp. 90, 96, n. 12) – mostra al centro il beato Giovanni Colombini, fondatore dei gesuati, inginocchiato di fronte alla Vergine con il Figlio, mentre ai lati sono i Ss. Girolamo, Agostino, Domenico e Francesco. Completato da una predella con Storie di s. Girolamofinita al Louvre, il polittico rappresenta un momento cardine della carriera di Sano: è un lavoro di grande qualità, in cui si possono osservare elementi di continuità con la fase del Maestro dell’Osservanza (il S. Girolamo è uno stretto fratello del citato S. Antonio Abate del Louvre) e per la prima volta – quanto alle opere giunte fino a noi – compare la firma (A.M. Guiducci, in Da Jacopo della Quercia…, 2010, pp. 278 s., n. C.37; e 2011). A quasi quarant’anni Sano rivela finalmente consapevolezza di sé, e una volontà di emanciparsi dalla vicinanza al Sassetta, al cui stile sarebbe rimasto comunque legato per tutta la vita.
Da questo momento l’attività del pittore risulta assai più documentata, e gli impegni per commissioni pubbliche e private si infittiscono notevolmente (comprendendo pure una serie di miniature eseguite nel 1446 per un nuovo salterio del duomo, insieme con il suo garzone Giovanni d’Andrea e con Sano d’Andrea di Bartolo: Milanesi, 1850, pp. 183 s., 348 s., n. XXII). Per il palazzo pubblico Sano affrescò nel giro di pochi anni la grande Incoronazione della Vergine per la Cancelleria di Biccherna firmata e datata 1445 (che era stata iniziata da Domenico di Bartolo, andando a coprire un precedente dipinto trecentesco di Lippo di Vanni; Borghini, 1983, pp. 162 s.), il vicino S. Pietro Alessandrino tra i beati Andrea Gallerani e Ambrogio Sansedoni voluto dagli esecutori di Biccherna del secondo semestre del 1446 per rendere evidentemente omaggio al santo orientale che allora era il patrono del governo (Martini, 1983; Fattorini, 2017b), e un paio di immagini di S. Bernardino dipinte nel 1450 rispettivamente nella sala del Mappamondo e nella Cancelleria di Biccherna per celebrare l’avvenuta canonizzazione del francescano (Borghini, 1983, pp. 162 s., 270). Quest’ultime commissioni confermano che Sano era divenuto il vero e proprio punto di riferimento per immagini del genere, richiestissime a Siena fin dalla morte dell’Albizzeschi nel 1444, e accomunate dal modello iconografico di un ritratto dai caratteri realistici e dall’aura mistica, che dovette essere elaborato dal Sassetta e divulgato dal nostro pittore (Israëls, 2007); non sorprende, dunque, che Sano fosse chiamato dalla Compagnia di S. Bernardino a «fare la tavola di detto santo» fin dal 1445, e poi, dal 1447 e insieme con Giovanni di Paolo, la «tavola dell’altare», saldatagli nel 1454 (Milanesi, 1854-1856, II, p. 389).
Il 13 settembre 1448 Sano risultava creditore di fronte alla Compagnia della Vergine di Siena – di cui era membro fin dal 1441 – di cinquanta fiorini per avere eseguito quattro dipinti (Mallory - Freuler, 1991; Freuler, 1994): il S. Bernardino (commissionato fin dal 1445) e le due tavole con le sue Prediche in Piazza del Campo e in Piazza S. Francesco (celeberrime come rare testimonianze di questi due spazi urbani) oggi nel Museo dell’Opera del duomo (ma in origine nel perduto oratorio della Carità; A. De Marchi, in Da Jacopo della Quercia…, 2010, pp. 280-283, n. C.38, con bibliografia), e un secondo S. Bernardino che fu donato a Giovanni da Capestrano, e dal suo convento abruzzese è passato nel Museo dell’Aquila. Con grande senso imprenditoriale, riuscì a farsi specialista di tali oggetti di devozione, come attesta il buon numero di immagini bernardiniane compiute in tempi diversi non solo per Siena e per il suo territorio (ne ricordo un paio per Montalcino: Freuler, 1994, pp. 89 s.; Bagnoli, 1998), ma anche per committenze al di fuori dei confini senesi (Fattorini, 2014b, con riferimento pure a tavole conservate ad Acquapendente, Tuscania, Civita Castellana, Viterbo e Tivoli; nonché Caglioti, 2008, per un’immagine firmata e datata 1465 che si trovava nel convento di Bosco ai Frati, in Mugello).
