ROMANO, Santi
– Nacque a Palermo il 31 gennaio 1875 da Salvatore e da Carmela Perez.
Qui nel 1896 si laureò in giurisprudenza, relatore Vittorio Emanuele Orlando, con il quale compì il suo ‘garzonato’, conseguendo nel 1898 la libera docenza in diritto amministrativo e nel 1899 l’incarico di diritto costituzionale presso l’Università di Camerino, dove insegnò sino al 1902.
Aveva intanto iniziato a collaborare, dal 1892, alla rivista Archivio di diritto pubblico, fondata per realizzare il rinnovamento degli studi pubblicistici, ove nel 1896 pubblicò, sul tema della tesi di laurea, Nozione e classificazione dei diritti pubblici subiettivi. Contributi giovanili furono anche i saggi sul decentramento amministrativo (1897, in Enciclopedia giuridica, poi ripreso nella fondamentale monografia sul Decentramento amministrativo nel Trattato Orlando del 1908), sugli organi costituzionali dello Stato (1898), sulla demanialità (1898), sulle leggi di approvazione (1898), e altri. Nello stesso Trattato pubblicò La teoria dei diritti pubblici subiettivi (1898), Le giurisdizioni speciali amministrative (1900) e I giudizi sui conflitti delle competenze amministrative (1900). Sono del 1898, inoltre, Azione e natura degli organi costituzionali dello Stato e Teoria delle leggi di approvazione, e del 1901 L’instaurazione di fatto di un ordinamento costituzionale e la sua legittimazione. Pure del 1901 sono i Principi di diritto amministrativo, «il più notevole tentativo della nostra scienza a costruirsi una problematica propria» (M.S. Giannini, Profili storici della scienza del diritto amministrativo, in Studi sassaresi, XVIII (1940), 2-3, ora in Id., Scritti, II, 1939-1948, 2002, p. 160), destinata non solo a immediata fortuna editoriale (due le successive edizioni, 1906 e 1912), ma anche a essere riferimento per i futuri studi di diritto amministrativo.
Chiamato a Modena nel 1902 da straordinario di diritto internazionale, poi dall’ottobre del 1905 straordinario di diritto costituzionale, vi tenne nel 1903 la prolusione su Il diritto costituzionale e le altre scienze giuridiche e nel 1906 vi divenne professore ordinario. Nel dicembre del 1908 fu chiamato a insegnare diritto costituzionale all’Università di Pisa dove, nel gennaio del 1909, pronunciò il discorso inaugurale dell’anno accademico su Lo Stato moderno e la sua crisi.
Illuminante, in quel pur breve «studio delle istituzioni politiche», fu l’interpretazione, alla luce della nuova categoria da lui messa a punto del pluralismo degli ordinamenti giuridici, delle trasformazioni in atto nel mondo del diritto e delle istituzioni agli inizi del nuovo secolo (specialmente, ma non solo, il sindacalismo, compreso quello degli impiegati): accanto all’ordinamento dello Stato, richiamato come il principale ma non l’unico («lo Stato non domina ma è dominato» (p. 8) da questo vasto movimento sociale), vi si segnalava il proliferare di un numero crescente di ordinamenti giuridici autonomi, autoregolantisi, dotati di normatività interna, inequivocabili segnali di un pluralismo sociale tipico della società dinamica dei primi del Novecento. In quelle pagine – ha scritto Aldo Sandulli (2009) – «sono poste talune premesse della teoria istituzionalistica, anche se, giunti a un certo punto del percorso, ci si arresta» (p. 169). Lo Stato, cioè, resta centrale («stupenda creazione del diritto»), e Romano – osserva ancora Sandulli – si preoccupa specialmente di come in esso possano essere riassorbite le spinte corporative in atto nella società (Sabino Cassese, 1971, ha parlato in proposito di «contraddittorietà romaniana», p. 45).
