Santa Sofia a Costantinopoli
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
All’interno di Santa Sofia a Costantinopoli – chiesa imperiale dotata di un cerimoniale speciale che prevede, nelle festività principali dell’anno liturgico, la partecipazione congiunta del patriarca e dell’imperatore – la lettura dei pannelli musivi contribuisce a farci comprendere il ruolo rappresentativo del sovrano. L’immagine di due dei mosaici, l’uno appartenente all’epoca macedone, l’altro legato alla dinastia comnena, è riproposta secondo un identico schema iconografico e i volti stilizzati acquistano un’espressione severa e ascetica. Il sovrano riveste le insegne della potestà regale e diviene immagine cerimoniale istituzionalizzata del Signore Dio in terra.
Santa Sofia a Costantinopoli, in quanto chiesa episcopale della città, quale megale ekklesia per il patriarca ecumenico, nonché chiesa imperiale, viene dotata di un cerimoniale speciale che prevede, nelle festività principali dell’anno liturgico, la partecipazione congiunta del patriarca e dell’imperatore, comportando l’inserimento del rituale di corte all’interno del luogo di culto. Il sovrano, rivestendo le insegne della potestà regale e assumendo qualità e virtù del Creatore Supremo, diviene immagine cerimoniale istituzionalizzata del Signore Dio in terra. Da una fonte quale il De ceremoniis Aulae Byzantinae scritta dall’imperatore macedone Costantino VII Porfirogenito, apprendiamo che secondo il cerimoniale di corte il sovrano e tutto il suo entourage sono soliti seguire la liturgia da uno spazio a loro riservato presso la tribuna meridionale di Santa Sofia, che alcuni studiosi identificano come il metatorion.
I pannelli musivi che ancora oggi possiamo ammirare sulla parete orientale della galleria meridionale, divengono per noi mezzo per pervenire a una prima interpretazione del rituale bizantino; nonostante un divario cronologico li separi nettamente, entrambi, nel trattare il tema della philanthropia adottano un identico schema iconografico, forse nel segno della continuità delle virtù imperiali. Quello collocato alla sinistra di chi guarda, appartiene alla più tarda decorazione musiva costantinopolitana di epoca macedone. Cristo benedicente è assiso in trono, mentre Costantino IX Monomaco e l’imperatrice Zoe sono a Lui rivolti nell’atto di offrire doni per la Grande Chiesa: Costantino porge al Signore un apokombion (una borsa contenente all’incirca tre chili di monete d’oro), mentre l’imperatrice presenta una pergamena nella quale sono probabilmente elencate le sue donazioni o i privilegi concessi alla chiesa di Santa Sofia. Sui volti si possono osservare tracce di alterazione del tessuto musivo, dovute alla sostituzione di precedenti immagini. Il caso del volto di Costantino, di sicura sostituzione, per damnatio memoriae o per semplice appropriazione dello spazio visuale, di quello di uno dei primi due mariti della Porfirogenita, è l’esempio significativo del potere ideologico che potevano avere le immagini a quel tempo. Discussa, invece, è la ragione dell’alterazione dei volti di Zoe e di Cristo.