Sull’onda di un culto che fu immediato, non sorprende che Bernardino fosse effigiato, ancor prima della canonizzazione, nelle parti marginali di alcune delle pale d’altare che Sano eseguì nella seconda metà degli anni Quaranta per la città e il contado, e si conservano, per intero o in parte, nella Pinacoteca nazionale di Siena (dove è raccolto un corposo nucleo di opere del pittore: Torriti, 1990): il polittico per la perduta chiesa senese di S. Giovanni Battista all’Abbadia Nuova databile verso il 1445-47 e contraddistinto da echi trecenteschi (Fattorini, 2007, nonché, per la predella smembrata tra varie collezioni: Loseries - Sallay, 2007; Sallay, 2015, pp. 96-102, n. 4); la pala firmata e datata 1447 per l’altare di Nicola di Corbino in S. Maurizio, nella forma di un trittico integrato in una tavola centinata come la citata pala dell’Osservanza dalla stessa chiesa (Alessi - Scapecchi, 1985, p. 16; Fattorini, 2008); lo scomparto centrale del trittico per S. Francesco a San Gimignano, che un tempo recava il nome del committente ser Angelo di ser Bartolomeo Ridolfi e la data 1448 (Loseries, 1993), i laterali del quale sono finiti nel museo del santuario panellenico della Vergine Annunciata dell’isola di Tinos in Grecia (Economopoulos, 2015); il polittico per S. Biagio a Scrofiano firmato e datato 1449, che era costruito su di un ennesimo tavolato centinato (Paardekooper, 2012, pp. 144-147). A questi si può aggiungere la pala dipinta verso il 1450 per l’altare dei Ss. Giacomo e Cristoforo nella chiesa senese di S. Cristoforo, e della quale rimane solo il S. Cristoforo nel Museo diocesano (Loseries, 1987), e soprattutto – senza dimenticare che Sano nel 1450 dipingeva d’azzurro la ristrutturata cappella della Madonna delle Grazie in duomo (Borghesi - Banchi, 1898, p. 159; Butzek, 2005) e nel 1451 la tavoletta per l’ufficio di Biccherna ora n. 29 dell’Archivio di Stato di Siena (Le Biccherne, 1984) – l’intervento tra il 1448 e il 1452 al riallestimento di una vecchia pala di Simone Martini nella nuova cappella dei Signori in palazzo pubblico, per la quale dipinse la predella con cinque Storie mariane (divise tra la Pinacoteca Vaticana, il Lindenau-Museum di Altenburg e l’University of Michigan Museum of art di Ann Arbor), replicando in quattro di queste gli episodi affrescati oltre un secolo prima da Simone e dai Lorenzetti sulla facciata del S. Maria della Scala e oggi non più esistenti (Christiansen, 1994; A. De Marchi, in Da Jacopo della Quercia…, 2010, pp. 170-173, n. B.10, con bibliografia).
Siamo di fronte a una produzione veramente impressionante per quantità, che giustifica la minore tenuta qualitativa di alcuni di questi complessi (la pala del 1447 per S. Maurizio e ancor più il polittico per il periferico castello di Scrofiano), certo anche attraverso la collaborazione di assistenti (per la proposta di individuare diversi nuclei stilistici: Bagnoli, 2015): nella denuncia alla Lira del 1453, Sano avrebbe dichiarato non solo di avere moglie e tre figli piccoli di tre mesi e di due e quattro anni, ma anche una fanciulla che l’aiutava in casa e un garzone cui insegnava l’arte (probabilmente diverso dal Giovanni d’Andrea che l’aveva aiutato nelle miniature per il duomo del 1446); egli abitava nella Compagnia di S. Donato ai Montanini (dove avrebbe risieduto per tutta la vita), ma aveva anche una casa da ristrutturare in Salicotto e una vigna presso San Giorgio a Papaiano (Milanesi, 1854-1856, II, pp. 278 s.).
