ECCLESIO, santo
Fu, secondo Agnello, lo storico della Chiesa di Ravenna, vissuto tra la fine del sec. VIII e la prima metà del sec. IX, il ventitreesimo successore di s. Apollinare sulla cattedra episcopale ravennate. I termini cronologici del suo pontificato più probabili sono gli anni rispettivamente intorno al 522 e intorno al 532, ma le date della sua ordinazione episcopale e della sua morte rimangono tra i molti aspetti oscuri della sua vita.
Il predecessore di E., Aureliano, mori il 22 maggio 521. La prima testimonianza sicura di E. come vescovo di Ravenna è del 12 nov. 523, e appariva in un frammento di papiro ora deperdito, citato dal Marini. Il successore di E., Ursicino, fu consacrato molto probabilmente nel febbraio del 533. Dato che E. resse la sua diocesi - secondo Agnello - per 10 anni, 5 mesi e 7 giorni, la sua ordinazione avvenne molto probabilmente o alla fine del 521, come sostenuto dal Testi Ramponi, o all'inizio del 522. La data del 20 febbr. 522 per la sua ordinazione, proposta - tra gli altri - dallo Stein (Beiträge, p. 53), deriva per calcolo retrogrado da una tarda quanto inattendibile tradizione, che pone la morte di E. al 27 luglio 532.
Nel cap. 60 del Liber pontificalis Ecclesiae Ravennatis di Agnello E. viene ricordato con il prenome di Caelius, prenome frequente tra i vescovi dei secc. V e VI, ma del quale si ignorano le implicazioni. La descrizione fisica di E., che compare nell'opera di Agnello e che lo rappresenta come di statura modesta e di piacevole aspetto, si fonda probabilmente sulle incerte basi costituite dai ritratti superstiti del presule visti dal cronista.
Le origini di E. ci sono sconosciute, ma furono certamente locali. Appare legittimo ritenere che egli guidò con grande abilità la diocesi di Ravenna durante un periodo particolarmente difficile della sua storia, quando il governo temporale in Italia era detenuto dal sempre più insicuro regime degli Ostrogoti ariani. Pur non avendo, nel campo spirituale e letterario, la creatività di un Pietro Crisologo, né le importanti relazioni politiche di un Massimiano, E. si dimostrò abile nel mantenersi in equilibrio, tra le diverse forze in gioco, durante il delicato periodo degli ultimi anni di Teodorico e della reggenza di Amalasunta per conto del figlio Atalarico, e nell'intraprendere un ambizioso programma di edilizia sacra dopo decenni di inattività dovuti presumibilmente all'opposizione dei Goti.
È probabile che l'elezione di E. abbia avuto l'approvazione di Teodorico, come è Probabile che, quando egli con altri quattro vescovi accompagnò sul finire del 525 nella sua missione a Costantinopoli il papa Giovanni I, incaricato da Teodorico di persuadere l'imperatore Giustino I a moderare le sue misure antiariane, gli sia stato affidato il ruolo di rappresentare "gli occhi e le orecchie" del re. Di certo E. e gli altri vescovi non furono incarcerati al loro ritorno, come lo furono invece il papa Giovanni ed i suoi compagni di viaggio di rango senatorio. Fu probabilmente subito dopo il suo ritorno da Costantinopoli che E. intraprese la costruzione della basilica di S. Maria Maggiore su di un terreno "in sua proprietatis iura", posseduto cioè dalla sua Chiesa. Una qualche parte nell'iniziativa, e presumibilmente il finanziamento, venne dal misterioso Giuliano Argentario, un banchiere che E. potrebbe aver conosciuto a Costantinopoli.
Il preciso ruolo di Giuliano nel programma di patronato della basilica non è affatto chiaro, ma la maggior parte degli studiosi ha accettato la tesi del Deichmann (Giuliano Argentario) secondo cui egli era un benefattore privato piuttosto che un agente di Giustiniano. Nella maggior parte delle iscrizioni dedicatorie il vescovo è la persona cui è assegnato il ruolo principale: l'iscrizione del più notevole progetto di E., la basilica di S. Vitale, per esempio, attribuisce la committenza al presule, la costruzione a Giuliano. Il costo dell'opera -che fu portata a termine solo nel 548 - fu, secondo Agnello, di 20.000 "solidi".
