SANTA LUCIA, Francesco Branciforte Barresi
duca di. – Non si conosce il luogo della sua nascita, avvenuta presumibilmente attorno al 1625, secondogenito di Nicolò Placido I Branciforte conte di Raccuia e principe di Leonforte, e di Caterina Branciforte Barresi (dei principi di Butera e di Pietraperzia). Il fratello Giuseppe (che fu anche principe di Pietraperzia) ereditò i titoli per diritto di primogenitura, mentre le sue tre sorelle, al secolo Caterina, Rosalia e Margherita, entrarono nel monastero delle Stimmate di S. Francesco di Palermo con i nomi di suor Placida Caterina, suor Agata Rosalia, suor Caterina Giuseppa.
Già milite di S. Giacomo della spada, Francesco ottenne dal padre la ducea di Santa Lucia (poi Mascalucia) e la baronia di Cassibile nel 1651.
L’assegnazione del feudo di Cassibile fu motivo di contrasto con il fratello maggiore, Giuseppe, cui il padre lo aveva assegnato in un primo momento come donatio propter nuptias e poi riassegnato al secondogenito in occasione delle sue nozze con Anna Gaetani (capitoli matrimoniali del 2 dicembre 1651). Francesco si reinvestì della baronia di Cassibile il 16 settembre 1666 per il passaggio della corona a Carlo II.
Sposò prima Anna Gaetani Saccano dei principi di Cassaro, da cui non ebbe figli, poi Beatrice Branciforte del Carretto, da cui nacquero Dorotea e Nicolò Placido II, suo erede universale.
Il 31 ottobre 1656, mentre il fratello Giuseppe era pretore di Palermo, Francesco fu inviato dal Senato a Misilmeri come ambasciatore per accogliere a nome della città fra Martino de Redin, gran priore di Navarra, che era stato chiamato da Malta a ricoprire la carica di luogotenente e capitano generale del Regno di Sicilia, in seguito alla morte del viceré Juan Téllez-Girón y Enríquez de Ribera duca d’Osuna. Nel 1658 fu maestro di campo nella giostra fatta a Palermo nel quadro dei festeggiamenti per la nascita del principe Filippo Prospero. Fu capitano di giustizia a Palermo nel 1661, governatore del Monte di pietà nel 1662, pretore della città nel 1667-68 e in questa veste partecipò come capo del braccio demaniale al Parlamento del 1668. Ricoprì ancora la carica di pretore di Palermo dal 30 maggio 1675 all’8 giugno 1676, in un periodo particolarmente critico, che si intreccia con la contemporanea rivolta di Messina (1674-78), che aveva provocato l’intervento militare francese in Sicilia e innescato una guerra con la Spagna.
Émile Laloy, sulla base principalmente di una informazione di Francesco Ventimiglia Guerrero al cardinale César D’Estrées nel settembre del 1675, scrive che mentre era pretore fu implicato insieme con Giuseppe e altri esponenti del casato in una congiura contro la Spagna ideata da Giovanni Battista Angelica e Giuseppe Raffa (Laloy, 1929-1931, I, p. 478, II, pp. 163, 199, 362, 590), ma tale affermazione non trova allo stato attuale delle ricerche riscontro diretto in altre fonti coeve.
Proprio durante la sua magistratura, nel 1675-76 l’ordine pubblico a Palermo fu però messo a dura prova dal timore per la presenza di armate nemiche nelle acque antistanti il porto in almeno due occasioni. Il 15 luglio, mentre a Palermo si celebravano i riti in onore della patrona s. Rosalia, giunse notizia dell’appressarsi nell’isola di Ustica di un’armata nemica di 80 vele e 14 galere. Il pretore e il Senato diedero mandato a Giuseppe, fratello di Francesco, di far presente all’arcivescovo di Palermo, don Giovanni Lozano, la maggiore autorità in assenza del viceré, e al sergente maggiore, José Bustos, l’opportunità di avviare le procedure di prevenzione e di fare ricorso all’artiglieria – che dal 1648 a seguito della rivolta era stata ritirata dai bastioni difensivi –, distribuendo anche le armi alle maestranze e coinvolgendo il popolo nella difesa della città, ma ne ottennero un rifiuto per ragioni di ordine pubblico. Mentre crescevano la preoccupazione e il malumore, il Senato temette che il popolo alla vista delle vele, che già si avvicinavano, potesse aprire le porte e consegnarsi al nemico per sottrarsi al sacco oppure pretendere «tumultuosamente con la forza» le armi e l’artiglieria «per difendersi l’honore, la vita e la robba»: di conseguenza, o si sarebbe persa la città, o si sarebbe corso il pericolo di un tumulto «con fuogo inestinguibile» (Archivio di Stato di Palermo, Real Segreteria, Incartamenti, vol. 25: Il duca di Santa Lucia al viceré, 26 luglio 1675). Queste furono le motivazioni che addusse a suo discarico il pretore per giustificare dinanzi al viceré, che lo aveva aspramente ripreso, la sua decisione – condivisa dal Senato (ibid.: Il Senato al viceré, 26 luglio 1675) – di distribuire le armi ai consoli delle maestranze nel numero di 3000 unità, ribadendo la necessità di assumere in tempi rapidi una determinazione in mancanza di ordini specifici, tanto più che l’arcivescovo era nei fatti venuto meno alle proprie responsabilità.
