ANTONIO Abate, sant'
Le fonti per la conoscenza della sua vita sono principalmente la biografia scritta da S. Atanasio Patrol. graeca, XXVI), passi degli Apophthegmata Patrum (v. apoftegma) e l'Hisioria Lausiaca di Palladio. Se l'autenticità atanasiana della Vita di Antonio, negata da H. Weingarten (Ursprung des Mönchtums, in Zeitschr. f. Kirchengesch., I, 1876), ha trovato poi il riconoscimento dei critici, in misura più larga, studiosi più recenti sostengono che si sia ecceduto in ottimismo nell'accettarne la veridicità storica, e che si debba ammettere il carattere leggendario di molti racconti. In particolare, le Vite di Pitagora e simile letteratura avrebbero esercitato sensibile influenza (Cfr. R. Reitzenstein, in Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften, Phil.-Hist. Klasse, VIII, 1914).
Nato a Eracleopoli, nel Medio Egitto, Antonio avrebbe abbandonato il mondo intorno al 270; dopo quindici anni, essendo in età di circa trentacinque, attraversò il Nilo, portandosi in un castello sulla riva sinistra del fiume, dove stette per altri vent'anni. Colà gli si unirono i primi discepoli. Uscito dalla sua solitudine per un breve periodo, si ritirò poi definitivamente nel deserto presso il Mar Rosso, dove un monastero porta ancora il suo nome, ed ivi trascorse gli ultimi anni della sua esistenza più che centenaria, morendo verso il 356.
Un grande discorso, ai cc. 18-43 della Vita, contiene una formulazione del suo insegnamento, che, almeno nello spirito e in parte, si può ritenere autentica; i detti attribuitigli negli Apophthegmata Patrum, e quelli riferiti da Palladio o da Cassiano (Collationes) vanno soggetti a cauzione ed esaminati sempre criticamente. Anche nella Vita atanasiana, del resto, è visibile l'influsso dell'ideale ellenistico dell'ἀπάϑεια; "poiché l'anima sua era imperturbabile, anche le manifestazioni esteriori erano trasparenti e quiete, e poiché la letizia avvivava il suo spirito, la serenità traspariva anche dal viso" dice di lui Atanasio (c. 34), che gli fa dire essere la virtù nelle nostre facoltà, e altre frasi dello stesso tenore.
Degli scritti che vanno sotto il suo nome (in Patrologia graeca, XL) v'è ugualmente ragione di dubitare che siano autentici. Alcuni, come i Sermoni e le Lettere tradotti dall'arabo e pubblicati dal maronita Abramo Ecchellense (Parigi 1641), sono certamente spurî. Sappiamo invece che Antonio scrisse varie lettere; e di sette possediamo una versione latina, pubblicata più volte (anche in Galland, Veterum Patrum Bibliotheca, IV, p. 633 segg.), e frammenti copti, abbastanza vicini al latino (cfr. Windstedt, in Journal oj Theological Studies, VII, luglio 1906, p. 540 segg.). Quanto alla Regola che gli è attribuita (v. Contzen, Die Regel des hl. A., Melten 1896), è in complesso una compilazione, nella quale, al più, soltanto lo spirito informatore è quello di Antonio.
Ma la sua importanza storica non è negli scritti. Essa consiste tutta nel fatto che A. fu senza dubbio una delle più grandi figure dell'ascetismo cristiano primitivo, colui al quale si deve la diffusione di quel sistema di vita semi-anacoretico, di cui le laure orientali e taluni tipi di vita eremitica occidentale sono tuttora la continuazione (v. anacoren).
Folklore. - Le reliquie di sant'Antonio sarebbero state ritrovate nel 561 e portate ad Alessandria, quindi a Costantinopoli: finalmente nel sec. XI in Francia, dove durante l'epidemia di peste (fuoco sacro) molte persone sarebbero state guarite miracolosamente dalle reliquie o dall'intervento del santo. Da ciò il nome di fuoco di S. Antonio, com'è chiamato ancora volgarmente l'erpete zoster o zona. E il fuoco benedetto di sant'Antonio, cioè quello prelevato dai falò accesi in suo onore, è oggetto di devozione, per la qual cosa molti popolani ne portano a casa qualche tizzo.
Sant'Antonio segna nel calendario popolare il principio del carnevale. Al mattino del 17 gennaio ogni proprietario di capre o pecore, di buoi o cavalli, mena il suo bestiame davanti alla chiesa del taumaturgo, per la benedizione; e sul far della sera, o della sera precedente alla festa, e in qualche luogo anche prima e per più giorni di seguito, comitive di fanciulli e di adulti accendono numerosi falò sulle strade, con legna raccattate. In qualche luogo, nel pomeriggio della vigilia, sant'Antonio (un uomo imbacuccato in un camice, con barba di stoppa, mitra di carta e bordone con campanello) va in giro per l'abitato, seguito dal diavolo, il suo nemico tentatore, e da un'allegra brigata di devoti, di cui alcuni suonano ed altri cantano la leggenda dei suoi miracoli, sostando di soglia in soglia. In molti comuni si usa tuttavia, come nel Medioevo (e varî statuti ne fanno fede), allevare il "porco" o "porcellino di S. Antonio", che poi si vende per far le spese della festa.
Sant'Antonio abate è nel concetto popolare di varie regioni d'Italia il santo che aiuta l'uomo nelle tribolazioni, vendica le donne calunniate, fa da confidente alle fanciulle; e nelle leggende è rappresentato come un vecchio che da buon popolano vive del suo lavoro, in una capanna, col porcello, tormentato dal demonio, che talvolta lo fa montare in bizza. Questo particolare fa rilevare quanto sia inesatta l'opinione di chi pretende vedere nel maiale, preso come simbolo della lussuria, l'incarnazione del diavolo. Non meno infondata è l'opinione per la quale si vorrebbe ravvisare nel fuoco rituale di S. Antonio un ricorso o un travestimento del mito di Prometeo. Infatti le ricorrenze in cui figurano le fiammate, oltre quella del nostro santo, sono numerosissime.
Bibl.: Oltre le opere accennate, E. Preuschen, Palladius und Rufinus, Giessen 1897; A. Butler, The Lausiac history of Palladius, I, Cambridge 1898, p. 215 segg.; II, ibid., 1904, pp. 12-21 (n. VI della collezione Texts and Studies); J. Besse, in Dict. de Théol. Cathol., I, II, col. 1441 seg.; R. Reitzenstein, Historia monachorum und Historia Lausiaca, Gottinga 1916 (Forschungen zur Religion und Literatur des Alten und Neuen Testaments, n. s., 87); E. Buonaiuti, Le origini dell'asceticismo cristiano, Pinerolo 1928, p. 176 segg.
Per il folklore: Arch. trad. popol., II, p. 207; V, p. 91 (miracoli); F. D'Elia, Il falò di S. Antonio. Note di Folklore salentino, Martina Franca 1912; cfr. G. Ferri, in Lares, II (1913), p. 101 segg.; G. Finamore, Credenze, usi e costumi abruzzesi, Palermo 1890, pp. 92-102; L. Mannocchi, Feste, costumanze, superstiz. popolari nel circondario di Fermo, Fermo 1921, pp. 43-47; E. Anderloni, Gli Statuti di Novara e il porco di S. Antonio a Novara, in Novaria, VI (1925), pp. 1-6; R. Corso, Il porco di S. Antonio, in Folklore italiano, I (1925), p. 316 seg.