DOMENICO Loricato, santo
Nulla sappiamo circa le sue origini e la sua nascita, ma si può ritenere con una certa sicurezza che D. sia nato nell'ultimo decennio del sec. X, in una località sul confine tra le Marche e l'Umbria, forse nei pressi di Gubbio, dove egli trascorse poi l'intera vita. Mancano, tuttavia, elementi per poter indicare con esattezza il luogo ove egli vide la luce ed i tentativi per individuare la sua patria sin'ora compiuti da alcuni biografi, i quali hanno creduto di poterla ravvisare ora in Cantiano (Pesaro), ora in Luceoli (oggi Pontericcioli, Pesaro), risultano nel complesso privi di riscontri storici e documentari.
S. Pier Damiani, che era stato maestro ed amico di D., poco dopo la morte di questo ne scrisse una vita. Si tratta di un testo agiografico, che per la sua stessa natura mira più ad edificare il lettore che a fornire notizie storiche e biografiche, ma rappresenta anche l'unica fonte a noi nota sull'argomento. Ciò vale a spiegare come mai la vicenda storica di D. ci sia conosciuta solo nelle sue linee generali.Destinato al sacerdozio, D. abbracciò per tempo la vita ecclesiastica e percorse i gradi della sacra gerarchia dal chiericato sino al presbiterato, che ricevette intorno al 1015-1020. La sua ordinazione sacerdotale, tuttavia, fu viziata dal sospetto di simonia: il vescovo, che lo aveva promosso al presbiterato, infatti, si era mostrato in un primo tempo restio a conferirgli gli ordini sacri, ma poi, dopo aver ricevuto una pelle di capra in dono dai genitori di D., aveva finito col consacrare quest'ultimo sacerdote. Seppur estraneo all'accaduto e, pertanto, non responsabile di esso, D. se ne senti tuttavia in qualche modo colpevole. Preferi dunque rinunziare alla vocazione ed abbandonare il sacerdozio, e decise di divenire monaco, dedicando la sua esistenza all'espiazione del peccato di cui si era involontariamente macchiato. Entrò quindi nel monastero camaldolese di Luceoli e li, sotto la guida di Giovanni da Montefeltro, si diede alla meditazione e all'ascesi. Ritiratosi poco tempo dopo nell'eremo annesso al monastero, iniziò quella serie di pratiche penitenziali per le quali sarebbe poi divenuto famoso in tutta la regione.
Sebbene le consuetudini dell'eremo di Luceoli fossero già sufficientemente rigide, D. si sottopose ad una disciplina ancor più ferrea, facendo della rinuncia e della penitenza la sua ragione di vita. Osservò un regime alimentare poverissimo, dormi sempre sulla nuda terra e pochissime ore per notte e soprattutto si sottopose per tutta la vita a terribili penitenze, pregando e fiagellandosi di continuo, per il riscatto dei peccati propri e altrui: per più di venticinque anni portò sulla nuda pelle una cotta di maglia di ferro (in latino lorica, da cui il soprannome con cui il santo fu noto), che non si tolse mai.
Quando intorno al 1043 Pier Damiani si stabili definitivamente nel monastero di Fonte Avellana in diocesi di Gubbio, monastero di cui già da qualche anno era divenuto priore, anche D. si trasferi in quella fondazione camaldolese, non sappiamo se di sua iniziativa o chiamatovi dal Damiani stesso. Entrò così in rapporto diretto col grande riformatore e ne divenne fedele discepolo ed amico. Nulla sappiamo delle vicende di D. nel quinquennio successivo, tranne che continuò la sua vita di preghiera e di penitenza, suscitando nello stesso Damiani una sincera ammirazione per l'ardore della sua ascesi. Intorno al 1049 D. venne destinato ad un nuovo eremo, quello della Ss. Trinità di Monte San Vicino, presso Frontale (ora comune di Apiro in prov. di Macerata), che era stato da poco fondato da Pier Damiani, divenuto nel frattempo priore generale della congregatio avellanita. Della nuova fondazione monastica D., grazie alla fama di santità di cui ormai godeva, venne eletto priore.
Dopo un breve soggiorno presso i monasteri di Fonte Avellana e di S. Emiliano a Congiuntoli, nel 1059 D. tornò di nuovo alla Ss. Trinità di Monte San Vicino, probabilmente non più come priore, e l'anno dopo, il 14 ottobre, vi morì stremato dalle penitenze e dalle privazioni cui si era sottoposto per tutta la vita.
Del tutto infondata risulta la notizia secondo la quale D. fu priore del monastero di S. Maria in Sitria, non lontano da Fonte Avellana. All'origine di essa troviamo una lettera di Pier Damiani indirizzata a D. (Epistolae, VI, 31), che nella edizione delle opere del Damiani, curata da C. Gaetani e pubblicata a Roma nel 1606, recava l'intitolazione: "Ad Dominicum Loricatuin priorem. Sanctae Mariae Sitriac". Già nel sec. XVIII alcuni eruditi (Turchi, Mittarelli) avevano potuto dimostrare con precisione come tale indicazione dovesse essere considerata un'aggiunta posteriore alla lettera la cui origine andava ricercata in una cattiva lettura delle prime righe del testo, che aveva ingenerato una certa confusione fra l'cremo di San Vicino (dove effettivamente D. si trovava in quel periodo) ed un imprecisato "in sua Vicini Montis eremo", identificato erroneamente con S. Maria in Sitria. Una certa superficialità nelle ricerche storiche successive ed un'eccessiva fiducia in quanto si diceva nella letteratura hanno tuttavia fatto si che l'errore si tramandasse inalterato sino ai nostri giorni.
