FOLCO Scotti, santo
Nato a Piacenza intorno al 1165, appartenne con ogni probabilità alla famiglia Scotti, che stava allora affermandosi fra le preminenti della città e si preparava a porsi alla testa del popolo; la tradizione vuole che egli fosse di un ramo povero di questa ricchissima famiglia.
Entrato nella collegiata dei canonici regolari di S. Eufemia, fu in seguito inviato a studiare a Parigi (forse intorno al 1185): il soggiorno presso la più illustre scuola di teologia dell'epoca non era del resto straordinario per un futuro dignitario di una diocesi padana. Verso il 1194 F. divenne prevosto di S. Eufemia; gli atti relativi certificano che amministrò i beni della chiesa e sollecitò i suoi confratelli alla vita in comune, di cui sostenne poi sempre la necessità. Comunque fin da allora egli si dimostrò soprattutto eccellente predicatore: ancora nel XVII secolo si conservava una raccolta dei suoi sermoni, indirizzati per lo più a religiosi, di cui oggi non rimangono che l'indice e alcuni estratti (Campi). Qualche anno più tardi, entrato nel capitolo della cattedrale, F. insegnò presso la scuola di teologia di Piacenza, all'epoca abbastanza rinomata. Teologo di solida e sicura formazione, predicatore di vaglia, irreprensibile religioso, egli si trovò in prima linea nel combattere la diffusione di eresie di ogni tipo di cui Piacenza allora pullulava, come del resto le città vicine.
All'inizio del XIII secolo F. era dunque uno dei religiosi più ascoltati della sua diocesi: lo troviamo fra gli arbitri della controversia insorta fra il vescovo e i canonici della cattedrale, in relazione alle rispettive prerogative (1202-1203), poi fra coloro cui il papa dette incarico di impartire giustizia fra la chiesa di S. Matteo e il suo patrono laico (1203-1204). Sempre più prossimo al vescovo Grimerio, F. lo seguì in esilio a Castell'Arquato quando questi entrò in conflitto con il Comune a proposito dell'esenzione fiscale del clero (1203-1207); al ritorno Grimerio lo incaricò di pronunciare il sermone di apertura del sinodo diocesano, sul tema delle virtù che dovevano essere praticate dal clero (inizio del 1208).
Alcuni mesi più tardi F. fu eletto, contemporaneamente (o quanto meno a poche settimane di distanza), canonico della cattedrale e arciprete, andando così a ricoprire la seconda carica della diocesi dopo il vescovo. Alla morte di quest'ultimo (aprile 1210), F. fu quindi chiamato a succedergli (2 ag. 1210), malgrado le complicazioni nella procedura elettorale causate dalla rivalità esistente fra il capitolo della cattedrale da una parte e quello di S. Antonino e gli altri religiosi della diocesi dall'altra. L'intervento di un legato pontificio, il vescovo di Novara Gherardo da Sessia, permise che si procedesse all'elezione, confermata da Innocenzo III. Ma F. non fu mai consacrato vescovo di Piacenza (checché ne dicano, peraltro in base ad indizi poco probanti, alcuni biografi, i quali comunque situano questa consacrazione non prima del 1216): fino al suo trasferimento a Pavia, egli governò la diocesi con il solo titolo di "vescovo eletto".
La mancata consacrazione di F., talvolta attribuita alle manovre dilatorie dei canonici di S. Antonino, fu dovuta, con maggior probabilità, al nuovo conflitto che oppose il papa al Comune a partire dal 1210, causato - soprattutto dopo il 1212 - dall'adesione dei Piacentini ad Ottone IV, cui essi restarono fedeli anche quando questi ruppe con Innocenzo III proprio mentre era in corso l'elezione di F. (estate-autunno 1210). Colpita da interdetto e minacciata di smembramento, la diocesi si liberò dalle sanzioni pontificie solo nel dicembre 1215, per esserne nuovamente fatta oggetto nel maggio 1216; non c'è dunque da stupirsi che, in questa situazione, Innocenzo III si sia rifiutato di consacrare il nuovo vescovo, pur essendone questi degno.
F., comunque, ottemperò a tutti gli obblighi della sua carica: nel 1210 partecipò al sinodo tenuto da Gherardo da Sessia, divenuto cardinale, durante il quale i canonici furono richiamati all'obbligo della vita comune. In seguito intervenne sulla condotta dei canonici della sua cattedrale, i quali, malcontenti dell'unione con la collegiata di S. Giovanni, avevano trascurato i propri doveri; provvide inoltre a regolare un conflitto tra il personale dell'ospedale di S. Lazzaro e i malati e incoraggiò la fondazione di un monastero cistercense. Alcune fonti, infine, sostengono che egli abbia partecipato al IV concilio del Laterano, nel 1215, il che è possibile anche se non esistono prove certe.