Seguirono, nell’Enciclopedia giuridica italiana (IV, 1-3, Milano 1911) la voce Decentramento amministrativo, anticipata peraltro nel 1897, e nel 1914 da Italienisches Staatsrechts, destinato a un pubblico di lingua tedesca, allora non pubblicato per il sopravvenire della guerra, poi ampiamente trasfuso nel Corso di diritto costituzionale (Milano 1925 e successive edizioni), ma edito solo postumo, nel 1988. Decisivo però fu specialmente il biennio 1917-18, quando Romano pubblicò, dapprima sugli Annali delle Università toscane e l’anno successivo in volume autonomo, la fondamentale monografia sull’Ordinamento giuridico, nella quale portava a compimento e inquadrava teoricamente la felice intuizione della prolusione pisana del 1909.
Si tratta dell’«opera giuridica italiana più importante del Novecento» (Sandulli, 2013, p. 1729), la «più tradotta all’estero» (Cassese, 2015, p. 177): essa smantella letteralmente il normativismo sino ad allora imperante, dimostrando che il diritto non discende solo dallo Stato, ma che esiste una pluralità di ordinamenti giuridici che si governano con leggi proprie e che talvolta possono contrapporsi allo Stato producendone una decomposizione. «Il processo di obbiettivizzazione, che dà luogo al fenomeno giuridico» – scriveva Romano – «non si inizia con l’emanazione di una regola ma in un momento anteriore; [del quale] le norme non sono che la manifestazione, una delle varie manifestazioni» (L’Ordinamento giuridico…, 1918, 1946, p. 19). Dunque l’ordinamento giuridico è l’istituzione stessa, ed esistono molti ordinamenti giuridici quante sono le istituzioni. Ciò modificava radicalmente anche la dottrina: «Se vi è un prius giuridico rispetto alla regola iuris ecco che allora il giurista deve guardare alla realtà sociale per coglierlo» (Sandulli, 2009, p. 175). Vale la pena di osservare come questa ‘rivoluzione copernicana’ trovi corrispondenze e in parte concorra a corroborare «un movimento universale del diritto […] che poneva in dubbio lo statalismo e il monismo giuridico» (Cassese, 2015, p. 178). All’opera maggiore, sulla quale Romano sarebbe più volte tornato (già nel 1918 nella prolusione Oltre lo Stato tenuta al Cesare Alfieri di Firenze), seguirono il Corso di diritto coloniale (Roma 1918), le Lezioni di diritto ecclesiastico (raccolte in una seconda edizione dallo studente N. Jager, Pisa-Palermo 1923; nella prima edizione erano state raccolte dallo studente V. Mungioli, Pisa 1912), le due prime edizioni dei corsi di diritto costituzionale e di diritto internazionale (1926).
Romano, preside della facoltà pisana (1923-24), insegnò anche legislazione coloniale comparata all’Istituto Cesare Alfieri di Firenze (1917-21) e fece parte del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione. Aveva sposato nel frattempo Silvia Faraone, dalla quale ebbe due figli, Salvatore e Silvio (nati entrambi a Modena, rispettivamente nel 1904 e nel 1907).
Nel dicembre del 1924 fu chiamato alla cattedra di diritto costituzionale dell’Università di Milano, dove fu poi preside di giurisprudenza dal gennaio del 1926. In quello stesso anno fu nominato consigliere del Contenzioso diplomatico. Cresceva intanto la sua rilevanza tra i giuristi italiani. Dopo Orlando, più anziano di una generazione, Romano si distaccava nettamente per idee originali e capacità teorica da maestri pure prestigiosi quali Oreste Ranelletti e Federico Cammeo.
L’originario gruppo degli ‘orlandiani’ si articolava in una serie di percorsi personali, tutti fedeli al metodo giuridico, ma diversificati per interessi e inflessioni teoriche. Romano si segnalava per la sua recisa negazione del monopolio statale nella produzione del diritto e per l’acuta visione delle trasformazioni in atto nel mondo delle istituzioni.
