VALOBRA, Sansone
Nacque a Fossano, in Piemonte, il 24 ottobre 1799, in una famiglia appartenente alla comunità ebraica locale. Il padre, Israel David Valobra, era un piccolo commerciante di stoffe.
Nel 1814, all’età di 15 anni, iniziò a lavorare in una fabbrica di fuochi d’artificio della sua città, interessandosi alla chimica e ai meccanismi di innesco a base di fosforo e zolfo.
Nel 1812, a Vienna, furono ideati dei bastoncini di legno imbevuti di una pasta di zolfo che se posti a contatto con una miscela liquida di acido solforico prendevano fuoco. Il meccanismo di accensione era però molto pericoloso, in quanto l’acido, contenuto in una boccetta portatile, doveva essere versato manualmente sul bastoncino. Un incauto o errato dosaggio poteva generare scoppi improvvisi e incendi incontrollati. Si cominciò così a pensare ad altri sistemi di innesco, tra cui quello a sfregamento, su cui si concentrarono gli esperimenti di Valobra. Contemporaneamente, cominciò ad interessarsi alla politica e ad avvicinarsi agli ambienti cospirativi liberali attivi nel Regno di Sardegna. Partecipò alla rivoluzione costituzionale piemontese del 1821, e fu costretto a lasciare il Regno e a rifugiarsi, come molti altri esuli politici del periodo, nel Granducato di Toscana, a Livorno. Grazie all’aiuto della comunità ebraica della città, molto attiva nei traffici commerciali e finanziari di uno dei più importanti porti mercantili del Mediterraneo, impiantò un laboratorio per la fabbricazione di sapone, ma non smise né di interessarsi agli esperimenti di chimica sugli inneschi a zolfo, né di dedicarsi all’attività politica. L’ambiente cosmopolita, la relativa tolleranza del governo granducale, le rotte commerciali che rendevano Livorno il centro obbligato di passaggio dei collegamenti marittimi tra i porti italiani del Mediterraneo e tra questi con Marsiglia e la Francia, favorirono negli anni ’20 il proliferare in città delle attività cospirative della carboneria. Valobra si legò ai gruppi carbonari cittadini, attivi soprattutto in funzioni di coordinamento e appoggio alle reti dei corrieri che tenevano i contatti dei gruppi cospirativi italiani con i centri esteri, tra cui il ‘Comitato Italiano’ di Londra, diretto da Guglielmo Pepe, Raffaele Poerio e Gabriele Rossetti.
A partire dal 1825 il governo toscano iniziò però una serie di indagini di alta polizia per reprimere le società carbonare nel Granducato e fu costretto per una seconda volta all’esilio, lasciando Livorno nel 1827 e stabilendosi a Napoli. Nella capitale del Regno delle Due Sicilie mise a frutto i risultati dei suoi esperimenti di chimica. Impiantò infatti un laboratorio per la costruzione di candelette, bastoncini alla cui estremità era applicata una miscela di fosforo, clorato di potassio e gomma che, se sottoposti a sfregamento, innescavano la combustione. L’invenzione ideata e commercializzata da Valobra ebbe da subito un grande successo, tanto che già nel 1828 diventò il fornitore dei nuovi fiammiferi presso la corte del re Francesco I di Borbone. La popolarità dell’invenzione incoraggiò tuttavia la diffusione di imitazioni che si posero in concorrenza con i suoi fiammiferi. Quasi negli stessi anni in Europa ne furono ideati di simili, con alcune varianti, che iniziarono ad essere commercializzati sui mercati locali, in Gran Bretagna dal farmacista John Walker nel 1826, in Francia dal chimico Charles Sauria nel 1831, nella Confederazione Germanica dall’ingegnere Jakob Friedrich Kammerer nel 1832, nell’Impero Austriaco dallo studente ungherese János Irinyi nel 1836. Infine, nel 1844, il chimico svedese Gustaf Erik Pasch creò i primi fiammiferi che utilizzavano come dispositivo di sicurezza l’accensione per sfregamento su una superficie ruvida di zolfo, in uso oggi.
Valobra fu probabilmente l’inventore dei fiammiferi in Italia, il primo a produrli e venderli, ma non cercò di rivendicare alcuna paternità intellettuale nel mondo scientifico. Infatti non scrisse e pubblicò nulla sulla sua invenzione, nemmeno un articolo sulle varie riviste scientifiche e tecniche edite a Napoli e negli altri Stati italiani in quel periodo. Inoltre, tra il 1830 e il 1834, cominciarono a diffondersi nelle città italiane vari tipi di fiammiferi, sia quelli inglesi di Walker importati, sia altri ideati da italiani, tra cui il chimico bolognese Giulio Paradisi e il medico pisano Luigi Mori, e furono impiantate fabbriche per la produzione a Genova, a Bologna, e a Pisa.