In ogni caso il Laterano IV determinò importanti cambiamenti nella vita di F.: essendo morto il vescovo di Pavia nel corso del concilio, gli elettori nominati dal clero diocesano scelsero F. a succedergli e il papa autorizzò il trasferimento. Il Campi suggerisce, senz'altro a ragione, che F. accettò la nomina tanto più volentieri in quanto la situazione politica e religiosa di Piacenza, estremamente difficile fin dall'inizio del suo episcopato, ne danneggiava l'azione pastorale e il prestigio.
Stabilitosi a Pavia nel corso del 1216, dopo essere stato consacrato da Onorio III, F. vi trascorse dodici anni, ricchi di attività ma non esenti da difficoltà gravi. All'inizio del 1217 trattò una pace, effimera, tra i suoi antichi e nuovi fedeli, tra loro irriducibili nemici e militanti in campi opposti nel grande conflitto che divideva l'Italia. Questa riconciliazione era stata sicuramente presa in considerazione, in forma più o meno esplicita, fra i possibili risultati del trasferimento a Pavia del vescovo di Piacenza; trasferimento che si veniva così a inserire nel quadro di un riallineamento delle alleanze fra città guelfe e ghibelline, d'altronde ben poco duraturo.
Nell'agosto 1219 F. fu ad Haguenau, presso Federico II - ormai senza rivali dopo la morte, avvenuta l'anno prima, di Ottone IV -, di cui seppe guadagnare la fiducia. In effetti l'imperatore lo nominò arbitro tra i Modenesi e il loro ex podestà (novembre 1219), e, soprattutto, il 28 giugno 1220 lo nominò rector civitatis di Pavia, perché assicurasse la pace tra i milites e il popolo e governasse fino all'arrivo del cancelliere imperiale; quest'ultimo lo riconfermò nella carica (6 agosto), da cui F. venne infine sollevato poco prima del 25 agosto, quando il legato poté garantire personalmente il controllo della città.
Questo episodio, che conferma come F. non fosse semplicemente un sant'uomo, bensì possedesse la stoffa dell'uomo di governo, rivela anche l'influenza politica che il vescovo ancora conservava in alcuni Comuni dilaniati dalla guerra civile. Influenza fragile, comunque: all'inizio del 1223 tra il vescovo e il Comune sì aprì un conflitto destinato a durare parecchi mesi, provocato, ancora una volta, dalla volontà di un governo finanziariamente disastrato di fare pagare le tasse al clero, nonostante l'esenzione. La controversia, che si ripropose nella maggior parte dei Comuni della regione all'inizio del XIII secolo, a Pavia sembra essersi spinta fino al sequestro e al saccheggio dei beni ecclesiastici, e i fatti furono così gravi che i Pavesi vennero colpiti da gravi sanzioni papali. Come vent'anni prima a Piacenza, F. e una parte del clero presero la via dell'esilio; vi si trovavano ancora nel novembre 1225 e senza risorse, tanto che Onorio III pregò le diocesi vicine di provvedere alle loro necessità. Il Comune di Pavia doveva loro non meno di 13.500 lire pavesi (una somma enorme se paragonata alle 250 lire che la diocesi doveva versare nel 1221 in occasione della crociata). Il 26 apr. 1226 la situazione si era capovolta: mentre la Lega lombarda si stava riorganizzando, Pavia fu tra le pochissime città rimaste fedeli all'imperatore Federico; quest'ultimo incaricò F., insieme con altre due persone, di governare in suo nome la città. In questa fase di rapporti difficili tra l'imperatore e il papa, F. conservò dunque la fiducia di ambedue, ma dovette anche., come a Piacenza, affrontare gravi problemi politici con il Comune.
Negli ultimi anni F. sembra avere abbandonato la scena politica ed essersi dedicato esclusivamente agli affari della diocesi. Si conoscono alcuni aspetti della sua attività amministrativa dai registri di Onorio III e di Gregorio IX: egli governò infatti in stretto rapporto con Roma e fu spesso delegato dal papa a giudicare in questa o quella causa a Piacenza, Cremona, Novara o Casale Monferrato, mentre F. sottometteva regolarmente alla Curia i problemi della sua diocesi, in particolare quelli relativi ai grandi monasteri di S. Pietro in Ciel d'Oro e del Senatore. Egli si preoccupava di proteggere il patrimonio di questi monasteri e anche di riformarli: per questo introdusse a S. Pietro in Ciel d'Oro i canonici regolari di Mortara, dopo i gravi disordini cui si erano abbandonati i monaci (1221).
F. morì a Pavia il 16 dic. 1229 (e non nel 1228, come sostengono il Campi e il Savio).
Fu presto canonizzato da Gregorio IX, ma il suo culto si sviluppò solo a partire dal XVI secolo, inizialmente a Pavia, in concomitanza con la redazione della sua vita ad opera di J. Gualla (1505), la traslazione del corpo dall'antica cattedrale nella nuova (1567) e l'ingresso nel martirologio romano (1578; festa il 26 ottobre); quindi a Piacenza, dopo l'inchiesta condotta negli archivi da P.M. Campi.
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