Difficile, invece, documentare l’evoluzione delle idee politiche di Romano, la cui riservatezza quasi naturale («di carattere molto forte e riservato, gelosissimo della propria indipendenza», lo descrive Alberto Romano, 2011, p. 339) si accompagnò a un impegno assiduo negli studi scientifici e nella didattica universitaria («completamente dedito agli studi; in particolare profondamente distaccato dalla politica», p. 339): egli dovette però – come molti esponenti della sua generazione e del suo ceto – nutrire ideali vicini a quelli di un moderato nazionalismo (ancora A. Romano ha notato come Romano non «fosse un nazionalista», nel senso degli «aspetti deteriori» di quella ideologia, ma certo avesse «netto il senso della identità nazionale e della specificità dell’ordinamento italiano», p. 339). Nel 1924 fu chiamato a far parte della Commissione dei quindici, formata per iniziativa del Partito nazionale fascista (PNF) e presieduta da Giovanni Gentile, composta di cinque senatori, cinque deputati e cinque studiosi, nella quale lavorò alacremente come membro della sottocommissione presieduta dal senatore Nicolò Melodia e stese materialmente, firmandola, la relazione finale sui rapporti tra potere legislativo e potere esecutivo. Nel 1925 fu inserito dal governo nella Commissione dei diciotto, o ‘dei Soloni’, avendo parte attiva sui temi della riforma costituzionale. Forse anche queste due esperienze possono spiegare perché nel 1928 Romano fu nominato presidente del Consiglio di Stato (dal 1° gennaio 1929). Candidato accreditato era in verità il presidente di sezione anziano Carlo Schanzer che, subito dopo gli eventi, avrebbe raccolto la sua versione dei fatti in un breve, polemico memoriale riservato, dal titolo più che eloquente: Storia della mia nomina e snomina a Presidente del Consiglio di Stato. Romano – stando alle spiegazioni date nell’occasione da Benito Mussolini – sarebbe stato privilegiato per «maggiormente fascistizzare alcune alte cariche dello Stato» (Melis, 2006, pp. 1519 s.), non solo il Consiglio di Stato, ma anche il Senato, la Camera, la Corte dei conti, l’Avvocatura generale erariale.
Spiegazione, quest’ultima, convincente solo sino a un certo punto: Romano aveva infatti chiesto e ottenuto la tessera del PNF solo il 6 ottobre 1928, non aveva dunque alcun precedente esplicito di militanza fascista attiva, non si era sino ad allora occupato espressamente di politica, anche se la stessa precedente nomina nelle due commissioni dei quindici e dei diciotto – ma «come tecnico» (Archivio centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio, Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo, Commissione centrale di epurazione, bb. 5-6: Memoria difensiva, all. 5), si sarebbe difeso Romano nel 1944, durante l’epurazione – attestava certamente le sue simpatie per il nuovo governo. Probabilmente la scelta del suo nome era stata dunque il frutto di altri fattori, non ultimo l’idea di Mussolini circa il ruolo che il Consiglio di Stato avrebbe dovuto assumere nelle riforme costituzionali fasciste. L’esaltazione della consulenza del massimo consesso amministrativo si inseriva, nel 1928-29, in un quadro di rafforzamento tecnico prima ancora che politico del potere esecutivo (si era all’indomani delle ‘leggi fascistissime’ del 1925): come Romano avrebbe del resto teorizzato nel suo stesso discorso di investitura, si trattava di fare del Consiglio di Stato il consulente del governo in materia tecnico-amministrativa, così come lo era il Gran consiglio in materia politica.
In ogni caso, sotto la presidenza Romano (dal gennaio 1929 all’ottobre 1944) l’attività consultiva venne rafforzata: il Consiglio ‘filtrò’ molta parte della nuova legislazione confluita nei grandi testi unici del periodo, mentre si consolidò una discreta, ma incisiva attività di guida dall’esterno dell’amministrazione, a danno dei molti consigli tecnici affermatisi in vari ministeri nel dopoguerra. Ciò produsse due effetti importanti: riportò uniformità nell’attività amministrativa del governo e degli enti pubblici, ma al tempo stesso allungò, appesantendolo, l’iter del procedimento. Quanto poi all’attività giurisdizionale, la giurisprudenza del periodo non differì, per stile e spesso anche per contenuti da quella dell’età liberale, restando perfettamente nella tradizione consolidata del Consiglio di Stato, che anzi ripetutamente invocò quale auctoritas dietro la quale – sovente – ripararsi e autolegittimarsi in quello che parve talvolta un difficile gioco di equilibri nei confronti del potere politico.
