Domenico, santo
, Fondatore dell'ordine dei predicatori, nacque tra il 1170 e il 1175 a Calaruega, villaggio della Vecchia Castiglia, da Felice e da Giovanna che la tradizione posteriore vuole delle nobili famiglie dei Guzman e degli Aza (cfr. Breviarium Romanum ad 4 Aug.: " Domenicus... ex nobili Gusmanorum familia natus "). Morì a Bologna il 6 agosto 1221, e fu canonizzato nel 1234 da Gregorio IX.
La vita di Domenico si conformò, traducendoli in pratica, a quei valori, allusivamente soteriologici, significati nel sogno che la madre ebbe quando era gravida. Sognò infatti, la madre, di portare nel grembo un cane avente una torcia in bocca, con la quale la terra veniva incendiata quasi a significare che " con lo splendore della santità e della dottrina le Genti sarebbero state infiammate e illuminate dalla fede cristiana " (Teodorico d'Appoldia). Quasi a rendere operante la promessa implicita nel sogno, Domenico, la cui fede e carità cristiane lo spinsero a vendere i libri per sfamare i poveri durante una terribile carestia, e più ancora a offrirsi in vendita ai mori per riscattare un prigioniero la cui sorella a lui s'era rivolta, adolescente entrò nell'università di Palencia, dove per dieci anni studiò filosofia e teologia. Accolto nel 1196 o 1197 nel capitolo dei canonici della cattedrale di Osma, nel 1201 ne divenne sottopriore. Nel 1203 accompagnò il suo vescovo, don Diego de Azevedo, in una missione diplomatica, voluta da Alfonso IX di Castiglia, che voleva maritare suo figlio Ferdinando a una principessa reale di Danimarca. La missione fallì per la morte della principessa, ma il viaggio protrattosi fino al 1205, e il passaggio in Linguadoca, rivelò a Domenico i tristi effetti che l'eresia degli albigesi produceva in quelle contrade. Nel 1205, quindi, dopo aver visitato Roma, sempre con don Diego de Azevedo, egli tornò in Linguadoca dové raggiunse i legati pontifici inviati dal papa Innocenzo III per convertire gli albigesi. In tale frangente e in quelle contrade, D. vide un campo d'azione per sé, e lavorò con ardore incredibile, dapprima insieme col suo vescovo, poi da solo, essendo questi tornato alla sua sede.
Nel 1206 Domenico si recò a Roma, e ottenne, pare, il permesso verbale d'intraprendere una campagna di predicazione contro gli eretici albigesi, a cui si dedicò con dottrina e con volere insieme (Pd XII 97). Sebbene non gli mancassero protettori, quali in Tolosa il conte di Montfort e il trovatore Folchetto di Marsiglia, pure i nemici erano forti e parevano invincibili. Per ostacolare e controbattere la pericolosa propaganda della sempre più dilagante eresia albigese, Domenico raccolse sotto buona guida attorno al santuario di S. Maria di Prouille delle giovinette, specialmente nobili, molte delle quali si consacrarono a Cristo. Così sorse, nell'inverno 1206-1207, un primo convento di suore domenicane, che professarono la regola di s. Agostino.
La crociata degli albigesi (1209-13) lo vide combattente attivo, ma la sua lotta fu certo più di persuasione che di persecuzione vera e propria. È vero altresì che una credenza popolare lo vorrebbe quasi fondatore dell'Inquisizione e persecutore implacabile degli eretici, ma è noto che funzioni inquisitoriali furono demandate all'ordine dei predicatori soltanto dieci anni dopo la morte di Domenico.
Nel 1215 raccolse a Tolosa sei compagni, primo nucleo del nuovo ordine, e in quello stesso anno accompagnò Folchetto, divenuto vescovo di Tolosa.
Nel 1217 ebbe definitivamente sanzionata da Onorio III quell'approvazione dell'ordine dei frati predicatori che Innocenzo III aveva soltanto a voce garantita. Da Roma, Domenico iniziò la disseminazione missionaria dopo aver fondato il monastero di s. Sisto (1219) e quello di s. Sabina (1221). E nel 1220, divenuto generale dell'ordine nel primo capitolo a Bologna, decise di trasformarlo in ordine mendicante e d'istituire un secondo e terzo ordine. Mentre già in ogni parte d'Europa si moltiplicavano i conventi dei predicatori, dopo il secondo capitolo generale Domenico s'infermò e morì.
