SANSEVERINO D’ARAGONA, Giovan Francesco
– Figlio primogenito del condottiero di ventura Roberto (1418-1487) e di Giovanna da Correggio (figlia del conte Giacomo), nacque verosimilmente tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta del XV secolo.
Imparentato con i duchi di Milano (sua nonna paterna era Elisa Sforza, sorella di Francesco), prima del 1482 sposò Diana Della Ratta, sorella di Francesco conte di Caserta; nel 1499 a Bozzolo contrasse un nuovo matrimonio con Barbara Gonzaga, figlia del conte di Sabbioneta Giovanni Francesco, dalla cui unione nacque Roberto Ambrogio. Insieme ai numerosi fratelli seguì le orme del padre Roberto; costui, inviato nel settembre 1460 dal duca Francesco in soccorso di Ferrante d’Aragona, aveva riottenuto nel 1461 dal re la contea di Caiazzo e altre terre in Principato Citra.
Sanseverino dapprima militò alle dipendenze degli Sforza con Roberto, il quale, per il deteriorarsi dei suoi rapporti con il duca Galeazzo, nel 1474 cercò di procurare ai figli, presso la Firenze medicea, una condotta, che sarebbe stata conclusa poco dopo (inverno 1475). Terminato il contratto, Giovan Francesco fu assoldato nuovamente da Milano e partecipò alla battaglia (8 settembre 1477) contro i Lucchesi per il controllo di Pietrasanta in Versilia. Ancora una volta con un fratello (Gaspare), fu poi al servizio dei Medici nel 1478, all’indomani della congiura dei Pazzi, salvo poi essere licenziato (metà novembre) su esplicita richiesta di Bona di Savoia, reggente del figlio Gian Galeazzo Sforza, e fuggire nel Perugino all’inizio di dicembre.
Nel settembre del 1479 Sanseverino fu a Milano, dove era rientrato anche il padre al fianco di Ludovico Sforza che, di ritorno dal suo esilio pisano, avrebbe assunto di lì a qualche mese la reggenza del Ducato esautorando completamente la cognata Bona. L’anno successivo (settembre 1480) stipulò un nuovo accordo annuale con Firenze; tuttavia, con l’irreversibile peggioramento dei rapporti tra Roberto e gli Sforza, nel 1481 la sua posizione divenne progressivamente meno stabile e nella città toscana si discuteva (estate 1481) dell’opportunità di rinnovargli o meno la condotta.
Nella primavera del 1482, all’inizio della guerra di Ferrara, i Sanseverino passarono in blocco al servizio di Venezia; l’abbandono dello schieramento sforzesco, che contava tra i suoi componenti anche re Ferrante, provocò l’immediata confisca dei beni familiari tanto nel Ducato quanto nel Regno. Tuttavia già l’anno successivo furono avviate le trattative per riguadagnare i loro servizi alla causa milanese contestualmente con l’ingaggio da parte di Venezia, in chiave antiaragonese, del duca Renato di Lorena. Nel giugno del 1483 fu perfezionato l’accordo, ma solo con i fratelli Giovan Francesco e Galeazzo; al primo fu riconosciuto un compenso di 12.000 ducati in tempo di guerra e 8000 ducati in tempo di pace da dividersi tra gli alleati della Lega, oltre ad altre consistenti provvisioni da Milano. Fu una scelta definitiva e da allora Giovan Francesco restò legato, per un quindicennio, alla dinastia sforzesca.
Nel dicembre del 1485 Giovan Francesco guidò le truppe ducali inviate, per le pressanti richieste di re Ferrante, da Ludovico Sforza a sostegno degli aragonesi nella guerra contro Innocenzo VIII e i baroni regnicoli. La marcia verso sud fu tuttavia molto lenta; in gennaio sostò a Pitigliano in attesa dei rinforzi per poi ricongiungersi alle truppe di Niccolò e Gentil Virginio Orsini, capitani al servizio del re di Napoli.
Per il conte di Caiazzo (la giurisdizione gli era stata confermata nella pace di Bagnolo del 1484) la campagna del 1486 nei territori pontifici si rivelò complessa: allo scarso sostegno economico dalla corte sforzesca si aggiunsero infatti i sospetti degli alleati per un suo possibile accordo con Roberto, nominato gonfaloniere della Chiesa (30 novembre). Ciononostante partecipò, nel maggio del 1486, alla battaglia di Montorio (di Sorano) che, favorevole agli aragonesi, indusse il pontefice ad avviare in giugno le trattative di pace.