Un mosaico dell'abside di S. Vitale rappresenta E. che offre la basilica a Cristo. Il presule è ritratto anche in un mosaico del muro absidale di S. Apollinare in Classe, che fu dedicata nel 549: tiene in mano il libro dei Vangeli ed indossa - anacronisticamente - il pallio arcivescovile. Non sono giunti sino a noi altri due suoi ritratti che si trovavano l'uno in S. Maria Maggiore e l'altro nella sala nota come Tricoli infra episcopium.
E., inoltre, continuò la costruzione del palazzo episcopale, senza però portarla a termine.
La crisi principale che interessò il governo episcopale di E. fu il conflitto che lo contrappose a una parte del suo clero a proposito dell'imposizione della disciplina ecclesiastica e circa la divisione delle proprietà della Chiesa ravennate. Dato il silenzio mantenuto in proposito dalle altre fonti note, è difficile per noi ricostruire i particolari di tale conflitto solo sulla base del racconto confuso e tendenzioso di Agnello, che appare influenzato dal fatto che lo stesso cronista era stato privato dal suo vescovo Giorgio dei suoi diritti sulla chiesa di S. Bartolomeo e delle rendite da essi derivantigli. Ciononostante, alcuni aspetti della disputa ci sono chiari. Entrambe le parti - E. ed i suoi oppositori - concordarono di recarsi a Roma per chiedere il giudizio del papa Felice IV, i termini cronologici del cui pontificato, 526-530, costituiscono per noi le uniche indicazioni per una datazione della vicenda. Felice IV emanò un "constitutum", con cui regolò la materia della contesa e che ci è conservato soltanto da Agnello, che lo inserisce in forma abbreviata nel cap. 60 del suo Liber pontificalis Ecclesiae Ravennatis.
Le caratteristiche di questa recensione, che appare intenzionalmente lacunosa nel protocollo, nel testo e nell'escatocollo del documento, indussero il Testi Ramponi a concludere che Agnello non aveva potuto aver accesso diretto all'originale o ad una sua copia autentica. Tuttavia Agnello, in quel medesimo cap. 60 del Liber pontificalis, inserisce anche gli elenchi dei membri dei due gruppi di ecclesiastici ravennati convenuti per l'occasione a Roma, presumibilmente la delegazione favorevole al presule e quella a lui contraria. Appunto tali elenchi, cosi ricchi di dettagli, potrebbero suggerire conclusioni opposte a quelle cui giunse il Testi Ramponi.
L'accordo allora raggiunto appare essere stato un compromesso. Gli ecclesiastici dissidenti furono riprovati per aver mancato al giuramento di rispetto e di obbedienza da essi prestato al loro vescovo, per le loro cospirazioni e per il loro amore per gli spettacoli teatrali e per i giuochi del circo, "quae res ita crudelis est, ut animas catholicorum pro sua execratione conturbet". Furono inoltre confermati i diritti del vescovo di Ravenna di imporre la disciplina ecclesiastica al proprio clero e la propria giurisdizione sui monasteri della città. D'altro canto, si fece appello a consuetudini e procedure canoniche in materie quali i diritti di singole chiese su donazioni o la promozione di chierici ai gradi della gerarchia della Chiesa ravennate. Questi provvedimenti, insieme con l'imposizione del sistema romano che destinava un quarto delle entrate della Chiesa al clero, presumibilmente vennero incontro - almeno in parte - alle richieste dello stesso clero locale.
