SANTI di Tito
SANTI di Tito (Santi Titi, Santi di Tito Titi). – Nacque a Firenze il 5 dicembre 1536, nel popolo di San Michele Visdomini, da Maria d’Andrea di Benaccio e da Tito di Santi di Bartolomeo dal Borgo a Sansepolcro (m. 1555), velettaio in via dei Servi, dove si era trasferito prima del 1535 (Belluzzi - Belli, 2016, pp. 45 s.).
Provenendo da un’antica famiglia biturgense, il pittore è spesso definito nei documenti «Santi di Tito dal Borgo», ingenerando confusione sul luogo di nascita. Nel 1567 si sposò con Agnoletta di Luca Landucci (m. 1604), ed ebbe numerosi figli: Tito (n. 1572), Tiberio (1573-1627), Orazio (n. 1575), Girolamo (n. 1577), Pandolfo (n. 1592), Caterina e suor Maria Benedetta. Dopo il 1578, abitò nella casa-studio di via delle Ruote da lui progettata. Pittore, architetto e grande disegnatore, dotato di un’organizzata bottega, fu il caposcuola del rinnovamento antimanierista della pittura fiorentina, in linea con gli orientamenti controriformistici.
Menzionato ancora vivente da Giorgio Vasari (VI, 1568, 1987, p. 244) e da Raffaello Borghini (1584, p. 619), fu Filippo Baldinucci a redigerne la prima biografia (II, 1681-1728, 1846), mentre si deve a Günther Arnolds (1934) il primo moderno studio monografico su di lui. Ancora in parte da chiarire è la formazione. Sappiamo che il 18 ottobre 1554 fu ammesso alla Compagnia di S. Luca, e che nel 1555 è citato in relazione a Vasari (Collareta, 1977, p. 353) e iniziò un proprio libro di conti (Brooks, 2002, p. 281). Le fonti, benché ricordino come primo maestro Bastiano da Montecarlo, artista di secondo piano allievo di Raffaellino del Garbo, danno rilievo alla frequentazione di Agnolo Tori, detto il Bronzino, che lo avrebbe «introdotto nell’arte della pittura», e di Baccio Bandinelli, da cui ebbe «molti avertimenti nelle cose del disegno» (Borghini, 1584, p. 619).
L’accostarsi alla bottega di Tori dovette orientare Santi verso una delicata pittura di valori su forme di depurata bellezza, mentre Bandinelli poté essere tramite sia per quel tirocinio grafico praticato nella sua bottega-accademia, sia per certe notazioni anatomiche di filtrato michelangiolismo delle opere giovanili.
Verso il 1558 la prima opera documentata, il completamento dell’Adorazione dei Magi – lasciata interrotta da Sogliani – per Sinibaldo Gaddi in S. Domenico a Fiesole, rivela i contatti con l’ambiente domenicano della scuola di S. Marco e la tradizione fiorentina primocinquecentesca.
Un’importanza decisiva ebbe il lungo soggiorno dell’artista a Roma (Collareta, 1977, pp. 353-357; Bastogi, 1998-1999). Qui è documentato tra il 1561 e il 1564, ma vi giunse probabilmente prima del 1560, entrando in contatto con la bottega di Taddeo Zuccari, frequentata anche dal fratello di questi, Federico, e da Federico Barocci. Santi non si dedicò solo allo studio, ma ebbe commissioni di rilievo. Per il cardinale fiorentino Bernardo Salviati, dipinse diverse opere, di cui rimangono gli affreschi della cappella del palazzo alla Lungara con gli Evangelisti, Allegorie religiose ed Episodi della vita di s. Pietro e s. Paolo nella volta, e la Crocifissione sulla parete di fondo. Fra il 1561 e il 1563, lavorò nel Casino di papa Pio IV in Vaticano, con Federico Zuccari e Barocci, affrescando la volta sulla scala con Storie della Vigna, Allegorie delle Stagioni fra decorazioni a grottesca e la perduta sala al primo piano con l’Assunzione della Vergine.
Santi vi appare già pittore autonomo, con un originale linguaggio di chiara leggibilità compositiva, vivace e dal fresco piglio esecutivo, in cui sono evidenti sia la componente bronzinesca e il recupero narrativo di Andrea del Sarto, sia gli aggiornamenti romani rivolti al tardo Raffaello e all’interpretazione datane da Taddeo Zuccari.
