FRANCESCO d'Assisi, Santo
Nato ad Assisi nel 1182 ca. dal ricco mercante Pietro Bernardone, fu il fondatore dell'Ordine religioso dei Frati Minori, da lui detti Francescani.Abile mercante egli stesso, F. tentò poi la fortuna militare, ma il suo progetto di cambio di classe sociale, di essere armato cavaliere per il valore dimostrato, si infranse appena partito da Assisi, fermato da un sogno, inizio di una lunga e penosa conversione protrattasi per anni; in questo periodo, in cui F. visse e si vestì da eremita, si colloca il rivolgimento interiore scandito dall'appello del Crocifisso, improvvisamente animatosi, della chiesa di S. Damiano e dall'incontro con i lebbrosi (non con il lebbroso, ipostasi di Cristo, come volle la letteratura agiografica già quarant'anni dopo la sua morte), incontro e frequentazione riconosciuti da F. stesso nel suo Testamentum come momento decisivo di un totale cambiamento di vita (Frugoni, 1984; 1989).Nel 1206, citato dal padre davanti al vescovo, F. rinunciò a ogni suo avere, perfino agli abiti. Presto si unirono a lui alcuni compagni; l'ascolto, ca. tre anni dopo la rinuncia ai beni paterni, di alcuni versetti del vangelo relativi al mandato degli apostoli, insieme alla prescrizione di non portare nulla con sé (non denaro, bisaccia, bastone, tuniche, sandali), fu per F. la rivelazione della missione da compiere. Abbandonati la cintura di cuoio, il bastone e i sandali dell'abito eremitico e cucitasi una povera veste ruvida con cappuccio, in modo che ricordasse la croce (Vorreux, 1977), stretta da una corda annodata (Frugoni, 1993, p. 275ss.), cominciò a predicare la pace, la sostanza del suo messaggio, condensato nell'insolito saluto: "Pace a questa casa".I versetti del vangelo costituirono l'essenziale della prima regola, oggi perduta, portata nel 1210 davanti a Innocenzo III perché l'approvasse. La reazione della Curia, diffidente per il pullulare di movimenti 'apostolici' eterodossi, fu molto cauta e F. ottenne soltanto un'approvazione orale, anche se la leggenda attribuì poi al pontefice il celebre sogno del Laterano (cioè la Chiesa) in rovina, sostenuto da quel povero uomo male in arnese che aveva il giorno prima osato presentarsi al cospetto di Innocenzo III; i Domenicani reclamarono che il sogno aveva avuto originariamente per protagonista Domenico e la critica più recente dà loro ragione, ammettendo un furto 'ideologico' da parte dell'Ordine concorrente (Krüger, 1992, pp. 78-92, 182ss.). F., tornato ad Assisi, fissò la propria dimora a Rivotorto e poi accanto alla piccola chiesa della Porziuncola; nel 1212 diede l'abito a Chiara e cominciò a percorrere l'Italia con i compagni. Nel 1217, nella prima grande adunata della 'fraternità', cominciò a stabilirne l'assetto formale e concretizzò missioni Oltralpe e in Siria. Dopo vari tentativi di viaggi sfortunati per raggiungere la Terra Santa e il Marocco (1212-1214), nel 1220 F. arrivò in Egitto. Fermatosi a Damietta assediata dai crociati, cercò senza successo di dissuaderli dal combattimento, quindi si presentò al sultano al-Mālik al-Kāmil per annunciargli il vangelo: non riuscì a convertirlo ma venne accolto e ascoltato con benevolenza.Costretto a un precipitoso ritorno in Italia a causa dei contrasti tra i frati fedeli al primitivo progetto e quelli inclini ad ammorbidirne i contorni, rinunciò alla guida effettiva della comunità - pur rimanendo di fatto, attraverso l'esempio, la guida carismatica fedele alla proposta delle origini - eleggendo come suo vicario Pietro Cattani e, morto costui nel 1221, frate Elia. Il dialogo con molti compagni e con la Curia divenne difficile: Roma era diffidente nell'accettare un movimento che aveva incontrato un inaspettato successo nel moltiplicarsi dei seguaci, ma che era potenzialmente pericoloso perché non legato a una fissa dimora, senza norme canoniche, composto di elementi eterogenei, laici e sacerdoti, colti e indotti. F. fu assistito e protetto, a volte troppo, dal cardinale Ugolino dei Conti di Segni (futuro Gregorio IX).F. scrisse e sperimentò