Gli affari andavano bene e il lavoro non mancava, anche perché nel 1450 era morto il Sassetta, e Sano ereditò prontamente il suo ruolo nel mercato artistico senese e certe sue commissioni, come la pala Guglielmi per S. Pietro in Castelvecchio, avviata dall’uno e finita dall’altro (M. Israëls, in Da Jacopo della Quercia…, 2010, pp. 256 s., n. C.30; e 2010). Nel 1452 fu inoltre chiamato a stimare, insieme con il Vecchietta, quanto il Sassetta era riuscito a fare nel grande affresco con l’Incoronazione della Vergine per la Porta Romana (oggi in S. Francesco), che lo stesso Sano avrebbe poi terminato tra il 1459 e il 1466/68 (Israëls, 1998); fu una delle sue imprese più illustri, e la punta delle commissioni provenienti continuamente dal Comune e dai suoi uffici: dalla tavola dipinta nel 1456 per l’ufficio di Biccherna con Callisto III che protegge Siena (ora nella Pinacoteca nazionale; Paardekooper, 2012, pp. 143 s.) ad alcuni lavori per palazzo pubblico nel 1457 (tra cui la pittura di una lupa e la tavoletta di Biccherna ora in Archivio di Stato; rispettivamente: Romagnoli, ante 1835, 1976, pp. 291 s.; Le Biccherne, 1984; E. Carrara, in Da Jacopo della Quercia…, 2010, pp. 566 s., n. G.23) e nel 1459 (un quadro con un’immagine dell’Annunciata per la sala da pranzo della Signoria; Milanesi, 1854-1856, II, p. 389; Morandi, 1983), fino alle tavolette di Gabella del 1471 e 1473 e a una copertina del Concistoro, tutte conservate in Archivio di Stato (Le Biccherne, 1984).
Tra il sesto e il settimo decennio del secolo gli impegni furono numerosissimi, e si può provare a ordinarli secondo le differenti destinazioni, iniziando con il ricordare che, a ridosso della canonizzazione di s. Bernardino, e forse dietro sua ispirazione (Strehlke, 2004), Sano mise a punto un paio di tipi di tavolette mariane che ebbero un successo strepitoso, come attestano le decine di esemplari dispersi nelle collezioni pubbliche e private di tutto il mondo. Un modello altro non era che una personale versione della Glykophilousa bizantina: si vedano per esempio le Madonne dell’oratorio di S. Bernardino a Siena, del Museo civico di Montepulciano, del Metropolitan Museum di New York nn. 1975.1.39 e 1975.1.51, della Collezione Salini (Christiansen, 2009, n. 38) e del convento francescano di Alesani, in Corsica, dove dovette giungere in antico (Nieddu, 2008); quest’ultima attesta quanto simili opere fossero apprezzate pure molto lontano da Siena, insieme con la notizia che la Compagnia della Vergine acquistò nel 1457 da Sano una «tavoletta con l’imagine della Vergine» per donarla al vescovo di Rieti Angelo Capranica (Freuler, 2002, p. 432). L’altro prototipo prevedeva invece che la Vergine con il Figlio a mezza figura, sovente del tipo della precedente, fosse scortata da alcuni angeli e da un paio di santi, che potevano anche raddoppiare, e nella stragrande maggioranza dei casi contemplavano la presenza di Girolamo (talvolta in veste di gesuato) e Bernardino (ricordo per tutte le Madonne della Collezione Chigi Saracini, del Lindenau-Museum di Altenburg e di Villa I Tatti; Syson, 2007; W. Loseries, in Maestri senesi e toscani, 2008, pp. 135-137, n. 23; Brüggen Israëls, 2015a, n. 93). L’accoppiamento non era certo casuale, riferendosi a due santi che il culto senese aveva congiunto, anche grazie alla venerazione dei gesuati e di influenti confraternite come quelle della Vergine, quella di S. Girolamo (Boskovits, 2003, p. 621; Christiansen, 2009, n. 39), che aveva come contitolari Bernardino e Francesco, teneva stretti rapporti con l’Osservanza e non mancò di reclutare Sano tra il 1464 e il 1465 per la pala d’altare (Milanesi, 1854-1856, II, p. 389; Alessi, 2003), e quella di S. Bernardino, cui il nostro dipingeva nel 1467 il gonfalone (Romagnoli, ante 1835, 1976, p. 304; Milanesi, 1854-1856, II, p. 389).