Nell’agosto del 1487 Giovan Francesco, alla notizia della morte del padre nella battaglia di Calliano in Trentino (lì Roberto comandava l’esercito veneziano contro gli Asburgo), fece allestire, insieme al fratello Galeazzo, il rito funebre a Milano già prima di aver ricevuto la notizia del recupero della salma paterna dal fiume dove Roberto era annegato. In una logica di famiglia e di clan che rimase comunque una costante dei suoi comportamenti, incominciò anche a negoziare il riscatto di un altro fratello (Anton Maria) che era stato catturato in luglio durante la stessa campagna, e portato al di là delle Alpi.
Inevitabilmente, Giovan Francesco fu costretto a prendere posizione all’interno dei complicati rapporti della casata ducale milanese. Durante la grave malattia che ridusse Ludovico Sforza in fin di vita, egli, preoccupato per il consolidamento della fazione favorevole a Gian Galeazzo – sostenuta dal condottiero Gian Giacomo Trivulzio e appoggiata all’estero dal re di Napoli –, fu tra i promotori del ritorno in Milano del cardinale Ascanio Sforza. E quando, nella primavera del 1488, le morti violente dei signori di Forlì-Imola, Girolamo Riario (14 aprile), e di Faenza, Galeotto Manfredi (31 maggio), destabilizzarono la Romagna, Sanseverino dapprima guidò la spedizione a sostegno di Caterina Sforza, vedova di Riario, soprattutto in considerazione degli interessi milanesi nella regione; successivamente si spostò nel Parmense con il grosso dell’esercito in attesa dell’ordine ducale di attaccare Faenza in soccorso di Giovanni Bentivoglio, che aveva assunto, con il beneplacito degli Sforza, il controllo della città.
Giovan Francesco, uomo di fiducia del Moro e sostenitore della sua politica anti-aragonese, fu anche impegnato, soprattutto nel quinquennio 1488-93, in missioni diplomatiche o di rappresentanza presso altre corti.
Ad esempio, nel dicembre del 1488, accompagnò a Napoli Hermes Sforza, incaricato di concludere le nozze per procura tra il fratello Gian Galeazzo e Isabella d’Aragona, figlia di Alfonso duca di Calabria. Nel febbraio 1491 fece invece parte della delegazione che condusse a Ferrara Anna Maria Sforza, promessa sposa di Alfonso d’Este. Nel febbraio del 1492 guidò una missione diplomatica milanese presso la corte di Carlo VIII; giunto a Parigi il 26 marzo, dove fu accolto con grandi onori, ripartì poco dopo (5 maggio) senza apparentemente aver conseguito nessun risultato tangibile. Tra la fine d’agosto e gli inizi di settembre fu ancora al fianco di Hermes Sforza nell’ambasciata di obbedienza al neoincoronato Alessandro VI.
Nel 1494 Sanseverino partecipò alle operazioni militari della ‘guerra-lampo’ di Carlo VIII. Infatti comandò le truppe sforzesche inviate per contrastare l’avanzata aragonese in Romagna (luglio-novembre), almeno fino all’arrivo del contingente francese di Bérault Stuart d’Aubigny (29 agosto). Dopo la fase di stallo che caratterizzò la campagna fino a ottobre, guidò l’assedio al castello di Mordano nell’Imolese, il cui efferato saccheggio indusse Caterina Sforza ad accordarsi con l’armata franco-milanese (25 ottobre).
Durante la fulminea discesa francese, in alcuni dispacci dal teatro bellico, Sanseverino sottolineò la ‘viltà’ dell’esercito aragonese; si soffermò dunque su un aspetto contingente, senza riuscire a cogliere il profondo mutamento dei rapporti di forza in Europa che si stava delineando sotto i suoi occhi.
La stipula della Lega santa a Roma (31 marzo 1495) persuase Carlo VIII a risalire velocemente la penisola per evitare l’isolamento al sud. Sanseverino, richiamato a Milano, combatté a Fornovo (6 luglio 1495); qui comandò il contingente sforzesco che, durante la battaglia, mantenne, però, un comportamento ambiguo. Infatti i Milanesi non impedirono il transito ai francesi verso la val Padana lasciando supporre che il Moro pensasse, in questo modo, di propiziarsi un accordo con Carlo VIII per riavere pacificamente Novara e di impedire la vittoria completa di Venezia.