L’influenza di Santi Romano sull’attività dell’organo fu comunque eccezionalmente incisiva: efficace il coordinamento dei lavori del Consiglio; puntuale la vigilanza su ogni aspetto del suo concreto funzionamento; determinante, sino a risultare condizionante, la sua influenza personale sugli stessi comportamenti dei consiglieri. Di particolare rilievo (sebbene non sempre resa pubblica) fu l’attività del presidente in difesa dell’immagine e del ruolo del Consiglio di Stato: così nel 1932, quando fece presente a Mussolini, anche per iscritto, l’inopportunità di nominare come consiglieri persone di competenza giuridica non conclamata; nel 1938, quando propose (inascoltato) di limitare i poteri del capo del governo in ordine alle nomine; e, in precedenza, nel 1934, quando chiese che ogni disposizione legislativa inerente all’ordinamento e al funzionamento del Consiglio di Stato dovesse obbligatoriamente essere preceduta dal parere del Consiglio stesso (ciò che più tardi diede luogo al decreto legge 6 febbraio 1939). Le sue periodiche Relazioni al Capo del Governo sull’attività dell’istituto e lo scritto Pel centenario del Consiglio di Stato del 1931 rappresentano in modo evidente come Romano avesse una precisa idea del suo ruolo e perseguisse coerentemente un programma di affermazione del Consiglio di Stato nell’ambito delle istituzioni degli anni Trenta.
Nel corso della sua presidenza Romano ricoprì molti altri ruoli. Fu membro del Consiglio del contenzioso diplomatico (dal 1926), presidente della commissione centrale per la finanza locale (dal 1934), senatore del Regno (dal 6 aprile 1934: da segnalare le due relazioni sulla legge istitutiva della Camera dei fasci e delle corporazioni e sul risarcimento dei danni di guerra e l’adesione all’Unione nazionale fascista del Senato), socio dei Lincei (categoria scienze giuridiche, dal 1935). Fece inoltre parte di importanti commissioni ministeriali, tra le quali quella per lo schema della nuova legge sulla tutela delle cose d’interesse artistico e storico (la relazione di Romano fu interamente trasfusa nel disegno di legge che, senza ulteriori modifiche da parte del Parlamento, divenne poi la legge 1° giugno 1939 n. 1089).
Maestro accademico nel senso pieno della parola (tra i suoi allievi pisani Guido Zanobini, poi Giovanni Miele e a Roma il giovanissimo Massimo Severo Giannini), Romano non abbandonò mai completamente l’università. Negli anni accademici 1929-30 e 1930-31 fu professore incaricato di diritto amministrativo e scienza dell’amministrazione presso la facoltà giuridica dell’Università di Roma (è del marzo 1929 però una lettera personale a Orlando nella quale Romano si scherniva rispetto alla proposta di assumere un insegnamento stabile nell’Università di Roma per timore «che la mia posizione stessa al Consiglio di Stato potrebbe in certo senso indebolirsi», Archivio centrale dello Stato, Carte Vittorio Emanuele Orlando, Carteggio, sc. 10, f. Romano Santi, lettera di Romano a Orlando, 7 marzo 1929, riservata, autografa); e dal 1932-33 al 1941-42 ebbe presso lo stesso Ateneo l’incarico annuale di diritto costituzionale.