Canonizzato nel 1234 da Gregorio IX, il suo corpo fu traslato nel 1267, e tumulato nella tomba che Niccolò Pisano gli eresse nella chiesa bolognese che al santo s'intitola.
Di lui possediamo un ritratto ritrascrittoci dal Filalete, in cui viene descritto di aspetto bello, armoniosamente severo e gentile il tratto, rosse la capigliatura e la barba, lunghe e bellissime le mani, ma soprattutto di voce potente e insieme musicale.
Citato una prima volta nel Convivio (IV XXVIII 9) insieme con s. Benedetto, s. Agostino e s. Francesco d'Assisi, ben più ampiamente apparirà nella Commedia, escusso nel cielo del Sole da s. Tommaso: Io fui de li agni de la santa greggia / che Domenico mena per cammino / u' ben s'impingua se non si vaneggia (Pd X 94-96), esaltato da s. Bonaventura (XII 46 ss.) e direttamente nominato al v. 70: Domenico fu detto; e io ne parlo / sì come de l'agricola che Cristo / elesse a l'orto suo per aiutarlo.
Tanto nel primo caso che nel secondo la citazione risponde a un diverso seppur analogo fine, quello di mostrare l'accorto e mirifico operare della Provvidenza che governa il mondo (Pd XI 28). Essa aveva inviato il gran dottor Domenico e il tutto serafico in ardore Francesco, intesi quali ruote de la biga di Santa Chiesa (XII 106-107), a soccorrere la Chiesa e per far sì che i fedeli (l'essercito di Cristo, XII 37), potessero più agevolmente seguire il Salvatore, guidati dalla sapienza domenicana e dall'ardore francescano.
Ma gli ordini, domenicano e francescano, tralignando sempre più, si sono allontanati dall'insegnamento dei fondatori e sono o lacerati dalle opposte fazioni, come i francescani divisi tra i conventuali e gli spirituali, capeggiati rispettivamente da Matteo Bentivegna d'Acquasparta e da Ubertino da Casale; o affannati di retro ad Ostïense e a Taddeo (XII 82-83).
A pronunciare direttamente la vituperatio degli ordini degeneri e inversamente la laus dei fondatori son dunque da D. chiamati s. Tommaso e s. Bonaventura, quasi a dimostrare che in cielo regnano quell'armonia e quella cortesia (l'infiammata cortesia e 'l discreto latino, Pd XII 143-144) introvabili ormai sulla terra.
Impiegando le formule retoriche dell'analogia e dell'antitesi, artifizi di fondo del genus demonstrativum - uno dei pilastri, così crediamo, della Commedia -, D. si adegua anche alla regola comune ai due ordini, secondo la quale un domenicano avrebbe dovuto predicare in una chiesa francescana, e viceversa. In tal modo, come s. Tommaso ha pronunciato la laus di s. Francesco; così s. Bonaventura pronuncerà quella di s. Domenico; e i due panegirici già riconosciuti nel concepimento e nell'esecuzione geminati - perfino, sia pur grosso modo, nel numero dei versi -, appaiono ancora una volta in relazione analogico-antitetica con le gerarchie angeliche: prima la laus del serafico in ardore che dunque richiama i più alti Serafini, poi quella dello splendore di cherubica luce, che si rifà dunque ai Cherubini, mentre viceversa intorno a D. e a Beatrice si formerà prima il cerchio dei sapienti guidati da s. Tommaso, poi intorno a quello, a più ampiamente comprenderlo, la ghirlanda capeggiata da s. Bonaventura, in una con gli schemi armonici e caritativi del Paradiso.