più regole: la seconda - cioè la prima di quelle rimaste - venne presentata nel Capitolo del 1221 e rimase non bullata, priva cioè del sigillo dell'approvazione pontificia; solo quella del 1223 (Regula bullata) ottenne l'assenso di Onorio III, segnando così l'inizio ufficiale dell'Ordine: il testo è un pesante compromesso fra le esigenze della Curia e le aspirazioni di Francesco. Malato e sfiduciato, nell'estate del 1224 si ritirò sulla Verna con pochissimi compagni, fra cui l'amico e segretario Leone. Durante questo periodo di intensa crisi spirituale si situano, secondo il primo biografo Tommaso da Celano, l'apparizione del serafino e il successivo prodursi delle stimmate, che frate Elia - senza accennare né alla Verna né al serafino - affermò invece di avere per primo scoperto sul cadavere del santo in una lettera indirizzata a tutte le province dell'Ordine, scritta all'indomani della morte di F., avvenuta il 3 ottobre 1226. In ogni caso nella bolla di canonizzazione del 1228 non vi era alcun cenno alle stimmate; soltanto una decina di anni dopo la Chiesa cambiò idea e prestò fede e chiese che la si prestasse a questo miracolo, non senza incontrare resistenza nel clero, nella gente e nei pittori: F. fu infatti il primo santo stimmatizzato (Vauchez, 1968).Per la discordanza delle fonti non c'è dettaglio della vita di F. che non susciti discussioni fra gli studiosi, a cominciare dal nome di battesimo (Giovanni o F.) e dal suo significato. Il colto frate Tommaso da Celano, biografo ufficiale cui si devono tre diverse vite (1228-1229, 1246-1247, 1252-1253), fu costretto a riscrivere la vita del fondatore mano a mano che ne mutavano l'immagine e il modello di santità che l'Ordine intendeva propagare, mentre si diffondeva con successo il suo culto: non solo a seconda del destinatario (i Frati Minori o la folla devota che chiedeva un incremento degli elementi miracolistici o favolosi), ma anche in risposta alle tensioni che attraversavano l'Ordine stesso. Occorreva inoltre tenere conto del variare della fortuna di grandi personaggi divenuti in qualche caso scomodi testimoni, come frate Elia, dapprima ministro generale, poi scomunicato perché schieratosi a favore di Federico II. Alle biografie ufficiali se ne affiancarono molte altre, prive di una committenza solenne, di 'compagni' di F. che volevano diffondere la loro verità per contrastare o completare quella ufficialmente vulgata, dalla Legenda trium sociorum fino ai famosi Fioretti trecenteschi (Frugoni, 1993, pp. 3-49).Generale dell'Ordine divenne nel 1258 Bonaventura da Bagnoregio, che terminò nel 1263 una nuova biografia (Legenda maior); nel 1266 il Capitolo generale di Parigi ordinò che da quel momento in poi soltanto questa biografia avesse il crisma dell'ufficialità e che contemporaneamente fossero distrutte tutte le altre. L'ingiunzione fu puntualmente osservata e per secoli F. fu il F. di Bonaventura; soltanto alla fine del sec. 19° e ai primi del successivo fu possibile recuperare, a volte in un unico manoscritto superstite, i testi delle precedenti biografie. In un intento pacificatore Bonaventura aveva composto la sua opera riunendo a intarsio le tre vite di Tommaso da Celano per consegnare ai posteri una figura del santo della quale venivano fatti dimenticare i motivi più inquietanti e innovatori.Il comando del Capitolo parigino doveva abbattersi anche sulle immagini, che invece in parte sopravvissero - non era facile distruggere un'immagine miracolosa o fatta segno di un'intensa devozione - e continuarono a far sentire la loro voce attraverso i secoli, rivelandosi per qualche episodio (come quello delle stimmate o della predica agli uccelli) una fonte preziosa e 'autonoma': per es. la tavola Bardi (nella cappella omonima in Santa Croce a Firenze, del 1243 ca.) propone il punto di vista degli Zelanti (detti poi, dalla seconda metà del sec. 13°, Spirituali), di quella parte cioè dei Frati Minori che si conformarono a un'interpretazione intransigente della Regula e del Testamentum. È un impegno che i