Particolarmente significativo è il divieto, imposto a "clerici vel monaci", di ricercare "potentiuni patrocinia" per assicurarsi senza merito promozioni nella gerarchia ecclesiastica o l'affidamento e la gestione di pie fondazioni, "ad indebituin optinendum ordinem vel locum": esplicito riferimento ad interferenze della corte ostrogota. A chiaro che E. dovette affrontare difficoltà a causa di interventi del governo goto negli affari della sua diocesi; ma, d'altro canto, il fatto che egli sia riuscito a raggiungere una soluzione soddisfacente per il suo clero e che egli sia stato in grado di intraprendere un più ampio programma edilizio, costituisce sicuramente una prova delle sue capacità diplomatiche.
Ci è noto solo un altro aspetto dell'attività di E.: è fatto veramente notevole che un manoscritto dei Vangeli, di cui ci resta un apografo del sec. IX ora conservato a Monaco di Baviera (Staatsbibliothek, Cod. Lat. Mon. 6212), sia stato copiato su sua commissione da un certo Patrizio.
Non si conosce la data precisa della morte di E., che deve tuttavia porsi probabilmente nel 532. Il suo corpo fu inumato nell'oratorio di S.Nazario nella basilica di S.Vitale, nella quale rimangono ancora frammenti del suo sarcofago.
Fonti e Bibl.: Agnelli Liber pontificalis, in Rer. Ital. Script., 2ed., II, a cura di A. Testi Ramponi, t. 3, capp. 57-61, pp. 162-173; Agnelli Liber pontificalis Ecclesiae Ravennatis, a cura di O. Holder Egger, in Mon. Germ. Hist., Scriptores rerum Langob. et Italic…., I, Hannoverae 1878, pp. 318-322; Anonymi Valesiani Excerpta, Pars posterior: Theodericiana, a cura di Th. Mommsen, ibid., Auctores antiquissimi, IX, Berolini 1892, p. 328; G. Marini, Ipapiri diplomatici…, Roma 1805, n. 85; Excerpta Valesiana, a cura di J. Moreau-D. Velkov, in Bibliotheca scriptorum Graecorum et Latinorum Teubneriana, Lipsiae 1968, pp. 25 ss.; Corpus della scultura paleocristiana, bizantina e altomedioevale di Ravenna, diretta da G. Bovini, II, Roma 1968, nn. 40 ab, pp. 50 s.; E. Stein, Beiträge zur Geschichte von Ravenna in spätromischer und byzantinischer Zeit, in Klio, XVI (1920), pp. 40-71; F. Lanzoni, Le diocesi d'Italia dalle origini al principio del VII secolo (anno 604), Faenza 1927, II, p. 57; H. L. Gonin, The Ravennate Liber Pontificalis as source for the history of art, Utrecht 1933, pp. 34 s., 81 s.; O. G. von Sinison, Sacred fortress. Byzantine art and statecraft in Ravenna, Chicago 1948, pp. 6, 19, 23 ss., 35 s.; E. Stein, Histoire du Bas-Empire, II, Paris-Brussels-Amsterdam 1949, pp. 258 ss.; F.W. Deichmann, Giuliano Argentario, in Felix Ravenna, LVI (1951), pp. 5-26; M. Mazzotti, Ilsarcofago di s. E. nella basilica di S. Vitale, ibid., s. 3, XI (1953), pp. 38-47; S. Benz, Ecclesius, saint, in Dict. d'hist. et de géogr. ecclés., XIV, Paris 1960, coll. 1345-1349; M. Mazzotti, La basilica di S. Maria Maggiore in Ravenna, in Corso di cultura sull'arte ravennate e bizantina, VII (1960), pp. 253-260; F. W. Deichmann, Ravenna, Hauptstadt des spätantiken Abendlandes, I, Wiesbaden 1969, pp. 14, 20, 65, 86, 124 s., 201, 226, 231, 241, 247, 259, 268; 11, 2, ibid. 1976, pp. 9, 18, 22, 28 s., 48, so , 52, 165, 179 s., 271, 344, 346, 373; II, 3, ibid" 1973, pp. 85, 155, 172, 177, 203, 316, 318; G. Cortesi, Due basiliche ravennati del VI secolo, I, S. Maria Maggiore, in Corso di cultura sull'arte ravennate e bizantina, XXX (1983), pp. 49-67.