GIOVANNI Battista, Santo
G., detto il precursore di Cristo (Mt. 3, 3; Mc. 1, 2-4; Lc. 1, 76) e considerato l'ultimo dei profeti e il primo dei martiri della fede cristiana, nei vangeli è colui che annuncia la venuta del Messia (Mt. 3, 11; Mc.1, 7; Lc. 3, 16) e, riconosciutolo in Gesù Cristo, gli rende testimonianza (Mt. 3, 13-17; Mc. 1, 10-11).Considerata la centralità della sua figura, a cavallo delle età sub lege e sub gratia, egli appare sia nei cicli iconografici relativi al Vecchio Testamento, tra i patriarchi e i profeti, sia in quelli relativi al Nuovo. Sono stati individuati (Réau, 1956) almeno quattro cicli dedicati specificamente alle storie di G., cicli che si ispirano tanto alle fonti canoniche quanto a quelle apocrife: l'Infanzia e la Vita nel deserto; la Predicazione e il Battesimo delle folle e di Cristo; la Passione e la Morte e, piuttosto raro in Occidente, la Leggenda delle reliquie. I primi due cicli spesso si intrecciano con quelli relativi alla vita di Cristo. In epoca paleocristiana G. venne rappresentato, spesso in abito pastorale o sacerdotale, nell'atto di battezzare Cristo: così compare in vari sarcofagi, per es. in quello proveniente da via della Lungara (Roma, Mus. Naz. Romano), e ancora nei mosaici del sec. 5° del battistero Neoniano e del battistero degli Ariani a Ravenna. Mâle (1951) ha messo in evidenza per quest'epoca un'evoluzione dalla rappresentazione del tipo pastorale a quella sacerdotale che avrebbe portato in seguito all'iconografia più tipica di G., quella di asceta.A partire dal sec. 6° la figura di G. iniziò a essere rappresentata isolata mentre sempre più se ne accentuarono i caratteri ascetici, seguendo fedelmente la narrazione evangelica che lo descrive con "un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano locuste e miele selvatico" (Mt. 3, 4): questo abbigliamento, oltre all'aspetto emaciato, alla barba e alla capigliatura lunghe e ispide, divenne il tratto più caratteristico dell'iconografia di G. sia in Occidente sia in Oriente, corredato da attributi quali la croce - spesso una lunga e sottile croce di giunco -, un rotulo in mano e l'agnello entro un clipeo. Quest'ultimo attributo scomparve dall'iconografia bizantina a partire dalla fine del sec. 7°, in seguito alla decisione del secondo concilio Trullano del 692 di vietare la rappresentazione di Cristo come agnello, per sottolinearne più decisamente la natura umana oltre che divina. Quasi un'enunciazione visiva di tale canone conciliare è stata considerata l'icona con la raffigurazione di G. databile, anche per ragioni stilistiche, alla seconda metà del sec. 7° oggi a Kiev (Kievskij muz. zapadnogo i vostočnogo iskusstva; Corrigan, 1988). Tra le numerosissime rappresentazioni di questo tipo vanno ricordate quella a mosaico del catino absidale della cattedrale di Parenzo, della metà del sec. 6°, dove G. è rivestito di una pelle di tigre in luogo della più consueta pelle ovina o di cammello; l'ampolla palestinese frammentaria del sec. 6° con Cristo in gloria, la Vergine Maria, Zaccaria e G. (Bobbio, Mus. dell'Abbazia di S. Colombano); il mosaico nella cappella di S. Venanzio nel battistero Lateranense di Roma, del 640 ca., con G. in atteggiamento benedicente e con una lunga croce in una mano.Una singolare miniatura, di datazione controversa (sec. 7°, Masseron, 1957; sec. 9°, Lazarev, 1967), contenuta nella Topographia christiana di Cosma Indicopleuste (Roma, BAV, Vat. gr. 699), rappresenta senz'altro un unicum: G. è raffigurato al centro di una composizione nella quale vi sono a destra Cristo e la Vergine e a sinistra i genitori Zaccaria ed Elisabetta, a testimonianza della centralità della sua figura all'interno della vicenda cristiana. Stesso tipo di testimonianza è offerta dai pannelli eburnei della cattedra di Massimiano, del sec. 6° (Ravenna, Mus. Arcivescovile), in cui G., vestito di una lunga tunica coperta da un