FRANCESCA Bussa (Francesca Romana), santa
Nacque nel 1384 a Roma, figlia del nobilis vir Paolo di Giovanni Bussa (morto nel 1401), residente nel rione Parione nella parrocchia di S. Agnese in Agone e di Jacobella de' Roffredeschis. Nel 1395 o 1396 sposò il nobilis vir Lorenzo de' Ponziani, abitante in Trastevere nella parrocchia di S. Cecilia, figlio di Andreozzo e di Cecilia de' Mellini. Dal loro matrimonio nacquero: Evangelista, Agnese (entrambi morti in tenera età) e Battista. Nell'agosto 1425 fondò una comunità religiosa femminile sotto la guida spirituale dei benedettini della Congregazione di Monte Oliveto attivi in S. Maria Nova al Foro, comunità che si stabilì successivamente, conducendo vita comune, in una casa tutt'ora esistente alle pendici del Campidoglio.
Qui F. morì il 9 marzo 1440 e fu sepolta in S. Maria Nova (più tardi chiamata anche S. Francesca Romana): la fama del carisma e delle grazie speciali che le furono concesse, la sua vita di madre esemplare e amministratrice solerte di un grande patrimonio familiare, il suo impegno per il prossimo e la sua benevola premura in soccorso dei cittadini romani di ogni ceto - in uno dei periodi di transizione più bui e drammatici della storia della città - la resero ben presto oggetto di particolare devozione. La canonizzazione di F. fu proclamata nel 1608 e la sua festa cade il 9 marzo.
Come fonti per la ricca letteratura agiografica vennero utilizzate dapprima le Vitae, poi anche le testimonianze rese al primo processo di canonizzazione (1440). Tra le vite risulta particolarmente importante quella coeva scritta dal confessore di F., Giovanni Mattiotti; essa, tuttavia, non è una Vita in senso proprio (Acta sanctorum, pp. *104-*178), quanto piuttosto una descrizione delle visioni di F. e delle sue lotte contro i demoni. Mentre ancora Lugano (1945) riteneva che la sua redazione originaria fosse quella latina e non quella in volgare (ed. Armellini, 1882), credendola, del resto, basata sulle testimonianze del 1440, gli studi più recenti (Brasò; BartolomeiRomagnoli) sono riusciti a individuarne in maniera precisa le diverse fasi redazionali (traduzione, correzioni, cancellature dello stesso Mattiotti), riconducendola alle sue componenti originarie ("Trattati") e dimostrandone l'autonomia rispetto agli interrogatori. Parimenti, gli studiosi sono riusciti anche a isolare all'interno del corpus dei testi biografici, che i bollandisti avevano attribuito interamente allo stesso Mattiotti, un'ulteriore Vita coeva, il cui autore è stato identificato in un altro personaggio assai vicino a F.: il monaco olivetano, priore di S. Maria Nova, Ippolito da Roma (Acta sanctorum, pp. *93-*104, cfr. anche Mazzuconi, pp. 122-182); storicamente insoddisfacente è la più diffusa e tarda Vita della madre presidente Maria Magdalena Anguillara (morta nel 1644, ibid., pp. *178-*214). Sia pure tenute in scarsa considerazione dai bollandisti e pubblicate solo nel 1945, di maggiore valore storico e biografico sono, invece, le coeve testimonianze per la canonizzazione, ritenuta allora imminente. Gli interrogatori del 1440 e del 1443 - iniziati quindi poco dopo la morte di F. - sono ancora caratterizzati da una forte spontaneità delle rese testimoniali, mentre quelli del 1451 (con integrazioni del 1453) risultano già maggiormente formalizzati. I testimoni sono per due terzi donne; degli uomini la metà è costituita da religiosi, e tra essi, oltre a benedettini olivetani, troviamo anche francescani, domenicani, agostiniani e preti secolari. Sebbene i testimoni, conformemente al tipo di fonte, siano interrogati sulle virtù che si ritenevano tipiche di una santa piuttosto che sui suoi caratteri personali, le loro dichiarazioni, dalle coloriture e dai riferimenti topografici tipicamente romani, involontariamente riportano anche molti elementi dell'individualità di F., dal momento che per dire quanto desiderano si dilungano più del dovuto. Le biografie menzionate e gli interrogatori sono conservati a Tor de' Specchi, nell'archivio della stessa comunità.