Valobra ricevette però il riconoscimento ufficiale di una società scientifica francese, che nel 1829 gli conferì una medaglia d’onore in quanto ‘inventeur des allumettes’. Più pragmaticamente, si dedicò alla commercializzazione del suo prodotto, che dovette procurargli una discreta agiatezza economica, considerato che una scatola con venti fiammiferi era venduta al prezzo non proprio modico di un ducato. Per far fronte alla concorrenza delle imitazioni, sfruttando il successo avuto presso la corte di Napoli, nel 1829 richiese al governo borbonico la concessione di una privativa, che gli avrebbe garantito il monopolio della produzione e della vendita dei fiammiferi in tutto il Regno delle Due Sicilie. Il ministero dell’Interno però, retto dal giurista Felice Amati, di idee liberiste moderate, non approvò la richiesta.
Non avendo ottenuto il monopolio si dedicò ad ampliare il mercato della sua produzione. Lasciata ogni attività politica, poté fare ritorno in Toscana, anche se non abbandonò mai stabilmente la sua residenza a Napoli. Nel 1834 aprì una fabbrica di fiammiferi a Pisa e commercializzò all’ingrosso il suo prodotto anche a Firenze, presso il negozio dei fratelli Sall al Mercato Nuovo, vendendo le scatole dei suoi fiammiferi al prezzo di una lira.
Si stabilì poi definitivamente a Napoli, dedicandosi esclusivamente alle sue attività. Dopo il 1860 però, con il crollo della monarchia borbonica e la proclamazione del Regno d’Italia, la cui politica liberale garantiva la libertà di culto, iniziò ad avere un ruolo attivo nella comunità ebraica di Napoli. Collaborò così con gli esponenti dell’ambiente finanziario e commerciale ebraico della città, tra cui il banchiere Adolph Carl von Rothschild, il dirigente Samuele Salomone Weil e il commerciante e imprenditore vinicolo Isidoro Rouff, nel progetto di espandere la comunità locale. Tramite attività filantropiche e di beneficienza fu incoraggiato il trasferimento di famiglie ebraiche, soprattutto da Roma, attratte dalle libertà offerte dal nuovo Stato italiano. Furono inoltre promosse azioni miranti a garantire alla comunità israelitica uno spazio maggiore in città. In questa direzione si collocarono l’istituzione della sinagoga di Napoli nel 1863 e la costruzione del cimitero ebraico nel 1875. Ad entrambe le iniziative Valobra diede un contributo significativo, sia economico, versando quote per l’acquisto dei terreni e per le costruzioni, sia organizzativo, facendo parte dei comitati promotori e coordinatori delle opere.
Morì a Napoli l’8 marzo 1883.
Dopo la sua morte, negli anni ’90 dell’Ottocento alcuni giornali italiani si occuparono di lui indicandolo come il vero e oscuro ideatore dei fiammiferi, rivendicando in chiave nazionalista e patriottica l’origine italiana di un’invenzione attribuita agli stranieri. Negli anni ’30 del Novecento il regime fascista utilizzò la sua vicenda presentandola, in tono minore, come un altro ‘caso Meucci’. La figura di Valobra fu impiegata dal regime in funzione anti-inglese e anti-francese. L’imprenditore, che non cercò mai di affermare l’esclusiva paternità della sua scoperta, fu considerato un altro esempio del primato italiano vittima della perfidia degli stranieri, che avrebbero usurpato la sua invenzione.
Archivio di Stato di Napoli, Ministero dell’Interno, II Inventario, b. 1755, f. 316. Si veda inoltre Gazzetta di Genova, 1830, n. 46 e 1834 n. 4; Gazzetta di Firenze, 1831 n. 113, 1834, n. 22; Gazzetta Privilegiata di Bologna, 1835, n. 24; Il Vessillo Israelitico. Rivista mensile per la storia, la scienza e lo spirito del giudaismo, 1886, n. 4, p. 141; G. Cammeo, La comunione israelitica di Napoli dal 1830 al 1890. Cenni storici, Napoli 1890, pp. 13, 15, 17, 19; F. Savorgnan di Brazzà, Da Leonardo a Marconi. Invenzioni e scoperte italiane, Roma 1933, pp. 223-224; La chimica nell’industria, nell’agricoltura, nella biologia e nelle altre sue applicazioni, 1934, pp. 133-134; Poste e Telecomunicazioni, XV, n. 2 (1943), 2, p. 51; F. Bertini, I movimenti cospirativi a Livorno nell’800, in Rivista Italiana di Studi Napoleonici, 22, (1985), 1, pp. 67-87; N. Nicolini, Il pane attossicato. Storia dell’industria dei fiammiferi in Italia 1860-1910, Bologna 1995, pp. 34, 37, 45; G. Israel - P. Nastasi, Scienza e razza nell’Italia fascista, Bologna 1998, pp. 165, 185; Isacco Artom e gli ebrei italiani dai risorgimenti al Fascismo, a cura di A.A. Mola, Foggia 2002, p. 38; V. Giura, La Comunità Israelitica di Napoli (1863-1945), Napoli 2002, p. 13; W. Fiorentino, Italia patria di scienziati, Bolzano 2004, pp. 219-220.