E non taceremo certo quest'altra implicazione sollecitata dalle osservazioni sull'angelologia ripropostaci da Umberto Bosco: che i profili caratteristici dei due santi, su istanze gioachimite e apocalittiche, non debbano ricalcare i moduli tradizionali di un s. Francesco, cavaliere errante dell'umiltà e della povertà, araldo del gran Re celeste, inteso a bandire il nuovo Vangelo dell'amore, e di un s. Domenico, santo atleta / benigno a' suoi e a' nemici crudo, condottiero militare dunque, e inteso a travolgere e a percuotere ne li sterpi eretici (Pd XII 56-57; 100) - tali quindi, aggiungiamo noi, da richiamare o il serafino alato che impresse, come ha scritto s. Bonaventura nell'Itinerarium mentis in Deum, le stigmate a s. Francesco o le missioni rispettivamente di Gabriele, l'arcangelo dell'annunciazione e del decreto / de la molt'anni lagrimata pace (Pg X 34-35), e di Michele, l'arcangelo della vendetta del superbo strupo (If VII 12) -; ma debbano insieme essere ricondotti a un comun denominatore di milizia e di lotta " per l'assoluto del bene, per l'assoluto della verità " (Bosco).
Questa geometria binaria il dittico già noto e relativo ai soli s. Francesco e s. Domenico - deve però essere allargata e trasformata in ternaria con l'aggiunta di Salomone, la cui concisa ma non meno significativa laus, e vituperatio antitetica dei ‛ regi ' tralignanti, proprio nel canto successivo (XIII) sarà ancora affidata a s. Tommaso.
Il dittico quindi diventando trittico (s. Tommaso-s. Francesco, c. XI; s. Bonaventura-s. Domenico, c. XII; s. Tommaso-Salomone, c. XIII) ribadirà, una volta di più, la componente numerica di fondo, trinitaria, su cui saldamente si basa la Commedia (e di ciò il dato più appariscente è la terzina, il cui schema a b a riapparirà ripetuto più volte in chiari trittici e triadi, e anche qui, in questa successione ternaria delle laudes e vituperationes, sol che s'identifichino i santi con le lettere (a = Tommaso, b = s. Bonaventura, a = s. Tommaso), e completerà, svelando l'ordito, il disegno dantesco che prevede di necessità anche, e soprattutto, l'Impero nell'armonico operare della Provvidenza e qui splendidamente e sottilmente incentrato nelle due questioni U' ben s'impingua e Non nacque il secondo (Pd XI 25-26) poste e risolte da s. Tommaso.
Forte di un'architettura così rigorosamente tecnica e dialettica, come già per s. Francesco e più oltre, anche se soltanto per suggerite allusioni, per Salomone, e raccolto un mannello di notizie distribuite tra le cronache e le devote leggende - dalle biografie di Bernardo di Guido, Costantino d'Orvieto, Giordano di Sassonia, Bartolomeo da Trento, del frate spagnolo Pietro Ferrandi, e massime da quella di Teodorico d'Appoldia, alla Legenda Aurea di Iacopo da Varagine, allo Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais -, D. comporrà un modello di agiografica laus su Domenico, in cui ogni più sottile tecnica retorica del genus demonstrativum - canonico nelle Vitae Sanctorum e nelle Gesta Regum -, ogni formula tradizionale, dalla nominum interpretatio (che qui agisce veramente quasi forma mentis e ribadisce comprovando il nomina sunt consequentia rerum della Vita Nuova [XIII 4; cfr. XXIV 4] e del Purgatorio [XIII 109, e più allusivamente XXX 55, 62-63]), ai ‛ topoi ', ai dati che la fede sa volgere a fini esemplari e soteriologici, ai principi filosofici, platonico-agostiniani e aristotelico-tomistici (francescani e domenicani), ai termini e immagini evangelici, al vocabolario tecnico, mirabilmente amalgamati e fusi, ben allusivamente alla poesia vengono piegati, sì da offrirci un quadro magistrale e suggestivo che gemina quello su s. Francesco; come dovevasi del resto per compiutamente esaltare i due santi, diversamente ma nel fondo ugualmente caratterizzati con le locuzioni specializzate e tipiche di due principi (Pd XI 35), per bocca di s. Tommaso, e di ruote de la biga (di santa Chiesa, XII 106), per bocca di s. Bonaventura.
