ANDREA Avellino, santo
A Castronuovo (Potenza), che da lui è oggi detta Castronuovo S. Andrea, una cappella ricorda il luogo dove nel 1521 nacque Lancellotto (tale fu il suo nome di battesimo), da Giovanni e da Margherita Apelli, signori fra i più facoltosi del paese. Avviato agli studi da uno zio, arciprete di Castronuovo, li compi poi nella vicina Senisi. Nel 1537, a soli sedici anni, assunse l'anuninistrazione della casa patema e vestì, poco dopo, l'abito ecclesiastico, iniziando un apostolato catechistico non solo nel paese nativo, ma anche a Roccanuova e in altre località vicine. Nel 1545, in patria, venne ordinato sacerdote.
Nell'ottobre 1547, mortogli il padre e lasciato presso la madre il fratello Nicolò Antonio, si trasferì a Napoli per iscriversi alla facoltà di diritto di quella università. Alloggiava in via S. Pietro a Maiefia, nei pressi di S. Paolo Maggiore, dove, nell'agosto di quello stesso anno, era morto Gaetano Thiene, fondatore dei teatini, con i quali A. iniziò ben presto cordiali rapporti, prendendo in seguito a suo direttore spirituale il futuro beato p. Giovanni Marinonio (1490-1562).
Dal 1548, dopo gli esercizi spirituali praticati in Napoli sotto la direzione del gesuita Laynez, egli farà datare la sua "conversione "a una vita di maggior perfezione. Laureatosi in utroque, fu avvocato del foro ecclesiastico, ufficio che però egli abbandonò dopo averne sperimentati i pericoli in seguito a una menzogna sfuggitagli nel calore di una arringa e che, come si legge nel Breviario Romano (10 nov.), gli cagionò profonda costernazione.
Nel 1551 circa da mons. Scipione Rebiba, vicario generale dell'archidiocesi, e dietro suggerimento del p. Marinonio, gli fu affidata la cura e riforma del tristemente famoso monastero delle monache di S. Arcangelo a Baiano in Napoli: missione che egli intraprese con grande zelo, tenendovi il quaresimale e le prediche domenicali negli anni 1553-1554. Fece ampliare la chiesa del monastero, impose l'osservanza della clausura, ne allontanò i secolari di sospetta condotta, invigilando sui loro rapporti con le claustrali; perseguitato da un giovane che teneva con una di esse illecite relazioni, dopo di esser sfuggito a un duplice attentato in casa e nella chiesa di S. Agrippino, fu infine, nel 1556, ferito gravemente da un sicario prezzolato da chi mal tollerava la sua azione riformatrice. Accolto dai teatini di S. Paolo Maggiore e guarito, chiese ed ottenne, il 30 novembre dello stesso anno, l'abito di quella congregazione prendendo il nome di Andrea. Suo maestro nel noviziato fu lo stesso p. G. Marinonio e suo compagno Paolo Burali d'Arezzo, futuro cardinale e beato. Emise la professione solenne il 25 genn. 1558, aggiungendo, in seguito, ai tre voti della vita religiosa, altri due: di combattere, cioè, costantemente la propria volontà e di tendere sempre, nella misura delle proprie forze, alla perfezione.
Tra il 3 aprile e l'8 maggio 1559 fece un pio pellegrinaggio a Roma, dove fu ricevuto da Paolo IV (Carafa), il quale era stato con il Thiene fondatore dei teatini. Dal capitolo generale del 1560 venne eletto "vocale", distintivo che l'Ordine dà ai religiosi che si segnalano per virtù e per dottrina. Nello stesso anno era nominato maestro dei novizi della casa di Napoli, carica che tenne per dieci anni. Suo discepolo, fu tra gli altri, il ven. Lorenzo Scupoli (1530-1610), autore del celebre trattato Ilcombattimento spirituale. Preposito dal 1567 al 1570 della stessa casa di S. Paolo Maggiore, vi istituì il primo studio di filosofia e di teologia per i giovani del suo Ordine, che volle informati alle dottrine dell'Aquinate: egli stesso fu loro lettore di diritto canonico.
