GALGANO, santo
Figlio di Guidotto e Dionisia, membri della piccola aristocrazia, nacque a Chiusdino, un castello dell'alta Val di Merse a circa 30 km da Siena, in territorio appartenente alla diocesi di Volterra. Nessuna tra le fonti più antiche indica con esattezza la data della sua nascita, che dovrebbe collocarsi intorno alla metà del sec. XII; mentre alcuni biografi più tardi, primo fra tutti G. Lombardelli nel sec. XVI, ne fissarono il termine al 1148.
La fonte più antica della vita di G. è costituita da un'indagine condotta da tre delegati papali svoltasi, secondo quanto ha stabilito F. Schneider che ne ha curato l'edizione, nell'agosto 1185. Si tratta di una vera e propria inquisitio in partibus avente lo scopo di raccogliere tutti gli elementi utili per la canonizzazione di G., dove compare, fra i testimoni, sua madre, Dionisia. Questo testo, che ci è giunto nella trascrizione dell'originale fatta dallo storico senese S. Tizio nel sec. XVI, rappresenta uno dei più antichi processi di canonizzazione di cui si conoscano gli atti e contiene quasi tutti i dati sulla vita di G. presenti nelle successive fonti agiografiche. Fra queste ricordiamo la Vita s. Galgani di Rodolfo Pisano, monaco cistercense di Montesiepi, l'anonima Vita b. Galgani, redatta da un agostiniano tra il 1326 e il 1342, e ancora una Legenda s. Galgani confexoris, opera del monaco vallombrosano Blasius (sec. XIV) nonché una Leggenda di s. Galgano confessore, redatta in volgare sempre nel Trecento.
Le notizie sulla giovinezza di G. sono rare, ma quasi tutte concordano nel fornire un'immagine negativa: l'anonimo agostiniano per esempio, pur sottolineando le origini nobili del giovane, parla di un adolescente troppo coinvolto nelle cose del mondo e sommamente aggressivo; anche il monaco cistercense ritrae G. come un ragazzo traviato. Questi giudizi, che devono attribuirsi essenzialmente all'osservanza di certi schemi narrativi caratteristici dell'agiografia, furono ripresi anche dagli storici dei secoli successivi.
Nella deposizione resa ai delegati papali la madre non accenna al traviamento giovanile del figlio; l'unico ricordo relativo alla fanciullezza di G. riguarda la morte del padre, in occasione della quale il ragazzo, adolescente, sognò di essere consegnato dalla madre all'arcangelo Michele.
È questa la prima esperienza onirica di G., riproposta anche dalle fonti successive che legano la figura di Guidotto con quella dell'arcangelo, facendo affermare alla vedova che nel passato il marito aveva avuto una speciale devozione per s. Michele. Tale devozione per l'arcangelo nella cui figura si sommavano le caratteristiche di psicagogo e di principe delle milizie angeliche era tipica in certi ambienti in cui era familiare l'esercizio delle armi, a conferma dell'appartenenza dei genitori di G. a quella piccola e media aristocrazia di tradizione militare. Sempre secondo la testimonianza materna, la scelta eremitica di G. sarebbe da connettersi a successive visioni manifestatesi nel sonno, dove G. sarebbe stato invitato a costruire una piccola sede a imitazione della domus apostolorum.
Nel dicembre 1180 G. avrebbe infine scelto fra le radure desolate di Montesiepi il luogo dove insediare il suo romitorio, e a suggello della sua conversione di vita avrebbe piantato la sua spada a mo' di croce per terra. Da questo momento ebbe inizio la vita solitaria di G., durata, a detta dei biografi, poco meno di un anno, nel corso della quale il giovane, secondo le deposizioni rese da alcuni testimoni ai rappresentanti del pontefice, fu visto spesso digiunare duramente, dormire per terra e nutrirsi di erba cruda. La miracolosa conversione e la notorietà dell'eremita richiamarono ben presto a Montesiepi la gente dei dintorni, attirata soprattutto dalla spada che nessuno riusciva a estrarre dal luogo in cui era confitta.