committenti si assunsero esplicitamente facendosi rappresentare con gesti acclamanti nei tondi posti agli incroci delle cornici che chiudono le venti scene; al centro F. si offre come modello di vita esemplare attraverso il cartiglio che scende dal cielo: "Hunc exaudite perhibentem dogmata vitae". La biografia figurata si sofferma soprattutto su episodi, qui raccontati per la prima e ultima volta, che illustrano il disprezzo di F. per il denaro, la cura amorevole dei lebbrosi, la pacata predicazione al sultano, circondato da una folla attenta e riverente, lo scampato naufragio nel fallito tentativo di raggiungere la Siria: episodi che mostrano l'amore di F. per gli uomini ugualmente fratelli, fossero anche ripugnanti per la malattia o distanti per religione e cultura.F. voleva che lui e i frati vivessero del lavoro delle proprie mani (l'elemosina era un furto fatto ai poveri); prescrisse di predicare, se era possibile, e senza dispute, ai saraceni e agli infedeli ma disponendosi al martirio in caso di insuccesso: i 'compagni' di F. erano ben lontani dai Minori divenuti Ordine 'mendicante', dall'ideologia, contemporanea al santo, che produsse lo sterminio dei catari albigesi e i massacri crociati per liberare la Terra Santa. Per F., piuttosto che giungere a Betlemme dimenticando il vangelo, è meglio riunire a Greccio nella notte di Natale un bue, un asinello e un po' di fieno: il Bambino nasce di nuovo attraverso la parola trascinante del santo e l'emozione dei presenti; Betlemme è a Greccio e ovunque nella sorprendente soluzione escogitata da F. in risposta al bisogno di toccare fisicamente i luoghi dell'esperienza terrena di Cristo. L'episodio è rappresentato nella tavola Bardi per la prima volta ed ebbe larga fortuna iconografica (Frugoni, 1988).L'immagine più antica del santo che si sia conservata è quella dell'affresco del monastero benedettino di Subiaco, dove un insolito F., bello e dagli occhi chiari, senza nimbo e senza stimmate, dunque non ancora canonizzato, compare nella grotta dove si trova anche l'affresco con la consacrazione della cappella per mano dell'allora cardinale Ugolino dei Conti di Segni. Si è discusso a lungo sull'autenticità dell'immagine, se ritratto dal vero, di memoria o riadattamento di una precedente figura di monaco; Frugoni (1993, pp. 269-278) propone una nuova lettura del cartiglio tenuto da F. e delle scritte che accompagnano l'affresco.Gli artisti del sec. 13°, da Margaritone d'Arezzo a Cimabue, irrigidirono nelle loro icone la figura del santo nei tratti severi e macerati dell'asceta secondo uno stereotipo bizantino, riprodotto con minime varianti soprattutto da Margaritone e bottega in tavole devozionali di serie, rigorosamente rettangolari, nelle quali campeggia la solitaria figura di F., spesso con l'attributo della croce o di un libro e scritte bibliche.Uno schizzo mediocre ha permesso la conoscenza della tavola di San Miniato (Pisa) del 1228, l'anno di canonizzazione di F., probabilmente opera di Bonaventura Berlinghieri, cui si deve anche la tavola tuttora conservata nella chiesa di S. Francesco a Pescia (Pistoia), datata 1235. Lo schizzo fu commissionato da Zaccaria Boveri (1568-1638) frate cappuccino. I Cappuccini costituiscono un ulteriore ramo dalla pianta di F., dopo che con la morte del santo si era prodotta la grande divisione fra i Conventuali - che tendevano ad adattare l'ideale del fondatore a esigenze storiche e sociali, ammorbidendone i precetti e anche la forma dell'abito, fattosi più ricco e ampio - e gli Osservanti, impegnati alla stretta 'osservanza' della regola; da questi ultimi si staccarono nel Cinquecento i Cappuccini, desiderando un rigore maggiore. Uno degli argomenti delle accese dispute che travagliavano da tempo i tre schieramenti era la vera forma del cappuccio indossato dal santo (quello dei Cappuccini è tuttora più lungo e appuntito di quello indossato dagli altri frati): il cappuccio a punta significava fedeltà alle origini, alla scelta di vita di F., fattosi povero con quei poveri che per ripararsi