La rete di connessioni tra la Compagnia della Vergine, l’ordine dei gesuati e il monastero suburbano di S. Abbondio favorì evidentemente la commissione a Sano di opere come la pala dei Ss. Cosma e Damiano per i gesuati (finanziata con l’eredità lasciata nel 1446 dal medico Francesco da Gubbio alla Compagnia della Vergine) e quella per S. Abbondio, che si devono datare negli anni Cinquanta e si conservano nella Pinacoteca di Siena (Freuler, 1994; Pisani, 2012). A quel decennio devono risalire pure alcuni complessi dipinti per il territorio dell’antica Repubblica senese, dal mutilo trittico per il convento dell’Osservanza fondato nel 1449 presso Sinalunga (Martini, 2009; dove è di Sano pure la venerata icona della Madonna del Rifugio), al poco che resta della Purificazione della Vergine del museo di Massa Marittima (tratta dal prototipo di Ambrogio Lorenzetti per l’altare di S. Crescenzio nel duomo di Siena, oggi agli Uffizi, adottato pure in una miniatura del Codice 27.11 della Libreria Piccolomini, c. 34v), fino al ben conservato polittico di S. Giorgio a Montemerano, firmato e datato 1458 (Paardekooper, 2012). In virtù di un tale curriculum Sano fu tra i pittori senesi chiamati da Pio II a eseguire le pale d’altare della cattedrale di Pienza, cui consegnò entro il 1462 la Madonna col Bambino e i ss. Maria Maddalena, Filippo, Giacomo e Anna, nel formato rinascimentale di una tavola con predella e timpano di coronamento (Martini, 2006, con bibliografia). Agli anni Sessanta si devono ricondurre la Madonna col Bambino e i ss. Girolamo e Bernardino dell’Osservanza di Siena (che doveva recare la data 1463: Chigi, 1625-1626; Cornice, 1984), il trittico di S. Cristina a Bolsena, il poco che resta di una pala per l’Isola Maggiore del lago Trasimeno e il monumentale trittico della collegiata di San Quirico d’Orcia, integrato in una carpenteria palesemente ispirata alle tavole di Pienza, così come la pala di Badia a Isola del 1471 (Cavazzini - Paardekooper - Rossi, 1998; Paardekooper, 2002; e 2012). A questi incarichi periferici va aggiunto quello per una tavola dipinta tra il 1470 e il 1473 per la chiesa di Ravi, in Maremma, che è andata perduta (e per la quale ebbe qualche pagamento pure un pittore detto «Matteo», che si è proposto di individuare in Matteo di Giovanni; Zdekauer, 1904).
Resta invece nel museo di Buonconvento una pala in cui la Madonna col Bambino è affiancata dai nuovi santi senesi del Quattrocento, Bernardino e Caterina (Paardekooper, 2012). Sano dipinse più volte immagini della vergine domenicana; qui ricordo quella affrescata a seguito della canonizzazione del 1461 nel cosiddetto Ufficio della Comunità del palazzo pubblico di Siena, assai ritoccata (Borghini, 1983, pp. 162 s., 160, fig. 183), e l’altra nel trittico ancora gotico del Museum of fine arts di Boston, che deve risalire a una committenza dell’illustre giurista settempedano Giovan Battista Caccialupi (Pisani, 2012), probabilmente nel corso degli anni Sessanta. Nel trittichino «quadrato» della Collezione Salini nel Castello di Gallico, Sano effigiò invece, insieme con la Vergine, il Figlio e s. Bernardino, un altro santo «nuovo»: il domenicano Vincenzo Ferrer, canonizzato nel 1455 (Brüggen Israëls, 2015b).