Tutte le fonti riferiscono, anche se in modo differente, l'episodio di un viaggio a Roma di Galgano. Mentre la madre nel corso del processo riferisce semplicemente tale avvenimento senza fornire altri particolari e l'autore della Leggenda di s. Galgano concorda con l'anonimo agostiniano nell'attribuire a esso il carattere di pellegrinaggio, l'anonimo cistercense offre invece una diversa versione, collegando la partenza dell'eremita alla volontà di presentare al papa Alessandro III certe non meglio specificate richieste, che lasciano presupporre l'intenzione di G. di ottenere un riconoscimento ufficiale della sua esperienza e l'autorizzazione a fondare una chiesa. Come rilevato dal Susi (1993), indipendentemente dalle intenzioni di G., è certo che se l'incontro avvenne non dovette svolgersi a Roma, abbandonata dal pontefice già nel 1179, molto tempo prima che avesse inizio l'esperienza eremitica di Galgano. Strettamente legato a questo episodio è quello, altrettanto controverso, dell'incursione da parte di alcuni invidiosi alla cella del santo durante il suo viaggio romano. La madre di G. racconta il fatto non specificando l'identità degli uomini "invidie facibus agitati". Altre fonti arricchiscono invece l'episodio di ulteriori particolari: il monaco Blasius racconta infatti che i tre, dopo aver commesso l'atto, furono inghiottiti dalle acque di un fiume, e l'anonimo compositore delle trecentesca Leggenda attribuisce l'episodio dell'annegamento a uno solo degli assalitori e riserva agli altri due una sorte differente, facendo soccombere il primo fulminato e salvando il terzo che assalito da un lupo trovò scampo grazie all'aiuto invocato a Galgano.
Proprio questa lettura della vicenda ebbe una propria fortuna iconografica perché tale fu rappresentata nel corso del XV secolo dal pittore senese Giovanni di Paolo in una predella oggi conservata nella Pinacoteca comunale di Siena, nella quale i tre invidiosi vengono identificati con tre religiosi; l'agiografo Lombardelli che ricorda anch'egli l'episodio indica esplicitamente nel pievano di Chiusdino, nell'abate di S. Maria di Serena (sita nei pressi del paese natale di G.) e in un converso dello stesso cenobio i devastatori accesi dal rancore per la notorietà dell'eremita a scapito delle loro chiese.
Gli altri dati che le fonti forniscono sulla vita di G. si riducono a pochi elementi. L'anonimo cistercense accenna ai rapporti che egli ebbe con l'insediamento eremitico di s. Guglielmo di Malavalle: le riserve che il suo Ordine nutriva riguardo alle esperienze ascetiche lo spinsero infatti a presentare l'immagine di G. come legato a una comunità di religiosi.
Soltanto due sarebbero, secondo le testimonianze dell'inquisitio, i miracoli compiuti in vita: la moltiplicazione dei tre pani che G. aveva dato a Giovanni di Chiusdino perché li distribuisse ai poveri e che diventarono, nel giro di una notte, sei e la guarigione di una fanciulla "habens manus contractas" (Schneider, p. 76).
G. morì con ogni probabilità il 30 nov. 1181 a Montesiepi, quando la sua fama si era già diffusa oltre gli angusti confini di questo piccolo centro.
Dalle deposizioni rese nel corso dell'inquisitio emerge la figura di un guaritore, di un liberatore di prigionieri e infine di un preveggente: una fama che si diffuse ben presto in zone relativamente distanti dal suo eremo, richiamando una moltitudine di persone. La diffusione del culto di G. indusse i "consocii beati Galgani", che raccolsero l'eredità dell'eremita insediandosi all'indomani della sua morte a Montesiepi, a chiedere la canonizzazione del loro padre fondatore, avvenuta con tutta probabilità nel 1185 a opera di Lucio III, nel quinto anno del suo pontificato.
La piccola comunità di Montesiepi conobbe in seguito profondi travagli e l'eredità spirituale di G. divenne patrimonio comune dell'Ordine cistercense - che eresse intorno al 1220 l'abbazia ancora nota ai giorni nostri per le splendide rovine - e dell'Ordine agostiniano dove confluirono nella seconda metà del XIII sec. le diverse comunità eremitiche dedicate a G., sorte in vari luoghi della Toscana.
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