Le idee riformatrici di papa Pio IV e del cardinale Carlo Borromeo, negli anni cruciali della svolta controriformistica, e la spiritualità di Filippo Neri furono determinanti per indirizzarlo verso una nuova concezione dell’arte sacra. L’importanza di Taddeo è palese nell’evoluzione verso quella pittura di storia d’impianto monumentale e coinvolgente narratività che caratterizza la commissione più prestigiosa: i quattro riquadri affrescati tra il 1562 e il 1563 nella sala grande del Belvedere vaticano con Storie di Nabucodonosor. Si evidenziano l’Omaggio al popolo, per la chiarezza compositiva che disciplina i residui salviateschi e bandinelliani, e l’Insania di Nabucodonosor, per le novità nella struttura spaziale, nella naturalezza dei corpi e nell’espressione degli affetti.
Tornato a Firenze, il 17 giugno 1564 Santi s’iscrisse all’Accademia del disegno, nella quale rivestì poi numerose cariche (Gli Accademici del Disegno, 2000). Per le esequie di Michelangelo dipinse con successo la perduta tela con Francesco I incontra il vecchio artista e partecipò alle altre imprese decorative dirette da Vasari: nel 1564, per un breve periodo risulta tra i suoi aiuti in Palazzo Vecchio, e nel 1565, per i perduti apparati delle nozze di Francesco I, eseguì la decorazione del teatro ligneo di piazza S. Lorenzo per Paolo Giordano I Orsini e tre scene con Giochi e Baccanali per l’arco di piazza della Signoria.
Prima del 1568 dipinse due pale, precoci manifesti di una pittura sacra rispondente ai nuovi orientamenti postridentini, che si riallaccia programmaticamente ai precedenti di pittura devota primocinquecentesca. Una è la Sacra conversazione per la famiglia spagnola Aldana in Ognissanti, in cui i riferimenti ad Andrea del Sarto e a Fra Bartolomeo non precludono il naturalismo dei santi inginocchiati e i ricordi zuccareschi e barocceschi nella sorridente vivacità degli angioletti. L’altra è l’Adorazione dei pastori di s. Giuseppe, per i Guardi, dove il colorito naturale e gli effetti di luce notturna rendono con semplice e sacrale intensità una scena di rustico naturalismo. I corpi rivelano lo studio grafico dal modello naturale, che diviene per Santi mezzo di riappropriazione di una normalità rappresentativa, di coerenza anatomica ed efficacia espressiva, elemento distintivo della sua riforma antimanierista; un’attività di quotidiano tirocinio, ricordata da Baldinucci e documentata dal vasto corpus di disegni (Lecchini Giovannoni, 1984; Disegni di S. di T., 1985).
Già prima del 1568 Vasari menziona «molti quadri di Madonne» per committenti privati (VI, 1568, 1987, p. 244), e tali opere «innumerabili» (Baldinucci, 1681-1728, II, 1846, p. 539), testimoniate anche dalla grafica, si scalano lungo tutta la carriera, variando o replicando le composizioni, spesso con il contributo della bottega. Prevale in esse la rappresentazione del legame affettivo tra i personaggi in un’atmosfera di commossa tenerezza, che rilegge suggestioni da molteplici modelli. Fra queste, la giovanile Madonna con il Bambino e i ss. Bartolomeo e Romualdo, per l’eremo di Camaldoli, la Sacra famiglia con s. Giovannino e s. Elisabetta di collezione privata (Lecchini Giovannoni, 1997, p. 209, n. 163), le tre versioni della Madonna con il Bambino e s. Giovannino del Metropolitan Museum of art di New York, del Museo di Casa Martelli a Firenze e di collezione privata, databili agli anni Settanta, e la Sacra famiglia con s. Giovannino e s. Elisabetta, del Museo archeologico e d’arte della Maremma a Grosseto, datata 1601. Nel 1568 l’artista entrò a far parte della Compagnia di S. Tommaso d’Aquino (Baldinucci, 1681-1728, II, 1846, p. 538), fondata due anni prima da Santi Cini (Bittarello, 1976-77), ed esordì in campo architettonico costruendone l’oratorio in via della Pergola (Belluzzi - Belli, 2016, pp. 51-54). L’edificio è improntato a criteri di funzionalità e sobrietà, vi si riscontra un recupero di elementi quattrocenteschi e primocinquecenteschi insieme a soluzioni più moderne e originali e una visione unitaria di architettura e pittura, che contraddistinse in seguito molti interventi di Santi.