La coppia imperiale, seguendo l’usanza di corte bizantina, veste divitision e loros dorati e ornati con perle e pietre preziose (indossati nello specifico a Pasqua e Pentecoste in quanto il loros allude al lenzuolo funebre simboleggiante la morte e resurrezione di Cristo), così come le corone, kameláukion e modíolos, riflesso dell’aulico sfarzo imperiale. La composizione ha una struttura solenne e la stessa rigidità delle pose sembra riflettersi anche nei ritratti trattati piuttosto convenzionalmente. Zoe, ad esempio, che al momento delle sue terze nozze aveva 64 anni, è raffigurata come un’affascinante giovane donna sulla quale il tempo non ha avuto potere alcuno. Anche dal volto di Costantino traspaiono non tanto le sue qualità individuali, quanto un preciso ideale di forza e virilità, un aspetto austero che si accosta a quello del Cristo. Lo spiritualismo predomina definitivamente, le figure diventano immateriali, i volti acquistano un’espressione severa e ascetica, soggetti a una forte stilizzazione lineare e caratteristica al riguardo appare la lavorazione degli zigomi mediante linee ricurve per far risaltare la rotondità delle forme. La gamma cromatica perde le sfumature impressionistiche tipiche dell’epoca preiconoclasta, diventando compatta e densa, simile a preziose leghe smaltate. Il XII secolo e la nuova temperie figurativa legata alla dinastia comnena si aprono con un altro pannello musivo (1118), anch’esso un ex voto. La Vergine che tiene dinanzi a sé il Bambino è affiancata da Giovanni II Comneno e dalla consorte Irene, figlia di Ladislao re d’Ungheria, entrambi presentano le medesime offerte dei loro predecessori. La coppia ripropone le stesse insegne imperiali del mosaico precedente, questo a confermare quanto la liturgia d’immagine della corte imperiale fosse rigida. Su uno dei lati del pilastro adiacente viene aggiunto il ritratto del figlio dell’imperatore, Alessio, allorquando Giovanni lo associa al trono nel 1122. Uno stile solenne e alquanto distaccato pervade le figure, immobili nei loro gesti prestabiliti, sacre nella loro disposizione frontale. L’elemento predominante ancora una volta è la linea sottile, astratta, stilizzata, e che in questo pannello musivo riesce ancor più a neutralizzare i volumi, accentuando forme piatte, fragili e lineari specialmente nei volti imperiali eseguiti con perizia calligrafica, dove anche il rossore del viso è reso con fini tratteggi. Nei volti della Vergine e del Bambino si è tentato di dare rotondità alle forme assegnandogli, invece, una dimensione più intensamente umana.
Di qualità straordinariamente alta è il mosaico con la Deesis campito nella parete occidentale della tribuna sud, poco lontano dai pannelli imperiali. Ritenuto talora frutto maturo del percorso artistico di epoca comnena sulla base di alcuni confronti con i mosaici dell’abside di Cefalù (1148) e con l’icona della Vergine di Vladimir della prima metà del XII secolo, il pannello musivo è da datare probabilmente al terzo quarto del XIII secolo, dopo il 1261. A tale data sarebbe comprensibile come atto devozionale della nuova dinastia regnante dei Paleologhi, come gesto di ringraziamento per aver strappato la città ai latini. Il pannello assume artisticamente un ruolo di apertura nei confronti del nuovo corso paleologo, in cui vengono da un lato ripresi i modelli antichi, come qui avviene per la figura del Cristo, o nel motivo a pelte del fondo oro; dall’altro guardando ai grandi modelli classicisti comneni, lavorando sul disegno e sul colore, ottenendo esiti stilistici e pittorici assai raffinati e del tutto innovativi. La composizione che rappresenta la preghiera d’intercessione che la Madre e Giovanni Battista rivolgono a Cristo è trattata con ampio respiro e grande armonia, nei volti appare la profonda spiritualità tardobizantina, lavorati tanto minuziosamente da percepire il pathos trattenuto e umanissimo della Theotokos e del Prodromos, così come la misericordia del Cristo benedicente. Le ombre possiedono una profonda trasparenza, i passaggi dalle luci alle ombre sono quasi inafferrabili, tessere bianche e rosa dalle tenui sfumature vengono utilizzate nelle zone maggiormente in luce. Gli autori del mosaico si compiacciono di arricchire il colore base delle vesti con una serie di toni complementari grazie ai quali la gamma cromatica acquista un’insolita morbidezza, una particolare eterea leggerezza. Il fondo oro contribuisce, inoltre, a porre le tre figure fuori dal tempo e dallo spazio, avvolgendole nello splendore di una luce celestiale.