Il contesto politico-sociale in cui F. si trovò a operare a Roma può essere ricostruito in maniera chiara. La ricerca prosopografica, facendo leva sulla combinazione del materiale onomastico ricavato dalle dichiarazioni dei testimoni, dalle liste dei funzionari e dalle imbreviature notarili, consente di inquadrare la parte avuta dalle famiglie del padre e del marito di F. negli eventi politici del Comune romano. Entrambe facevano parte dell'élite cittadina durante i drammatici eventi del 1398, quando al Papato, allora retto da Bonifacio IX, riuscì finalmente di esautorare il gruppo dirigente della città (costituito dai partiti dei nobiles e dei populares, cioè dalle clientele dei Colonna e degli Orsini) e di abbattere definitivamente il Comune romano. Nel periodo compreso tra il 1394 e il 1398 - quello decisivo dell'ultimo confronto tra il Comune e il papa - il padre di F. (nel 1395) e il di lui fratello Simeozzo (nel 1397) ricoprirono la carica di conservatori; il futuro cognato di F., Paluzzo Ponziani, fu uno dei quattro consiglieri della temuta milizia, la "Societas pavesatorum et balistariorum Urbis". Proprio in questa fase critica i Bussa e i Ponziani si collegarono tra loro con un matrimonio squisitamente politico (nel 1395 o nel 1396), che la giovane F. accettò solo malvolentieri ("invita se subiecit paternis preceptis") e al prezzo di una profonda crisi personale, da cui uscì in seguito alla visione di s. Alessio. A dire il vero nessun esponente dei Ponziani e dei Bussa fu fra i più irriducibili oppositori del pontefice: come appare da quanto accadde durante l'occupazione di Roma a opera di re Ladislao di Napoli, nel 1408-09 e nel 1413-14, che portò nuovamente la clientela dei Colonna a una effimera signoria, quando il marito di F. venne ferito gravemente e bandito da Roma, mentre suo figlio Battista fu preso in ostaggio. In ogni caso, tra gli intimi e i testimoni di F. spicca un gran numero di vedove, figli e nipoti dei caporioni giustiziati o amnistiati dal papa durante l'ultima insurrezione del Comune, nel 1398. L'esperienza centrale della generazione dei padri fu, dunque, il definitivo assoggettamento al Papato nel 1398; quella della generazione seguente fu la vita con F.: quasi a scandire un significativo passaggio generazionale che accompagnò l'epocale trasformazione di Roma da Comune medievale a residenza rinascimentale. Il culto di F. si rivela, quindi, in seguito, di grande significato per comprendere l'integrazione della società romana in questa difficile fase quattrocentesca di disciplinamento operato dal Papato, che, da quel momento, rese la corte pontificia l'unico ambito in cui i rampolli delle famiglie romane potessero fare carriera.
L'ambiente sociale in cui visse F. si desume con evidenza dall'escussione dei testimoni e in particolare dalle loro dichiarazioni più spontanee, tanto più che il complesso delle informazioni che se ne ricava riguarda quasi esclusivamente i due rioni romani di Trastevere (casa della famiglia Ponziani) e di Campitelli (dove si trovava Tor de' Specchi, sede della comunità di F.): del resto, i nomi dei numerosi dichiaranti e miracolati, apparentemente privi di legami reciproci, a un esame più attento appaiono riconducibili solo a poche famiglie. Per tutto il periodo in cui fu vivo il marito Lorenzo (morto nel 1436), F. visse nella casa Ponziani (sita nella attuale via dei Vascellari), in coabitazione con i suoceri e il cognato Paluzzo, alla cui moglie Vannozza fu legata da una profonda intesa. Suo marito veniva ritenuto un uomo ricco: gli ampi interni del palazzo dei Ponziani (al piano terra si trovava la stalla, al primo la dimora signorile) possono essere ricostruiti fin nei dettagli, perché i testimoni localizzano, stanza per stanza, gli scenari delle battaglie combattute tra F. e il demonio. Non diversamente dalle altre principali famiglie romane dell'epoca, anch'egli fondava la propria ricchezza prevalentemente sull'allevamento del bestiame negli ampi pascoli della campagna romana, di sua proprietà o presi in affitto: spesso vengono menzionate le grandi mandrie (de boum, bubalorum, pecudum, aliorum animalium gubernatione), del