Simultaneamente Sano praticava anche la miniatura, collaborando in molteplici progetti: dai corali per l’abbazia di Monte Oliveto Maggiore (1459-63; ora Chiusi, Museo della cattedrale, codici U, V e X; Mazzoni, 1982; Ceccanti, 1997; M. Ferroni, in Da Jacopo della Quercia…, 2010, pp. 546 s., n. G.15) voluti dall’abate Francesco Ringhieri (che dovette ordinargli pure un antifonario per S. Michele in Bosco a Bologna, ms. 562 del Museo civico medievale; K. Christiansen, in La pittura senese, 1989, pp. 168-172, n. 21; M. Ferroni, in Da Jacopo della Quercia…, 2010, pp. 548 s., n. G.16; Libri miniati, 2017), a quelli commissionati da Pio II per la cattedrale di Pienza (circa 1462; Martelli, 2008; M. Ferroni, in Da Jacopo della Quercia…, 2010, pp. 544 s., n. G.14) e dal rettore Niccolò Ricoveri per l’ospedale di S. Maria della Scala (dal 1462-63; ibid., pp. 43 s. note 12, 20, con bibliografia), fino al Graduale 27.11 della Libreria Piccolomini, saldatogli il 25 gennaio 1472 dall’Opera del duomo di Siena (Bollati, 1998). Nello stesso 1472, inoltre, Sano illustrò lo Statuto della Mercanzia con una bella immagine raffigurante tale ufficio (Siena, Archivio di Stato; P. Turrini - M. Pierini, in Le Biccherne, 2002, pp. 272 s.), e la pagina di apertura delle Orazioni di Cicerone appartenute a Gaspare da Sant’Angelo (Biblioteca Vaticana, Vat. lat. 1742; Pisani, 2004, in generale per Sano miniatore, con bibliografia e pure per altre iniziali ritagliate).
A queste date l’ambiente artistico senese aveva ormai virato con decisione verso il Rinascimento grazie al Vecchietta, e ai suoi migliori allievi, come Francesco di Giorgio e Neroccio di Bartolomeo, ma Sano, oltre all’idioma gotico, manteneva ben saldo l’autorevole ruolo che si era conquistato tra i colleghi e nella società senese. In tal senso garantiscono della sua grande affidabilità e correttezza i continui riferimenti al comparire quale perito e arbitro per stime e dispute: valutò una loggia e altri lavori dipinti da Antonio di Simone per Pietro Trecerchi tra il 1464 e il 1465 (Milanesi, 1854-1856, II, pp. 327, 329 s., nn. 230, 232), un paio di cofani decorati da Francesco d’Andrea per il ricco banchiere Ambrogio Spannocchi nel 1467 (Borghesi - Banchi, 1898, p. 226, n. 136), quanto fatto da Francesco Alfei per Ludovico Martinozzi nel 1475 (Milanesi, 1854-1856, II, pp. 355 s., n. 252) e da Neroccio di Bartolomeo per Bernardino Nini nel 1476 (ibid., pp. 356 s., n. 253); inoltre fu chiamato a risolvere vertenze sorte a seguito dello scioglimento di compagnie, da quella che nel 1467 si interruppe tra Antonio di Giusa, Battista di Frosino e il fu Frosino di Nofrio (Borghesi - Banchi, 1898, pp. 229-232, n. 138), all’altra – assai più celebre – risolta nel 1475 tra Francesco di Giorgio e Neroccio (Milanesi, 1854-1856, II, pp. 465 s.). In quest’ultima occasione comparve per la parte di Neroccio, che in alcune tavole da devozione privata – come le Madonne col Bambino del Museo Poldi Pezzoli di Milano (ex Visconti Venosta) e del Norton Simon Museum di Pasadena (ex Duveen) – ebbe a riecheggiare la pittura di Sano, forse in seguito a iniziali relazioni con la sua bottega (Coor, 1961). D’altronde anche il nordico Liberale da Verona, durante i trascorsi senesi avviati nel 1467, rimase affascinato dalle formule nostalgiche di Sano, come indica la sua Madonna col Bambino del Lindenau-Museum di Altenburg (R. Massagli, in Maestri senesi e toscani, 2008, pp. 236-238, n. 46).