Benché la sua attività di architetto, ricordata già da Baldinucci (II, 1681-1728, 1846, p. 545), sia stata solo in tempi più recenti oggetto di un’adeguata attenzione critica (Chiarelli, 1939; Belluzzi - Belli, 2016), essa si svolse con coerenza per tutta la carriera, allineandosi con la pittura nella ricerca di un linguaggio colto e raffinato ma di chiara sobrietà formale legata alla nuova etica religiosa, che, allontanandosi dalla maniera nel limitato uso di elementi grotteschi e naturalistici, utilizza diversi registri compositivi in cui convivono recuperi arcaizzanti della tradizione cittadina, peculiare utilizzo del repertorio tardocinquecentesco e nuove invenzioni (Belluzzi - Belli, 2016, pp. 120 s.). La sua perizia trova riscontro nelle innovative costruzioni spaziali dei dipinti e nell’attenzione in essi riservata agli spazi urbani e alle architetture, sempre realisticamente definite.
Nel 1569 Santi affrescò l’Assunzione della Vergine, nel tabernacolo di Antonio Vecchietti a Poggio Secco, e all’inizio del nuovo decennio si affermò a Firenze sia nell’affresco sia nella pittura su tavola, marcando la sua originalità nelle imprese decorative a più mani. Nel 1570-71 partecipò con la Costruzione del Tempio di Salomone all’affrescatura della cappella dei Pittori alla Ss. Annunziata (Bailey, 2002).
Nel riquadro, allegoria dell’architettura, la chiara disposizione per diagonali di personaggi ed edifici rompe la composizione a fregio del manierismo e recupera la chiarezza narrativa di Sarto. Fra i volti di architetti lì ritratti, che denotano l’abilità già raggiunta in tale genere, egli pose significativamente anche il suo.
Nel 1571-72, per la decorazione dello studiolo di Francesco I in Palazzo Vecchio, diretta da Vasari, eseguì i due pannelli mitologici con La scoperta della porpora e La creazione dell’ambra e un terzo con il Passaggio del Mar Rosso, distinguendosi nettamente per un approccio al tema profano più vero e cordiale, nei corpi sodi e carnosi che elaborano con naturalezza i richiami all’antico, a Raffaello e a Zuccari, nella vivacità delle espressioni, nel colorito caldo e naturale. Nelle opere di tale genere, alcune delle quali perdute ma ricordate dalle fonti, Santi superò artificiosità e licenziosità tardomanieriste, per rivolgersi piuttosto a insegnamenti morali, come nei successivi dipinti con la Fatica, dei primi anni Ottanta (Falciani, in Il Cinquecento a Firenze..., 2017, n. V.7), con Erminia tra i pastori (collezione privata), primo esempio del tema tassiano, e con la Temperanza, brano superstite del ciclo di villa Strozzi al Boschetto (1587-88).
Nei primi anni Settanta avvenne presumibilmente il viaggio a Venezia, citato dalle fonti, a seguito di Roberto Strozzi, che avrebbe messo in contatto Santi con Tiziano e altri celebri artisti e che poté suggerirgli nuove soluzioni compositive, più larghe aperture paesistiche e preziosità cromatiche, come quelle del grande affresco con la Cena in casa del Fariseo nel refettorio della Ss. Annunziata, databile verso il 1573, nel quale orchestrò la scena entro un ambiente aperto da una monumentale serliana e, riallacciandosi a Veronese, rinnovò la tradizione dei cenacoli fiorentini. Prossimo è l’Angelo e Tobiolo per S. Marco, ora in Saint-Eustache a Parigi.
Nel 1573 Santi divenne ‘maggiore’ della Compagnia di S. Tommaso d’Aquino. La condivisione del pensiero religioso dell’ambiente ‘riformato’ dei domenicani, da cui provenivano anche molti suoi committenti (Bittarello, 1976-77; Kai, 2002 e 2005) e gli indirizzi della chiesa riaffermati dal Sinodo fiorentino del 1573, rafforzarono la sua concezione della pittura sacra «honesta e divota», aderente alle sacre scritture, chiara nella raffigurazione dei concetti religiosi e di accostante e affettuosa comunicativa. Santi, che aveva affrescato la volta della cappella dell’oratorio con una perduta Estasi di s. Domenico, in quella occasione, «per sua devozione» (Baldinucci, 1681-1728, II, 1846, p. 538), dipinse la pala d’altare, ora agli Uffizi, con il Bene scripsisti de me Thoma, punto di svolta per la capacità di restituire i contenuti dottrinali eucaristici e il tema della visione con illusiva aderenza naturalistica.