dalle intemperie, come i contadini e i pastori, si mettevano in testa un sacco ripiegato; il cappuccio tondo, al contrario, alludeva alla volontà di innovare. Boveri, per dimostrare con la prova delle immagini che all'origine il cappuccio fosse a punta e non rotondo come pretendevano con tutti i mezzi i Conventuali, anche raschiando i dipinti o mutilando il sacro cappuccio di F., incaricò qualcuno di copiare varie tavole fra cui quella di San Miniato. L'episodio documenta il valore attribuito alle immagini, contraffatte come una pagina manoscritta per ottenere un falso documento di autenticità; per molte tavole conservate solo restauri recenti hanno restituito il cappuccio a punta del santo, come è il caso della tavola della chiesa di S. Francesco a Pescia. Bonaventura Berlinghieri apparteneva a una famiglia di pittori specializzati nel realizzare croci dipinte; sulla scia di questa tradizione fu portato a ideare forma e articolazione narrativa nuove per la tavola che ospitava la figura di F. e storie della sua vita: non rettangolare, come le tante icone di santi che i crociati e la susseguente diaspora di maestri bizantini in Italia avevano contribuito a diffondere, ma cuspidata. La tavola frontonata francescana lascia intravedere in filigrana nella figura del santo, circondato da episodi della vita e dei miracoli, Cristo trionfante sulla croce e storie della Passione delle croci dipinte toscane. Frontonate sono le summenzionate tavole di San Miniato e di S. Francesco a Pescia e quelle, anonime, della cappella Bardi in Santa Croce, del Mus. Civ. di Pistoia (metà del sec. 13°), del Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo a Pisa (sesto decennio del sec. 13°), del Mus. Diocesano di Arte Sacra di Orte e della Pinacoteca Naz. di Siena (terzo quarto del sec. 13°), nonché quella, dedicata a F. e a Nicola, dell'antica cattedrale di S. Nicola a Ottana, in Sardegna, dipinta negli anni 1338-1344 (Krüger, 1992, pp. 139ss., 209-211, figg. 83-87). Ancora frontonata è la grande tavola pisana del 1300 (Parigi, Louvre) attribuita a Giotto o alla sua bottega, che ha come soggetto le Stimmate e nella predella il Sogno del Laterano, l'Approvazione della regola e la Predica agli uccelli (Frugoni, 1993, p. 321ss.); di diverso avviso sull'origine della tavola cuspidata è Krüger (1992, pp. 12-36), che pensa all'influenza dell'altare-scrigno, con esempi però posteriori alla tavola di Pescia, e che tratta anche dell'introduzione della figura di s. Pietro nell'episodio del Sogno del Laterano nella tavola del Louvre e in una delle tavolette quadrilobate dipinte da Taddeo Gaddi per gli armadi della sacrestia di Santa Croce, del 1330-1340 ca., ora alla Gall. dell'Accademia di Firenze (Krüger, 1992, pp. 182-185). Fanno eccezione due tavole trecentesche, non a caso provenienti dall'Italia meridionale: quella recentemente perduta della chiesa di S. Antonio di Amalfi e quella, quasi del tutto distrutta, del Mus. Archeologico Regionale di Siracusa (Krüger, 1992, p. 137ss., figg. 64-65, 67-76); le due tavole rettangolari di F. e quattro miracoli post mortem - l'una ad Assisi (Sacro Convento), l'altra a Roma (Mus. Vaticani, Pinacoteca), datate al 1250-1260 - sono invece da ritenere copie di un perduto prototipo assisiate dipinto subito dopo la morte del santo (Frugoni, 1993, p. 338ss.).Nelle tavole di Assisi, Roma, San Miniato, Pescia, Firenze, Pistoia e Pisa, l'elemento costante è dato dalla rappresentazione dei primi quattro miracoli post mortem letti al cospetto di papa Gregorio IX al momento della canonizzazione (Miracoli della bambina dal collo torto, del paralitico Bartolomeo da Narni, dell'ossesso Pietro da Foligno, di storpi e donne indemoniate), rappresentazione che scompare all'altezza cronologica della tavola di Siena, perché gli episodi erano stati lasciati cadere dalla Legenda maior. Quanto al resto, ciascuna tavola andrebbe esaminata per sé, come una biografia indipendente che può riflettere, come quella di Pisa, attraverso miracoli coercitivi tesi a far rispettare la festa