cui allevamento egli, stando al racconto dei testimoni, doveva essere solito parlare ancora mentre andava a letto, disturbando le preghiere serali della moglie. Questo era il quotidiano in cui F., circondata da molti servitori, agiva da saggia e attiva donna di casa, e ciò la rendeva vicina alla vita reale più di quanto non lo fossero altre sante dell'epoca. Le testimonianze ci fanno anche sapere che il fatto che una dama di condizione così agiata prendesse con tanta frequenza la comunione dovette sembrare sconveniente al prete della vicina chiesa di S. Cecilia; e che dovette imbarazzare non poco la sua famiglia anche il fatto che una nobilis domna come lei andasse mendicando in umiltà. Naturalmene il contrasto tra ricchezza e condotta di vita modesta venne ulteriormente, e intenzionalmente, accentuato dai testimoni. Da un ambiente simile a quello di F. proviene anche la famiglia più frequentemente menzionata nel corso delle testimonianze, alla quale peraltro appartenevano non meno di 14 testimoni, 14 persone guarite dalla santa, ben 5 delle prime 13 oblate di Tor de' Specchi, e alla quale si riferiscono anche 2 miracoli raffigurati negli affreschi del 1468: è quella di Lello Petrucci, che fu conservatore del Comune nel 1384 e nel 1396, e che appare come il tipico rappresentante di quel ceto di imprenditori agricoli - i "bovattieri" così caratteristici per Roma - che, a partire dalla metà del Trecento, grazie all'allevamento del bestiame su vasta scala, riuscì a conquistare un notevole rilievo politico. A differenza di s. Brigida di Svezia, straniera di lignaggio regale, e di s. Caterina da Siena, forestiera di più modesta estrazione "borghese" - che, a Roma, due generazioni prima, avevano avuto rapporti l'una soprattutto con la nobiltà baronale e l'altra con la corte papale e con i toscani - per F. sono caratteristiche le relazioni con le famiglie della nobiltà cittadina di più recente formazione (Porcari, Capizucchi, Margani, Foschi di Berta, Mellini, ecc.; suo figlio Battista sposò Mabilia Papazzurri, anch'essa appartenente a tale ambiente) e con gli esponenti di ogni classe sociale che abitavano nelle vicinanze della sua dimora.
La dimensione spirituale della sua vita, tra contemplazione mistica e carità attiva, è contrassegnata da estasi accompagnate da visioni. Queste furono considerate dai contemporanei come la più particolare tra le grazie a lei conferite e vennero annotate nel secondo libro della sua Vita dal suo confessore, il già ricordato Giovanni Mattiotti, gubernator di S. Maria in Trastevere (morto anteriormente al 1451), che F., dopo la morte del monaco olivetano Antonello di Monte Savello (deceduto nel 1425), scelse come proprio precettore spirituale, giacché non era riuscita a instaurare alcun rapporto di fiducia con gli ecclesiastici della vicina chiesa di S. Cecilia (parrocchia di appartenza e luogo di sepoltura dei Ponziani). Come di regola per le sante medievali, anche le manifestazioni mistiche di F. vennero verbalizzate da uomini; invece le sue opere di carità nella società vennero riferite soprattutto da testimoni donne. Le estasi avevano luogo per lo più durante la comunione nella cappella dei Ss. Angeli in S. Maria in Trastevere. Esse venivano vissute come ascesa mistica a Dio nel cerchio degli angeli ed erano solitamente accompagnate da visioni (Cristo in croce e in gloria; Maria; s. Pietro e altri santi particolarmente venerati a Roma; il purgatorio, ecc.), che spesso erano connesse con le celebrazioni liturgiche del giorno (settimana santa: visione della Passione; 8 settembre: visione di Maria, ecc.). Talvolta queste visioni avevano carattere profetico (predizione della morte dei suoi figli) e, durante i drammatici inizi del pontificato di Eugenio IV, addirittura politico: come quella dell'inutile ammonizione a Eugenio IV (che allora risiedeva a S. Maria in Trastevere) riguardo al concilio di Basilea del 1432 (questa critica a Eugenio, in segno di crescente ubbidienza al Papato postconciliare, venne eliminata nella successiva redazione), o quella della repressione della Repubblica romana del 1434, operata dal cardinale Giovanni Vitelleschi.