Seguirono tre capolavori di prestigiosa destinazione pubblica, nell’ambito del rinnovamento postridentino di S. Croce e S. Maria Novella. Qui l’unitarietà della progettazione vasariana e la presenza di tutti i pittori dell’Accademia evidenziano Santi quale protagonista a Firenze della svolta antimanierista, in anticipo su altri centri italiani. Nella Resurrezione per l’altare Medici di S. Croce (1573-74), egli si misurò con i precedenti di Vasari e Bronzino e, pur richiamandosi a quest’ultimo, si riallacciò al Raffaello della Trasfigurazione e a Taddeo Zuccari, creando un’invenzione nuova per fedeltà al testo sacro, incisivo uso della luce, coinvolgente illusionismo spaziale e audace realismo nel brano dei soldati dormienti (Bastogi, in Il Cinquecento a Firenze..., 2017, n. III.5, p. 126). Fin da Borghini, sono state evidenziate le novità cromatiche e luministiche della Cena in Emmaus del 1574 per il successivo altare Berti, di un più caldo e acceso naturalismo. L’ampio loggiato aperto sul paesaggio e posto di sbieco introduce lo spettatore e dà un metro monumentale alla scena feriale, favorendo l’articolata macchiatura delle ombre e i larghi controluce. Nella Resurrezione di Lazzaro del 1576 per S. Maria Novella, completata dal tondo con il Padreterno e angeli, ora nel convento, alla ricchezza del colore si aggiunge un eloquio più solenne nella classica ponderatezza di Cristo, nei richiami ai cartoni per gli arazzi di Raffaello, nei gesti eloquenti e ripetuti, e si rileva una consonanza con Federico Zuccari che, a Firenze per gli affreschi della cupola di S. Maria del Fiore, fu in contatto con Santi, in rapporto di reciproco scambio (Gregori, 1989, p. 280). Contigua è l’Incredulità di s. Tommaso per l’altare Brunetti nel duomo di Sansepolcro.
Esempi della seconda metà degli anni Settanta, in cui Santi rinnovò l’interpretazione di molti soggetti sacri, creando indiscussi modelli, sono, inoltre, la Pentecoste di Dubrovnik (1575), ispirata alle incisioni di Dürer, fonti anche per la Circoncisione di Casciana (Pisa), del 1579; il Cristo in casa di Marta e Maria (1575) per la Compagnia di Treggiaia, oggi nel Museo diocesano di arte sacra di Arezzo, e l’Incredulità di s. Tommaso (1577) del duomo di Sansepolcro; la feriale Natività della Vergine, proveniente da Montevarchi e ora nel museo di Arezzo, già attribuita al figlio Tiberio, e le due intense tele di Scrofiano, l’Annunciazione e il Compianto con s. Francesco, verso il 1575.
Qui gli esempi normativi di Andrea del Sarto e Fra Bartolomeo sono riletti con la volontà di evidenziare il miracolo del concepimento divino e il tema eucaristico in composizioni equilibrate, con figure unite da un silente afflato sentimentale, in un’elegiaca consonanza di toni con il paesaggio.
Il tema della presentazione del corpo di Cristo fu spesso trattato da Santi in diverse varianti grafiche e pittoriche della Pietà, del Compianto e della Deposizione dalla croce, come il dipinto per S. Caterina a Pisa, la concitata tavola di Minneapolis, il Cristo in pietà del Museo civico di Sansepolcro, concepito come un quadro nel quadro svelato ai fedeli, o il Compianto della Galleria dell’Accademia (ante 1587), proveniente dalla cappella della Fortezza da Basso, con il committente spagnolo Hernando Sastre (Plaza, 2015). Del 1579 è l’Assunzione della Vergine al Carmine di Pisa, per i Berzighelli, con la visione d’angolo del sepolcro che accentua la profondità e la veduta della cupola fiorentina.
