ATALA, santo
Nato sul finire del sec. VI da nobile famiglia burgunda, fu iniziato dal padre agli studi umanistici; affidato in seguito, ancora fanciullo, alle cure dell'arcivescovo di Lione Arigio (che era succeduto nel 605 ad Eterio), entrò a far parte della "famiglia" di quest'ultimo. Ma l'ideale di A. era quello di una vita di abnegazione e di penitenza; rinunziando sin d'allora alla vita secolare "postposita faleramenta saeculi", col proposito di farsi monaco e di dedicarsi tutto al servizio di Dio, fuggì con due suoi coetanei ("duobus pueris" li chiama il suo biografo) a Lerini, dove vestì l'abito nel monastero di quella città. Tuttavia, sebbene vi si fermasse a lungo, non trovò fra i monaci di Lerini quell'ideale di austerità cui egli aspirava: "cum nequaquam cerneret regularis disciplinac abenis colla submittere"; sicché, propagatasi nella Francia meridionale la fama della predicazione di s. Colombano, A. risolse di unirsi alla corte dei discepoli dell'abate irlandese.
S. Colombano era sbarcato con dodici discepoli in Borgogna intorno al 590 ed era riuscito ad ottenere la protezione del re dei Burgundi Gontrano, il quale gli aveva concesso una regione desertica e boschiva nella zona dei Vosgi, perché vi fondasse i suoi monasteri. Nella valle di Annegray (attuale dipartimento dell'Alta Saona) il santo aveva fondato il suo primo, centro di vita monastica in terra di Francia, cui era seguito ben presto un secondo, fondato a Luxeuil. L'afflusso di nuovi discepoli portò ben presto alla fondazione di un terzo monastero, quello di Fontaines-en-Vosges, mentre Colombano aveva fissato la sua residenza a Luxeuil, come il luogo più centrale, pur riservandosi il governo delle altre fondazioni.
A Luxeuil giunse A., venendo da Lerini; Colombano lo accolse con le manifestazioni del più grande affetto e della più alta stima. Inoltre, avendone valutato lo zelo religioso e la pietà profonda, lo annoverò fra i suoi più diretti collaboratori. Ed infatti, quando, venuto in urto con l'autoritaria regina Brunechilde, col suo nipote Teoderico e con l'episcopato franco, per la sua intransigenza, per la sua fedeltà alle consuetudini irlandesi e all'autorità del vicario di s. Pietro, Colombano fu costretto ad abbandonare Luxeuil intorno al 610ed andò errando per qualche tempo attraverso la Francia con i suoi discepoli più fedeli, fra questi troviamo Atala.
Accolto con ogni onore da Teodeperto re d'Austrasia, Colombano, sempre seguito dai suoi compagni, risalì il Reno con l'intenzione di iniziare una missione in Germania, dove ancora numerosi erano i pagani; invece, intomo al 612, fermatosi a Bregenz sul lago di Costanza (dove lasciò Gallo, ammalato, il quale vi fondò il cenobio da cui si sarebbero sviluppate la celebre abbazia e poi la città di San Gallo), egli mutò direzione: valicate le Alpi, attraversò la pianura padana e, benevolmente accolto dal re dei Longobardi Agilulfa e dalla regina Teodelinda, ricevette da loro, per stabilirvi un centro monastico la valle dei Bobbio, nell'Appennino ligure (614).Qui il santo irlandese fondò un monastero, che ne avrebbe dovuto ben presto accogliere le spoglie mortali (23 nov. 615).
A Colombano successe nel governo del monastero di Bobbio A., "omni religione laudablis", il quale, fervido fautore di una vita di abnegazione e di penitenza, volle mantenere inalterata la regola dettata da s. Colombano, secondo i principi della rinunzia, dei digiuni rigorosi, delle vigilie prolungate, delle dure penitenze e del lavoro manuale, provocando però una specie di insurrezione tra i suoi monaci. Già alcuni fra gli stessi più fedeli discepoli di s. Colombano, Eustasio e poi Valberto, i quali gli erano succeduti nel governo di Luxeuil, avevano abbandonato queste consuetudini; Valbertò, più tardi, ne mitigò l'austerità forse eccessiva con la regola di s. Benedetto. Non deve dunque meravigliare l'opposizione dei monaci di Bobbio alla volontà di A., opposizione che questi cercò di vincere dapprima con le esortazioni e le preghiere, e poi, persistendo alcuni nel loro dissenso, concedendo il permesso di lasciare il monastero.
