SANSEDONI, Ambrogio,
beato. – Nacque a Siena attorno al 1220 (il 16 aprile di quell’anno stando agli agiografi), figlio del dominus Buonatacca, attivo protagonista del ghibellinismo senese e fidelis di Federico II.
Il nome e il casato della madre – Giustina domini Egidii a nobili stirpe Stribellinorum – ci sono trasmessi solo dalla Vita (Acta Sanctorum..., 1736, pp. 181-201), che si rivela però male informata anche quanto all’ascendenza del padre, e non hanno alcun riscontro.
Il padre Buonatacca era figlio di Tacca di Guido – esponente di un articolato gruppo di consortes documentati sin dall’inizio del secolo ma solo dal 1270 identificati come Casamentum de Anconitanis seu Sansidoniis – e di Imiglia che, rimasta vedova, fu rettrice (1215-33) dell’ospedale della Maddalena, fondato da Ranieri di Rustichino (Piccolomini), e in cui ella accolse, nel 1221, la prima comunità domenicana di Siena.
Non lontano da quell’ospizio, nell’antica casa paterna, fuori della porta di S. Maurizio sarebbe nato Ambrogio (l’acquisto della casa con torre presso il Campo da parte di Buonatacca è documentato solo nel 1243).
Dei suoi tre fratelli, solo due sopravvissero al longevo padre, morto nel 1267: India, andata sposa a Jacopo di Bencivenne, rettore dell’ospedale della Scala, e Sacco, non più documentato dopo il 1270. Si estingueva in questo modo, un quindicennio prima della sua morte, la cerchia familiare di Ambrogio: quei propinqui di cui ancora le agiografie avrebbero ricordato la solida fama di appartenenza alla fazione ghibellina. Negli anni dell’attività e della consacrazione agiografica di Ambrogio anche l’altro ramo del casamentum, rappresentato dai discendenti di Tonimpuglia di Sansedonio, fu demograficamente e politicamente debole e alla fine del secolo sopravviveva solo la linea collaterale rappresentata dai discendenti di un Gonterio di Palmieri, che già all’indomani di Montaperti (1266) aveva abbracciato la parte guelfa: furono essi ad adottare il cognomen Sansedoni che la consolidata tradizione (con certo arbitrio, si può ora dire) attribuisce ad Ambrogio.
Sulla sua prima giovinezza restano solo le notizie filtrate dalle narrazioni agiografiche: un Summarium virtutum (Acta Sanctorum..., 1736, pp. 210-240), composto dal confratello Recupero di Pietramala, e una più prolissa Vita, che si dichiara composta dallo stesso e da altri tre confratelli su mandato di Onorio IV all’indomani della morte, ma che leggiamo solo nella forma tradita da una copia cinquecentesca. Esse narrano, con maggiore o minor copia di dettagli, della deformità fisica che lo avrebbe afflitto alla nascita, del suo prodigioso risanamento nell’oratorio della Maddalena e di molti mirabili segni di santità che ne avrebbero caratterizzato la fanciullezza.
Ambrogio entrò nell’ordine dei predicatori nel 1237 (al compimento dei 17 anni, secondo gli agiografi). Dopo una formazione di base nelle arti liberali, ricevuta per un quadriennio a Siena o in un altro convento italiano, e un ulteriore triennio di studio della teologia, sarebbe stato avviato nel 1245 allo Studio di Parigi, dove fu discepolo di Alberto Magno accanto a Tommaso d’Aquino. Il fatto che, diversamente dall’illustre condiscepolo, cui la Vita tiene molto ad accomunarlo, Ambrogio non abbia conseguito il baccellierato viene imputato dagli agiografi al rifiuto che, per umiltà, egli avrebbe opposto ai gradi accademici.
Avviato dai superiori alla predicazione, in forza delle sue doti comunicative, avrebbe svolto questo compito nelle città tedesche, predicando nella lingua locale oltre che in latino, per pacificare cittadinanze e principi, combattere eresie, esortare alla mobilitazione contro gli infedeli e a sostegno del re d’Ungheria Bela IV. Mancano tuttavia riscontri precisi sulla sua permanenza Oltralpe e anche la cronologia proposta da Jacques Échard, per cui Sansedoni avrebbe, come Tommaso, seguito Alberto a Colonia nel 1248, per poi tornare a Parigi attorno al 1253, appare plasmata su quella dei due più illustri confratelli.
È possibile invece seguirne l’attività dopo il ritorno in Italia centrale, che va collocato attorno al 1260: per certo nel maggio di quell’anno è indicato come fidecommissario nel primo testamento del cognato, il già ricordato Jacopo di Bencivenne, alla cui stesura in Grosseto egli non è tuttavia detto presente. Era invece priore del convento di Orvieto quando, nel giugno del 1264, Urbano IV lo inviò a Genova, allora interdetta per il supporto fornito all’imperatore Michele VIII Paleologo, con il compito di favorire la riforma degli accordi di pace con Venezia e la facoltà di sospendere temporaneamente l’interdetto qualora la cosa riuscisse utile secondo la sua discretio, in cui il papa diceva di riporre piena fiducia.