Le sue visioni, persino nelle asettiche annotazioni del confessore, posseggono una straordinaria forza rappresentativa, e, perciò, vennero facilmente trasposte in immagini pittoriche (per es. la particolare corona della Madonna): si è creduto di poter individuare le fonti cui attingeva quel patrimonio di immagini nelle sacre rappresentazioni dell'epoca, nelle laudi, negli affreschi o nei mosaici delle chiese romane, nelle prediche di Bernardino da Siena, e persino in Dante; tuttavia da esse possono essere stati ripresi solo singoli elementi di volta in volta rielaborati e adattati. Risulta chiara, tuttavia, la sua particolare devozione a Maria, il cui culto, in assenza di un santo patrono, ebbe un'influenza straordinaria nella vita pubblica della Roma medievale. F. visse le sue esperienze mistiche con un'intensità addirittura fisica: sentiva sul suo corpo le piaghe della Passione di Cristo e i segni delle battaglie notturne combattute nella sua casa contro i demoni; abbracciava Gesù Bambino con una tenerezza materna tutt'altro che patetica. La sua esperienza ascetica si volse sempre più alla dura pratica penitenziale e alla mortificazione della carne. Ma non si allontanò dal marito ("in eadem camera, sed non in eodem lecto iacebat" ), tanto più che questi, ferito in uno scontro tra avversi partiti, necessitò di cure fino alla sua morte. Ella lesse spesso, "cum ocularibus", le Sacre Scritture in volgare (la Passione di Cristo, l'Officium beate Virginis Marie e anche i Salmi), e visitò regolarmente, per pregare e per ottenere la corrispondente indulgenza ("secundum indulgentiam occurrentem"), molte chiese di Roma, anche le più distanti, come S. Croce in Gerusalemme e S. Paolo fuori le Mura.
Le sue opere di carità, energicamente volte al concreto servizio del prossimo, non trovarono alcun limite nella sua inclinazione mistica: tanto poco la sua natura equilibrata e pratica venne intaccata dall'esperienza estatica, come ebbero modo di osservare i contemporanei. La sua attività sociale consisteva in guarigioni, aiuti materiali, consigli umani. Le guarigioni, talvolta operate in concorrenza con maghi e, talvolta, in collaborazione con medici, consistevano in suggerimenti di comportamento giudizioso (nessun lavoro pesante per donne che avessero superato il quarto mese di gravidanza) e in metodi naturali (sutura di ferite, applicazione di un suo unguento, ancora oggi fabbricato a Tor de' Specchi). I testimoni segnalano il suo intervento soprattutto in caso di parti difficili, di malattie di bambini o di donne (che venivano trattate con la necessaria discrezione, "domestice ut fit inter domesticas mulieres"), di infermità degli occhi, di incidenti e di ferimenti in combattimenti di strada; mentre le miracolose guarigioni da lei operate post mortem non permettono più di riconoscere una limitazione ad ambiti determinati. Inoltre svolse una regolare attività di assistenza ai malati negli ospedali del Camposanto di S. Pietro, di S. Spirito in Sassia, di S. Cecilia, e in quello, più piccolo, di S. Maria in Cappella, fondato dai suoceri vicino alla loro casa. Particolarmente magnificato, e tipico di F., fu, tuttavia, il suo efficace aiuto in casi di disagio psichico, per i quali riusciva a recare soccorso con consigli rasserenanti o con la sua semplice presenza. Vengono menzionati, con una chiarezza ancora rara per l'epoca, casi di depressione, di frustrazione, di manie persecutorie, di insonnia da tanatofobia, di eccessivo timore per le vessazioni di un superiore, e altre angustiae e afflictiones generate non da terrore per la salvezza dell'anima, ma da terrena angoscia esistenziale; sono, poi, ricordati i suoi interventi anche in diversi tentativi di suicidio per frenesis e fatuitas, ma anche ex desperatione. Dalla stessa inclinazione personale deriva la sua nota capacità di ricomporre conflitti tra famiglie e fazioni: dote che ebbe modo di esercitare in molte occasioni, data la situazione politica della città. Durante le carestie, all'epoca frequenti, aiutò i bisognosi attingendo alle provviste di grano della propria famiglia: cosa che il marito, seppure, probabilmente, malvolentieri, tollerò. Più che le vite, sono gli interrogatori dei testimoni, con le loro dichiarazioni spesso puntuali e non topiche, a conferire a F. tratti più personali e umani di quelli che si possono cogliere in molte altre sante del tardo Medio Evo.
