sanscrito
La lingua più antica del mondo
Il sanscrito appartiene al ramo più orientale delle lingue indoeuropee, e in particolare alle lingue indo-arie. Veniva parlato e scritto nel subcontinente indiano. Al giorno d’oggi il sanscrito sopravvive solamente come lingua usata nel rito induista, anche se è ancora riconosciuto come madrelingua da circa 50.000 Indiani (censimento del 1991) ed è una delle 18 lingue riconosciute dalla Costituzione dell’India. Si tratta, pertanto, della lingua con la storia più lunga
Come ogni lingua, anche il sanscrito ha conosciuto un’evoluzione nei secoli, per cui oggi si distingue tra il sanscrito più antico, proprio della lingua usata nei Veda (sanscrito vedico) – i Veda sono i testi sacri dell’induismo, e il più antico testo sanscrito in assoluto fu, appunto, il Rgveda –, e quello un poco più recente, utilizzato nei testi sacri dei Brāhmana e delle Upanisad (sanscrito ieratico). Tuttavia la forma più conosciuta è quella dei poemi epici, della poesia e della prosa d’arte (sanscrito classico). Quest’ultimo venne formalizzato nel 4° secolo a.C. dal grande grammatico Pānini, autore del libro Astādhyāyī «Gli otto capitoli». Questa lingua non venne mai effettivamente parlata così come fu codificata nella grammatica di Pānini; era una «lingua perfetta, elaborata»: è questo, infatti, il significato del termine sanscrito in opposizione al pracrito («lingua naturale, parlata»).
Il sanscrito classico – in quanto lingua rigidamente codificata, lontana dall’uso quotidiano della gente comune ma riservato alla élite delle caste più alte dell’India e a tutte le grandi forme letterarie – svolse un ruolo per molti versi analogo a quello giocato dal latino nell’Europa medievale e moderna. Il sanscrito fu dunque la lingua ufficiale dei brahmani, la più importante casta sacerdotale induista, ma venne generalmente rifiutato da altri credi religiosi, che preferivano rivolgersi al popolo con un linguaggio più immediatamente comprensibile.
Il sanscrito classico è una lingua dotata di una grammatica e di una sintassi di stupefacente complessità e ricchezza. Nella declinazione possiede otto casi (oltre a quelli del latino vi sono lo strumentale e il locativo), il verbo ha le diatesi (forme) attiva, media e passiva, con desinenze personali anche per il duale, mentre la formazione dei tempi dei verbi tradisce chiaramente le comuni radici con il greco (raddoppiamento del tema verbale nel perfetto, aumento nell’imperfetto e nell’aoristo); utilizza spesso temi verbali diversi per il passivo, il desiderativo, il causativo e l’intensivo. Particolarmente estesa e straordinaria è la capacità di formare parole composte.
La conoscenza del sanscrito si venne diffondendo in Europa nel corso del 18° secolo. Grazie al forte carattere conservativo di questa lingua, scarsamente parlata, il sanscrito è stato prezioso per ricostruire l’evoluzione delle lingue indoeuropee. Il sanscrito divenne il punto di riferimento per spiegare le trasformazioni fonetiche subite da determinate parole nelle varie lingue indoeuropee, con risultati spesso importanti per lo studio delle fasi più antiche della storia d’Europa e del Vicino Oriente. Facciamo qualche esempio: la parola madre in sanscrito è mātā, in latino mater, in greco mèter, in inglese mother, in tedesco Mutter, mentre la parola padre in sanscrito è pitar, in latino pater, in greco patèr, in inglese father, in tedesco Vater.
Il tipo di scrittura più comune per il sanscrito è il devanagari («[scrittura] della città degli dei», di origine presumibilmente semitica), un alfabeto sillabico indicante 48 suoni. La letteratura in sanscrito è sconfinata: attualmente sono conservate più opere in sanscrito di tutte quelle delle letterature greca e latina insieme.