Nell'aprile 1570 fu dal capitolo generale eletto vicario della casa di S. Maria presso S. Calimero di Milano, che, in quello stesso anno, era stata affidata ai teatini da s. Carlo Borromeo: questi, come ricorda il Martirologio milanese di P. P. Bosco (3 febbr.), gli uscì solennemente incontro fuori Porta Romana, lo volle suo consigliere e presente alle adunanze ecclesiastiche per la riforma dell'archidiocesi.
A. divenne il direttore desiderato dell'élìte milanese nel rinnovato clima spirituale creato dal Borromeo. Barbara d'Este e il suo consorte F. Trivulzio, Bianca D'Adda, il cardinale Agostino Cusani, sua cognata la nobile Paola Visconti, resasi poi cappuccina, G. M. Tagliaferro, elemosiniere e braccio destro dell'arcivescovo e che con A. trattava non solo gli affari privati ma anche quelli della riforma dell'archidiocesi ambrosiana, furono, fra altri, i suoi più frequenti corrispondenti spirituali. Carlo Borromeo poi ebbe per lui una specie di culto che sintetizzò con questa frase: "Egli è l'idea più viva che possiamo farci del vero apostolo" (C. Orsenigo, Vita di S. Carlo Borromeo, in S. Carlo Borromeo nel terzo centenario della sua canonizzazione, Milano 1908-10, p. 161). La loro amicizia, fatta di mutua ammirazione e rispetto, è attestata anche da una corrispondenza epistolare commovente ed edificante (Bibl. Ambrosiana, F. inf., 188: Lettere di S.A.A., pubbl. da C. Pellegrin, in La Scuola Cattolica, XXXVIII [1910], pp. 248-269). "Il grande Arcivescovo scrive al suo 'padre D. Andrea' come ad un fratello, anzi ad un padre vero: Sant'Andrea nelle sue lettere gli apre il cuore come in confessione" (Mons. Achille Ratti, S.A. A. e S. Carlo, in S. Carlo Borromeonel terzo centenario, cfr., p. 29). Dal carteggio sappiamo, fra l'altro, dell'interessamento dei due santi nel liberare la pia e infelice Giulia Sanseverino, figlia spirituale di A., dalla esasperata gelosia del marito conte Giambattista Borromeo, parente di s. Carlo: interessamento che non valse tuttavia a impedire l'uxoricidio perpetrato dal maniaco conte nel marzo 1577. Il Borromeo raccomanda e affida persone distinte e care alla illuminata saggezza di A., mentre, questi sollecita l'arcivescovo, allora in Roma, a far opera presso la corte pontificia onde impedire le angherie e i disturbi che egli e i suoi religiosi "peggio trattati dei secolari" devono spesso subire, perché sudditi di re Filippo II, da parte dei gabellieri negli stati di Firenze, Ferrara, Venezia. E alle prime voci che serpeggiavano sulla probabile rinuncia di Carlo al vescovado, sopraffatto come era dalle ostilità del governatore Ayamonte, A. lo dissuade energicamente: "Non piaccia a Dio: che sarebbe la rovina di questa città" (lett. del 17 nov. 1579, op. cit., p. 265).
Nel maggio 1571 venne destinato a Piacenza, preposito della nuova casa di S. Vincenzo, che l'11 di quello stesso mese aveva fondata per i suoi confratelli il vescovo piacentino P. Burali, non senza l'interessamento del duca Ottavio Farnese. Fu contemporaneamente direttore spirituale del Seminario, penitenziere diocesano e direttore di un pio luogo di donne convertite istituito nel 1572 dal Burali.
Molto stimato anche dai Farnese di Parma, dove egli dietro loro premure dovette talora recarsi, prese la direzione spirituale della duchessa Maria di Portogallo, moglie di Alessandro, e del loro figlio Ranuccio, con i quali egli carteggiò spiritualmente, anche durante la campagna militare di Ranuccio nelle Fiandre.