vero e proprio mantello di pelle di montone annodato sotto il collo, è affiancato dai quattro evangelisti, a significare il ruolo primario da lui svolto nell'annunciare la venuta dell'agnello di Dio (Gv. 1, 29), che, racchiuso entro un clipeo, egli sostiene con una mano. L'iconografia di G. come precursore attraversa tutto il Medioevo occidentale; la si ritrova per es. nella figura scolpita nel portale nord della cattedrale di Chartres (sec. 13°).Con il consueto aspetto ascetico G. è raffigurato nei mosaici della Cappella Palatina di Palermo (sec. 12°), nella variante iconografica con un'ascia alle radici di un albero - a ricordare il versetto evangelico "già la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco" (Mt. 3, 10) - e con un rotulo in mano in cui si leggono in greco le parole di Gv. 1, 29 "Ecco l'agnello di Dio". Un'altra iconografia, meno diffusa, presenta G. in trono, togato o in vesti regali, come in un paliotto di datazione discussa, probabilmente del sec. 13° (Siena, Pinacoteca Naz.) e nei mosaici del primo quarto dello stesso secolo del battistero di Firenze. Sempre in trono, ma in abbigliamento ascetico, G. è rappresentato in una tavola di Barna da Siena della metà del sec. 14° (Altenburg, Staatl. Lindenau-Mus.).Tra i cicli che descrivono le storie della Vita di G. vanno ricordate le formelle del portale del battistero di Firenze realizzato da Andrea Pisano (1330-1336); il più completo è probabilmente quello scolpito nella decorazione del portale dedicato a G. della cattedrale di Sens (sec. 13°), nel quale si narrano i fatti della Vita di G. dalla nascita alla Leggenda delle reliquie. Frequenti, soprattutto dal Tardo Medioevo in poi, sono i casi in cui si trovano affiancati il ciclo della Vita di G. Battista e quello del suo omonimo Evangelista. Tra i casi più famosi sono gli affreschi di Giotto nella cappella Peruzzi in Santa Croce a Firenze (1320 ca.) e quelli di Matteo Giovannetti nel palazzo dei Papi di Avignone (metà del sec. 14°).Frequente nel mondo ortodosso è l'immagine di G. all'interno della Déesis; tale iconografia, che allude al giudizio finale, prevede la raffigurazione di G. e della Vergine Maria ai lati di Cristo, verso il quale si volgono in posizione implorante a intercedere per la salvezza dell'umanità. Della composizione, chiaramente ispirata alla scena classica dell'adorazione dell'imperatore, esiste sia una versione semplice, limitata ai tre personaggi principali, sia una più ampia, allargata ad angeli e santi disposti ai lati della Madonna e di G. Battista. In particolare, quest'ultima sembra la più diffusa nelle iconostasi che separano il santuario dalla parte riservata ai fedeli nelle chiese bizantine. Splendido esempio di Déesis è quella raffigurata nel mosaico frammentario della tribuna meridionale in Santa Sofia a Costantinopoli, assegnata da Lazarev (1967, p. 198, figg. 293-295) al secondo quarto del sec. 12°, mentre una rappresentazione precoce di questa iconografia può essere considerata quella affrescata in S. Maria Antiqua a Roma, datata al 7° secolo.A partire dalla fine del Medioevo la testa mozzata di G. deposta in un piatto divenne tema iconografico molto comune, così come quello di G. bambino rappresentato insieme al suo coetaneo Gesù.
Bibl.: R. Plus, Saint Jean-Baptiste dans l'art, Paris 1937; E. Mâle, Le type de Saint Jean-Baptiste dans l'art, Revue des deux mondes, 1951, 2, pp. 53-62; G. Kaftal, Saints in Italian Art, 4 voll., Firenze 1952-1985: I, coll. 550-559; II, coll. 602-615; III, coll. 510-526; IV, coll. 370-386; Réau, II, 1956, pp. 431-463; A. Masseron, Saint Jean-Baptiste dans l'art, Paris 1957; V. Lazarev, Storia della pittura bizantina, Torino 1967; K. Corrigan, The Witness of John the Baptist on an Early Bizantine Icon in Kiev, DOP 42, 1988, pp. 1-11; F.A. von Metzsch, Johannes der Täufer. Seine Geschichte und seine Darstellung in der Kunst, München 1989.