ERLEMBALDO, santo
Non si conosce la data di nascita di E., capo del movimento patarino a Milano, ma solo quella della morte: E. fu ucciso nel corso di un combattimento il 15 apr. 1075. La data del 27 luglio (giorno della sua festa), stabilita in base a un'indicazione imprecisa della Vita Arialdi, è sbagliata ed è stata corretta da Lucioni (A proposito, p. 233 n. 14) in base a un'annotazione nel più antico necrologio di Vallombrosa segnalata già da W. Goez (Reformpapsttum, pp. 237 s. n. 190).
Le uniche testimonianze documentarie per la biografia di E. sono alcune lettere: la prima indirizzata tra il 1065 e l'inizio del 1066 da Pier Damiani a Rodolfo, Vitale, Arialdo ed E., e due lettere del 1073 scritte a E. da Gregorio VII, alle quali si possono aggiungere alcune menzioni di E. nel Registrum dello stesso papa. Ma alcune fonti narrative abbastanza vicine agli avvenimenti consentono di ricostruire la vicenda di E. con una ricchezza di particolari insolita per l'epoca, anche se si tratta di particolari scelti dagli autori in base alle intenzioni da loro perseguite. Le notizie più abbondanti relative a E., dal momento della sua prima comparsa sulla scena pubblica (1063) fino alla sua morte (1075) si trovano nel Liber gestorum recentium Arnulfi, la cui stesura fu terminata dopo il 1077, e nella Historia Mediolanensis Landulfi senioris, i treprimi libri della quale furono scritti immediatamente dopo la morte di E. e non intorno al 1100 come si riteneva fino a poco tempo fa. Arnolfo e Landolfo senior erano avversari dichiarati della pataria guidata da E. e le loro opere riflettono questo punto di vista. Perciò essi si interessano agli avvenimenti non come semplici cronisti, ma come pubblicisti militanti. Arnolfo accusa E. di essersi intromesso, da laico, negli affari della Chiesa milanese, mentre Landolfo senior intende mettere in guardia, con il suo racconto, i confratelli contro il pericolo derivante dagli "pseudo-profeti" e dai loro seguaci per l'autonomia ambrosiana. Nella Vita Arialdi, scritta nel 1075, cioè nel contesto di un'opera agiografica, Andrea da Parma, abate di Strumi, descrive invece l'operato di E. dal punto di vista della Congregazione di Vallombrosa, favorevole ai patarini, ma il suo racconto termina con la morte di Arialdo nel 1066. Bonizone da Sutri ricorda E. nel suo trattato polemico Liber ad amicum del 1089. Egli rappresenta il punto di vista dei riformatori romani, ma tratta soltanto il breve periodo che va dal ritrovamento del corpo di Arialdo nel maggio del 1067 fino alla morte di Erlembaldo. La tradizione manoscritta dimostra che le fonti milanesi del sec. XI furono raccolte nei secoli XIII e XIV come testimonianze per la storia della città e per questo i cronisti successivi le usavano senza badare al loro carattere originario. Così, personaggi di epoche remote furono spesso inseriti nelle genealogie di famiglie viventi. La storiografia moderna individuò presto le aggiunte successive e le giudicò prive di valore per la storia del secolo XI. Ora però si comincia a indagare anche sulle finalità perseguite dalle fonti più antiche per poter determinare meglio l'aspetto dell'operato di E. che queste fonti volevano mettere in luce.
I cronisti milanesi più recenti, a cominciare dall'anonima Vita Arialdi, scritta tra il 1100 e il 1260, ma tramandata soltanto in un codice del sec. XV, fanno discendere E. e suo fratello Landolfo dalla famiglia Cotta che faceva parte dei valvassori. L'affermazione contrasta però chiaramente con il racconto di Landolfo senior (III, 14) che qualifica E. come membro del ceto dei capitani. Secondo le testimonianze contemporanee E. e suo fratello appartenevano infatti a un'illustre famiglia milanese che da generazioni era vassalla dell'arcivescovo (così Arnolfo, III, 17) ed aveva accesso, come dimostra la posizione di Landolfo, alla cerchia degli ordinarii del capitolo del duomo (Landolfo sen., III, 5). Il fatto che il prete Liprando, mutilato nel 1075, un uomo di bassa estrazione sociale e compagno di lotta di E., secondo la testimonianza di Landolfo iuniore (c. 57) dovesse la sua fortuna ai "capitanei de Besana et de Porta horientali atque Lomagna" fa pensare che la famiglia di E. fosse imparentata con questi nobili. Esistevano forse anche rapporti di parentela con i milites sancti Ambrosii, chiamati nel 1014 dall'imperatore Enrico II ad esercitare la funzione di missi imperiales nei contadi di Milano, Pavia e Seprio (per questa famiglia cfr. Keller, Origine, pp. 184 ss., e Id., Adelsherrschaft, pp. 210 ss.).