Santi si valeva ormai di un’organizzata bottega per far fronte alle crescenti richieste delle chiese di Firenze e del territorio, come di altre città toscane. La sua tecnica pittorica alterna brani di preziosa resa ottica a un ductus più veloce e quasi abbozzato, con l’utilizzo della preparazione bruna per i mezzi toni, recependo anche suggerimenti extrafiorentini. Nel 1578 il suo status acquisito di cittadino fiorentino fu esplicitato dalla costruzione di una nuova casa-studio in via delle Ruote.
In origine arricchita di affreschi all’interno, essa riflette le sue concezioni architettoniche e si connota in facciata per una sobria regolarità in favore della quale s’impiegano anche elementi peculiari come gli stipiti obliqui del portone (Belluzzi - Belli, 2016, pp. 58-72).
Fra il 1581 e il 1584, per i domenicani, partecipò alla decorazione del Chiostro Grande di S. Maria Novella, con cinque lunette delle Storie di s. Domenico. Santi accedé qui a un’impostazione più semplificata e simmetrica, di didascalica chiarezza, rivolgendosi al Sarto del Chiostrino dei Voti nella Ss. Annunziata, ai pittori della scuola di S. Marco, e mostrando persino un gusto neoquattrocentesco per la prosa del Ghirlandaio. Ciò è evidente nell’Apparizione degli angeli alla mensa di s. Domenico, che ha un precedente in Giovanni Antonio Sogliani a S. Marco, nelle quinte di architetture e figure dell’Incontro fra s. Domenico e s. Francesco, e nella dualistica divisione della zona empirea nella Morte del santo, con i ritratti dei frati e di Savonarola, per arrivare all’Apparizione di Pietro e Paolo, in un interno architettonico analogo a S. Maria Novella e all’ampia veduta del S. Domenico salva i pellegrini naufraghi, commesso dal console spagnolo Lesmes de Astudillo. Semplicità e arcaicità d’impostazione devozionale connotano molti dipinti degli anni Ottanta, come la pala per S. Maria del Soccorso a Prato (1582), che incornicia un’antica immagine della Madonna con i Doni dello Spirito Santo e angeli adoranti con i misteri della Vergine; la pala di Città di Castello con l’Imposizione delle mani da parte di Pietro e Giovanni, di una volontà illustrativa che combina tipi e personaggi già sperimentati; l’Immacolata Concezione e santi di Volterra; l’Effusio sanguinis di Tavola (Prato), del 1584. Di più concitata vivacità è l’Entrata di Cristo a Gerusalemme del 1581 per l’altare Strozzi in S. Bartolomeo a Monte Oliveto (Firenze), che mostra l’attenzione di Santi ai diversi tipi umani e alla resa degli affetti nelle storie sacre, così come celebrata dalle fonti per il colorito e la novità d’invenzione era la perduta Natività con i pastori (ante 1584) per la famiglia Michelozzi al Carmine a Firenze. Nella seconda metà del decennio si collocano il S. Francesco di Paola guarisce uno storpio in S. Giuseppe e, tra questo e il decennio successivo, molte opere di tema mariano con la Madonna in gloria e santi o la Madonna del Rosario, quali le pale di Dicomano, di Santo Stefano al Ponte e di San Piero in Palco a Firenze, spesso realizzate con l’aiuto della bottega, o quelle con l’Assunzione della Vergine, fra cui il dipinto di Fagna (Scarperia), del 1587.