Naturalmente analoghi e antitetici saranno delle due laudes gli exordia. Da un lato s. Francesco è sole nato come fa questo... di Gange, e quindi ad Oriente (Pd XI 50-51, 54), il " quasi sol oriens in mundo " dell'agiografo Bernardo da Bessa o lo " ascendens ab ortu Solis " di Apocalisse (7, 2), nella Legenda di s. Bonaventura, a similitudine dunque del Salvatore o dell'angelo giovanneo (ma l'interpretazione corrente [" la positura di Assisi per rispetto a Perugia... suggerisce al poeta l'idea dell'oriente ", per dirla con le parole del Bertoldi], ferma a una lettura imperfetta della similitudine geografica, viene da noi, notisi, modificata movendo l'accento d'intensità da Assisi al Gange); dall'altro Domenico, già paragonato ad " hesperus " dall'agiografo Pietro Ferrandi, nasce ove lo sol... ad ogne uom si nasconde (Pd XII 51), a concludere e ad abbracciare, con aperta immagine, in uno il giro parabolico del giorno, sintesi della vita, e i confini della terra (e a tal fine valga il rinvio a un passo parallelo e certo per noi illuminante, quello di Pg VIII 22-27 e 31-33, ove avvertiamo in concetti, moduli e forme quasi uguali risillabata la similitudine); ma analogamente i versi che fanno sentire la primavera e mostrano in un alito di zefiro tutta Europa rivestita di fronde, nel canto XII (Pd 46-48), pareggiano quanto ha di fresco, di fervido e di luminoso il canto XI.
Né meno sapiente la tecnica, né meno lieve la mano di D. sarà nel preparare il lettore all'intelligenza della duplice nominum interpretatio (più sottile certo quella di s. Francesco: non Ascesi... / ma Orïente, XI 53-54), che delle laudes segna il mirifico e soteriologico apex.
Qui D. prima ricorre alle circonlocutiones, retorici ‛ fiori ' così altamente raccomandati da Alberico da Montecassino, traendo quella per Domenico per sapïenza... / di cherubica luce uno splendore (XI 38-39), da una definizione rinverdita dall'Aquinate: " Cherubin interpretatur plenitudo scientiae... et sic patet quod Cherubin denominetur a scientia " (Sum. theol. I 63 7), poi, su questo fondamento, elaborando una formula che la tradizione esegetica scritturale da s. Gerolamo per s. Isidoro aveva a ‛ catena ' consegnato a s. Tommaso - nella Catena Aurea, nome vulgato della Expositio continua in Matth., Marc., Luc., Johan. (ed. Marietti), si legge invero: " Quia vero haec pars Evangelii consistit in serie nominum, nihil pretiosum exinde acquiri existimant. Ne igitur hoc patiamur, experiamur etiam hunc passum scrutari. Est enim ex nudis nominibus copiosum haurire thesaurum, quia plurimum rerum indicativa sunt nomina; nam et divina clementia, et oblata a mulieribus gratiarum actiones sapiunt: cum enim filios impetrabant, nomen imponebant a dono... " (Matt. 1, 48). Mette conto inoltre il rilevare che la formulazione della interpretatio (Poi che le sponsalizie..., XII 61-72), più che dagli autori delle agiografie (" Dominicus, qui Domini custos, vel a Domino custoditus etymologicatur, vel quia praecepta Domini custodivit, vel quia Dominus custodivit eum ab inimicis... ", Bartolomeo da Trento), par ricavata da un altro passo di s. Tommaso, e precisamente: " Dominicus denominative dicitur a domino... non dicitur de hiis de quibus Dominus praedicatur; non enim consuevit dici quod aliquis homo qui est dominus sit dominicus; sed illud quod qualitercumque est Domini, dominicus dicitur, sicut dominica voluntas, vel dominica manus, vel dominica passio " (Sum. theol. III 16 3); sì che ne risulti esaltato, e in maniera ben sottilmente allusiva - s. Bonaventura che liberamente cita s. Tommaso -, quel tempo nuovo, quell'aura nuova, quell'unione caritativa che si realizza mirabilmente nel regno della carità, nel Paradiso.
La fonte del sogno della madrina, invece, che gemina quello ben più noto della madre, chiaramente ricalcato sull'evangelico " et Spiritu sancto replebitur adhuc ex utero matris suae " (Luc. 1, 15), è riconducibile agli antichi biografi, quasi puntualmente ritrascritti nei primi Commenti danteschi, quello di Pietro: " Illa matrona quae in baptismo dicti sancti Dominici dedit assensum abrenuntiando Satanae, ut fit in tali actu, somniavit ante dictum puerum in fronte portare quandam stellam, quae lumen et directionem ad portum salutis denotat ", e quello di Benvenuto: " ... domina quae tenuit ipsum in baptismo somniavit, quod Dominicus ipse habebat stellam in fronte praefulgidam, quae illuminabat totum mundum ".