Il successo strepitoso del movimento patarino e soprattutto l'iniziale affermazione di un laico come E. nella lotta per la disciplina del clero, sotto la spinta di nuove idee ecclesiologiche e canonistiche, si comprendono pienamente soltanto tenendo presente lo sfondo storico della vicenda: la nascita del Comune. Milano aveva già fatto passi importanti in questa direzione. Gli abitanti potevano prendere decisioni vincolanti per tutta la città e obbligare al loro rispetto anche i membri del clero mediante lo iuramentum commune. L'assemblea generale riunita nel teatro non era solo il luogo di dibattiti e decisioni comuni, ma costituiva nello stesso tempo una sorta di tribunale di accusa contro le violazioni della pace cittadina. L'atteggiamento dei cittadini, articolatosi nelle assemblee convocate al suono delle campane e delle fanfare, determinava le possibilità e i limiti dell'azione di E., grande oratore e cavaliere brillante, e dette nuovi impulsi al movimento religioso.
E. compare alla testa del movimento patarino soltanto nel 1063, dopo la morte del fratello Landolfo. Tornato da un pellegrinaggio in Terrasanta egli avrebbe manifestato l'intenzione di farsi monaco, ma sarebbe stato invitato da Arialdo, uno dei primi capi del movimento, ad assumere il posto del fratello, un posto che gli si confaceva più che il ritiro dal mondo. L'esitazione iniziale di E. era motivata più dalla necessità di trovare sostenitori che dal timore di intervenire nelle faccende ecclesiastiche. Spinto dal desiderio di procurarsi una qualche legittimazione, E. nel 1064 si recò per la prima volta a Roma, dove Alessandro II, corrispondendo a questa sua aspirazione, gli conferì il vessillo di S. Pietro, intorno al quale E. in seguito raccoglieva i suoi seguaci nei momenti di maggior pericolo. A Milano E. scelse come residenza un palazzo nei pressi della chiesa di S. Vittore ad XL martyres nel quartiere di porta Orientale. Il suo intervento cambiò il volto del movimento patarino caratterizzato da motivazioni religiose e sociali, conferendogli anche i tratti di una organizzazione militare. Mentre fino ad allora il movimento aveva dovuto procurarsi il consenso della cittadinanza con i mezzi della persuasione e delle delibere dell'Assemblea generale, ora E. cominciò a richiamarsi all'incarico ricevuto dal pontefice per imporre con la forza la sua volontà.
Riuscì ancora a vincere le resistenze della popolazione quando Arialdo, con una decisione clamorosa, interdisse il digiuno nei giorni di preghiera dopo la festa dell'Ascensione, un rito particolare della Chiesa ambrosiana. Ma dopo essersi recato a Roma per la seconda volta, nel 1066, intervenne anche nelle questioni ecclesiastiche, quando ad es. si trattava di destituire abati, o di procedere contro l'arcivescovo di Milano, Guido da Velate, colpito da una sentenza di scomunica. I patarini, infatti, accusavano l'arcivescovo di falso giuramento, perché non aveva mantenuto la promessa giurata di prendere misure contro i simoniaci. Tuttavia dopo questi attacchi contro le posizioni dell'arcivescovo e l'honor sancti Ambrogii, alla Pentecoste del 1066 i seguaci di Guido organizzarono la resistenza che E. non riuscì più a controllare completamente. Gli umori della popolazione colpita dall'interdetto di Guido diventarono così ostili ai patarini che Arialdo decise di fuggire. E. poté garantire la sua incolumità solo fino a Pavia, ma quando Arialdo proseguì il viaggio verso Roma fu catturato e torturato dagli uomini di donna Oliva, nipote dell'arcivescovo, ed assassinato il 28 giugno 1066. Il cadavere venne nascosto, ma fu trovato presso il lago Maggiore il 3 maggio 1067 e riportato solennemente a Milano da E. il 17 maggio.
Il martirio subito dalla guida spirituale del movimento patarino riconquistò a questo le simpatie perdute. Una legazione pontificia nell'estate del 1067 sostenne gli sforzi di E. per la riorganizzazione. Inoltre E. si assicurò il sostegno spirituale della Congregazione riformata di Vallombrosa, con la quale già Arialdo aveva intrattenuto rapporti. Durante il secondo soggiorno a Roma E. aveva promesso di garantire l'elezione canonica dell'arcivescovo nel caso che Guido fosse morto, e a Milano i patarini avevano dovuto giurare di rispettare questo impegno. Quando se ne diffuse la notizia Guido cominciò a trattare segretamente con Gotofredo da Castiglione offrendogli la cattedra arcivescovile alla quale avrebbe rinunciato, ed ottenne anche il consenso della corte tedesca per questo baratto. Un violento incendio scoppiato a Milano il 7 marzo 1071 rese vani i tentativi di E. di costringere Gotofredo, asserragliato nel suo castello di Castiglione, ad arrendersi. Nel frattempo Guido, vedendo che Gotofredo non riscuoteva simpatie tra la popolazione, si pentì della sua decisione e si mise in contatto con E. per insediarsi di nuovo sulla cattedra vescovile. E., purtuttavia, lo relegò nel monastero di S. Celso, ma dopo l'incendio Guido si trasferì a Bergoglio, dove morì il 21 ag. 1071.