Nel settembre del 1496 Sanseverino partecipò ai festeggiamenti a Vigevano in onore di Massimiliano d’Asburgo, che affiancò nella breve e improduttiva campagna autunnale contro Firenze. Nel gennaio 1497 fu inviato a Novi Ligure per difendere la città e ostacolare l’offensiva delle truppe francesi di Gian Giacomo Trivulzio, dopo un iniziale insuccesso (25 gennaio), ricevuti i rinforzi veneziani, mosse in febbraio, di nuovo, contro la città, recuperandola al controllo milanese.
All’interno della più ampia rivalità sforzesco-veneziana nella delicata questione pisana, nell’autunno del 1498 fu nell’Imolese per appoggiare Caterina Sforza, impegnata contro la Serenissima. Nel maggio 1499 raggiunse Genova per armare il Castelletto in previsione dell’inevitabile confronto con i francesi.
Nei mesi seguenti l’attività preparatoria di Giovan Francesco per la guerra, in vari luoghi del Ducato, fu febbrile: in luglio visitò diverse piazzeforti ed ebbe il compito di presidiare il confine orientale. Durante il conflitto, a seguito della necessità di dislocare gli effettivi in diverse città del dominio, la sproporzione delle forze in campo lo costrinse ad arretrare, permettendo ai veneziani di occupare indisturbati Cremona e Treviglio.
L’esito – per i milanesi disastroso – della guerra, che di fatto si concluse con la resa di Alessandria (29 agosto), indusse Sanseverino ad abbandonare Ludovico Sforza per porsi al servizio di Luigi XII; si trasferì quindi in Francia con 80.000 ducati tra la fine del 1499 e gli inizi del 1500.
Rientrato in Italia nella tarda primavera del 1501, prese parte con l’esercito transalpino alla campagna per incamerare i territori assegnati alla Corona francese dal trattato di Granada (11 novembre 1500). Entrò il 4 agosto a Napoli; qui morì il 2 settembre nella casa del cognato Giovanni Tommaso Carafa, conte di Maddaloni, e fu sepolto, secondo Passero, nella chiesa di Monteoliveto.
Sanseverino fu un personaggio di primo piano nel panorama politico dell’Italia del Rinascimento. Il lungo servizio militare, il prestigio raggiunto alla corte sforzesca nell’ultimo quindicennio del secolo e l’opportunistico passaggio al servizio del re di Francia tratteggiano al meglio la figura e la carriera di questo condottiero di ventura che, secondo il giudizio di Francesco Guicciardini, «confidato molto al duca, non pareggiando nell’armi la gloria di Ruberto da Sanseverino suo padre, aveva acquistato nome più di capitano cauto che di ardito» (Storia d’Italia, a cura di E. Mazzali, 1988, p. 198).
Fonti e Bibl.: G. Passero, Storie in forma di giornali, Napoli 1785, p. 128; M. Sanudo, Commentarî della guerra di Ferrara tra li Viniziani ed il duca Ercole d’Este nel 1482, Venezia 1829, pp. 23, 26, 32 s., 41, 79; M. Sanudo, I diarii, I-IV, Venezia 1879-1903, ad ind.; P. Commynes, Memorie, a cura di M.C. Daviso, Torino 1960, pp. 397, 388, 402, 408, 468, 472 s., 480, 492-494; Lettere di Lorenzo de’ Medici, sotto la direzione di N. Rubinstein, I-XVI, Firenze 1977-2011, ad ind.; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, Torino 1978, pp. 1457, 1460, 1473, 1544, 1580 s., 1592, 1603, 1620; G. Guicciardini, Storia d’Italia, a cura di E. Mazzali, Milano 1988, pp. 69, 76, 116, 198, 207, 211, 215-217, 331, 343-347, 390, 432, 436-440, 507, 510, 563; Carteggio degli oratori mantovani alla corte sforzesca, a cura di I. Lazzarini, I, Roma 1999, pp. 32, 99, II, 2000, pp. 22, 25; Corrispondenza degli ambasciatori fiorentini a Napoli, Giovanni Lanfredini, a cura di E. Scarton, I, Salerno 2005, p. 42.
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