Dagli antichi biografi, e precisamente da Teodorico d'Appoldia, verranno i nomi del padre e della madre del santo (XII 79-80), nelle cui etimologie (Giovanna, secondo il valore etimologico del vocabolo ebraico, era tradizionalmente registrato nella lessicografia medievale, e più specificamente nelle Magnae Derivationes di Uguccione da Pisa, " Domini gratia ") D., una volta di più e ben chiaramente, riconferma il principio qui più che mai soteriologico della nominum interpretatio, come in Teodorico: " Generatur a patre Felice: parturitur, nutritur, fovetur a Johanna, Dei gratia matre; renascitur et Dominico nomine insignitur, gratiae alumnus, divinitatis cupidus, aeternaeque felicitatis heres futurus ".
E se l'incidente di profonda devozione testimoniato dalla nutrice, riferito nella terzina culminante con quella ben simbolica unione con la terra, lo son venuto a questo, che, tradotto letteralmente dal Vangelo (" ad hoc enim veni ", Marc. 1, 38) richiama il programma di povertà che unì Domenico a s. Francesco che al suo corpo non volle altra bara (che la terra, Pd XI 117), è da ricondurre a questo passo dello Speculum historiale: " Nato igitur ex piis parentibus et religiose viventibus, in illa puerili aetate sua cor ei senile jam inerat, et sensus veneranda canicies tenella sub facie latitabat. Cum enim esset adhuc puerulus nondum a nutricis diligentia segregatus, deprehensus est saepe lectum dimittere, quasi jam carnis delicias abhorreret et eligebat potius ad terram accumbere " (XXIX, c. 94, f. 1217), più facili ne verranno l'intelligenza e la lettura.
Infatti sarà da sottolineare che il ‛ topos ' notissimo ‛ puer-senex ', evidentissimo nel testo del Bellovacense - " puerili aetate... cor senile... veneranda canicies tenella sub facie " -, informerà in maniera del tutto nuova (in picciol tempo gran dottor si feo, Pd XII 85) i versi successivi, nei quali esploderà antitetica (Non per lo mondo... / ma per amor de la verace manna) la ben diversa finalità della sete del sapere di Domenico e dei decretalisti, e più in generale dei prelati, la cui cupidigia condannata una prima volta (Pd XII 82-87) ancor più solennemente lo sarà più avanti, come del resto era pur stato fatto in Mn III X 17 e già prima in Cv IV XXVII 13-14. Ma è doveroso anche far rilevare per mettere a nudo il fitto reticolato di idee e di mezzi stilistici, mirabilmente intrecciantisi, che il ‛ topos ' si stempera nella metafora finale attinta dalla tradizione scritturale: " Et coepit illis in parabolis loqui: Vineam pastinavit homo et circumdedit sepem et fodit lacum et aedificavit turrim et locavit eam agricolis et peregre profectus est " (Marc. 12, 1); e ancora: " Ego autem plantavi te vineam electam, omne semen verum, quomodo ergo conversa es mihi in pravum, vinea aliena? " (lerem. 2, 21). Ed è fatto tanto più notevole in quanto con metafore di tal provenienza D. aveva già concluso la terzina della nominum interpretatio: e, con epica violenza, concluderà la stessa laus (Pd XII 97-105), mettendo ben a nudo, così fermamente crediamo, la sua intenzione che non sottintende nella nominum interpretatio un mero " gioco di parole " - come finora è parso alla dantologia - ma una ben ferma e chiara istanza soteriologica ed esemplare.