Questi voleva che A. gli scrivesse ogni mese; e le quarantotto lettere del santo a lui rivelano con la tenerezza di un padre la consumata saggezza di un maestro, il quale molto si attendeva dagli esempi virtuosi dei grandi per la riforma dei costumi e la difesa della fede. Una di queste lettere - non si sa quale - il duca inviò, in stampa, ad Elisabetta d'Inghilterra, giudicandola efficace a stimolarla a riabbracciare il cattolicesimo. A Ranuccio A. dedicò il suo trattato sull'umiltà (v. oltre) e, benché restio, spedì, dietro le sue insistenze, il proprio ritratto su tela, ora perduto.
Nel 1573 e di nuovo nel biennio 1577-1578 fu visitatore delle case teatine della provincia lombarda e nuovamente preposito di Piacenza dal 1574 al 1577. Avendo, in Genova, avuti abboccamenti con la mistica agostiniana Battistina Vernazza, e avendole poi per lettera esposto il desiderio di lasciare, quella sua attività apostolica per non dedicarsi che alla propria salute spirituale, fu invece da lei incoraggiato, con lettera del primo giorno di quaresima del 1578, a proseguire alacremente nella via intrapresa (v. la lettera in G. Magenis, Vita, e nell'ediz. ampliata di L. Tibet, pp. 251 s.). Infatti nell'aprile dello stesso anno venne eletto, per essere confermato nei due anni successivi, preposito di S. Antonio di Milano e poi ancora preposito di Piacenza nel 1581. Per oltre dieci anni egli aveva svolto nella Lombardia il suo apostolato tutto improntato ai criteri e alle esigenze della riforma cattolica. Inoltre, tranne l'anno 1578, era intervenuto a tutti i capitoli generali dell'Ordine, annualmente adunati in Roma (1574-79), Venezia (1580) e Napoli (1581).
Dopo di aver assistito a quello di Milano nel maggio 1582, ritornò a Napoli, dove proseguì la sua attività religiosa con la parola, gli scritti e la direzione spirituale delle anime, per cui si sentiva particolarmente dotato. Con rescritto del 29 luglio 1595, ottenuto dal cardinale A. Cusani, Gregorio XIV gli concesse facoltà di udire le confessioni di chiunque e in qualunque diocesi. Tra le persone dell'alta nobiltà napoletana da lui dirette, sono le quattro sorelle Laura, Giulia, Lucrezia e Claudia Palescandolo, che sotto la sua guida fondarono, in Napoli, il monastero agostiniano di S. Andrea delle Dame (1580). A Loreto il suo nome figura tra i santi visitatori della S. Casa (1583).
Nell'aprile 1584 fu eletto preposito delle due case di S. Paolo Maggiore e dei SS. Apostoli. Acceso apostolo di carità, allorché il 9 maggio 1585 venne trucidato G. V. Starace, "eletto della plebe", ritenuto responsabile della carestia che affliggeva la città, egli mise a disposizione dei magistrati per il popolo le risorse dei suoi conventi e indisse pubbliche funzioni propiziatrici. Essendo stato, più tardi, nel 1593, assassinato il suo nipote Francesco Antonio Avellino, non solo perdonò personalmente l'uccisore ma volle che lo stesso facessero i propri parenti.
Nel luglio 1590 gli fu affidata la visita canonica delle case delle province napoletana e romana, visita che egli compì tra l'ottobre successivo e il gennaio 1591. Trovandosi per questa ragione a Roma, assistè il moribondo cardinale Antonio Carafa (13 genn. 1591) e ricevuto da Gregorio XIV, già suo amico e confidente allorché era vescovo di Crema, ricusò il vescovado offertogli. Il 20 ag. 1594 fu ancora nominato vicepreposito di S. Paolo Maggiore, ma lo fu solo per otto mesi.
Dotato di grazie straordinarie di orazione, del dono dei miracoli e della profezia, non meno che di vasta dottrina teologica, egli rassodò la pietà nel popolo e ne difese la fede, combattendo i seguaci di Giulia De Marco, la quale doveva essere più tardi, per opera dei teatini, condannata pubblicamente in Roma (1615).
Il 10 nov. 1608, mentre, nella chiesa di S. Paolo Maggiore, iniziava la celebrazione della messa, venne improvvisamente colpito d'apoplessia; spirò la sera dello stesso giomo, nella sua stanza, oggi convertita in cappella.