E. quindi ritenne opportuno organizzare egli stesso l'elezione di un nuovo arcivescovo nonostante gli impegni presi, ma il suo candidato Attone, elevato il 6 genn. 1072, fu immediatamente costretto dai Milanesi a dimettersi. Neanche la conferma dell'elezione da parte del sinodo tenuto a Roma durante la quaresima successiva poté cambiare questa situazione e sia Attone sia il candidato del re tedesco, si allontanarono dalla città. Tuttavia Enrico IV, trovandosi in gravi difficoltà in Sassonia. segnalò al nuovo papa Gregorio VII, eletto nel 1073, la sua disponibilità di venire ad un accordo nella questione milanese ed E. fu istruito in questo senso dal pontefice. E., forte di questo appoggio, si atteggiò ormai sempre di più come il signore di Milano, ma il gesto di versare l'olio santo consacrato, secondo lui, da preti simoniaci, suscitò aspre critiche che egli respinse richiamandosi all'incarico ricevuto dal papa. La ripetizione di questo atto dopo un altro incendio che devastò la città per la seconda volta nel giro di cinque anni gli risultò però fatale. L'incendio fu interpretato come la punizione divina per i continui attacchi di E. all'autonomia della Chiesa ambrosiana, in difesa della quale l'opposizione concluse un patto giurato. La sollevazione sorprese E., che nello scontro del 15 aprile, giorno di Pasqua, fu subito isolato dai suoi seguaci ed ucciso. Il suo cadavere poté essere recuperato soltanto nel buio della notte.
Secondo Bonizone E. fu sepolto a S. Dionigi, secondo Bertoldo a S. Celso. È probabile però che dopo la sconfitta del movimento il primo luogo di sepoltura fosse proprio S. Celso, punto d'appoggio dei patarini, dove nel 1067 era stato sepolto anche Arialdo, e che soltanto nel maggio del 1095, in occasione della solenne elevazione di E. ad opera di Urbano II e dell'arcivescovo Arnolfo III, le sue ossa fossero trasferite a S. Dionigi. Quest'elevazione, equiparabile a una canonizzazione, fu sfruttata contemporaneamente come un efficace mezzo di propaganda per la crociata, perché offriva alla venerazione dei fedeli per la prima volta un miles. Soltanto nel 1528 la salma di E. ebbe sepoltura definitiva nel duomo di Milano.
Tuttavia, la morte di E. non significò ancora la completa disfatta del movimento patarino, indissolubilmente collegato con la sua persona nella fase finale. Enrico IV, vincitore sui Sassoni ribelli nell'estate e nell'autunno del 1075, cercò di sfruttare la situazione per un attacco diretto contro Gregorio VII, però incorse infine nella scomunica. Ciò portò ad un avvicinamento delle opposte fazioni milanesi che sfociò nel passaggio del clero e del Comune dalla parte del pontefice. Ma, anche se nella vicenda milanese la questione delle investiture aveva portato, dopo la morte di E., alla rottura totale tra Gregorio VII e Enrico IV, provocando per la prima volta un esplicito divieto di investitura fatto dal pontefice al re, gli arcivescovi milanesi, fino alla fine del secolo ricevettero ancora l'investitura dalla mano di laici, mentre nella questione della simonia e del nicolaismo fu accettata la posizione gregoriana. La pataria, ridottasi a un gruppo di settari rigoristi, rimase comunque ancora per decenni un incentivo al rinnovamento nella vita religiosa della città.
La figura di E. come prototipo del miles Christi assunse particolare importanza per il movimento delle crociate che si andava formando.
Egli rappresentava infatti il cavaliere che, legittimato dal papa e spinto da sacro zelo religioso, usava le armi per la Chiesa e gli obiettivi ecclesiastici. Ma nel conflitto con la Chiesa ambrosiana proprio questo legame con il Papato mise E. in opposizione con il movimento comunale milanese che voleva decidere autonomamente sull'ordinamento della città e per il quale l'honor sancti Ambrosii costituiva il fulcro dell'aggregazione. L'attuazione rigorosa degli ideali della riforma ecclesiastica, ottenuta anche con la violenza, era considerata dagli avversari di E. come una prova di arroganza e dettata da Roma. La maggioranza dei Milanesi non era disposta a rompere con le tradizioni come esigeva la nuova, rigorosa interpretazione delle norme ecclesiologiche e canoniche. In verità il movimento, teso a migliorare e a disciplinare il clero, non era partito da Roma, ma si era sviluppato indipendentemente a Milano a partire dal 1055 circa. Ma nonostante il consenso che questo movimento aveva trovato la cittadinanza non si lasciò convincere da E. di sostenere incondizionatamente il Papato ed ancor meno era pronta a rompere ogni legame con il re tedesco.
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