Benché tali riproposizioni iconografiche continuino nella produzione successiva, dalla fine degli anni Ottanta vi è nelle opere maggiori una più mossa articolazione compositiva basata su effetti più veri di luce e colore, sotto la spinta delle ricerche di giovani artisti come il Cigoli, Gregorio Pagani, Andrea Boscoli, il Passignano, che avviavano la svolta pittorica di fine secolo in linea con gli orientamenti del nuovo granduca Ferdinando I (Gregori, 1989, p. 285). Ne è specchio il S. Nicola da Tolentino vincitore delle tentazioni del demonio (1588), dipinto per S. Jacopo tra Fossi a Firenze e ora nel Museo civico di Sansepolcro, e la Crocifissione di S. Croce per gli Alamanneschi, del 1588, in cui la dinamica caratterizzazione del gruppo dei soldati si avvicina agli studi per gli apparati delle nozze granducali del 1589. Per l’ingresso a Firenze di Cristina di Lorena l’artista, infatti, fu il responsabile della realizzazione architettonica dell’arco al Canto de’ Carnesecchi, di una semplice monumentalità che privilegiava il chiaro inquadramento delle storie dipinte, eseguendo di sua mano le perdute tele con la Presa di Gerusalemme e con Goffredo di Buglione eletto generale della prima crociata, e fornendo il disegno per Goffredo di Buglione eletto primo re di Gerusalemme, tela realizzata da Tiberio; le invenzioni dei dipinti, tramandateci da disegni e incisioni, attestano l’importante contributo dell’artista al rinnovamento del genere della battaglia (Bastogi, 2009b, pp. 113-116). Probabilmente nella stessa occasione egli affrescò anche gli Angeli musicanti sulla controfacciata del duomo. Tale indirizzo è confermato dalla macchiatura del colore e delle ombre in tele come la Moltiplicazione dei pani e dei pesci (1592) per la chiesa dei Ss. Gervasio e Protasio. Particolare importanza per l’attività architettonica riveste l’attribuzione a Santi della villa di Agostino e Baccio Dini ai Collazzi, edificata tra la fine degli anni Ottanta e il 1596 (Belluzzi - Belli, 2016), che si caratterizza per l’impianto a U con il prospetto traforato da due logge sovrapposte e che rivela l’adozione di un registro di maggiore magnificenza e varietas che arricchisce il lessico consueto. Per la cappella, l’artista firmò nel 1593 la pala d’altare con le Nozze di Cana, in cui rimeditò esempi veneti nella composizione e nella cromia e introdusse, grazie alla destinazione privata, maggior ricchezza ed eleganza decorative.
In questi primi anni Novanta Santi alternò opere dal carattere più illustrativo, come il Miracolo di s. Clemente per l’omonima chiesa fiorentina, ora nel Museo civico di Sansepolcro, e la Resurrezione di Lazzaro del duomo di Volterra, a veri e propri capolavori in cui riprese le ricerche degli anni Settanta, sperimentando con maggior integralità gli effetti della luce naturale e di quella artificiale per una verosimiglianza dal potente effetto illusionistico, con esiti vicini alla pittura spagnola, che preludono al Seicento. Ne sono un esempio gli intensi notturni dell’Orazione nell’Orto di S. Maria Maddalena de’ Pazzi a Firenze (1591), delle Stigmate di s. Francesco per la chiesa del santo a Pisa (1592), e la Visione di s. Tommaso, del 1593, per S. Marco, in cui dà vita a una sorta di sacra rappresentazione dalla peculiare iconografia utilizzando l’illusionistico effetto del quadro nel quadro e la limpida intensità della luce per esplicitare al fedele il messaggio dottrinale eucaristico e il tema della visione di cui la pittura è tramite (Dekoninck, 2016; Bastogi, in Il Cinquecento a Firenze..., 2017, n. VII.1, p. 324). Seguirono opere come la Madonna con il Bambino in gloria e santi della pieve di Montevettolini (Pistoia, 1595), l’Adorazione dei Magi per S. Donato dei Vecchietti (1596), oggi a Krzeszowice in Polonia, la Pentecoste della Chiesa dello Spirito Santo a Prato (1598). Il S. Gerolamo penitente del 1599, inviato a S. Giovanni dei Fiorentini a Roma, esprime un intenso naturalismo luministico, che, nella tagliente verosimiglianza dell’ambientazione, dialoga con le esperienze romane più avanzate.