Meglio documentata è la sua opera a Siena in due fasi cruciali della tormentata stagione che, dopo la catastrofe sveva, portò al definitivo allineamento della città all’ordine guelfo-angioino (1266-73). All’indomani della morte di Manfredi, nel quadro della politica di pacificazione con il Papato cui si stava orientando il Comune di Siena, fu lui insieme al vescovo Tommaso, anch’egli domenicano, a esporre (il 16 aprile 1266) al Consiglio del Popolo e ai domini delle Arti e delle Società l’opportunità di adire ad mandata Romane Ecclesie. Poche settimane dopo per mandato del legato papale fu lui a leggere al parlamentum la lettera in cui Clemente IV dettava le condizioni per la remissione delle censure, e negli atti di quella pacificazione egli figura sempre come qualificato testimone. Nel febbraio 1267 il papa lo incaricò di ricevere dal comune di San Gimignano le fideiussioni richieste dal legato.
Si colloca invece dopo i violenti tumulti popolari che segnarono il totale fallimento degli accordi di pace siglati a Viterbo il 13 maggio 1267, ma comunque prima della nuova scomunica fulminata contro i senesi (18 novembre), la notizia di un nuovo intervento di Ambrogio al Consiglio generale nell’ottobre del 1267. Si trattava stavolta di una questione puramente privata: Ambrogio chiedeva infatti di rendere le 400 lire che il defunto Buonatacca aveva indebitamente avuto dal Comune, versandole all’ospedale di S. Maria (cui per statuto andavano le restituzioni d’usura spettanti all’erario). Gli autori della Vita volevano che, nei mesi successivi, lo stesso Corradino di Svevia, dopo la sua sconfitta, chiedesse al Sansedoni di intercedere per lui presso Clemente IV, ottenendone, prima dell’esecuzione (23 ottobre 1268), l’assoluzione dalla scomunica.
L’azione di Ambrogio a Siena torna poi a essere documentata nel 1273, quando – dopo la sconfitta di Colle, la dedizione a Carlo d’Angiò e il consolidamento del governo guelfo dei Trentasei – il Comune si dispose a normalizzare le relazioni con il papato. Nel maggio di quell’anno, essendo vacante la sede vescovile, Ambrogio esortò nel consiglio segreto il capitano di Parte e i Trentasei priori a individuare un plenipotenziario che si recasse dal papa per ottenere la remissione dell’interdetto e chiedergli di passare per Siena, ormai mite e sicura, nel suo viaggio verso la sede del concilio generale. Lui e un confratello furono designati per la missione, che doveva però mantenere un profilo non pienamente ufficiale.
La remissione dell’interdetto (13 luglio), non molto documentata nelle fonti senesi coeve, viene invece celebrata con enfasi dalle fonti agiografiche più tarde, che, peraltro, diversamente dal Summarium (in cui pur confusamente si ricordano le due successive assoluzioni) riducono a un solo passaggio la vicenda della riconciliazione fra Siena e il papato. Ambrogio vi figura come regista e latore del perdono e vi si narra dell’esultanza popolare per la riapertura delle chiese culminata nella corsa di un palio, ripetuto poi ogni anno nell’anniversario dell’evento.
Già la Vita – almeno nella forma in cui la leggiamo – collega così arbitrariamente a questo passaggio l’origine del palio che, per certo già nel primo Trecento, il Comune di Siena faceva correre ogni anno per solennizzare la festa del beato, nel giorno del suo dies natalis. Secondo la stessa fonte egli avrebbe mediato anche una pace tra Pisa e Firenze nel 1276, anno in cui fu definitore al capitolo generale dei domenicani.
Ambrogio fu a lungo apprezzato lettore nelle scuole conventuali, svolgendo questo compito per oltre trent’anni nella provincia romana dell’ordine, mentre dubbia è la notizia della sua docenza nello Studium di Roma per incarico di Innocenzo IV (probabile amplificazione della notizia – cui pare accennare il Summarium – dell’attività svolta come lector nel convento domenicano della città in cui risiedeva la Curia romana).
Nell’ultima fase della sua vita Ambrogio fu sempre più stabilmente nel convento senese di Camporegio, di cui fu priore nel 1279. Le disposizioni testamentarie di membri del ceto magnatizio lo attestano a più riprese (nel 1267, 1278, 1286) anche come esecutore di legati pii o autorevole testimone. L’impegno prevalente di Ambrogio, anche in questa fase, fu quello della predicazione, di cui le fonti agiografiche celebrano il costante ed eccezionale successo.
Di questa attività ci resta – in un codice della Biblioteca comunale di Siena – parte di un ciclo di Sermones de tempore, che sarebbe stato composto tra il 1273 e il 1287 (un altro volume di suoi sermoni domenicali e quaresimali, oggi perduto, è attestato da un catalogo del 1381 della biblioteca del Sacro Convento d’Assisi). È questa la sola opera che la critica attuale attribuisce al nostro. È da respingere infatti la tarda identificazione dell’aureum tractatum sull’eucaristia di cui la Vita lo dice autore con il Trattato sopra el mistero del sacramento tradito da un altro codice della Comunale di Siena. Le fonti agiografiche che tanto lo lodano, peraltro, confermano che Sansedoni scrisse poco e di malavoglia.