A riprova del resto di come D. sappia sottomettere tecnicismi giuridici e altri ‛ topoi ', legati a tanta letteratura teologica e romanistica sul tema dell'avarizia, e della sua antitesi, la giustizia, e più in generale sulla lotta tra i due poteri, e ridurli al suo alto ideale civile e morale e religioso, si dovranno ricordare le tre terzine di Pd XII 88-96 E a la sedia che fu già benigna / più a' poveri giusti, non per lei, / ma per colui che siede, che traligna, / non dispensare o due o tre per sei, / non la fortuna di prima vacante, / non decimar, quae sunt pauperum Dei, / addimandò, ma contro al mondo errante / licenza di combatter per lo seme / del qual ti faccian ventiquattro piante. In questi versi, in cui l'antitesi tra Domenico e i domenicani e il pontefice e la Chiesa in senso più lato, vien martellata a suon di opposizioni immediate - non per lei / ma per colui - o protratte - non... / non... / non... / ... ma contro al mondo errante - e viene costruita su testi classici come le Quaestiones discusse nel De Malo o nella Summa theol. (II II 78) che l'Aquinate derivava da Pietro Lombardo (Sententiarum Liber III XXXVII 4) e consegnava a Remigio de' Girolami (De Peccato usurae) perché ne ricavasse, mescidando altre non meno celebri ‛ fonti ' dispute e sermoni per lo Studium Theologiae di S. Maria Novella ove D. erasi addottrinato, noi avvertiamo ben presente il tema del riscatto nel doppio rimpianto già di s. Tommaso e, qui, di s. Bonaventura non isterilito in altro ‛ topos ' - quello dello ubi sunt - ma sbandierato come un programma di ‛ etica caritativa '. Quello stesso programma che appare ispirato sia da s. Tommaso che da s. Bonaventura, che ne' grandi offici / sempre pospuosi la sinistra cura (Pd XII 128-129) - e adombrato perfino in un testo coevo al D., il De Potestate Ecclesiae, di un non meglio identificato domenicano Ramberto di Bologna: " ... et ideo prelati primitive ecclesiae omnem principatum politicum et omnes decimas contempserunt, ut plene spiritualibus vacarent. Et ideo Christus dicit in Johanne: Regnum meum non est de hoc mundo [ Johann.18, 37], et amplius: Habentes alimenta ex quibus tegamur, hiis contenti sumus [Tim. I 6, 8], et iterum Petrus: Ecce nos reliquimus omnia et secuti sumus te [Matt. 19, 27] " (ediz. J. Leclercq).
Questo programma consuona da un lato con le attese rivendicate nella Monarchia ripetutamente, ma specialmente in questo passo: Maxime enim fremuerunt et inania meditati sunt in romanum Principatum qui zelatores fidei cristianae se dicunt; nec miseret eos pauperum Cristi, quibus non solum defraudatio fit in ecclesiarum proventibus, quinymo patrimonia ipsa cotidie rapiuntur, et depauperatur Ecclesia dum, simulando iustitiam, executorem iustitiae non admittunt... Redeunt unde venerunt: venerunt bene, redeunt male, quia bene data, et male possessa sunt. Quid ad pastores tales?... Sed forsan melius est propositum prosequi, et sub pio silentio Salvatoris nostri expectare succursum (II X 1-3), e dall'altro con quelle sofferte e accoratissime dell'Epistola ai Cardinali, e massime, nel passo più impegnato: Quippe de ovibus pascuae Iesu Christi minima una sum; quippe nulla pastorali auctoritate abutens, quoniam divitiae mecum non sunt. Non ergo divitiarum, sed gratia Dei sum id quod sum, et " zelus domus eius comedit me " (Ep XI 9). E queste parole possiamo ricondurle, sia pur con impegno forse meno urgente, alla prima menzione fatta da D., di Domenico, in Cv IV XXVIII 9 E non si puote alcuno escusare per legame di matrimonio, che in lunga etade lo tegna; ché non torna a religione pur quelli che a santo Benedetto, a santo Augustino, a santo Francesco e a santo Domenico si fa d'abito e di vita simile, ma eziandio a buona e vera religione si può tornare in matrimonio stando, ché Dio non volse religioso di noi se non io cuore, ove dunque già chiaramente avvertiamo il maturarsi di quell' ‛ azione contemplativa ' (come altrove l'abbiamo definita), contraltare laico della ‛ contemplazione attiva ' che proprio in s. Francesco e in s. Domenico, per tacere di tutti gli altri che trovansi nella Commedia, trova i suoi campioni più paradigmatici.