Dagli anni Novanta si intensificarono anche gli interventi architettonici. Fra i più significativi, il tempietto ottagonale di S. Michele a Semifonte in Val d’Elsa, concluso nel 1597. Progettato in stretto rapporto con il committente, il canonico di S. Maria del Fiore Giovan Battista Capponi, è inquadrato da un ordine tuscanico-dorico e coronato da una cupola ogivale che rimanda al modello brunelleschiano (Belli, 1997). Seguì il convento di S. Michele a Doccia a Fiesole, all’inizio del Seicento, quando iniziarono anche i lavori a villa Le Corti a San Casciano per Bartolomeo Corsini. Allo scorcio della sua carriera risalirebbero gli interventi in palazzo Dardinelli e allo scalone di palazzo Strozzi Nonfinito a Firenze, alla villa Spini di Peretola (Belluzzi - Belli, 2016), all’oratorio di palazzo Vivorati a Prato. Per quest’ultimo nel 1600 realizzò la pala La Madonna assunta dona la cintola a s. Tommaso (collezione Intesa Sanpaolo), cui seguì l’Assunta in S. Stefano dei Cappuccini ad Arezzo (1601). Una più nitida attenzione paesistica si rivela nell’ampia veduta della Moltiplicazione dei pani e dei pesci per la cappella di villa Spini, datata 1603, ma, come ci testimonia l’inventario dei beni dell’artista dopo la morte (Brooks, 2002), rimasta allo stato di abbozzo e conclusa dal figlio Tiberio, così come la Deposizione per don Giovanni de’ Medici, ora nel Museo nazionale di San Matteo di Pisa, e l’Ultima cena per la cappella Serragli in S. Marco, dove Santi, responsabile della progettazione, aveva iniziato ad affrescare anche la volta con cinque Virtù. La luce come veicolo di verosimiglianza e simbolica manifestazione del divino è la protagonista dell’ultima opera dell’artista, databile al 1603, l’Annunciazione di S. Maria Novella, per i Vecchietti, in un interno domestico, dove l’angelo ha una fiorita eleganza e una sonorità d’impianto già seicentesche.
Un posto di riguardo nella carriera di Santi ebbero i ritratti, che eseguì in gran numero «con gran facilità e somigliantissimi dal vivo» (Baldinucci, 1681-1728, 1846, p. 540), come confermano le fonti e le citazioni negli inventari, anche se il frequente utilizzo della bottega ne determinò l’alterna qualità. Santi innovò il genere unendo alla verità fisionomica la vivacità sentimentale ed espressiva dei personaggi, passando dal registro aulico a quello feriale e affettuoso, e allargando sia la committenza a ceti diversi sia i soggetti, dagli anziani ai bambini, al ritratto familiare (La pala di Santi di Tito..., 2002). Ne sono esempi già noti alla critica il Ritratto della piccola Lucrezia di Niccolò Gaddi, del 1577, e il Ritratto di gentildonna con la figlia, della metà anni Settanta, passati sul mercato; il Ritratto della giovane Caterina de’ Pazzi, del 1583; il Don Pietro de’ Medici agli Uffizi, dipinto verso il 1586; il Ritratto di gentiluomo della famiglia Passerini con il figlio (collezione Intesa Sanpaolo); il Ritratto di famiglia di un cavaliere di S. Stefano (National Gallery di Dublino). Già attribuiti a Tiberio, che dalla seconda metà degli anni Novanta acquistò un ruolo importate nella bottega dedicandosi molto al ritratto, ma da restituire al padre, con la probabile collaborazione del figlio, sono il Ritratto dei figli di Virginio Orsini (1597), al Museo nazionale di Palazzo Venezia a Roma, e il Ritratto di Filippo, Marcantonio, Orazio e Luigi Magalotti (1601).
Santi morì il 25 luglio 1603 lasciando eredi i cinque figli maschi, fra i quali Tiberio e Orazio, che ne continuarono l’attività (Arnolds, 1934, p. 75; Brooks, 2002, p. 279). Fra i suoi allievi si ricordano Antonio Tempesta, Pagani, Boscoli, Agostino Ciampelli, Ludovico Buti.