Beatificato da Urbano VIII il 4 ott. 1624, fu canonizzato da Clemente XI il 22 maggio 1712. La sua festa si celebra il 10 novembre. Il suo corpo, che riesumato fu riconosciuto intatto, si venera in S. Paolo Maggiore. E' invocato celeste protettore contro la morte improvvisa.
Dalle opere come dalla vita di A. se ne può individuare la spiritualità. Senza ostentare caratteristiche particolari e aliena peraltro da complicazioni di scuola, essa - pur conoscendo, sia per esperienza propria sia per dottrina acquisita, le più alte vie mistiche - si muove nell'alveo di quell'ascetismo solido, equilibrato, schiettamente evangelico, proprio anche del suo Ordine religioso, che faceva della riforma interiore il presupposto insostituibile alla riforma ecclesiastica preparata già dagli Ordini dei chierici regolari e sancita poi dal Tridentino. Fondamentale è l'abnegazione di se stesso: "nel dispreggio di noi e di tutte le vanità del Mondo... e in amare Iddio: in queste due attioni principalmente consiste la vera vita spirituale" (Lettere, I, p. 216). Si sviluppa con la pratica di tutte le virtù evangeliche, la frequenza dei sacramenti - A. fu nel suo tempo uno dei più decisi promotori della comunione frequente (Regnum Dei, XIV [1958], p. 119) l'esercizio del culto divino e l'apostolato integrale, tutto animato da uno sforzo incessante verso la perfezione, ché "manca d'essere buono, chi non procura d'essere megliore" (Lettere, II, p. 533).Mirando soprattutto alla imitazione di Cristo e per essa alla vita di intima unione con Dio, consumata nella carità, procura anche all'anima quella pace interiore che fu l'ansia tipica degli spiriti eletti del Rinascimento. Mezzo inderogabile è l'orazione, specie mentale; merita il nome di "persona spirituale" solo chi vi si applica fedelmente: "Essendo [l'orazione] tanto necessaria alla nostra salute, tutti dovressimo attendere a questa santa meditatione, causa di tanti beni, specialmente quelle persone, che sono date allo spirito, quali in darno havranno il nome di spirituali, se non sanno ben meditare" (Meditationisopra la vita di Cristo, in Opere, IV, p. 272). Caratteristico è, in proposito, nella dottrina spirituale di A., il "gusto dell'orazione", che contrariamente alle dottrine di M. de Molinos, va sentito e ricercato quale stimolo e frutto insieme dell'orazione stessa: "Felice chi tale dolcezza ha gustata, che non può mai più ricevere altra consolatione, per non perdere tanta soavità" (Espositione del Pater noster, in Opere, I, p. 126). Per l'influsso, infine, avuto sullo Scupoli, suo discepolo, e la sua opera, A. merita un posto di prim'ordine nella storia della spiritualità del Cinquecento (cfr. B. Mas, La espiritualidad de S.A.A., in Regnum Dei, XIV [1958], pp. 85-159).
Opere: A. non pubblicò, durante la sua vita, alcuna delle sue opere; poco prima di morire egli affidò i suoi manoscritti al p. A. Castaldo, che li depose in seguito nell'Arch. di S. Paolo Maggiore, dove, per la maggior parte, si conservano. Se ne ha una edizione completa in sette volumi: a) Lettere scritte dal glorioso S. A. A. a diversi suoi divoti, date alla luce da, Cherici Regolari di S. Paolo Maggiore di Napoli, 2 voll., Napoli 1731-32. b) Opere varze composte dal glorioso S.A.A. cherico regolare..., 5 voll., Napoli 1733-34.
Sono così distribuite: Vol. I. - Esposizione del Pater noster; Esposizione sopra le prime due parole della Salutazione Angelica; Esposizione della Salve Regina; Esposizione dell'epistola canonica di S. Giacomo.
Vol. II. - Trattato utilissimo sopra le parole dell'Apostolo nel III cap. ai Colossensi; Breve compendio della materia dell'epistola di S. Paolo ai Romani; Esposizione del libro secondo del Maestro delle sentenze; Esposizione sopra il salmo CXVIII; Esposizione sopra il salmo XLV; Esposizione del discorso del Signore sul monte.