Autorità indiscussa nel campo del diritto costituzionale e amministrativo (pubblicò nel 1926 il Corso di diritto costituzionale e quello di diritto internazionale, e nel 1931 il Corso di diritto amministrativo), esercitò nel periodo del regime un discreto ruolo che si potrebbe definire di expertise giuridica per conto del governo, come quando, nel 1933 contrastò, scrivendo a Mussolini, la riforma della giurisdizione relativamente ai dipendenti degli enti pubblici economici (impedendone con la sua autorità il trasferimento sotto l’egida della magistratura del lavoro alla stregua dei lavoratori privati); o quando, nel 1938, fu richiesto di esprimersi circa la legittimità del conferimento del nuovo grado di maresciallo dell’Impero non solo al re, ma anche al duce (il suo parere, favorevole, fu inviato alle principali cariche del regime e allo stesso, riluttante sovrano, che da allora nutrì nei suoi confronti un rancore a stento represso).
Con il sopravvenire del 25 luglio 1943 Romano assunse un atteggiamento di attesa. Dopo l’8 settembre però, obbedendo agli ordini, impartì disposizioni per il trasferimento al Nord del personale del Consiglio di Stato (sede di Cremona), anche se si astenne egli stesso dall’osservarle grazie a un tempestivo collocamento a riposo. Rientrò in carica dopo la liberazione di Roma (giugno 1944), ma per essere deferito in settembre all’Alta corte di giustizia in quanto ex senatore, nonché alla commissione di epurazione del Consiglio di Stato «per avere consentito che durante la sua presidenza si instaurassero e ripetessero […] sistemi di favoritismi» e «per avere collaborato col governo fascista repubblicano» (Archivio centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio, Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo, bb. 5-6: Memoria difensiva, all. 5), addebiti ai quali Romano contrappose di aver solo osservato le norme e sempre tutelato l’indipendenza dell’istituto. Il 25 ottobre 1944, adducendo di avere quasi settant’anni e quaranta di servizio, chiese e ottenne ex lege il collocamento a riposo. Avrebbe di lì a poco iniziato a scrivere i Frammenti di un dizionario giuridico, usciti postumi nel 1947, nei quali raccolse anche scritti degli anni precedenti. Si situa pure in questo periodo di crisi, anche personale, il breve carteggio con il vecchio maestro Orlando, con il quale, nonostante le opposte scelte politiche compiute, non erano mai cessate amichevoli relazioni personali.
Molto interessante la lettera nella quale Romano discolpava sé stesso in merito al parere del 1938 sul maresciallato (un parere tecnico-giuridico, egli insisteva, difendendolo ancora); e la risposta lapidaria del vecchio Orlando: «Per quanto mi riguarda, io non posso escludere che l’opinione da Lei espressa sia discutibile, come invece escludo che l’averla manifestata diminuisca o ferisca la stima per un Maestro come Lei. Ma bisogna fare i conti con l’altrui malignità» (Archivio centrale dello Stato, Carte Orlando, Carteggio, sc. 6, f. Santi Romano).
Morì a Roma il 3 novembre 1947.