Agli effetti della sua predicazione viene riportato anche l’impulso che, specie a Siena, egli diede all’associazionismo devoto di uomini e donne. L’informazione – riferita dall’autore del Summarium e ripresa dalle agiografie successive – trova principale riscontro nella nascita presso il convento senese di una fraternitas laudese intitolata alla Vergine e a s. Domenico, di cui già nel settembre del 1267 il vescovo Tommaso approvò lo statuto, ma non sono mancate nel tempo compagnie che – come quella a lui intitolata attestata dal tardo Quattrocento – lo rivendicarono come fondatore e legislatore. La sua opera in questo campo si concretizzò forse anche nella scrittura di testi: a magne et magnifice letanie da lui composte fa riferimento il Summarium, e a taluni è parso possibile identificarne una traccia in alcune orazioni che nel XVI secolo Sigismondo Tizio inserì nelle sue Historie, poi riprese da Giulio Sansedoni nella sua Vita a stampa.
Ambrogio morì a Siena, il 20 marzo 1287, per l’emorragia prodotta dalla rottura di una vena che gli agiografi dicono scoppiatagli in petto a causa del fervore con cui in quei giorni predicava contro gli usurai.
La devozione al suo corpo (inumato il 21 marzo) fu immediata e immediate le guarigioni prodigiose attorno al suo sepolcro, per la cui realizzazione monumentale il Comune di Siena stanziò appositi finanziamenti già il 21 maggio (e poi ancora il 19 luglio), provvedendo poi nel marzo 1288 al pagamento della miniatura e pittura di un libro della Legenda. Immediatamente, anche prima del placet vescovile (9 maggio 1287), i frati di Camporegio avevano disposto la registrazione notarile dei miracoli attribuiti alla sua intercessione (trenta atti redatti tra il 13 aprile e il 9 luglio 1287 documentano altrettanti eventi tra il 20 mazo e il 7 luglio, ventotto a Siena e due a Bolsena): un prezioso dossier recentemente studiato da Odile Redon.
Due sole settimane dopo la morte di Ambrogio, la scomparsa di Onorio IV – che avrebbe ordinato la stesura della Vita in vista di una rapidissima canonizzazione – bloccò sul nascere l’iter del processo, in realtà mai apertosi. Oltre che dai domenicani il culto di Ambrogio fu largamente sostenuto dal Comune per tutto il Trecento, assumendo solidi connotati civici, mentre solo dal primo Cinquecento si segnala un suo recupero in chiave familiare, a opera dei Sansedoni. Gregorio XV l’avrebbe riconosciuto definitivamente nell’ottobre del 1622.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Siena, Diplomatico, Ospedale, 1260 maggio 12; 1267 ottobre 4; Archivio generale, 1278 luglio 12; 1286 aprile 9, Consiglio Generale, 11, c. 57; 12, c. 12; 13, c. 64; 16, c. 63v; 33, c. 64; 34, c. 7, Biccherna, 96, c. (54) 60; Siena, Biblioteca comunale, Ms. T.IV.7 (Sermones), T.IV.8 (Trattato del sacramento).
[B. Sansedoni] La sancta vita di beato Ambrosio da Siena, Siena 1509; G. Lombardelli, Vita di A. S., Siena 1585; G. Sansedoni, Vita del Beato A. S. da Siena, Roma 1611 (poi Venezia 1717); J. Quetif - J. Echard, Scriptores ordinis Praedicatorum, Paris 1719, pp. 401-403; Acta Sanctorum Martii, III, Venezia 1736, pp. 179-250; Les registres d’Urbain IV, par J. Guiraud, II, Paris 1901, n. 851, p. 409; F. Schneider, Regestum Volaterranum, Roma 1907, n. 772; R. Coulon, Ambroise de Sienne, in Dictionnaire d’histoire et géographie ecclésiastique, II, Paris 1914, coll. 1124-1126; I. Taurisano, Catalogus hagiographicus ordinis praedicatorum, Roma 1918; Id., Il Beato Ambrogio, in Memorie domenicane, XXXVIII (1921), p. 166-180; T. Kaeppeli, Le prediche del Beato A. S. da Siena, in Archivum Fratrum Predicatorum, XXXVIII (1968), pp. 5-12; Id. Scriptores Ordinis Predicatorum Medii Aevi, I, Roma 1970, pp. 58 s.; G. D’Urso, Beato A. S. Vita e iconografia, Siena 1986; P. Toritti, L’iconografia del beato Ambrogio da Siena, in Bullettino senese di storia patria, C (1993), pp. 212-383; S. Tizio, Historiae Senenses, vol. I, t. II, a cura di G. Tomasi Stussi, Roma 1995, pp. 11-113; O. Redon, Una famiglia, un santo, una città. A. S. e Siena, a cura di S. Boesch Gajano, Roma 2015 (raccoglie cinque saggi editi tra il 1998 e il 2008).