Vol. III.- Sermoni quaresimali; Sermoni annuali sopra l'evangeli delle domeniche.
Vol. IV.- Esercizio spirituale utile per conoscere il peccato, con alcuni opportuni rimedi; Meditazioni sopra la vita di Cristo e della sua gloriosa Madre; Discorsi utilissimi per eccitare le persone spirituali e quelle che desiderano stare consolate nella Religione; Breve esercizio per tutta la settimana da farsi da tutte quelle persone che desiderano vivere in grazia d'Iddio; Avvertimenti necessari per quelle persone che desiderano conformarsi alla vita di Cristo (l'opera era stata già pubblicata a Piacenza, nel 1617, da G. Benzoni che vi aveva aggiunto qualcosa di suo); Spiegazione sopra i sette doni dello Spirito Santo; Spiegazione sopra il peccato originale, vaniale e mortale; Orazione da farsi ogni giorno da ciascun cristiano.
Vol. V.- Trattato utilissimo per conoscere ed acquistare l'umiltà; Discorsi utilissimi sopra le parole del Signore: Diliges Dominum Deum tuum, ecc.; Trattato utilissimo del Ss. Sacramento dell'altare; Esercizi spirituali da farsi avanti e dopo la santissima comunione; Breve orazione da recitarsi specialmente nel giorno della santa comunione; Breve trattato nel quale si ragiona della divina clemenza... e della fruttuosa penitenza; Trattato utilissimo della speranza e del timore (pubbl. in Napoli 1670 e 1674 e dedicato a Ranuccio Farnese).
Fonti e Bibl.: Si hanno in Acta Sanctorum Novembris, IV, Bruxelles 1925, pp. 609-623, e nello studio bibliografico di B. Mas, in Regnum Dei-Collectanea theatina, XIV(1958, Commentarii de S. A. Avellino, C. R.), pp. 303-361. Ne scrissero, fra altri, la vita: V. Pagano, riprodotta in Acta SS., cit., pp. 615-622; G. B. Castaldo (Napoli 1613); F. Bolvito (ibid. 1625); G. Bonif. Bagatta (ibid. 1696); T. Schiara (Roma 1712); G. B. Barzisa (Verona 1713); O. Du Marché (Parigi 1713); I. R. Savonarola (Milano 1713); G. M. Magenis (Venezia 1714, rist. e dopo altre ediz. acresciuta da L. Tibet, Napoli 1894); A. Fernandez Moreno (Saragozza 1755); G. Edelwek (Monaco B. 1765); B. Destutt de Tracy (Parigi 1774); L. Personè (Lecce 1893). Cfr. anche: Saint A. A. Prêtre théatin, in Vies des Saints... par les RR PP Bénédictins de Paris, XI(nov.), Paris 1954, pp. 322-325; R. Lechat, La "conversion" de S. A. A., in Analecta Bollandiana, XLI (1923), pp. 139-148; F. Molinari, Il cardinale teatino Paolo Burali e la riforma tridentina a Piacenza, Roma 1957; A. Palmieri, in Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., II, coll. 1635-1637.
Per gli scritti dell'A.: J. Silos, Hist. Clericorum Regularium, Romae-Panormi 1650-66, III, pp. 525-527; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, I, 2 Brescia 1753, pp. 1231-1234; A. F. Vezzosi, I scrittori de' cherici regolari detti teatini, I, Roma 1780, pp. 70-88; C. Pellegrini, S. Carlo e S. A. A., in La Scuola Cattolica, XXXVIII(1910),pp. 248-271; P. Paschini, S. Carlo, il card. Sirleto ed i Teatini, ibid., L(1922), pp. 287-296; F. De Lucia, Lettere inedite di S. A. A., in Regnum Dei-Collectanea theatina, II(1946), pp. 19-34.
Per i numerosi scritti dell'A. inediti e perduti, cfr. B. Mas, Bibl. di S. A. A., in Regnum Dei, XIV (1958), citato, dove, con studi di vari autori, si danno otto lettere inedite.