Per quanto riguarda la comunità di donne che si raccolse attorno a F. bisogna ricordare che, nell'Italia dell'epoca, esistevano numerose istituzioni in cui l'esperienza religiosa poteva organizzarsi al di fuori degli ordini tradizionali. Tali mulieres religiose si volsero per lo più all'osservanza francescana e domenicana, ma anche a quella agostiniana e benedettina. Nella Roma del tempo erano molte le "case sante" di "bizocche" che facevano vita comune, come, ad esempio, quella delle mantellate, legata all'ordine agostiniano e diretta dall'intima amica di F., Margherita Martelluzzi (tra l'altro figlia di uno dei principali caporioni che, nel 1398, si opposero a Bonifacio IX), e quella di altre terziarie francescane, personalmente conosciute da Francesca. C'erano, poi, ancora altre comunità femminili di diverso tipo: per tale motivo, quella di F., ai coevi cronisti romani, non apparve degna di menzione particolare. F. si volse alla Congregazione riformata benedettina di Monte Oliveto, apprezzata anche da altre sante italiane dell'epoca, e, il 15 ag. 1425, insieme con le prime 9 compagne, dichiarò la propria oblazione al convento di S. Maria Nova al Foro Romano, che apparteneva a quella Congregazione. Mentre, in un primo momento, vivevano ancora nelle loro abitazioni, praticando la propria religiosità tra le pareti domestiche, nel 1433 le oblate nubili e quelle vedove cominciarono a condurre vita comune in una casa nei pressi del Campidoglio, quella che avrebbe poi preso il nome di Tor de' Specchi; la stessa F. le seguì nel 1436, dopo la morte del marito, mentre altre oblate continuarono a vivere fuori. L'istituzione venne confermata da papa Eugenio IV già nel 1433. Le oblate promisero castità (oppure continenza), povertà, ubbidienza, tuttavia non nella forma dei voti monastici, ma in quella dell'impegno personale: esse rimasero nel mondo, seculares, mantenendo solo un tenue legame con il convento di S. Maria Nova, in una "esperienza di matrice laicale che sotto il vigile controllo degli olivetani evolve da movimento spontaneo verso soluzioni di vita religiosa regolare" (Bartolomei Romagnoli). F. diede alla comunità, retta da una presidente, ordinationes in 73 articoli, che contenevano precise disposizioni riguardo alla preghiera, l'abbigliamento, l'alimentazione, il comportamento in pubblico. Le oblate, che trovarono appoggio non solo nei monteolivetani, ma anche tra i preti secolari, si dedicarono a una vita di preghiera e di dedizione al prossimo: pregavano insieme, insieme andavano in chiesa per sentire messa, assistevano i malati negli ospedali, cucinavano per gli altri, lavoravano in comune, raccogliendo, per esempio, legna da ardere nelle vigne di loro proprietà poste fuori e dentro le mura della città. La comunità, per quanto si può desumere dall'atto di oblazione del 1433, era composta, conformemente alla provenienza sociale di F., da donne appartenenti a famiglie agiate e alla nobiltà cittadina; ma presto entrarono a farne parte anche membri di origine più modesta. Il suo carattere laicale, non monastico, permise a questa comunità religiosa di sopravvivere all'abolizione, nel 1870, dei conventi romani: essa esiste, ancora oggi, nello stesso luogo.
Il complesso architettonico di Tor de' Specchi è composto dal nucleo originario della casa-torre (la "turris speculorum"), all'angolo tra via Montanara e via Teatro di Marcello, con la cella della santa. A partire da questo nucleo la comunità si ampliò a nord, incorporando, nel 1594, la chiesa di S. Maria de Curte. Nella cappella vecchia, situata nella parte più antica, si conserva un notevole ciclo di affreschi datati al 1468, che, in 26 scene, raffigura miracoli, visioni e morte di F., oltre che la vita della comunità; le didascalie in volgare costituiscono, per gli storici della lingua, un'importante attestazione del romanesco del Quattrocento. Nella rappresentazione dei miracoli si possono generalmente identificare le persone guarite, tra le quali spiccano due appartenenti alla famiglia Clarelli (che vivevano nelle immediate vicinanze di Tor de' Specchi) e due membri della già ricordata famiglia di Lello Petrucci, che, con ogni probabilità, dovevano appartenere alla cerchia dei committenti. Per quanto riguarda l'attribuzione, è stata notata una vicinanza stilistica a Benozzo Gozzoli, ma, soprattutto, si è pensato ad Antoniazzo Romano o alla sua cerchia. Un secondo ciclo, composto da affreschi monocromi del 1485 e collocato nella sala vicina, mostra le tentazioni della santa e le sue battaglie coi demoni; le didascalie di questo ciclo seguono il testo volgare della vita di Mattiotti ancora più fedelmente di quanto facessero quelle del primo.