Le quotidiane fatiche permisero buoni guadagni al nostro pittore, che nel 1471 possedeva alcune vesti preziose, sulle quali dovette pagare una tassa (Romagnoli, ante 1835, 1976, p. 297/2). Frattanto nella denuncia alla Lira del 1465 egli aveva dichiarato di risiedere nella sua casa in S. Donato ai Montanini, insieme con la moglie (verosimilmente la seconda), un figlio «che va a la schuola» e il padre di novant’anni circa; in quella casa avrebbe continuato a vivere fino alla morte, come si evince dalle successive dichiarazioni del 1478 e del 1481, nelle quali risulta proprietario anche di una casa adiacente alla propria, di un’altra in S. Pietro a Ovile e di una mezza possessione nel comune di Pugna (Borghesi - Banchi, 1898, pp. 252 s.; Milanesi, 1854-1856, II, p. 388), affermando nella prima di essere il «solo a guadagnare» rispetto alle «sei bocche» di casa, e nella seconda di avere un figlio, tre nipoti e la nuora gravida, e di essere «quasi infermo».
Sano continuò comunque a lavorare fino all’ultimo, scalando nel corso degli anni Settanta opere come l’Incoronazione della Vergine con il beato Colombini e s. Girolamo della Pinacoteca di Gualdo Tadino (1474?; Storelli, 1968; e 2000) e la Madonna col Bambino e i ss. Margherita d’Antiochia, Caterina d’Alessandria, Francesco e Bernardino probabilmente per S. Margherita in Castelvecchio a Siena, ora nella Pinacoteca insieme con il polittico di S. Petronilla, firmato e datato 1479 (Fattorini, 2012). Il Compianto con i Ss. Antonio di Padova e Francesco della Banca Monte dei Paschi di Siena, recando la data 1481, è infine la sua opera di commiato (M. Torriti, in La sede storica del Monte dei Paschi, 1988, pp. 306 s.). Tutti questi dipinti confermano quanto il linguaggio conservatore di Sano fosse apprezzato dagli ordini religiosi: se la tavola di Gualdo dovette risalire a una committenza legata ai gesuati, gli altri provengono da conventi femminili senesi dell’ordine francescano, per il quale, nel tempo, Sano eseguì non pochi lavori (per esempio la Madonna della Misericordia resa nota da Keith Christiansen, in La pittura senese, 1989, pp. 158 s., n. 17, e il Breviario X.IV.2 della Biblioteca comunale di Siena miniato per il convento senese di S. Chiara; in ultimo Argenziano, 2009, preferendo però la datazione tarda di Ciampolini, 1990). Né si potranno dimenticare, in tal senso, le commissioni agostiniane per i monasteri senesi della Maddalena (la Crocifissione del Monte dei Paschi di Siena; E. Avanzati, in La sede storica del Monte dei Paschi, 1988, pp. 303-305) e di S. Marta (il reliquiario di Dresdra indagato da Schmidt, 2012, e probabilmente pure il frammento di predella con i Funerali di s. Marta n. 65.181.7 del Metropolitan Museum di New York; Zeri, 1980), o quelle per la chiesa di S. Domenico (ubicata non troppo lontano dall’abitazione del pittore): dalla grande Croce dipinta che si staglia sull’altare maggiore della cripta, alla perduta pala per l’altare di Matteo da Campriano, dipinta tra il 1467 e il 1475 (I. Bähr, in Die Kirchen von Siena, 1992, pp. 684 s., n. 155, p. 738, n. 18; Paardekooper, 2012, p. 144).
Nel chiostro della medesima S. Domenico vi era inoltre la sepoltura di famiglia, che nel 1466 accolse il padre Pietro (M. Butzek, in Die Kirchen von Siena, 1992, p. 800). Qui, il primo novembre 1481, fu pure inumato Sano, ricordato nell’occasione come «pictor famosus et homo totus deditus Deo», e autore di un’immagine mariana, collocata sopra la porta della sagrestia, che il figlio Girolamo volle donare in sua memoria al convento (Milanesi, 1854-1856, II, p. 390): chissà che non fosse la Madonna col Bambino di Sano che è ancora custodita dai frati (W. Loseries, Die Kirchen von Siena, 1992, pp. 688 s., n. 162).
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