Dopo quattro giorni trascorsi ‘a vista’ della città, il nemico si ritirò. Ma un grave incidente doveva ancora turbare la quiete cittadina e preoccupare Santa Lucia. Secondo il racconto di Vincenzo Auria, il 18 luglio 1675 alcuni pescatori a guardia di Porta Felice catturarono cinque messinesi che alla Cala stavano fuggendo su una feluca e li condussero dinanzi al pretore, chiedendone la morte, e attirando nel frattempo una grande quantità di gente («più di due mila con le spade in mano, gridando la loro morte, volevano tutti salire entro il palazzo del pretore», V. Auria, Diario..., a cura di G. Di Marzo, 1869-1886, V, p. 309). Il pretore fece serrare le porte del palazzo e, temendo conseguenze peggiori, lasciò liberi i messinesi, ma il giorno successivo ordinò a tutte le maestranze la restituzione delle armi. Si era sfiorata la rivolta, per di più da parte di un popolo armato dal Senato e dal pretore. Probabilmente queste circostanze, che avevano suscitato il disappunto del viceré, gettarono qualche ombra su Santa Lucia, costringendolo a giustificare il proprio operato.
Se in quell’occasione il rischio corso da Palermo fu più presunto che reale, almeno in relazione al fronte esterno, l’anno successivo, invece, il 2 giugno 1676, la città fu in grave pericolo per la cruenta battaglia che si combatté nella zona antistante il porto, tra le armate alleate spagnole e olandesi e quella francese, comandata da Louis-Victor de Rochechouart duca di Mortemart e di Vivonne, nella quale morirono anche il generale dei vascelli di Spagna don Diego de Ibarra e il viceammiraglio dell’armata d’Olanda Jan den Haen (succeduto all’ammiraglio olandese Michiel Adriaanszoon de Ruyter).
Mentre si combatteva violentemente sul mare, la città all’interno era in fibrillazione anche per l’impossibilità, a causa del diniego dell’arcivescovo Lozano, di difendere i baluardi con l’artiglieria, malgrado le ripetute richieste del pretore, che intanto informava il viceré dell’imminente pericolo di uno sbarco dell’armata nemica, manifestandogli la propria preoccupazione. Soltanto dinanzi al precipitare della situazione, e dopo il diffondersi della notizia rivelatasi poi falsa che i francesi erano ormai entrati in città, finalmente l’arcivescovo consentì la distribuzione dei pezzi d’artiglieria mentre le cannonate francesi danneggiavano alcuni palazzi all’interno della cinta urbana.
Nei confronti dell’arcivescovo cresceva nel frattempo lo sdegno della popolazione: la protesta si allargò pericolosamente in città al punto che si scatenò un tumulto contro di lui, costringendolo a fuggire per salvarsi. L’intervento del pretore e del capitano di giustizia con l’appoggio della nobiltà e la collaborazione delle maestranze scongiurò il peggio. Stavolta il comportamento del duca ottenne la piena approvazione del viceré e del sovrano (Strada, 1682, p. 413); nel dicembre del 1676 l’arcivescovo veniva invece prudentemente allontanato da Palermo.
Santa Lucia morì, il luogo non è noto, nel 1684.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Palermo, Real Cancelleria, reg. 746 (a. 1666), c. 446rv; Archivio Trabia, I serie, voll. 78, cc. 551r, 850r-860r, 951v, 310, cc. 6r, 52r, 477, cc. 16r-17v, 439r-440v; Real Segreteria, Incartamenti, vol. 25, Il duca di Santa Lucia al vicerè, 26 luglio 1675, cc. n.n.; Il Senato al viceré, 26 luglio 1675, cc. n.n.; Palermo, Biblioteca comunale, Mss., 2Qq.E.166-167: M. Pluchinotta, Genealogie delle nobiltà di Sicilia (circa 1950), I-II, s.v. Branciforti di Leonforte; F. Strada, La clemenza reale. Historia della rebellione e racquisto di Messina, Palermo 1682, pp. 330-331, 408-413; V. Auria, Historia cronologica delli signori viceré di Sicilia, Palermo 1697, pp. 154 s., 158 s.; F.M. Emanuele e Gaetani, Della Sicilia nobile, II, Palermo 1757, p. 105, III, 1759, pp. 78, 80; Ordinazioni e regolamenti della Deputazione del regno di Sicilia, Palermo 1782, p. 345; V. Auria, Diario delle cose occorse nella città di Palermo e nel Regno di Sicilia dal dì 8 gennaio dell’anno 1653 al 1674, in Diari della città di Palermo dal secolo XVI al XIX, a cura di G. Di Marzo, I-XIX, Palermo 1869-1886, V, pp. 43 s., 306-310; Id., Memorie varie di Sicilia nel tempo della ribellione di Messina dal 2 gennaio del 1676 al 5 maggio del 1685, ibid., VI, pp. 29-54; Racconto del successo della battaglia navale, a 2 giugno 1676 in Palermo, ibid., pp. 361-370.
F. Guardione, La rivoluzione di Messina contro la Spagna, 1671-1680. Documenti, Palermo 1906, pp. 305-320; Id., Storia della rivoluzione di Messina contro la Spagna (1671-1680), Palermo 1907, pp. 239-241; F. San Martino de Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, II, Palermo 1924, p. 331, VII, 1931, p. 177; É. Laloy, La révolte de Messine, l’expédition de Sicile et la politique française en Italie 1674-78 , I-III, Paris 1929-1931, I , p. 478, II, pp. 157-165, 199, 359-362, 587-590; G.E. Di Blasi, Storia cronologica de’ vicere, luogotenenti e presidenti del Regno di Sicilia, I-V, Palermo 1790-1791, ed. anast. 1974-1975, III, pp. 277-279; L. Ribot, La Monarquía de España y la guerra de Mesina (1674-1678), Madrid 2002, pp. 585-596; G. Macrì, Logiche del lignaggio e pratiche familiari. Una famiglia feudale siciliana fra ’500 e ’600, in Mediterranea - ricerche storiche, I (2004), 1, pp. 9-30 (in partic. pp. 18, 21, 24-30).