L'iconografia, negli affreschi del 1468, mostra la santa sempre vestita di un abito nero e di un velo bianco e, talvolta, - come sarà poi consueto nelle raffigurazioni successive - con un angelo custode e un libro (forse è l'attributo iconografico dell'angelo custode che dal 1925 l'ha fatta divenire la santa patrona degli automobilisti). Oltre ai cicli di Tor de' Specchi sono note altre sei raffigurazioni della santa che risalgono al XV secolo: una ymago beate Francisce in S. Maria in Trastevere viene già menzionata nel 1448; tre tavole attualmente a Baltimora e a New York vengono datate alla metà del XV secolo, e quindi sarebbero precedenti agli affreschi del 1468.
L'ipotesi della canonizzazione di F. fu ben presto presa in considerazione per la venerazione di cui godette dopo la morte. Su istanza degli olivetani, papa Eugenio IV, già nel 1440, anno della morte di F., diede l'autorizzazione a un'inquisizione per l'inizio del processo di canonizzazione, a cui subito seguirono tre interrogatori: nel 1440, nel 1443, nel 1451 (integrato poi nel 1453), in cui furono ascoltati, rispettivamente, 68, 40 e 130 testimoni. Se si confronta la distribuzione topografica dei miracoli che è possibile localizzare e delle testimonianze del 1440-43, da un lato, con quella del 1451, dall'altro, si giunge alla conclusione che se la devozione nei confronti di F., mentre era ancora in vita, era concentrata nell'ambiente sociale e nei due rioni romani di sua provenienza, dopo la morte, si estese rapidamente oltre i luoghi limitrofi di Trastevere e Campitelli. Già nel 1451 i testimoni menzionano miracoli a Siena, Firenze, Bologna, e ricordano che predicatori come Bernardino da Siena e Giovanni da Capistrano avevano esaltato la santità di Francesca. Il tedesco Nikolaus Muffel, che soggiornò a Roma nel 1452 per assistere all'incoronazione imperiale di Federico III, sapeva dell'alta considerazione di cui ella godeva al pari di suo figlio ancora in vita. Tuttavia, non si pervenne ancora alla canonizzazione, forse perché il papa, assillato dai concili riformatori e divenuto più attento in una fase di restaurazione, non ritrovò in F. un'esemplare ubbidienza e un'evidente conformità alle norme canonistiche di condotta di vita: gli interrogatori del 1451 daranno a questo aspetto un rilievo ancora maggiore di quanto non avessero fatto quelli più spontanei del 1440 e del 1443. Fu Alessandro VI a dichiarare festivo, a Roma, il giorno in cui ricorreva l'anniversario di morte della santa. Nel 1505 viene menzionata, a Roma, una confraternita che andava confezionando un gonfalone e che stava prendendo in considerazione l'eventualità di contrassegnare i propri beni con la figura di Francesca. Nel 1510 una spagnola ottenne l'autorizzazione papale a fondare, ad Alcalá de Henares, una comunità femminile sul modello di Tor de' Specchi; tuttavia, il suo culto al di fuori di Roma rimase piuttosto esiguo. La sua canonizzazione, anche in seguito, continuò a essere sollecitata dalle oblate, dagli olivetani e, soprattutto, dai cittadini romani: "Romani saepe institerunt pro canonizatione beate Francisce", si dice nel 1499 nei libri concistoriali, affidando la pratica a tre cardinali. Soltanto nel 1604 si giunse però alla ripresa del processo, che si basò soprattutto sugli interrogatori del 1451; infine, sotto il papato del romano Paolo V Borghese (la cui madre era una Astalli), il 29 maggio 1608, si proclamò la sua canonizzazione.
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