del santo, il punto di vista dei Conventuali, oppure che può fare emergere, come quella di Orte, con il miracolo delle stimmate che vanno e vengono, il disagio che circonda ancora il prodigio della Verna ca. mezzo secolo dopo il suo accadimento.Un altro miracolo costantemente rappresentato è la Predica di F. agli uccelli, mentre mai lo si vede rivolto a un uditorio umano (unica eccezione la tavola di Pistoia, dove, non a caso, manca la Predica agli uccelli), spia della diffidenza da parte della Chiesa ad accettare come predicatore fra le sue fila un laico, fosse pure un santo. Si preferì far ricordare una predicazione del tutto simbolica, spostata sul registro del meraviglioso: per chi avesse saputo decodificarla, le diverse specie dei pennuti rimandavano a precise classi sociali (uccelli d'acqua e di campo sono i poveri, gli emarginati, i semplici contadini dalla vita precaria quanto i Frati Minori; rapaci e predatori sono i nobili e potenti della terra e perfino alcuni rappresentanti dell'alto clero). Nelle immagini è rimasto il ricordo di due distinte prediche agli uccelli: l'una riflette il lieto stato d'animo, di F. e dei compagni, ai primordi della 'fraternità' e la versione di una favorevole accoglienza del pontefice alle richieste di approvazione della prima Regula o 'proposito di vita'; l'altra, all'opposto, rimanda a un duro trattamento riservato al gruppo assisiate da parte dei romani e della Curia. F., irato, avrebbe abbandonato la città e sarebbe andato a predicare agli uccelli da preda che razzolavano fra i cadaveri del cimitero suburbano. È una versione costruita sul modello dell'apocalittica Babilonia, accreditata soprattutto Oltralpe, ma non infondata: un'aspra reazione di Innocenzo III compare nella postilla aggiunta alla Legenda maior da Girolamo d'Ascoli, il futuro Niccolò IV, divenuto generale dell'Ordine dopo la morte di Bonaventura, avvenuta nel 1274 (Klingender, 1953; Frugoni, 1993, pp. 233-268).Quanto al miracolo delle stimmate, si assiste a una continua rielaborazione sia nelle fonti scritte sia in quelle iconografiche, innanzitutto perché erano già contraddittorie le versioni dei testimoni del miracolo (frate Elia, frate Leone di cui è rimasto un appunto autografo, i compagni del santo nel racconto delle varie biografie), poi perché il messaggio dell'apparizione del serafino-crocifisso era troppo complesso perché potesse stabilizzarsi in un racconto e in un'immagine fissi; l'impresa riuscì a Bonaventura, che mutò però completamente il significato dell'episodio e ne fornì una versione 'esportabile' che Giotto, geniale interprete, migliorò via via fino a una formula, da allora in poi, vincente. Secondo Tommaso da Celano, nella sua prima biografia, le stimmate comparvero molto tempo dopo l'apparizione (un serafino fiammeggiante nel quale baluginavano i tratti della crocifissione), stimmate di carne, come chiodi neri, prodotte dal corpo del santo, come spiegazione del significato di quello che F. aveva visto, ma non compreso. Come Cristo sul monte degli Ulivi, F. risolse la sua profonda crisi abbandonandosi alla volontà del Padre che per non perdere la propria creatura sacrifica il Figlio diletto; il serafino è il simbolo dell'ardente carità divina, i segni della crocifissione angelica sono la passione futura che attendono Cristo e Francesco. Tommaso da Celano propose un'identificazione del tutto spirituale con le sofferenze del Salvatore: per questo dunque in alcune immagini di F. sulla Verna né il santo né l'essere angelico mostrano i segni delle stimmate; spesso tre raggi si dirigono dal serafino verso il viso di F., a significare quel colloquio risolutore con l'essere celeste testimoniato da frate Leone (a cominciare dalla scultura del sec. 13° ancora in loco nella cappella delle Stimmate alla Verna). In altre immagini, come per es. in un salterio francescano del 1290 ca. (Parigi, BN, 1076, c. 142v), il serafino è ancora privo di stimmate, perché la miniatura è fedele, nonostante la censura bonaventuriana, al racconto di Tommaso da Celano