Pochi giorni dopo la morte di D., Pier Damiani si recò a Monte San Vicino per rendergli omaggio: nell'occasione provvide ad ordinare che la salma fosse tumulata nella sala del capitolo. Diffusosi rapidamente, il culto di D. divenne col passare dei secoli sempre più popolare. Appunto per corrispondere meglio alla pietà dei fedeli, come ci informa una lapide pubblicata dal Cancellotti ed un tempo murata sulla parete della chiesa conventuale, nel 1302 la salma di D. venne translata nella chiesa del monastero, che dal santo aveva frattanto preso il nome. In seguito all'abbandono ed alla progressiva decadenza del complesso monastico, nel 1768 il corpo fu nuovamente traslato, questa volta nella vecchia chiesa parrocchiale di S. Anna, nel vicino paese di Frontale, di cui D. era stato intanto riconosciuto patrono. Dal 1962 le spoglie del santo riposano nella nuova chiesa di S. Anna e sono tuttora oggetto di devozione. La festa di D. si celebra il 14 ottobre.
Sul finire del 1061, invitato dal papa Alessandro II a comporre un testo di carattere agiografico da potersi leggere in pubblico per l'edificazione dei fedeli, Pier Damiani scrisse la vita di D. e, unitala ad una biografia di s. Rodolfo, il vescovo di Gubbio morto in quello stesso torno di tempo, la inviò, in forma di epistola, al papa (Epistolae, I, 19). Discostandosi sensibilmente dagli schemi abituali del racconto agiografico, Pier Damiani ci presenta in quest'opera una figura di santo per molti versi singolare e diversa. Nulla nella vita di D. sembra infatti debba colpire: in essa non vi è niente di straordinario o di eccezionale; tutto vi si svolge sommessamente, senza grandi avvenimenti o rivelazioni.
In tutta la sua esistenza D. non compie alcun miracolo: gli unici eventi prodigiosi in cui egli ha in qualche modo parte hanno il solo scopo di mostrare al mondo come sotto un'apparenza umile e dimessa si possa celare un eletto del Signore. La stessa vita di fede che D. incarna non ha nulla di clamoroso: non attira le folle, non coinvolge; è tutta interiore, vissuta nel chiuso della sua cella, al riparo dagli sguardi dei suoi stessi confratelli che solo in parte sono in grado di capime la grandezza. Ma appunto in questa "diversità" risiede il modello di santità che Pier Damiani vuol fare conoscere: una vita di preghiera e di penitenza vissuta in luoghi solitari ed impervi, tutta spesa nell'intento di riscattare un peccato, seppur compiuto inconsapevolmente, come la simonia, così diffuso in quei tempi (ma appunto perciò tanto deprecabile agli occhi di Pier Damiani), altro non è se non la realizzazione pratica degli ideali di riforma ecclesiastica perseguiti per lunghi anni dallo stesso Damiani. Cosi D. diviene inconsapevolmente il simbolo di un modo nuovo e diverso di vivere ed intendere la vocazione monastica e religiosa.
Fonti e Bibl.: Petri Damiani Liber primus, Epistola XIX, Ad Alexandrum II Romanum pontificem, in J.-P. Migne, Patr. Lat., CXLIV, coll. 1007-1024; Liber tertius, Epistola VIII, Ad V. archiepiscopum Bituntinum, ibid., CXLV, coll. 641-648; Liber sextus, Epistolae XXX-XXXI, Ad Teuzonem monachum e Ad Dominicum Loricatum, ibid., coll. 756-759, 791-796; Liber septimus, Epistola XIX, Ad Blancam ex comitissa Sanctimonialem, ibid., coll. 747-748; Opusculum XV, ibid., coll. 335-364; G. B. Cancellotti, Vita di S. Severino, Roma 1643, p. 225; F. Ferrari, Catalogus sanctorum Italiae..., Mediolani 1613, p. 651; L. Iacobilli, Vita di s. D. L., in Vite de' santi e beati dell'Umbria, II, Foligno 1656, pp. 336-340; J. Mabillon, Acta sanctorum Ordinis s. Benedicti..., IX, Lutetiae Parisiorum 1701, pp. 142-150; G. Grandi, Dissertationes camaldulenses. Dissertatio IV de S. Petri Damiani, Lucae 1707, pp. 79-86; O. Turchi, Vita di s. D. confessore, detto il L., Roma 1749; G. B. Mittarelli, Annales camaldulenses Ordinis sancti Benedicti, II, Venetiis 1756, pp. 203-204, 212, 223-232; S. Servanzi Collio, Cenni biografici intorno a s. D. L., Camerino 1884; Bibliotheca hagiographica Latina, Bruxellis 1898-1899, p. 338, n. 2239; [A. Giabbani], Camaldolesi. Le figure più espressive dell'Ordine viste da S. Pier Damiano..., Carnaldoli 1944, pp. 33-37; A. Pagnani, Storia dei benedettini camaldolesi..., Sassoferrato 1949, p. 37; I. Cecchetti, in Enciclopedia cattolica, IV, Città del Vaticano s.a. [ma 1950], col. 1832; [A. Giabbani], Menologio camaldolese, Roma 1950, p. 65; A. M. Zimmermann, in Lexikon fúr Theologie und Kirche, III, Freiburg 1959, col. 481; G. Cacciamani, I grandi avellaniti, Camaldoli 1962, pp. 13-14; Id., in Bibliotheca sanctorum, IV s.n.t. [ma Roma 1964], coll. 687-688; A. Bittarelli, S. D. L. ideale della riforma avellanita, in Atti e memorie della Deputaz. di storia patria per le Marche, s. 8, VII (1971-1973), pp. 93-99; Id., Frontale, Pian dell'Elmo, S. D. L., Camerino 1972.