Opere. Della prolifica produzione di Romano si indicano qui: Decentramento amministrativo, Milano 1897; La teoria dei diritti pubblici subbiettivi, in Primo trattato completo di diritto amministrativo, Milano 1897, pp. 111 ss.; La determinazione della demanialità da parte dell’autorità amministrativa, Palermo 1898; Saggio di una teoria delle leggi di approvazione, in Il Filangieri, 1898, n. 3, pp. 161 ss.; Le giurisdizioni speciali amministrative, in Primo trattato completo di diritto amministrativo, III, Milano 1900, pp. 507 ss.; Principii di diritto amministrativo, Milano 1901 (1906, 1912); Il diritto costituzionale e le altre scienze giuridiche. Prolusione letta nella R. Università di Modena il 15 gennaio 1902, in Archivio di diritto pubblico e della pubblica amministrazione italiana, 1902, n. 11-12, pp. 659 ss.; Il Comune, in Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, II, t. 1, Milano 1908; Lo Stato moderno e la sua crisi: discorso per l’inaugurazione dell’anno accademico nella R. Università di Pisa letto il 4 novembre 1909, Pisa 1909 (ora in Id., Lo Stato moderno e la sua crisi. Saggi di diritto costituzionale, Milano 1969); Sui decreti-legge e lo stato d’assedio in occasione del terremoto di Messina e di Reggio Calabria, in Rivista di diritto pubblico e della pubblica amministrazione, I (1909), pp. 137 ss.; Corso di diritto coloniale, impartito nel R. Istituto di scienze sociali Cesare Alfieri di Firenze. Appunti raccolti dal dott. Domenico Biscotti, Roma 1918; Oltre lo Stato, in Rivista di diritto pubblico e della pubblica amministrazione, I (1918), pp. 1 ss.; L’Ordinamento giuridico. Studi sul concetto, le fonti e i caratteri del diritto, Pisa 1918 (1945, 1946, 1951, 1962, 1967, 1977); Corso di diritto costituzionale tenuto da S. R., a cura di T. Delli Santi - A. Frigerio - F. Sabatelli, Milano 1925 (1926, 1928, 1932, 1933, 1940, 1941, 1943); Corso di diritto internazionale, Padova 1926 (1933, 1939); Corso di diritto amministrativo, Padova 1930 (1932, 1937); Gli interessi dei soggetti autarchici e gli interessi dello Stato, in Studi di diritto pubblico in onore di Oreste Ranelletti nel XXXV anno d’insegnamento, I, Padova 1930 (1931), pp. 431 ss.; Le funzioni e i caratteri del Consiglio di Stato, in Il Consiglio di Stato. Studi in occasione del centenario, I, Roma 1932, pp. 3 ss.; Principii di diritto costituzionale generale, Milano 1945; Frammenti di un dizionario giuridico, Milano 1947 (1953, 1983); Principii di diritto costituzionale generale, ed. riv., Milano 1947; Scritti minori, raccolti e pubblicati da G. Zanobini, I, Diritto costituzionale, II, Diritto amministrativo, Milano 1950; Lo Stato moderno e la sua crisi. Saggi di diritto costituzionale, Milano 1969; Il diritto pubblico italiano, a cura di A. Romano, Milano 1988; Scritti minori, a cura di A. Romano, I-II, Milano 1990.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio del Consiglio di Stato, Fascicoli personali, 660; Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica istruzione, Direzione generale Istruzione superiore, Divisione I, Fascicoli personali professori ordinari (Secondo versamento), Serie II, b. 133, ad nomen; Presidenza del Consiglio, Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo, Commissariato centrale di epurazione, bb. 5, 6; ibid., Atti, Giustizia, n. 24, b. 175 (1933): Disegno di legge per la riforma delle disposizioni sulle controversie individuali di lavoro; Carte Vittorio Emanuele Orlando, Carteggi, sc. 6, ad nomen; Carte Carlo Schanzer, sc. 1, f. 6; Archivio dell’Università di Roma La Sapienza, Archivio docenti, ad nomen.
Scritti giuridici in onore di S. R., Padova 1940; G. Miele, Stile e metodo nell’opera di S. R., in Archivio di studi corporativi, 1941 (poi in Id., Scritti giuridici, I, Milano 1987, pp. 340 ss.); V.E. Orlando, S. R. e la scuola italiana di diritto pubblico, ora in S. Romano, Scritti minori, raccolti e pubblicati da G. Zanobini, premessa di V.E. Orlando, Milano 1950, pp. V ss.; G. Capograssi, L’ultimo libro di S. R., in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1951, n. 1, pp. 46 ss.; M. Galizia, Profili storico-comparativi della scienza del diritto costituzionale, in Archivio F. Serafini, 1963, pp. 3 ss., 100-103; A.E. Cammarata, Ricordo, in S. Romano, Lo Stato moderno e la sua crisi, Milano 1969, pp. 1 ss.; S. Cassese, Cultura e politica nel diritto amministrativo, Bologna 1971, p. 45 e passim; S. Cassese - B. Dente, Una discussione del primo ventennio del secolo: lo stato sindacale, in Quaderni storici, 1971, n. 18, pp. 943 ss.; S. 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