che ammetteva la comparsa dei segni ad apparizione ormai svanita; altre volte né il serafino né F. hanno tutte le stimmate perché si intese privilegiare solo un preciso momento (fra gli esempi in miniature e affreschi famoso è quello del battistero di Parma, del sesto decennio del sec. 13°). La redazione di Bonaventura operò a sua volta un'attenta collazione delle fonti precedenti per fornire una versione univoca, pacificante, del prodigio della Verna, facile da illustrare, ma profondamente alterata nella sostanza. Egli si riaccostò alla testimonianza di frate Elia che aveva affermato in maniera temeraria, e per quel tempo inaccettabile, di aver visto sul corpo di F. non capocchie di chiodi di carne, ma ferite, dunque inferte dall'esterno; suggerì una sovrapposizione del corpo di F. a quello di Cristo e un'identificazione di natura non spirituale ma fisica, non più una passione prevista ma in atto. I tratti del serafino si attenuarono e per la prima volta l'essere celeste venne precisato essere Cristo. F., poiché segnato dal marchio divino, diventò un santo inimitabile: frati e devoti poterono continuare a venerarlo ma non dovettero più prenderlo a inquietante modello di vita esemplare, volgendosi piuttosto ad altri santi meno innovatori che intanto l'Ordine aveva acquisito fra le sue fila.Tuttavia, contrariamente a quanto di solito affermato, risulta chiaramente dagli scritti di F. che il mistico esegeta della passione ripercorsa con partecipata pena è una creazione dei tardi biografi del santo, a cominciare proprio da Bonaventura; l'esacerbata meditazione sul supplizio della croce appartiene al francescanesimo e non al santo, il cui costante riferimento sono Dio Padre e la sua grande carità, che rendono Cristo fratello di ogni uomo. Le ripetute bolle di Alessandro IV, al quale stavano tanto a cuore la rappresentazione visiva delle stimmate di F. e la definizione della ferita al costato - ferita decisiva per promuovere l'identificazione del santo con Cristo, dato che è proprio questo particolare che fa riconoscere nell'uomo suppliziato il Messia -, permettono di rappresentare questo nuovo e audace dettaglio già nel ciclo affrescato nella basilica inferiore di Assisi e nella bellissima tavola del sesto-settimo decennio del sec. 13° conservata ad Assisi (Mus. della Basilica Patriarcale S. Maria degli Angeli) e accompagnata da una lunga epigrafe composta come un'autenticazione ufficiale del miracolo delle stimmate, compresa la discussa ferita al costato.Per rendere visivamente comprensibile la contemporaneità dei due eventi, cioè lo svanire della visione e la comparsa delle stimmate affermata da Bonaventura, Giotto elaborò una nuova formula, collegando con raggi le stimmate di F. e quelle del Salvatore, il cui busto, abbassate le ali del serafino, si rese visibile in modo che anche la ferita del costato fosse partecipe della simultaneità del fenomeno. La nuova iconografia fu gradualmente elaborata e migliorata: nell'affresco della basilica superiore di Assisi (1290 ca.) e nella tavola al Louvre, i raggi si dirigono secondo un percorso in linea retta, quasi F. si specchiasse nell'apparizione priva di ogni consistenza fisica, mentre nell'affresco della cappella Bardi in Santa Croce a Firenze (1320 ca.) essi si incrociano: la mano destra di Cristo non combacia più con quella sinistra di F. ma con la destra. L'esito finale, come per es. l'affresco di Pietro Lorenzetti, del secondo decennio ca. del sec. 14°, nella basilica inferiore di Assisi, comporta un cambiamento di colore dei raggi che da d'oro, il colore della luce, del contatto divino, si fanno rossi, il colore del sangue: le stimmate non più prodotte da F. in forma di neri chiodi, da Giotto in poi risultano inferte dall'esterno e dunque appaiono come vere e proprie ferite, quasi che le piaghe di Cristo avessero il potere di colpire, come frecce, la carne del santo. Fu una formula felice, prontamente intesa dai pittori che l'adottarono; anche la terziaria domenicana Caterina da Siena dimostra di aver ben capito il significato dei mutamenti di percorso e di colore dei raggi quando racconta a Raimondo da Capua di avere ricevuto le stimmate invisibili (un buon compromesso per i Domenicani, schiacciati dal miracolo di F.).