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite... (1550 e 1568), a cura di R. Bettarini - P. Barocchi, V, Firenze 1984, p. 562, VI, 1987, pp. 137, 244; R. Borghini, Il Riposo, Firenze 1584, pp. 106, 115 s., 187, 198, 205, 619-623; F. Bocchi, Le bellezze della città di Fiorenza..., Firenze 1591, passim; F. Baldinucci, Notizie dei professori... (1681-1728), a cura di F. Ranalli, II, Firenze 1846, pp. 534-554; G. Arnolds, S. di T., pittore di Sansepolcro, Arezzo 1934 (con bibl. precedente); R. Chiarelli, Contributi a S. di T. architetto, Firenze 1939; V. Bittarello, S. di T. e la Congregazione di S. Tommaso d’Aquino nel quadro della religiosità fiorentina del Cinquecento, tesi di laurea, Università degli studi di Firenze, a.a. 1976-77; M. Collareta, Tre note su S. di T., in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, s. 3, VII (1977), 1, pp. 351-369; K. Langedijk, The portraits of the Medici 15th-18th centuries, I, Firenze 1981, II, 1983, III, 1987, passim; J. Spalding, S. di T., New York 1982 (con bibl. precedente); S. Lecchini Giovannoni, Studi e disegni preparatori di S. di T., in Paragone, XXXV (1984), 415, pp. 20-36; Disegni di S. di T. (1536-1603) (catal.), a cura di S. Lecchini Giovannoni - M. Collareta, Firenze 1985 (con bibl. precedente); M. Collareta, S. di T., in Il Seicento fiorentino (catal.), a cura di M. Gregori - P. Bigongiari, Firenze 1986, pp. 161-163; M. Gregori, La pittura a Firenze nel Seicento, in La pittura in Italia. Il Seicento, a cura di M. Gregori - E. Schleier, I, Milano 1989, pp. 279-324; A. Natali, Il “divoto” e il pittore di “sacra historia”. Bernardo Vecchietti e S. di T., in Vivens homo, VII (1996), 1, pp. 119-128; G. Belli, La cappella di San Michele Arcangelo a Petrognano, Empoli 1997; S. Lecchini Giovannoni, Schede nn. 163-164, in Magnificenza alla corte dei Medici. Arte a Firenze alla fine del Cinquecento (catal.), a cura di M. Gregori - D. Heikamp, Milano 1997, pp. 209 s.; N. Bastogi, L’attività artistica giovanile di S. di T. a Roma, tesi di dottorato, Università degli studi di Pisa, a.a. 1998-1999 (con bibl. precedente); Gli Accademici del Disegno. Elenco alfabetico, a cura di L. Zangheri, Firenze 2000, p. 291; G.A. Bailey, S. di T. and the Florentine Academy. Salomon building the Temple..., in Apollo, CLV (2002), 480, pp. 31-39; J. Brooks, S. di Tito’s studio: the contents of his house and workshop in 1603, in The Burlington Magazine, CXLIV (2002), pp. 279-288; N. Kai, S. di T. Bellezza e umanità, in Artista. Critica dell’arte in Toscana, 2002, pp. 128-143; La pala di S. di T. nel Santuario di Santa Maria del Soccorso, a cura di N. Bastogi, Prato 2002; L. Fornasari, Arte in terra d’Arezzo. Il Cinquecento, Pisa 2004, pp. 198-200; N. Kai, Study of the paintings of S. di T. Iconological interpretations on the basis of Dominican thoughts and the catalogue raisonné, Mito 2005 (con bibl. precedente); N. Bastogi, Due ritratti femminili di S. di T., in Paragone, s. 3, LXXXIV-LXXXV (2009a), pp. 58-66; Ead., Schede nn. 17-18, in Ferdinando I de’ Medici, 1549-1609. Maiestate tantum (catal.), a cura di M. Bietti - A. Giusti, Firenze 2009b, pp. 113-116; N. Bastogi, Schede nn. 3, 18, 19, 65, in Puro, semplice e naturale nell’arte a Firenze tra Cinque e Seicento (catal.), a cura di A. Giannotti - C. Pizzorusso, Firenze 2014, pp. 136, 184-187, 294; R. Ciabattini, S. di T. (Sansepolcro 1536-Firenze 1603) e i suoi allievi, Firenze 2014; A. Giannotti, Lo stile puro dei fiorentini da Andrea del Sarto a S. di T., in Puro, semplice e naturale nell’arte a Firenze tra Cinque e Seicento (catal.), a cura di A. Giannotti - C. Pizzorusso, Firenze 2014, pp. 27-55; C. Plaza, Sobre el desconocido comitente de Santo di Tito del Pesar ante el Cristo muerto de la Galleria dell’Accademia de Florencia, el español Hernando Sastre, in Archivo español de arte, LXXXVIII (2015), 349, pp. 85-92; A. Belluzzi - G. Belli, La villa dei Collazzi. L’architettura del tardo Rinascimento a Firenze, Firenze 2016, pp. 1-128 (con bibl. precedente); R. Dekoninck, La vision incarnante et l’image incarnée: S. di T. et Caravage, Paris 2016, pp. 11-42; Il Cinquecento a Firenze: ‘maniera moderna’ e controriforma (catal.), a cura di C. Falciani - A. Natali, Firenze 2017, passim (in partic. N. Bastogi, Schede nn. III.5, VII.1, pp. 126, 234; C. Falciani, Scheda n. V.7, pp. 230-234; A. Natali, Andrea del Sarto modello di pensiero e di lingua. Capitolo secondo, pp. 89-105).