Aggiungeremo, infatti, che nell' ‛ addimandare ' del santo della licenza di combatter contro il mondo errante (Pd XII 94-95) pare ancora di avvertire un riferimento, tanto più allusivo perché proprio da parte di s. Bonaventura, alla Contra Gentiles dell'Aquinate e, in chiave dantesca, alla III canzone del Convivio, Le dolci rime, il cui congedo (vv. 141-146) implica o forse segna un tempo nuovo: Contra-li-erranti mia, tu te n'andrai; / e quando tu sarai / in parte dove sia la donna nostra, / non le tenere il tuo mestier coverto: / tu le puoi dir per certo: / " Io vo parlando de l'amica vostra ", così come non casuale ma causale sentiremo la scelta del vocabolo ‛ atleta ' - il santo atleta / benigno a' suoi e a' nemici crudo, Pd XII 56-57 - per definire Domenico quale ‛ strumento ' provvidenziale, perché con ugual immagine, desunta non importa se da s. Paolo (Tim. I 11 5; II Phil. 14, 5) o da s. Bonaventura (" At ipse, quia novus Christi erat athleta ", II 2), che l'aveva impiegata nella Legenda, come ci avverte Umberto Bosco, proprio nella Monarchia (Ex quibus omnibus manifestum est quod romanus populus cunctis athletizantibus pro imperio mundi praevaluit: ergo de divino iudicio praevaluit, et per consequens de divino iudicio obtinuit; quod est de iure obtinuisse, II VIII 15), viene dimostrata la provvidenzialità del popolo romano.
Infine, la duplice laus di s. Francesco e di s. Domenico va inserita nel più ampio contesto della Commedia. Essendo entrambi le metaforiche e allegoriche ‛ rote de la biga ' (di santa Chiesa), al modo stesso degli evangelisti chiamati dalla tradizione esegetica scritturale " quadriga Domini ", per richiamo diretto e allusivo insieme, le laudes richiamano, aiutandoci a una più compiuta intelligenza, la scena mirabile di Pg XXXII 49-60, quella che conchiude l'apoteosi del carro trionfale trainato dal grifone-Cristo e legato alla pianta dispogliata; proprio in quel canto, dunque, in cui leggiamo della rovinosa calata dell'uccel di Giove (l'aquila) a dirompere l'albero, a ferire il carro e a lasciarne l'arca... di sé pennuta, dopo che una volpe / che d'ogne pasto buon parea digiuna si era avventata ne la cuna / del triunfal veiculo (XXXII 112 ss.):
Ma come il canto XXXII del Purgatorio, nel quale Beatrice impone a D. il comandamento di scrivere quel che vede in pro del mondo che mal vive (v. 103) è seguito dal canto XXXIII, che altrove abbiamo definito il canto della " Giustizia riparata ", nel quale è annunciato l'arrivo del Cinquecento diece e cinque / messo di Dio (v. 43), così ai canti XI e XII di Paradiso seguirà, quasi a incoronarli, il canto XIII, il canto di Salomone, quello in cui, e non a caso, ricompariranno modi e formule, tecnicismi e termini, metafore e allegorie di chiara origine scritturale, come questa così allusiva da ristudiare nella più ampia e in gran parte inedita problematica del simbolismo ‛ floreale ' del prun... rigido e feroce che dopo il verno porterà la rosa in su la cima nell'imminente sperata e immancabile primavera (cfr. Pd XIII 130-138), e, imperniato come appare nella laus di Salomone (fondamentale sarà l'uso della nominum interpretatio nel sostantivato Diletto [v. 111] che la tradizione esegetica scritturale ha sempre collegato al binomio Salomone-Cristo, e quella teologico-politica al trinomio Salomone-Cristo-imperatore, in quanto typus Christi) e nella vituperatio dei ‛ regi ', si concluderà nel richiamo al consiglio divino, e quindi all'occulto ma mirabile operare della Provvidenza.
