SANT'ANTIOCO
Isola presso la costa sud-occidentale della Sardegna, alla quale è unita per un istmo costruito, a quanto si crede, dai Cartaginesi, completato e consolidato dai Romani. Questo istmo, che separa il Golfo di Palmas da quello di Sant'Antioco, è lungo circa 4 km.; l'isola si avvicina tuttavia alla costa sarda anche più a nord fino a distarne poco più di 1 km. fra la Punta Dritta e l'opposta Punta Tretta. L'istmo - percorso da strada rotabile e da ferrovia - è interrotto per un tratto, onde le acque dei due golfi comunicano per un breve braccio sormontato dal ponte ferroviario e da un antico ponte romano ricostruito per farvi passare la rotabile.
L'isola è lunga 18 km. dalla punta di Calasetta a C. Sperone e ha un'area di circa 109 kmq.; ha coste erte e scoscese ad ovest e a sud, prevalentemente basse a est (spiaggia Coguadus, spiaggia Canisari) specialmente a nord, dove si stende lungo mare un'ampia cimosa piana. L'isola è costituita essenzialmente, come la vicina S. Pietro, di rocce vulcaniche acide, come andesiti, lipariti, rioliti; ma all'estremità meridionale compaiono anche basalti. A SE. affiora un lembo di cretacico con calcari ceroidi. Le massime altezze dell'isola si hanno nella parte centrale e sono rappresentate da rilievi dalle forme assai aspre (Perdas de Fogu 271 m.; Perdas de is Ominis 231 m.); presso l'estremo sud il Montarbu raggiunge 239 m. L'isola è fortemente incisa da vallette spesso assai incassate, percorse da torrenti generalmente asciutti; alcune valli terminano pensili sul mare, specie sulla costa occidentale intaccata da piccole cale. Queste valli pensili, e i frequenti depositi di panchina ad altezze talora notevoli (m. 60-70 a sud del M. della Guardia; circa 90 m. a 2 km. a SO. di Sant'Antioco) sono prove di recenti movimenti di emersione. A sud dell'isola emergono gli isolotti detti la Vacca (alt. m. 95), con lo scoglio del Vitello, e più lontano il Toro (alt. m. 111) a forma di cono regolare, con forti pendii. Intorno ad essi sono banchi di corallo, oggi non utilizzati.
La popolazione dell'isola era nel 1931 di 9245 ab. divisa fra i due comuni di Sant'Antioco (kmq. 87,5) e Calasetta (kmq. 31), cui corrispondono i due soli centri notevoli dell'isola. Presso la costa settentrionale è il piccolo abitato di Cussorgia (164 ab.). La popolazione sparsa in campagna non supera i 250 ab. Sant'Antioco, il centro maggiore (6500 ab.) che continua la fenicia Sulcis è sulla costa orientale, presso l'istmo, alle falde dell'erta rupe del Castello; quivi si osservano numerose abitazioni trogloditiche, che sono antichì ipogei punico-romani ampliati e adattati. Ma la maggior parte dell'abitato si distende verso il mare. Calasetta (2500 ab.) è all'estremo settentrionale, sul piccolo promontorio detto Punta di Manca. La risorsa principale della popolazione consiste nell'agricoltura e specialmente nella coltivazione della vite, che dà prodotti pregiati, esportati in Sardegna e anche in Liguria. Si coltivano anche ortaggi. La palma nana, che vegeta spontanea, al pari dell'agave, ha dato luogo ad una piccola industria (fabbricazione di canestri, ecc.). Invece è presso che abbandonata l'industria del bisso, o seta marina, che si ricavava dalla pinna nobilis, una bivalve che si raccoglie in abbondanza nel mare circostante. A sud di Calasetta, presso la Punta Maggiore, vi è una tonnara; e una salina si trova presso la punta omonima. L'interno dell'isola è assai ricco di caccia.
Sant'Antioco è unito alla Sardegna per una ferrovia che traversa l'istmo; essa prosegue per Calasetta. I due paesi sono collegati anche da una rotabile.
Storia. - Il territorio su cui sorge il capoluogo dell'isola fu a lungo disputato tra l'università di Iglesias, l'arcivescovo di Cagliari che avanzava un diploma d'investitura del 1214, e aspirava ad estendere la sua giurisdizione feudale su tutta la parte meridionale dell'isola, e la monarchia sabauda che nel 1754 per popolare la contrada, invitò 240 famiglie greche fuggitive dalla Corsica. Chiusosi il conflitto giurisdizionale a favore del R. Patrimonio, eretta l'isola in commenda dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, in quella campagna a pascolo, resa deserta da incursioni frequenti di barbareschi e dall'abbandono, si stabilirono alcune famiglie greco-corse di coltivatori venute da Ajaccio. Ma decimate dalla malaria, ricacciate dalla resistenza dei pastori sardi, o messe in fuga dalle difficoltà incontrate nel dissodamento del suolo, furono sostituite da Tabarchini, cioè da liguri dimoranti nell'isola di Tabarca, sfuggiti alla schiavitù del bey di Tunisi, colà guidati dal capitano guardacoste Giovanni Porcile (1769-1770). A questi ultimi si devono il disboscamento, e l'aratura del terreno, la pesca (specie del tonno), la costruzione del centro cittadino di Sant'Antioco con piano regolatore. Poco dopo sopraggiunsero famiglie piemontesi di viticultori. I conflitti coi pastori sardi furono composti con un'equa ripartizione di terre, con la delimitazione di pascoli, sussidî, ecc., dal capitano Porcile, investito dell'isola col titolo di conte. Questi costruì la chiesa, liquidò le pendenze col vescovo e con l'Ordine, introdusse le prime manifatture, organizzò l'amministrazione comunale. La popolazione nel ventennio 1764-84 salì da 457 a 702 ab.; crebbero le rendite baronali, vescovili, del R. Patrimonio. Occupata il 26 febbraio 1793 da distaccamenti francesi dell'ammiraglio Truguet, fu presto liberata per il valore dei cittadini e per l'apparire d'una squadra spagnola. Nel 1805 i cittadini di Sant'Antioco e Calasetta si offrirono di costruire a proprie spese un fortino a difesa dai barbareschi. Piemontesi e Tabarchini amalgamatisi fra loro, contribuiscono al progresso economico del nuovo centro e dell'isolotto, gli uni con la quadrata e metodica tenacia nel lavoro della terra, gli altri negli ardimenti del mare.
Bibl.: R. Ciasca, Bibliografia sarda, Roma 1931-34, V, s. v. (storia politica, storia della Chiesa, amministrazione). La storia delle prime difficoltà della fondazione di Sant'Antioco su ricerche archivistiche è in R. Ciasca, Alcuni momenti della colonizzazione in Sardegna del sec. XVIII, in Analisi della Facoltà di lettere dell'università di Cagliari, I-II (1927-28), pp. 93-174.