È naturale che proprio ad Assisi (v.), nella basilica inferiore dove è custodito il corpo del santo, fosse per la prima volta concepita una biografia in dimensioni monumentali a edificazione dei devoti pellegrini. Il ciclo affrescato sulla parete sinistra della navata, dipinto intorno al 1257-1259, sventrato dall'inserzione delle trecentesche cappelle laterali, ha come modello la seconda biografia di Tommaso da Celano: inizia con la Rinuncia ai beni paterni e continua con il Sogno del Laterano (qui rappresentato per la prima volta), la Predica agli uccelli, le Stimmate, per concludersi con la Morte del santo. Sulla parete opposta si svolge la Passione di Cristo, che inizia con la rara scena del Redentore che si spoglia per salire sulla croce: la corrispondenza di episodi fra le due serie, perfetta nelle due scene iniziali, si limita poi a suggerire un'analogia di percorso, la passione divina modello di quella umana (v. Maestro di S. Francesco). Una decisiva conformità di F. a Cristo è affermata da Giotto (v.) nel ciclo della basilica superiore, basato sulla Legenda maior di Bonaventura, che inizia con l'Omaggio al semplice, trasparente calco dell'entrata di Cristo in Gerusalemme. Nel ciclo è anche esplicita l'insistenza su F. uomo provvidenziale, in risposta agli aspri attacchi subìti da un Ordine che varie compagini della Chiesa sentivano come temibile concorrente.La basilica di Assisi è una sorta di enciclopedia dell'iconografia francescana, continuamente aggiornata a seconda delle direttive prevalenti nell'Ordine, come mostra il complicato programma delle vele della basilica inferiore, che celebra il fondatore e le virtù francescane, programma ancora in attesa di un serio studio esauriente. I cicli di Giotto diventarono un punto di riferimento per quelli che l'Ordine fece eseguire nelle molte chiese francescane delle città italiane nel Trecento e nel Quattrocento, un mezzo di propaganda particolarmente efficace (Blume, 1983). In ambiente tedesco sono soprattutto le vetrate che accolgono la storia di F.: in Germania le chiese minoritiche di Erfurt, del 1260 ca., e di Ratisbona, del 1371, in Svizzera di Königsfelden, del 1330 circa.
Bibl.: Fonti. - Fonti Francescane. Scritti e biografie di san Francesco d'Assisi. Cronache e testimonianze del primo secolo francescano. Scritti e biografie di santa Chiara d'Assisi, Assisi 1978 (con bibl.); Z. Boveri, Annales Minorum Capuccinorum seu sacrarum historiarum Ordinis Minorum sancti Francisci qui Capuccini nuncupantur, Lyon 1632-1648, I, pp. 877-960.Letteratura critica. - F.D. Klingender, St. Francis and the Birds of the Apocalypse, JWCI 16, 1953, pp. 13-23; A. Vauchez, Les stigmates de saint François et leur détracteurs dans le derniers siècles du moyen âge, MAH 80, 1968, pp. 595-625; D. Vorreux, Un symbole franciscain, le Tau, Paris 1977; 800 Jahre Franz von Assisi, cat. (Krems-Stein 1982), Wien 1982; Francesco d'Assisi. Chiese e conventi (Narni 1982), Milano 1982; Francesco d'Assisi. Documenti e archivi, codici e biblioteche, miniature, cat. (Perugia-Todi-Foligno 1982), Milano 1982; Francesco d'Assisi. Storia e arte, cat. (Assisi 1982), Milano 1982; D. Blume, Wandmalerei als Ordenspropaganda. Bildprogramme im Chorbereich franziskanischer Konvente Italiens bis zur Mitte des 14. Jahrhunderts, Worms 1983; C. Frugoni, La giovinezza di Francesco nelle fonti (testi e immagini), SM, s. III, 25, 1984, pp. 115-143; id., Francesco, un'altra storia, Genova 1988; id., Die Träume in der Legende der drei Gefährten, in Träume im Mittelalter. Ikonologische Studien, a cura di A. Paravicini Bagliani, G. Stabile, Stuttgart-Zürich 1989, pp. 73-90; K. Krüger, Der frühe Bildkult des Franziskus in Italien, Berlin 1992; C. Frugoni, Francesco e l'invenzione delle stimmate. Una storia per parole e immagini fino a Bonaventura e Giotto, Torino 1993.