Bibl. - Sugli antichi biografi di D., cfr.: V. Bellovacensis, Speculum Quadruplex sive Speculum Majus: Naturale, Doctrinale, Morale, Historiale..., Douai 1624; Jacobi A Varagine, Legenda Aurea, rec. Th. Graesse, Osnabrück 1965 (riproduzione fototip. della III ediz. 1890); Bernardo di Guido, Script. Ord. Praedicatorum (ediz. Quétif-Èchard), I 44-69; Costantino d'Orvieto, ibid. I 25-44; Giordano di Sassonia, De principio Ord. FF. Praed., in L. Berthier, Opera B. Jordani, Friburgo 1891, e Acta Sanctorum Augusti (Bollandisti), I 545-559; Bartolomeo Da Trento, Acta, cit., I 559-562; Teodorico d'Appoldia, Acta, cit., I 562-632; Van Octroy, Pierre Ferrand et les premiers biographes de St. Dominique, in " Analecta Bollandiana " XXX (1911) 27-87; B. Umberto De Romanis, Vita B. Dominici, in Mamacki " Annales Ord. Fratr. Praed. " 1-58; Gerardo di Frachet, Vitae fratrum, Lovanio 1896. Sugli atti della canonizzazione e per le biografie più moderne, cfr.: I. Taurisano, Fontes selectae vitae s. Dominici, Roma 1922, e, oltre al Catalogus agiographicus O.P., ibid. 1918, La Romanità dei santi, san Domenico, ibid. 1925; T. Bottoni, Vita di san Domenico, Venezia 1589; H. Castillo - I. Lopez, Historia general de s. Domingo y de su Orden de Predicatores, Valladolid 1620-1622; F. Polidori, Vita di san Domenico, Roma 1799; E.D. Lacordaire, Vie de saint Dominique, Parigi 1940; P. Mandonnet, St. Dominique, l'idée, l'homme et l'auvre, Gand 1921; B. Aethanen, Der hl. Domicus, Untersuchungen und Texte, Breslavia 1921; A. Walz, Compendium historiae Ord. Praedicatorum, Roma 1930. Altre vite del santo hanno scritto I. Guiraud (1906), il Lacordaire (1920), L. Ferretti (1928) e G.B. Barbieri (1931). Per la bibliografia più specificamente dantesca, oltre alle enciclopedie e ai dizionari ben noti si vedano le ‛ lecturae ' di A. Bertoldi, Firenze 1913 (ora in Lett. dant. 1577 ss.; cfr. la recensione di U. Cosmo, in " Giorn. stor. " XXXIII [1914] 367) e quella di A. di Pietro, in Lect. Scaligera III 421 ss. Inoltre si vedano: A. Sorrentino, L'unità concettuale dei canti XI e XII del Paradiso e una leggenda riferita dal Passavanti, Firenze 1927; F. Sarri, San Domenico e i Francescani nel canto XII del Paradiso, ibid. 1933; E. Bodrero, Il canto XII del Paradiso (ripubblicato in Studi, saggi ed elogi, Padova 1941); N. Carinci, Il canto di D. e san Domenico, Lavagna 1933, e L. Cicchitto, Il canto di Domenico e D., in " Misc. francescana " XLVIII (1948) 306-328.
Infine per la bibliografia più specializzata relativa ai fatti retorico-stilistici e alla letteratura teologico-politica, implicata o direttamente prodotta, oltre ai già canonici, C.S. Baldwin, Medieval rhetoric and poetic, Gloucester, Mass., 1959; E.R. Curtius, European literature and the Latin Middle Ages, trad. ingl. di W.R. Trask, New York 1963 (traduzione arricchita rispetto all'originale, Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter, Berna 1948); É. Gilson, D. the philosopher, trad. ingl. di D. Moore, Londra 1948, si vedano: G. Nencioni, Note dantesche, in " studi d. " XL (1963) 25-30; G.R. Sarolli, D. ‛ scriba Dei ', in " Convivium " n.s., XXXI (1963) 385-422, 513-544, 641-671 (e anche Prolegomena alla D.C., in corso di stampa presso Olschki, nella Bibliot. dell'Archivum Romanicum); J. Leclercq, Textes contemporains de D. sur des sujets qu'il a traités, in " Studi Mediev. " VI (1965) 491-536; O. Capitani, Il " De Peccato usurae " di Remigio de' Girolami, ibid. 537-664; T. Gregory, Sull'escatologia di Bonaventura e Tommaso d'Aquino, ibid. 79-94; e infine A. Vallone, Studi sulla D.C., Firenze 1955, 108-128; G. Petrocchi, Gli influssi della spiritualità duecentesca, in " Cultura e Scuola " 13-14 (1965) 87-93 (rist. in Itinerari danteschi, Bari 1969, 44-53); U. Bosco, San Francesco, in D. vicino, Caltanissetta-Roma 1966, 316-341.