Uno degli scopi principali di A. fu la lotta contro l'arianesimo allora professato dalla maggior parte dei Longobardi e dei loro capi, come lo stesso duca di Torino Arioaldo (che divenne re nel 626), il quale dovette sperimentare di persona la fermezza con cui l'abate di Bobbio conibatté l'arianesimo e si oppose ai potenti che lo sostenevano; indicativo, a questo proposito, l'episodio del monaco Blidulfo, inviato da A. a Pavia, per predicarvi contro gli ariani. "Acuto nel risolvere e nel proporre questioni, fu vigilante e fernio contro le tempeste dell'eresia " dice di lui il suo biografo, e aggiunge che sapeva validamente tener testa anche ai più potenti. Eguale fermezza mostrò A. nell'estirpare gli ultimi residui di paganesimo ancora esistenti nelle campagne italiane, come dimostra l'altro episodio, pure citato dal biografo, della distruzione di un tempietto pagano sulle rive dello Staffora, compiuta da un monaco, Meroveo, a ciò da A. inviato. Nei confronti dello scisma dei Tre Capitoli - di cui s. Colombano era stato convinto propugnatore, opponendosi con tutte le sue forze al papa - che allora divideva l'Italia cattolica, A. si sottomise in tutto all'autorità della Sede apostolica, per cui venne violentemente attaccato da un monaco di Luxeuil, Agrestio (già segretario di curia, notarius secondo il biografo, di Teoderico re dei Burgundi), il quale, giunto nel corso di una sua missione ad Aquileia, aveva accettato le tesi scismatiche di quel clero: da Aquileia, Agrestio inviò ad A. per mezzo di un notaio del re longobardo Adaloaldo una "epistolam venenosam, increpationibus plenam".
A. resse il monastero di Bobbio per c. dodici anni; morì infatti intorno al 627, probabilmente il 10 di marzo.
Racconta il suo biografo che, avendogli una visione annunziato una sua prossima partenza, A., incerto se si trattasse di morte o dell'inizio di una missione, fece di tutto per lasciare al suo successore il convento nelle migliori condizioni, completando i recinti dei monastero, rifacendone i tetti, riparandone i carriaggi, rmnovandone il vasellame e le vesti, rilegandone i codìci; quindi, per quaranta giorni, nella preghiera e nei digiuni attese l'ora di Dio. Caduto gravemente ammalato, A. ordinò che lo si portasse fuori dalla cella per adorare la Croce, come imponeva la regola a chiunque si dovesse allontanare dal monastero.
Conosciamo la vita di A. grazie agli scritti di un suo discepolo, Giona di Bobbio, uomo e scrittore notevole, che ha attinto largamente - ed il suo stile elegante e disinvolto lo dimostra - alla cultura letteraria pagana e cristiana. L'opera di Giona, le Vitae Columbani abbatis discipulorumque eius,è costituita da cinque biografie, che costituiscono però un tutto unico. Di esse, come nota il Viscardi, la più interessante è la vita di, A., perché in essa è l'affezionato discepolo che parla del maestro con un'eloquenza piena di sentimento e il racconto diventa, talora, autobiografia.
Fonti e Bibl.: Vitae Columbani abbatis discipulorumque eius libri duo auctore Iona, a cura di B. Krusch, in Mon. Germ. Hist., Script. Rerum Meroving., IV, Hannoverae et Lipsiae 1902, pp. 113-119, 123 s., 147-149; Pauli Diaconi Historia Langobardorum, IV, 41, a cura di L. Bethmann-G. Waitz, ibid., Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum, Hannoverae 1878, p. 134; A. Viscardi, Le origini,in Storia letteraria d'Italia,Milano, 2 ediz., 1950, pp. 15-18; G. Vaccari, Una serie inedita di abati del monastero di Bobbio, in Bullett. d. Ist. stor. ital. per il Medio Evo,LII (1937), p. 38.